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Migrantes-Transiti: la condizione psicologica degli expat, la nostalgia di casa

14 Aprile 2022 - Roma - La condizione psicologica degli italiani nel mondo durante il Covid-19.  Nel Capitolo sulla condizione psicologica degli expat del Rapporto Italiani nel Mondo 2021 della Fondazione Migrantes emerge un’altra fonte di sofferenza specifica legata alla nostalgia di casa, dovuta alla lontananza dagli affetti familiari (74%) e amicali (48,5%) e all’impedimento a muoversi o a viaggiare (65%) per poterli incontrare. In questi anni di lavoro con gli espatriati abbiamo avuto modo di comprendere quanto il tema del rapporto con la terra di origine sia centrale nella dinamica di espatrio. Per molte persone significa “poter tornare a casa”, per altre vuol dire “visitare gli affetti” e “rimanere connessi alle origini”. Il rientro ciclico in Italia, comunque, rappresentava prima del Covid-19 un ancoraggio di grande importanza per poter sentire un equilibrio emotivo tra le origini lasciate e la vita attuale. La pandemia ha spezzato questo filo di riconnessione: ha impedito ai nonni di passare del tempo con i nipoti, ha impedito ai figli di occuparsi dei genitori, ha impedito di salutare i defunti rimettendo in circolo sentimenti negativi di incertezza, disagio e senso di colpa che le persone pensavano di essere riuscite a fronteggiare, archiviare, dribblare e, nel migliore dei casi, superare. Un dato su cui abbiamo riflettuto molto è quello relativo alla percezione esperita dai genitori in merito al disagio osservato nei figli. Se da un lato i bambini e i ragazzi sono percepiti dai loro caregivers come forti e capaci di fronteggiare i disagi della pandemia – solo il 9% ha risposto “soffrono molto” e il 6% “destano preoccupazione” – la risposta “stanno bene” è espressa solo dal 36%. Per una possibile interpretazione di questo dato, può essere utile ricordare il concetto di “pensieri non pensati” di Bion. Quando qualcosa è difficile da digerire per la propria mente, come nel caso dell’angoscia per il futuro e della relativa paralisi, diventa difficile poter osservare con chiarezza ciò che accade nelle persone accanto e comprendere quanto queste, per esempio, siano realmente in grado di “digerire” la situazione e fronteggiarla. Si inizia quindi ad oscillare inconsapevolmente tra la speranza che l’altro sia più in grado di farvi fronte rispetto a noi e l’angoscia che possa stare male (o che si stia entrambi male). A maggior ragione se l’altro è una persona con la quale esiste un legame affettivo profondo e per la quale si sente di avere una responsabilità di crescita, come nel caso dei propri figli. Un ulteriore elemento che può aiutarci a comprendere il quadro delle risposte è che il 60% della popolazione ha un figlio tra 0 e 6 anni. Interpretare se la manifestazione del disagio in un bambino piccolo sia una conseguenza della vita in pandemia non è semplice. Il mondo del bambino è definito dalle relazioni familiari: se la famiglia sta attraversando un momento di disorientamento o fragilità, anche il bambino ne verrà coinvolto nel suo sviluppo. Come ha  espresso Alice Miller, «Ogni bambino ha il legittimo bisogno di essere guardato, capito, preso sul serio e rispettato dalla propria madre [...] [dai caregivers NdA]. Un’immagine di Winnicott illustra benissimo la situazione: la madre guarda il bambino che tiene in braccio, il piccolo guarda la madre in volto e vi si ritrova [...] a patto che la madre guardi davvero quell’esserino indifeso nella sua unicità, e non osservi invece le proprie attese e paure, i progetti che imbastisce per il figlio, che proietta su di lui. In questo caso nel volto della madre il bambino non troverà sé stesso, ma le esigenze della madre. Rimarrà allora senza specchio, e per tutta la vita continuerà invano a cercarlo». Abbiamo raccolto alcune voci degli expat che hanno sentito rafforzato il sentimento di nostalgia. In 48 risposte aperte, circa il 5% del campione esprime questo sentimento della nostalgia, che però non è correlato con una voglia di tornare nel paese d’origine. 114 sono le frasi, nelle risposte aperte, legate alla forte voglia di rientrare in Italia, espressa dal 14,5% del nostro campione. In queste, le parole più ricorrenti sono: Famiglia, lavoro, amici e casa. Parole usate per raccontarci di: “Ricongiungimento con il partner” (FRANCIA); “Nuove opportunita' LAVORATIVE” (BURKINA FASO); “Per vicinanza a AMICI e FAMIGLIA” (SPAGNA); “Perché Dubai è un luogo di transizione. Impossibile costruire una vita. Uno è qui solo per il LAVORO” (EAU); “Non mi sento tutelata nel diritto alla salute, in aggiunta dopo così tanti anni all'estero stiamo rivalutando le priorità nella nostra vita” (IRLANDA); “Mio marito andrà in pensione tra 4 anni e vorremmo trascorrere in Italia il resto della nostra vita” (IRLANDA); “L'Italia ha molto da offrire, non ci si annoia mai” (IRLANDA); “Mi mancano gli affetti e il clima mediterraneo” (UK); “Mi manca tutto, FAMIGLIA, relazioni” (GERMANIA); “Perché sono stanco di vivere lontano dalla FAMIGLIA” (LIBANO); “Era un progetto che avevamo da ben prima della pandemia. Italia perché è CASA e dopo anni passati all'estero abbiamo voglia di tornare alle nostre radici” (EMIRATI ARABI); “Mi manca il nostro modo di vivere, AMICI, parenti” (UK); “Perché mi manca tutto dell’Italia, eccetto la disoccupazione” (BELGIO)   Trovate questo articolo pubblicato anche nella sezione Articoli del sito di Transiti - Psicologia d’espatrio.  

Ministero Beni Culturali: 11 milioni di euro per circhi e spettacolo viaggiante

26 Marzo 2021 - Roma - «Ho firmato due provvedimenti del valore di 11 milioni di euro per il sostegno degli operatori dello spettacolo viaggiante e dei circhi. Si tratta di realtà in enorme sofferenza, per le quali si è operato sin dall’inizio della pandemia, ma che continuano ad avere bisogno di un sostegno concreto». Così il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, al momento della firma di due decreti che ripartiscono le risorse del fondo emergenza spettacolo, cinema e audiovisivo, destinando 10 milioni di euro al sostegno dello spettacolo viaggiante e 1 milione di euro al sostegno delle attività circensi. Le risorse in favore dello spettacolo viaggiante verranno erogate anche in considerazione degli importi dovuti dalle singole realtà per la tassa di occupazione di spazi ed aree pubbliche nei comuni in cui insistono gli impianti, mentre quelle per i circhi verranno riservate alle imprese di produzione circense le cui attività in Italia è stata impossibilitata dalle misure di contenimento del contagio o la cui attività all’estero è stata interrotta e il cui rimpatrio è stato ritardato o impedito per i medesimi motivi, si legge in una nota. Questi interventi «rafforzano quanto già previsto nel 2020, con i 15 milioni di euro erogati in favore degli operatori dello spettacolo viaggiante e quota parte destinata ai circhi delle risorse devolute alle realtà escluse dal FUS, portando così a oltre 26 milioni di euro il montante complessivo finora indirizzato a sostenere questi specifici settori dello spettacolo dal vivo». I due decreti sono stati inviati agli organi di controllo e saranno disponibili, alla registrazione, sul sito istituzionale del ministero della cultura www.beniculturali.it

Card. Bassetti: il silenzio si fa preghiera

18 Marzo 2021 -
Roma - «Oggi vogliamo pregare per tutti coloro che sono stati strappati alla vita dal virus che da più di un anno sta flagellando l’Italia e il mondo intero. Oggi è il momento di fare silenzio e di rivolgere il nostro pensiero alle oltre centomila persone che non ce l’hanno fatta. Un silenzio che si fa preghiera e che apre alla speranza». Lo afferma il card.  Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, in occasione della prima Giornata nazionale in memoria delle vittime di Covid.
«Oggi è l’occasione per fare memoria, perché chi non ha memoria non ha radici e viene sradicato da qualunque vento. La memoria è come un contenitore che dà senso profondo alla vita e da cui si può attingere. La preghiera diventa allora una cannella d’acqua fresca che sgorga da questo contenitore e si traduce in un dialogo con Dio», sottolinea porporato, aggiungendo che la «gente  ha bisogno di pane, ma anche di lavoro, di solidarietà e di grazia perché senza grazia la vita non ha senso».
«C’è una primavera che si prepara in questo inverno apparente», ripeteva La Pira e anche noi, oggi, «vogliamo pensare che sia così, certi che la morte non abbia l’ultima parola», dice il card.  Bassetti.
La Giornata nazionale istituita per conservare e rinnovare la memoria di tutte le persone decedute a causa dell’epidemia di coronavirus viene celebrata nelle chiese che sono in Italia con liturgie e momenti dedicati. Nella sede della Conferenza Episcopale Italiana è stata issata la bandiera a mezz’asta.
Per l’occasione, inoltre, l’Ufficio Liturgico Nazionale ha composto una preghiera che pubblichiamo di seguito:
Signore Padre buono e misericordioso,
ascolta la preghiera delle tue figlie e dei tuoi figli
in questo tempo oscurato
dalle ombre della malattia e della morte.
La Pasqua di Cristo, verso la quale siamo incamminati,
illumini il nostro pellegrinare.
Donaci occhi, mente e cuore
per sostenere le famiglie, soprattutto le più provate;
per prenderci cura dei bambini, accompagnare i giovani,
dare forza ai genitori e custodire gli anziani.
Dona guarigione agli ammalati, pace eterna a chi muore.
Indica ai governanti la via per decisioni sagge
e appropriate alla gravità di quest’ora.
Dona forza ai medici, agli infermieri,
agli operatori sanitari,
a chi si occupa dell’ordine pubblico e della sicurezza,
affinché siano generosi, sensibili e perseveranti.
Illumina i ricercatori scientifici,
rendi acute le loro menti ed efficaci le loro ricerche.
Lo Spirito del Risorto sostenga la nostra speranza.
Per la forza del suo Amore, o Padre,
rendi ciascuno artigiano di giustizia,
di solidarietà e di pace, esperto di umanità.
Donaci il gusto dell’essenziale, del bello e del bene,
e i gesti di tutti profumino di carità fraterna
per essere testimoni del Vangelo della gioia,
fino al giorno in cui ci introdurrai,
con la beata Vergine Maria, san Giuseppe e tutti i santi,
al banchetto eterno del Regno.
Amen.

Covid 19: oltre 200 i sacerdoti scomparsi. Tra questi alcuni impegnati nella pastorale migratoria

18 Marzo 2021 - Roma – Oggi è la Giornata del Ricordo delle Vittime del Covid 19. In tutto il Paese bandiere a mezz’asta sugli uffici pubblici e un minuto di silenzio, alle 11, in corrispondenza dell’arrivo del premier Mario Draghi a Bergamo, città martire della pandemia. Il momento più solenne sarà la cerimonia che si svolgerà nel capoluogo orobico alla presenza del Presidente del Consiglio. Alle 11 verrà deposta una corona di fiori al Cimitero monumentale della città. Alle 11.15, al Parco Martin Lutero alla Trucca, si svolgerà l’inaugurazione del Bosco della Memoria con la messa a dimora dei primi 100 alberi. Oltre 103mila i morti finora e tra questo molti i sacerdoti che per il loro impegno fianco dei fedeli si sono ammalati ed hanno perso la vita. Dal 1° marzo al 30 novembre scorso – come ricorda Riccardo Benotti nel volume “Covid19: preti in prima linea” edito da San Paolo - sono stati 206 i sacerdoti diocesani italiani che sono morti a causa diretta o meno dell’azione del Covid-19. A essere coinvolto nella strage silenziosa è quasi un terzo delle diocesi: 64 su 225.La concentrazione delle vittime è nell’Italia settentrionale (80%), con un picco in Lombardia (38%), Emilia Romagna (13%), Trentino-Alto Adige (12%) e Piemonte (10%). Segue il Centro (11%) e il Sud (9%). Il mese di marzo 2020 è stato quello che ha registrato il numero più alto di decessi (99). Tra questi alcuni sacerdoti impegnati nella pastorale della mobilità umana. Don Giancarlo Quadri, 76 anni, è stato uno dei primi (è morto il 22 marzo scorso), per anni a fianco degli immigrati in Italia e degli italiani all’estero: dal 1989 al 1993 è stato cappellano Migrantes in Gran Bretagna, dal 1993 al 1996 in Marocco, dal 1996 al 2001 collaboratore di Curia a Milano nell’Ufficio Segreteria per gli Esteri. Cappellano delle Comunità di lingua straniera di Milano dal 2000 al 2014, responsabile di Curia per l’Ufficio Migrantes dal 2001 al 2014, cappellano del Centro pastorale per i fedeli di lingua italiana a Bruxelles dal 2014 al 2017. Per la pastorale accanto ai migranti don Quadri era stato chiamato dal card. Carlo Maria Martini. Grazie a lui – ricorda Benotti nel volume - la chiesa di Santo Stefano diviene il punto di riferimento per le comunità straniere presenti in città, prime fra tutte quelle sudamericane e filippine. A Pero, in provincia di Milano, fa esperienza fa esperienza dell’immigrazione interna dall’Italia meridionale. Durate il suo ministero promuove numerose occasioni di dialogo con i musulmani nel nome dell’integrazione e della convivenza. Impegnato nella pastorale con gli italiani in Belgio mons. Achille Belotti (83 anni), originario della diocesi di Bergamo dal 1974 al 1978 prima di far ritorno in diocesi. Mons. Belotti è morto l’11 marzo 2020 dopo un ricovero di poche ore all’ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. E ancora don Antonio Audisio, 80 anni, della diocesi di Saluzzo, che, dopo essere stato missionario in Africa, al rientro in diocesi ha seguito la catechesi dei migranti albanesi presenti sul territorio. Don Leonello Birettoni, di 79 anni, originario di Perugia, per tanti anni a fianco dei più bisognosi come i migranti. E tanti altri. «Nei mesi di pandemia da Covid-19, sono tornato spesso con la memoria agli incontri che ho avuto la fortuna di vivere con i futuri preti», scrive nella prefazione al volume il card. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI: «soprattutto nelle settimane di ricovero, perché anch’io ammalato di Covid, gli “appuntamenti” con le mie esperienze passate sono diventati frequenti. D’altronde, in una stanza di terapia intensiva si è anche agevolati da questa sorta d’introspezione. Ho pensato tanto al nostro donarci come sacerdoti; all’amore ricevuto e a quello donato; a tutte le opportunità di fare del bene non sfruttate. Ho pregato per tutti i malati, ho invocato il perdono per tutte le volte che non sono stato all’altezza». Questi sacerdoti sono stati “pellegrini”, come diceva don Mazzolari, “per vocazione e offerta”. Tanti di loro – aggiunge il porporato - «erano ancora in servizio, altri anziani; erano parroci di paesi, figure di riferimento per le nostre comunità, che hanno contribuito a costruire negli anni. Questo pellegrinare nella storia del loro ministero incrocia lo sviluppo sociale, civile e culturale del nostro Paese. Molto spesso si ha poca coscienza della capillarità delle nostre Chiese locali, nelle grandi aree urbane, ma soprattutto nei piccoli centri. Nelle une e negli altri, il pellegrinaggio di tanti sacerdoti sosta nelle vicende gioiose e sofferte degli uomini e delle donne, fino a diventarne tessuto connettivo. È il filo della memoria che si rinnova nell’umanità». (Raffaele Iaria)  

Card. Bassetti: daremo un nuovo contributo di carità nella campagna vaccinale

14 Marzo 2021 -
Roma - «Il tempo della responsabilità non è terminato. La Chiesa che è in Italia saprà dare un ulteriore segno concreto di prossimità. Con la campagna vaccinale, infatti, abbiamo la possibilità tangibile di fornire un nuovo contributo di carità». Così il card.  Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, commenta la campagna vaccinale nazionale antiCovid, presentata  dal Commissario straordinario, generale Francesco Paolo Figliuolo, che apre all’eventualità, tra l’altro, di utilizzare strutture edilizie delle Chiese che sono in Italia. La messa a disposizione di questi luoghi, che non sono quelli liturgici, tiene conto di vari fattori, non ultimo la continuità di un cammino già avviato in molti territori. Sono numerose, infatti, le Diocesi che hanno consentito e consentono l’utilizzo delle proprie strutture per medici, infermieri, Protezione civile, persone in quarantena, ammalati, poveri e quanti soffrono a causa del Covid.
«Anche questa – afferma il porporato - è testimonianza autentica di un servizio alla persona, agli ultimi in particolare, a chi è in prima linea nella cura dei malati e, quindi, al Paese intero. Tutti insieme, uniti, possiamo costruire orizzonti di speranza».

Elogio del tempo

11 Marzo 2021 - Roma - In queste settimane sta emergendo un’esigenza che accomuna un po' tutte le persone: recuperare il senso del tempo. Ne ha scritto Adriano Fabris su Avvenire del 9 marzo: “Il tempo all’epoca del coronavirus si è fatto uniforme e indifferente. Ha perso continuità, si è concentrato nell’attimo”. La riflessione sul tempo rimanda a un certo senso di ordine e, anche, di calma, di lentezza necessaria per vivere con pienezza le singole esperienze e collocarle nel giusto posto. Il tempo, in questo modo, si espande rafforzando i legami e dando ritmo alla comprensione di sé stessi. Per gli operatori della comunicazione questo elogio del tempo è invito a un dialogo interiore per avvertire la responsabilità di porre in relazione l’attimo con l’eternità, il frammento con l’insieme, il provvisorio con il definitivo. Recuperiamo il senso del tempo! (Vincenzo Corrado)  

Cei: dal 14 febbraio ripristinato segno della pace con uno cenno degli occhi e un inchino

28 Gennaio 2021 -  Roma - Ripristinare, a partire da domenica 14 febbraio, “un gesto con il quale ci si scambia il dono della pace, invocato da Dio durante la celebrazione eucaristica”. È quanto hanno deciso i vescovi italiani, al termine del Consiglio episcopale permanente (Cep). “La pandemia – si legge nel comunicato finale -  ha imposto alcune limitazioni alla prassi celebrativa al fine di assumere le misure precauzionali previste per il contenimento del contagio del virus”. “Non potendo prevedere i tempi necessari per una ripresa completa di tutti i gesti rituali – si annuncia nella nota – i vescovi hanno deciso di ripristinare, a partire da domenica 14 febbraio, un gesto con il quale ci si scambia il dono della pace, invocato da Dio durante la celebrazione eucaristica”. “Non apparendo opportuno nel contesto liturgico sostituire la stretta di mano o l’abbraccio con il toccarsi con i gomiti, in questo tempo può essere sufficiente e più significativo guardarsi negli occhi e augurarsi il dono della pace, accompagnandolo con un semplice inchino del capo”, la proposta della Cei, a partire da domenica 14 febbraio. All’invito “Scambiatevi il dono della pace”, dunque, sarà possibile “volgere gli occhi per intercettare quelli del vicino e accennare un inchino”. Questo gesto, per i vescovi, “può esprimere in modo eloquente, sicuro e sensibile, la ricerca del volto dell’altro, per accogliere e scambiare il dono della pace, fondamento di ogni fraternità. Là dove necessario, si potrà ribadire che non è possibile darsi la mano e che il guardarsi e prendere ‘contatto visivo’ con il proprio vicino, augurando: ‘La pace sia con te’, può essere un modo sobrio ed efficace per recuperare un gesto rituale”.  

Migrantes Trani-Barletta-Bisceglie: esperienze a margine del Sars-Cov-19 a fianco del circo

4 Gennaio 2021 - Trani - In questi mesi di forzata attenzione verso i piccoli-grandi segnali da ricercare in chi ci sta intorno, che potevano essere avvisaglie di infezione da Sars-Cov-2, non ci siamo accorti di un altro piccolo-grande segnale foriero di infezioni deleterie per l’animo umano: la selezione territoriale. Ne abbiamo avuto tangibili testimonianze nei mesi passati quando, in un caos di aiuti e attenzioni verso coloro che erano stati colpiti in modo diretto e di riflesso dalla pandemia, un “piccolo villaggio” situato alla periferia di una città della Puglia è divenuto invisibile alle autorità locali e nazionali, al punto da chiedersi realmente se tutti noi abbiamo la percezione di quanto ci circonda. Questo “piccolo villaggio” è il Circo Royal, capitato ad inizio pandemia in quel di Trani, piazza inclusa nel calendario annuale e divenuta, per molto tempo, terra amara per le 66 persone del Circo e per gli animali che fanno parte integrante di questa grande famiglia dello spettacolo. Nel caos babelico che ha caratterizzato l’inizio della primavera, l’Ufficio Migrantes diocesano ha raccolto con sollecitudine l’appello che dal Circo proveniva nell’ andare incontro alle necessità alimentari degli animali da spettacolo e del piccolo zoo a seguito, fornendo foraggio e alimenti per le varie specie di animali, nonché un aiuto concreto per gli operatori circensi, di fronte alla totale assenza delle istituzioni territoriali, quasi certamente impreparate alla gestione di una novità così invasiva come la pandemia da Covid-19. Certo, una realtà così numerosa come un Circo può scombussolare qualsiasi piano di intervento sul territorio, ma un minimo di attenzione per questi “invisibili” sarebbe stato auspicabile. L’aiuto dell’Ufficio Migrantes sta continuando ancora oggi mediante assistenza di beni di prima necessità in collaborazione oggi con la Caritas diocesana e con il Banco delle Opere di Carità di Bitonto, presso il quale i nostri amici circensi sono stati inseriti come unità di strada. È notizia di questi giorni che il Comune ha erogato un piccolo aiuto economico agli operatori circensi, inserendoli in un circuito di assistenza per le famiglie di residenti colpite dalla crisi economica dovuta alla pandemia. Un inizio positivo, si spera, per poter lasciarsi alle spalle un anno invero complicato, con la speranza di poter iniziare anzi, riprendere a vivere attraverso quello che ogni circense sogna: fare spettacolo per strapparci un sorriso e un verso di stupore, con quella voglia di rendere il mondo ancora carico di meraviglie. Forse abbiamo finalmente trovato il giusto “vaccino per il cuore”! (Riccardo Garbetta - Direttore Ufficio Migrantes Trani-Barletta-Bisceglie)        

Medici malati e morti: le storie di quelli stranieri

29 Dicembre 2020 -

Milano - In prima linea ci sono anche loro. Dimenticati, trascurati, discriminati persino. E a volte contagiati, proprio come gli altri. «Sono un medico. Sono albanese, di Scutari. Mi sono laureata in medicina all’università italiana di Tirana, gemellata con Tor Vergata di Roma. Ma quando, dopo essere arrivata in Italia, sono andata ad iscrivermi all’Ordine dei medici, mi hanno detto che non potevo farlo perché non avevo il permesso di lavoro. Ho risposto: 'Certo che non ho un permesso di lavoro, senza l’iscrizione da voi, non posso esercitare'. Sono ricorsa al ministero della Salute. Ci sono voluti un po’ di tempo e un bel po’ di documenti, ma alla fine ho ottenuto parere favorevole alla mia iscrizione». Artes Memelli ha 28 anni, da agosto 2017 lavora da libera professionista nel mondo dell’emergenza veneta (oggi messo in ginocchio dalla seconda ondata di epidemia): Pronto soccorso e 118. «Amo il mio lavoro, mi sono preparata per farlo. Con il Covid l’impegno è moltiplicato, ma non mi sono mai tirata indietro. Però ho paura. Non solo d’essere contagiata. Ho paura perché sono sola e, se mi ammalo, come faccio con le spese? Non ho ferie, non ho malattia».

Ai medici stranieri che arrivano in Italia non basta il riconoscimento dell’equipollenza del titolo; per lavorare nella sanità pubblica serve la cittadinanza italiana. Così si arriva al paradosso che, da una parte, nella sanità pubblica il personale è sottodimensionato, mentre, dall’altra, la legge blocca nelle strutture private 22mila medici e 38mila infermieri, perché privi della cittadinanza italiana. Per fronteggiare la pandemia, il Decreto Cura Italia di marzo 2020, all’articolo 13 ha previsto la possibilità per i medici stranieri di lavorare nel pubblico, ma solo per questo tempo eccezionale. «Il rischio è che diventi una guerra fra poveri – spiega Foad Aodi, fondatore e presidente dell’Associazione medici di origine straniera (Amsi) –. Chi lavora nelle strutture private ha un trattamento economico inferiore. Poi ci sono i liberi professionisti a partita Iva, che quindi non godono dei benefici di un contratto. Sono colleghi qualificati, ma per la legge italiana sono di serie B».

«Il Covid è stato per noi un’occasione di riscatto. I medici stranieri sono stati e sono in prima linea nei pronto soccorso, molti si sono impegnati nella Protezione Civile o nella Croce Rossa»: la dottoressa Eugenia Voukadinova, 54 anni, di origini bulgare, è in Italia da 25 anni. Specializzata in dermatologia e venereologia, lavora per un’azienda francese convenzionata con il Servizio sanitario italiano, come medico di medicina fisica e riabilitazione. «Quando arrivai qui, mi riconobbero solo i primi esami. Praticamente ho dovuto prendere un’altra laurea in medicina, e studiare in un’altra lingua non è facile. Lavoravo di giorno e di notte stavo sui libri, in più crescevo mia figlia». Anche se da sei anni è cittadina italiana, ad Eugenia lavorare nel pubblico non interessa più, ma combatte «perché i muri cadano». E lei di muri se ne intende, visto che nel 1989, armata di piccone, fu una dei tanti giovani che a Sofia contribuirono a sfondare quel muro che dal 1961 imprigionava l’est Europa. «Quell’anno l’università si fermò. Tutti noi abbattemmo il nostro pezzo di muro. Qui faccio lo stesso, mi impegno ad abbattere tanti piccoli pezzi di muro perché i nuovi colleghi non abbiano più a patire discriminazioni». (Romina Gobbo – Avvenire)

Migrantes Massa Carrara-Pontremoli: il sostegno allo spettacolo viaggiante in tempo di pandemia

4 Dicembre 2020 - Massa Carrara - Essere operatori pastorali tra circensi e lunaparkisti significa rispondere alla gioia di essere stati scelti da Dio per annunciare il Vangelo in un contesto lavorativo particolare, definito da Papa Bergoglio come la forma più antica di intrattenimento, il cui merito è quello di diffondere la cultura dell’incontro e la socialità nel divertimento. Naturalmentela pastorale esercitata fra la gente dello Spettacolo Viaggiante ha delle peculiarità, che la distinguono da quella svolta abitualmente nelle nostre Chiese particolari. È lo stesso Codice di Diritto Canonico (CJC can. 568) a definirla “speciale”, in quanto esce dagli schemi della quotidianità! Essa, infatti, si rivolge a persone che, spostandosi continuamente da una località all’altra, non possono frequentare le nostre parrocchie: basti pensare che gran parte del loro lavoro si svolge la domenica, giorno in cui i cristiani partecipano alla celebrazione Eucaristica. Quindi, il primo compito degli operatori pastorali è quello di mettere in pratica gli elementi fondamentali, che caratterizzano la pastorale dello spettacolo viaggiante: “accoglienza”, “conoscenza”, “condivisione”. Accogliere significa abbracciare l’altro, il diverso da noi. Conoscere vuol dire entrare nel suo vissuto, evitando ogni pregiudizio culturale. La condivisione è una scelta di vita coraggiosa, che richiede impegno e compassione, nel senso etimologico del termine [patire con] ed è il comportamento che devono tenere gli operatori pastorali, i quali sono chiamati ad agire senza alcun interesse o tornaconto personale, al solo scopo di produrre un beneficio in coloro che lo ricevono. Condivisione! Un moto dell’animo particolarmente utile durante la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2, che ha particolarmente colpito circensi e i lunaparkistiIl settore dello “Spettacolo Viaggiante” è composto da 5.000 imprese e coinvolge circa 20.000 lavoratori. Durante la prima fase della pandemia sono stati soppressi luna-park e tournée circensi, con danni rilevanti per le imprese, che hanno continuato a sostenere i costi della occupazione di suolo pubblico e dell’energia elettrica, a mantenere in vita gli animali, a provvedere alle famiglie dei lavoratori prive di altra fonte di reddito. Come dimostrano i dati attuali, nella seconda fase pandemica, la diffusione del Covid-19 non si è arrestata. Le istituzioni locali stanno annullando i tradizionali luna-park autunnali e gli spettacoli circensi. Così, la categoria è di nuovo in ginocchio e non sa come affrontare l’Inverno. Una situazione allarmante, di fronte alla quale la Fondazione Migrantes ha ulteriormente potenziato la rete con le Caritas diocesane per la fornitura di pasti e generi alimentari. In alcune località abbiamo contattato i servizi sociali per ottenere sostegni economici e accelerare il rilascio dei permessi di sosta per le carovane. Riguardo all’aspetto pastorale, cerchiamo di garantire il nostro sostegno attraverso i Social Media e i cellulari: la “Gente del Viaggio” ci dà sue notizie, ci invia messaggi, fotografie, video e notizie; ci confida le loro paure e le loro speranze. Noi cerchiamo di alimentare la loro fede, organizzando incontri di preghiera attraverso i mezzi di comunicazione. Personalmente, ho molto a cuore il diritto allo studio dei figli dei circensi e dei lunaparkisti e lavoro da tempo per garantire loro una continuità didatticaPer gli istituti superiori il problema non sussiste, perché in tutto il Paese si farà didattica a distanza. Nelle regioni di fascia rossa  come la Toscana è prevista la didattica a distanza anche per le classi di seconda e terza media. Nelle scuole primarie e in prima media la didattica continuerà ad essere in presenza: così, la situazione dei figli dei circensi e dei lunaparkisti, già problematica in condizioni normali, rischia di aggravarsi ulteriormente, perché nelle scuole delle città in cui sostano le carovane, le classi sono già state formate e vengono respinte le iscrizioni dei nostri bambini. Affinché questi alunni non restino indietro con i programmi, proseguono le lezioni a distanza, grazie alla didattica online promossa da alcuni operatori Migrantes. (Ivonne Tonarelli - Migrantes Massa Carrara-Pontremoli)

Mci Gran Bretagna: il covid e le comunità italiane

26 Novembre 2020 - Londra - Anche se potrebbe sembrare un controsenso, questo periodo in cui la pandemia invita tutti ad isolarsi è il tempo favorevole in cui la Chiesa è sollecitata più che mai ad uscire, a recuperare la dimensione che le è propria, la missionarietà. E’ un tempo molto simile a quello in cui il profeta Ezechiele si trovava ad infondere speranza al suo popolo esiliato in Babilonia. La Missione Cattolica Italiana di Londra, così come tutte le altre realtà ecclesiali e non, in questo tempo hanno subito un grande contraccolpo e tanti un po’ per l’età, un po’ per paura, un po’ perché confusi o altri perché si trovavano già da prima in uno stato di tiepidezza spirituale, hanno abbandonato la Chiesa e la frequenza alla celebrazione della Santa Messa domenicale. Nonostante le Chiese siano oggi tra i posti più sicuri rispetto alle procedure di sicurezza per combattere il Covid-19, la frequenza dopo il primo lockdown primaverile è calata ai minimi storici. Nella maggior parte delle Parrocchie, almeno di un terzo. Alla Missione Italiana la ripresa della celebrazione delle Sante messe, nonostante le limitazioni circa il numero dei partecipanti, presentava numeri incoraggianti. Non solo numeri. E’ come se il Coronavirus avesse deciso di fare una selezione simile a quella raccontata da Gesù nel Vangelo tra pecore e capri. Era evidente che le persone che stavano partecipando alla santa Messa fossero persone altamente motivate dalla fede e ardentemente desiderose dell' Eucaristia. Ora il nuovo lockdown voluto dal Governo di Boris Johnson sino al due di dicembre ha imposto anche la chiusura delle chiese. Un altro contraccolpo a quanto di più essenziale nella vita della Chiesa: la vita comunitaria. Per compensare la mancanza di interazione e di presenza fisica, come tanti ci siamo dovuti organizzare diversamente, avvalendoci degli strumenti a disposizione. La santa messa viene trasmessa ogni domenica alle ore 10 (11 italiane) da una delle comunità su una delle piattaforme usata dalle parrocchie della Gran Bretagna: https://www.churchservices.tv/enfield . Durante il primo lockdown ho attrezzato un piccolo studio di registrazione e tramite Whatsapp ho inviato a circa un migliaio di persone l’audio delle letture del giorno e una breve riflessione. In questo secondo lockdown, con l’aiuto dei catechisti abbiamo ripreso la catechesi per i bambini in video conferenza sulla piattaforma Zoom. Ogni venerdì tengo un video-incontro di lectio divina nella quale si leggono, spiegano e attualizzano le letture della domenica successiva e al quale partecipa un nutrito gruppo di membri della comunità oltre a persone anche dall’Italia. Tanto del mio tempo come missionario è trascorso a celebrare i funerali nelle diverse comunità che distano tra loro anche venti chilometri. Tramite video conferenza, grazie alla collaborazione dei volontari, abbiamo animato la comunità organizzando degli incontri formativi. Grazie alla buona volontà di alcuni dei nostri volontari stiamo avviando sessioni di ginnastica per anziani, quiz e delle piazze virtuali in cui incontrarci. Ho la certezza che questo tempo di grande prova e sofferenza per tutti continuerà ad essere tempo di grazia in cui il Signore non farà mancare la sua Provvidenza per permetterci di continuare il nostro cammino di vita con più entusiasmo di prima. (don Antonio Serra)      

Covid19: il racconto di suor Giuliana Bosini

10 Novembre 2020 - Francoforte - All’inizio di marzo è morto un mio cugino sacerdote per il Corona-virus. Ogni giorno poi chiamavo mio fratello Marco a Piacenza, anche lui malato per sapere come stava. Il 21 marzo si è fatto ricoverare perché la sua situazione respiratoria era peggiorata. A quel punto anche mia cognata era positiva. Entrambi si occupavano di mia mamma. Intanto i giorni passavano e in Germania eravamo nel blocco delle attività con le chiese chiuse. Ho detto alle mie consorelle “se va in ospedale anche mia cognata, la mia mamma a novant’anni rimane sola. Devo fare qualcosa, devo uscire da qui”. L’unico modo per arrivare da mia madre a Piacenza era prendere l’auto. Il 25 marzo dopo aver parlato con tutti, sacerdoti, superiori, comunità eccetera sono partita. Sono arrivata senza problemi alle frontiere ma a casa mi sono subito accorta che mia mamma non stava bene. Io mi sono messa in quella parte della casa con mia mamma un po’ più riservata e isolata. Abbiamo provveduto alla cura di mia cognata che aveva febbre e tanta tosse. I miei nipoti dicevano “zia, sei l’unica che può guidare la macchina per favore vai a fare la spesa”. E un giorno a far spesa, un giorno dal medico, un giorno in farmacia, le situazioni erano varie e mi prendevo cura un po’ di tutto questo. Il 31 marzo ho cominciato ad avvertire febbre e lì ho capito che potevo essere positiva anch’io e da quel giorno non solo più uscita di casa. Il 2 aprile la mia mamma venne ricoverata in geriatria a Piacenza, era positiva e cominciava ad aggravarsi. Intanto io a casa andavo avanti con Tachipirina e antibiotici, i medici ci curavano per telefono finché la situazione si è aggravata ed è venuta la dottoressa Rapacioli e un collega che mi hanno subito fatto una lastra al torace e hanno detto “Ha la polmonite, sorella, dobbiamo passare all’antivirale”. Mi hanno dato sette pastiglie rosa antivirali, grandi come confetti e mi sono detta “beh, sono sette, passerà presto” ma il terzo giorno non respiravo più, mi hanno ricoverata. In una giornata il mio polmone è peggiorato, dal 40% è sceso all’20% di attività, quindi il mio lettino è passato dalla medicina d’urgenza alla rianimazione, era il 10 aprile, Venerdì santo. Mentre mi trasportavano in rianimazione vedevo dalle vetrate la Cupola della Basilica di Santa Maria di Campania e ho detto “Maria, va avanti tu”, non sapevo in che condizioni fossi, che cosa mi stavano facendo. Il virus lavora sul polmone in modo devastante e molto velocemente. Arrivata in rianimazione la dottoressa Savi mi guardò e disse: “Lei non ha alternative che essere intubata. Si tolga gli anelli e si prepari, in tre minuti deve essere intubata”. Ed è stata una seconda consegna, la prima l’ho fatta alla Madonna e la seconda l’ho fatta a questa dottoressa che è stata molto autorevole e precisa. Ed era il pomeriggio del venerdì santo. Mi hanno messo in coma farmacologico per nove giorni, poi hanno cominciato a ridurre la somministrazione del farmaco per il risveglio. E quella mattina aprendo gli occhi vedevo sulla parete di fronte al mio letto l’immagine di una madonnina e dicevo “Maria, come andiamo a finire qua? Non ho la forza di battere ciglio”. Dopo tutti questi giorni non sapevo dove mi trovavo, vedevo solo questa madonnina e dialogavo con lei e con Gesù. Ho dato la vita a Gesù e non la voglio ritirare – “Gesù, la vita è tua e me la stai prendendo”. Mi sembrava davvero che la mia vita fosse un gradino in discesa. Poi proseguendo nella preghiera e nella riflessione guardavo la madonnina “Maria, solo tu puoi andare avanti, solo tu mi puoi salvare da queste acque, troppo grave è la mia situazione”. Mi venne in mente un’immagine che una famiglia mi mostrò tornando dalla Terrasanta, quella della piscina di Betzaeta, vedendo quella foto, allora, scoppiai a piangere. La famiglia mi regalò la foto che mi ricordava l’episodio del Vangelo dove chiede al paralitico “Vuoi guarire?”. Cominciavo a essere consapevole che la grazia della guarigione che avvenne a quell’uomo vicino alla piscina di Siloe in quel momento poteva avvenire anche per me, in quel momento ero io la paralitica. “Gesù, ascolta, chi mi può salvare, chi mi può immergere in questa acqua di guarigione?”. Ho sentito che Maria avrebbe interceduto! Così ho promesso che se fossi guarita sarei andata a Loreto a piedi per ringraziare. Immediatamente nella mia mente è risuonato questo versetto biblico: “e sulle alture mi fa camminare” (Ab 3, 16). Ho capito di avercela fatta, di aver ricevuto la grazia della guarigione. Verso le otto di sera sento la voce di un’infermiera che dice “Suor Giuliana, sono l’infermiera incaricata del risveglio, mi sente?”. La sentivo ma non capivo dov’ero. “Si ricorda che è stata intubata, che è in rianimazione, si ricorda?”. Cominciavo a ricordare. “Ha male?” mi chiedeva. Avevo male ma non potevo parlare, mi toccava le mani per chiedere un segno convenzionale e capìi che mi facevano male i lacci che tenevano le braccia legate alle spranghe del letto. Tutti i ricoverati in rianimazione venivano legati al letto per evitare che si strappassero i tubi. L’infermiera allora disse “slegatela”. Su quel lettino, ero il numero nove della rianimazione, avevo davanti al mio letto, grandissimo l’orologio, e vedevo scattare minuto per minuto senza capire se era notte o giorno perché avevamo sempre una luce artificiale, essendo un reparto sotterraneo, e cercando di capire dal saluto che davano gli infermieri se eravamo di mattina presto, di pomeriggio; avendo dormito tanto al risveglio sono stata con gli occhi sbarrati per giorni e giorni e questo mi ha aiutata a considerare tante cose, il valore del tempo, il valore delle relazioni, a considerare il valore della preghiera e la certezza che molte persone pregavano per me, molti amici laici. Era come se un po’ in giro per il mondo ci fossero delle forze che si univano per sganciare me da quella situazione di immobilità. Ne ero così certa che mi sembrava di sentire la loro presenza lì. In particolare una signora di Napoli, Rosaria che abita vicino a Pompei, non so perché, mi sembrava che la sua mano fosse veramente stretta alla mia destra. Riportata in medicina d’urgenza dove era rimasta tutta la mia roba ho fatto delle telefonate. La prima con la superiora di Piacenza che mi disse “Eravamo in ottocentosettanta su facebook alle tre e mezza ogni giorno unite nella preghiera per chiedere la tua guarigione”. C’erano le amiche di Padova, di Piacenza, le persone della Germania, le mie suore del Brasile, degli Stati Uniti e dell’India, appena incontrate a Roma per il Capitolo generale, sapevo che la preghiera di tutte loro era in quel momento una forza per me. Questa cosa è rimasta nel mio cuore. In tante situazioni non è la nostra forza che ci innalza che ci fa fare, che ci fa essere; è veramente la grazia della preghiera e io l’ho sentita tanto. Dopo quella telefonata mi arrivò la telefonata di Rosaria di Pompei – “Suor Giuliana, ma tu hai sentito la mia mano?” – “Rosaria, non mi dire così” – “Ma hai sentito la mia mano? Io ti ho voluta stringere forte per dirti che non ti lascio un istante”. Il 21 aprile mi fanno uscire dalla rianimazione e spunta la dottoressa che mi ha intubato e mi disse “Si ricordi che Lei è un ottimo risultato per noi, risultato non scontato. Preghi per noi” Mentre io uscivo dal pericolo la mia mamma moriva nell’altro ospedale. Il 25 aprile mi hanno detto che ero fuori pericolo. Il 27 io e il mio compagno di camera, Giuseppe, un vigile urbano, che anche lui ha perso la mamma mentre era in coma, siamo stati portati all’ospedale di Castel San Giovanni, dove il giorno prima era morta la mia mamma. E non ci siamo viste. Non dovevo buttare via niente di questo dolore e del dolore di tanti altri, dovevo trasformare questo dolore in una nuova forma di evangelizzazione e così pensando durante il rientro in Germania in auto, che mi è costato fatica guidare otto ore. Ho chiesto a Gesù di farmi capire quale diversità dovevo porre nel mio ritornare in guarigione, cosa si attendeva da me, quale nuovo slancio. Non lo so ma mi sembra di percepire a distanza di riqualificare la parola di Dio che salva che rigenera. Passando in mezzo a queste prove ti accorgi che tutto non è come prima, la vita la si dona, ma in un batter d’occhio può volar via e la vita vale molto. Mi sembrava di voler cancellare ogni forma di frettolosità e di porre al centro la persona perché la persona è un tesoro così alto, così straordinario, dato da Dio, fatta a sua immagine. In assoluto la persona al primo posto, questo è ciò che mi è rimasto, cercare un equilibrio fra le richieste della missione e la qualità dell’annuncio che voglio dare che sento di dover dare alla nostra gente. (Corriere d'Italia)  

Germania: le Nuove restrizioni nella vita sociale e pubblica per tutto il mese di novembre

10 Novembre 2020 - Francoforte - "Non sarà un mese facile, per nessuno di noi, e poi è novembre, un mese triste, la poca luce predispone alla malinconia". "Dovremo stare più in casa e allora armiamoci di pazienza, ascoltiamo musica, leggiamo un buon libro, meditiamo, preghiamo, guardiamo un buon film, riscopriamo i giochi di società in famiglia, manteniamo i contatti con amici e parenti, soprattutto con quelli più soli, facciamo passeggiate con un amico, un’amica, cuciniamo. Ordiniamo qualche volta da mangiare al nostro ristorante preferito per ricordar loro che li sosteniamo come possiamo. Siamo tutti chiamati ad avere responsabilità collettiva, solidarietà, fiducia e tenacia". Così scrive il mensile delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia, "Corriere d'Italia" commentando il lockdown in vigore, fino alla fine del mese in Germania”. Le misure anti coronavirus, annunciate il 28 ottobre dalla Cancelliera Merkel in concerto con i ministri presidenti dei Bundesländer e che varranno per tutto il mese di novembre, servono a evitare il diffondersi incontrollato del virus che aveva visto un andamento esponenziale dei contagiati. L'andamento dell’epidemia era già allarmante dall’inizio di ottobre e le misure restrittive entrate in vigore il 2 novembre sono "un tentativo di evitare il collasso degli ospedali", scrive il giornale.

R.I.

Migrantes: gli italiani residenti fuori dei confini nazionali e il covid

27 Ottobre 2020 - Roma - Il Rapporto Italiani nel Mondo 2020 ha scelto di non parlare della pandemia. “Non avevamo dati certi e noi studiosi per primi eravamo e siamo coinvolti in questo momento storico delicato e inaspettato, complesso. Abbiamo bisogno di tempo per sedimentare i dati e fare le giuste considerazioni e interpretazioni”, si legge in una nota. Ad oggi – dice la curatrice del RIM della Fondazione Migrantes Delfina Licata – “abbiamo un parco dati qualitativo che ci deriva dalla rete dei missionari all’estero e dagli uffici Migrantes presenti in ogni diocesi così come i diversi reportage che abbiamo visto in televisione o letto sulla carta stampata. Ci parlano di tanti rientri, di molti che hanno perso il lavoro, di famiglie doppiamente spezzate perché, già in difficoltà, hanno subito il rientro di figli che hanno perso il lavoro. Molti sono ripartiti o ripartiranno, soprattutto coloro che erano occupati in professioni meno qualificate e che sono nuovamente alla ricerca di lavori generici”. Dal 2006 al 2018, infatti, si è assistito alla crescita in formazione e scolarizzazione della popolazione italiana. Se però rispetto al 2006 la percentuale di chi si è spostato all’estero con titolo di studio alto, laurea o dottorato è il 193% per chi lo ha fatto con in tasca un diploma la percentuale sale al 292%. A crescere è quindi la componente dei diplomati alla ricerca all’estero di lavori generici all’interno delle partenze che, per il 41% nell’ultimo anno, hanno riguardato la classe di età 18-34 anni. Altri sono riusciti a organizzarsi lavorando da remoto, telelavoro e smart working dall’Italia. Tanti giovani e giovani adulti italiani che erano all’estero o fuori regione e che sono rientrati a seguito dell’emergenza sanitaria mondiale e hanno “avuto la fortuna di mantenere il loro lavoro a distanza lo fanno attualmente dai territori di origine”. Quando nel Rapporto Italiani nel Mondo si parla di prossimità nonostante la distanza, di vivere il territorio abitando il mondo, questo “a distanza” riguarda “sia chi dall’estero guarda, lavora, partecipa alle cose dell’Italia e sia chi, in questo momento, a seguito della pandemia dall’Italia e dai propri territori guarda l’estero, lavora per l’estero. Gli italiani residenti fuori dei confini nazionali sono vicini, attivi e partecipi e condividono obiettivi per il ben-essere comune”.  

CCEE: a Praga, dal 25 al 27 settembre 2020, l’Assemblea Plenaria

7 Settembre 2020 - Praga - L’annuale Assemblea Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa si terrà a Praga, nella Repubblica Ceca, dal 25 al 27 settembre 2020. Considerate le attuali disposizioni sanitarie e le difficoltà di spostamento da alcuni Paesi, a causa della pandemia da Covid-19, i Presidenti delle Conferenze Episcopali nazionali che non potranno raggiungere Praga, parteciperanno ai lavori in videoconferenza, spiega una nota. Il tema scelto per questa Plenaria è: “La Chiesa in Europa dopo la pandemia. Prospettive per il creato e per le comunità”.  A partire dall’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, nel quinto anniversario della sua pubblicazione, e alla luce di quanto sta accadendo nel mondo intero a causa del Covid-19, i vescovi europei si incontrano per "riflettere sui cambiamenti e sulle ripercussioni che la pandemia sta provocando". I lavori della Plenaria si soffermeranno su quali sono le conseguenze religiose, pastorali ed ecologiche dopo il Coronavirus e, a partire da questi tre aspetti, ogni Presidente illustrerà la situazione della propria Conferenza Episcopale.  Nel confronto comune, poi, sarà dato risalto a cosa "stiamo imparando dalla pandemia e che cosa significa tutto questo per la cura del Creato". (R.I.)  

Migrantes e Caritas Palermo: “di fronte alla malattia siamo tutti uguali“

24 Agosto 2020 - Palermo - La Caritas e l’Ufficio Migrantes della diocesi di Palermo esprimono “forte preoccupazione” e “fermo dissenso” nei confronti dell’Ordinanza n. 33 del 22 agosto 2020 emanata dal Presidente della Regione Sicilia. Ciò che preoccupa nel testo del provvedimento, e nelle dichiarazioni rese alla stampa per presentarlo, è – si legge in una nota dei due uffici - “l’argomentazione solo in apparenza logica ma in realtà deficitaria sul piano razionale, nonché su quello umano ed evangelico”. L’Ordinanza parte “in verità da una costatazione del tutto condivisibile, mettendo in luce l’enorme disagio in cui versano oggi sia la popolazione siciliana, sia i migranti affluiti sulle nostre coste in questi mesi estivi. I motivi: penuria di strutture idonee all’accoglienza, assenza di servizi adeguati, mancata redistribuzione in ottemperanza agli accordi europei, deresponsabilizzazione degli altri Stati membri della CEE, fughe da hotspot e centri sovraffollati”, si legge nella nota: “ma già a questo livello la lettura del fenomeno si rivela fuorviante. Il disagio, il dolore, la fatica vengono giustamente attribuiti agli abitanti delle nostre isole senza prendere però in considerazione anche lo stato e il destino di migliaia di donne, di bambini e di uomini in fuga dalla fame e dalle guerre, che concludono in Sicilia, in maniera indegna, un lungo esodo in cerca di libertà e di vita buona. Come ha fatto notare a più riprese Papa Francesco, se dividiamo l’umanità in persone di serie A e di serie B, se non ci facciamo carico del dolore di tutti, siamo destinati al fallimento umano e politico”. Infatti, la conseguenza logica di questa situazione – secondo la Caritas e la Migrantes di Palermo - dovrebbe essere “una serie di atti amministrativi e legislativi volti a coniugare sicurezza e solidarietà, a tutelare i Siciliani e ad accogliere in maniera dignitosa i più poveri della terra. L’Ordinanza invece sceglie la via dell’ennesima negazione del diritto umano alla mobilità, la via mistificante di una nuova cosciente discriminazione. Tutti ricordano come la Regione Sicilia aveva nei mesi scorsi, per bocca dello stesso Presidente – si legge nella nota - prefigurato misure di controllo severissime per i turisti orientati a trascorrere le loro ferie in Sicilia (trovandosi tra costoro, anche persone provenienti da paesi ad alta diffusione primaria del covid). Di quel che fu preannunziato a maggio finora non si è visto nulla, né si sono messi in atto protocolli di sicurezza volti ad evitare assembramenti o altre forme di pericolosa promiscuità. Ma se coloro che provengono dai paesi del Nord del mondo, interessati fortemente dal coronavirus, possono muoversi ed entrare liberamente in Sicilia, perché i migranti no? Al contrario, quanti provengono dai paesi del Sud del mondo, quanti sono sottoposti giornalmente allo sfruttamento dell’Occidente, quanti hanno ‘ricevuto’ il covid dal Nord del pianeta, come una ennesima piaga, costoro no, non possono muoversi liberamente: rappresentano un pericolo sanitario. I poveri sono dunque pericolosi, devono essere discriminati, mentre proprio il covid ci ha insegnato che di fronte alla malattia siamo tutti uguali, che il virus non distingue i ricchi dai poveri, e si diffonde tra gli uni e tra gli altri, a causa degli uni e a causa degli altri, senza differenze di sorta”. La nota riporta, poi, le parole dell’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice durante il discorso alla Città del Festino di S. Rosalia il 14 luglio scorso:  “Se il virus non ci ha insegnato che il destino del mondo è uno solo, che ci salveremo o periremo assieme; se la pandemia ci ha resi ancora più pavidi e calcolatori, facendoci credere di poter salvare il nostro posto al sole, siamo degli illusi, dei poveri disperati. Basta con gli stratagemmi internazionali, con i respingimenti, basta con le leggi omicide”. Con l’Ordinanza del Presidente Musumeci si trasmette, a parere dei due uffici diocesani  un messaggio “intimamente sbagliato e antropologicamente pericoloso. Intimamente sbagliato, perché si attribuisce ai migranti la responsabilità di una diffusione del contagio che casomai è da attribuire alla mancanza di protocolli e di misure adeguate a tutelare i cittadini dell’isola e chiunque venga in Sicilia dall’Italia e dall’estero. Antropologicamente pericoloso, perché equipara i poveri agli untori e divide ancora una volta l’umanità in due, inconsapevolmente preparando e non evitando la catastrofe planetaria che verrà da un mondo disunito e disumano. È incredibile – dopo anni di studi e di ricerche sull’invenzione del capro espiatorio quale forma di perversione sociale – come vengano ancor oggi propinate teorie di questo tipo, utili forse demagogicamente sul piano del consenso politico spicciolo ma umanamente ed evangelicamente inaccettabili”. “Il Signore – ha affermato ieri papa Francesco all’Angelus – ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza. Sono stati vittime della cultura dello scarto”. “Solo l’abbraccio tra tutti gli uomini e l’abbraccio dell’umanità alla madre Terra potrà darci futuro e speranza”, conclude la nota.

Card. Bassetti:“la Chiesa durante la pandemia: il valore della vita”

5 Agosto 2020 -

Perugia - «Da un po’ di tempo, ha preso forma un dibattito pubblico che si interroga sul mondo “dopo” la pandemia: un mondo diverso da quello attuale (forse) in cui bisognerà ripensare sé stessi e il sistema di relazioni interpersonali. Tutto giusto ed encomiabile. A me sembra, però, che questa pandemia, così improvvisa e sconvolgente, ci interroga soprattutto sull’oggi. Un oggi che non può fare a meno, si badi bene, del suo recente passato, e che ci fornisce almeno quattro spunti di riflessione sugli effetti prodotti da questo “nemico invisibile”».  Così esordisce nel suo ultimo scritto-riflessione il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, pubblicato dal settimanale cattolico «La Voce» nel numero in edicola venerdì 7 agosto e scaricabile dal sito: www.lavoce.it.

«Innanzitutto, il covid-19 ha messo bene in luce chi sono gli ultimi della nostra società – sottolinea il cardinale –, i più fragili, i più indifesi e, in poche parole, coloro che hanno maggior bisogno di protezione e tutela: ovvero, gli anziani. Essi non possono essere considerati soltanto come una “categoria protetta” e, men che meno, come un “costo” oneroso per le istituzioni pubbliche. Al contrario, gli anziani rappresentano, con la loro sapienza di vita, la chiave di volta della nostra architettura sociale, il collante tra le diverse generazioni e una fonte di ricchezza inesauribile a cui i giovani possono e debbono attingere».

«In secondo luogo – prosegue Bassetti –, la pandemia ha rimesso al primo posto alcuni temi che l’uomo moderno cerca costantemente di rimuovere: la morte, la sofferenza e la fragilità. Gli esseri umani sono da sempre alla ricerca di un nuovo Prometeo che li liberi dalle catene della loro caducità. Una ricerca vana. Le ideologie politiche degli ultimi secoli non hanno reso l’uomo più libero e felice. Soprattutto non l’hanno reso immortale. Da alcuni decenni, poi, le fedi politiche sono state sostituite da una fiducia, spesso acritica, nei confronti del progresso tecnologico. Oggi, però, il coronavirus ha rimesso in discussione anche la speranza di una redenzione umana attraverso la scienza».

«In terzo luogo, questa difficile situazione sanitaria ha posto al centro del discorso pubblico una riflessione seria e autorevole sulla libertà di pensiero – evidenzia il presidente della Cei –. Che non significa, è doveroso sottolinearlo, esprimere a piacimento tutto quello che passa per la testa senza preoccuparsi di verificare la fondatezza delle proprie dichiarazioni e soprattutto senza assumersi la responsabilità di quello che si afferma. Bene ha fatto, dunque, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a dire che “non possiamo e non dobbiamo dimenticare” i morti di questa pandemia e soprattutto che è necessario evitare “di confondere la libertà con il diritto di far ammalare altri”. È questo il tempo della responsabilità e della serietà, lasciando da parte, per il bene di tutti, fake news, negazionismi e “cattiva informazione”».

«Infine, l’ultimo elemento di riflessione riguarda la riorganizzazione della vita comune. È necessario farlo oggi in vista del domani. I dati della crisi economica che leggo su tutti i giornali sono spaventosi. Le saracinesche ancora chiuse che vedo in alcuni negozi mi lasciano amarezza e inquietudine. Perché dietro quelle saracinesche ci sono uomini, donne e famiglie. Occorre ritornare a vivere con prudenza e cautela, ma occorre ripartire».

«Con il cuore ferito dalla prova, anche la Chiesa italiana – annuncia il presidente dei Vescovi – si prepara ad iniziare il nuovo anno pastorale e ha preparato un documento che sarà inviato a tutte le diocesi. Un documento di speranza e non certo di pratiche burocratiche da espletare nelle Chiese. Durante il periodo di lockdown con grande senso di responsabilità, misto a sofferenza, abbiamo accolto le disposizioni governative. Oggi siamo chiamati ad andare oltre. Il tempo presente ci chiede, infatti, di non restringere gli orizzonti del nostro discernimento e del nostro impegno soltanto ai protocolli o alla ricerca di soluzioni immediate».

«Siamo  all’interno di un grande cambiamento d’epoca – conclude il cardinale Bassetti – che richiede un rinnovato incontro con il Vangelo e un nuovo annuncio del Kerygma: un incontro e un annuncio per promuovere e difendere ovunque il valore della vita».

 

Migrantes Calabria: “non ammaliamoci di cattiveria e sguardo negativo verso i fratelli”

23 Luglio 2020 -   Cosenza - “Quella che stiamo vivendo in questa fase dell’emergenza sanitaria è una situazione particolare, che ha al centro dell’attenzione soprattutto gli asintomatici” che “non ha colore dela pelle. Dobiamo uscire da qualsiasi marchiatura. Il Covid 19 ci ha rivelato che siamo tutti fragili”. Lo dice Pino Fabiano, direttore Migrantes della Calabria in una intervista al settimanale della diocesi di Cosenza-Bisignano “Parola di Vita” dopo i receti casi di contagio avvenuti tra gli stranieri residenti sul territorio in particolare la comunità senegalese. Una comunità – aggiunge Fabiano – “inserita nel territorio, dove vivono famiglie, lavoratori e nuclei sociali”. Diverse, infatti, le famiglie di origine senegalese che vivono a Cosenza e in provincia e che sono perfettamente integrate nei quartieri. “La comunità si è da subito attivata per la tracciatura dei contagi, ma soprattutto quel che mi preme sottolineare è che si lavora in- sieme evitando stigmi”, aggiunge Fabaino: “il clima da untore è brutto e il corona- virus non fa distinzioni”. E in mwrito alle proteste il direttore Migrantes evidenzia che Cosenza “dimostra un doppio volto da un lato quello della solidarietà e vicinanza, e dall’altro c’è chi continua a fare fuoco. Speriamo che non ci ammaliamo di cattiveria e sguardo negativo verso i fratelli”.  

Il profumo di pane…

14 Luglio 2020 - Roma - “A giudicare dalle anticipazioni, se saremo tra i vivi la ripartenza sarà graduale e complessa. Dovremo abituarci a convivere ancora con le mascherine, ci misureremo spesso la temperatura, una app traccerà il livello e la geografia del contagio. Sarà una normalità diversa da quella di prima. Difficile dire se e quanto ci abitueremo. Molto dipende da come stiamo vivendo questo periodo, dallo stress accumulato, dal grado di umanità che abbiamo fatto emergere”. Siamo al 16 aprile, a metà del “tempo sospeso” del lockdown imposto dall’epidemia da Covid 19. Da qualche mese il periodo di confinamento è terminato anche se il contagio continua e l’invito è sempre quello dell’essere attenti. Un tempo, quello del lockdown che il giornalista di “Avvenire”, Riccardo Maccioni, ha voluto raccontare, giorno per giorno in “Dalla strada arriva profumo di pane” edito da Ares. In quel 16 aprile Maccioni si fa una domanda che rimane ancora attuale: “quanta libertà siamo disposti a barattare in cambio della sicurezza, a quale livello massimo crediamo possa arrivare il controllo della nostra autonomia”. E la speranza che “l’adattamento cui siamo stati costretti dall’emergenza diventi scuola per la ritrovata quotidianità. Forse - scrive -  un patto con noi stessi però possiamo farlo, possiamo decidere su cosa tenere gli occhi aperti per evitare di doverli chiudere domani davanti agli effetti del nostro disinteresse”. Dopo averci, ogni giorno consegnato “pillole” di saggezza,  racconti - dalla sua finestra di casa, al mattino presto -   emozioni e affidato le sue riflessioni, sempre di speranza, il “Diario” di Maccioni si conclude il 5 maggio quando scrive: “Ora che le nostre città sono ripartite, possiamo con più libertà guardare indietro. Dentro l’isolamento forzato del ‘tutti in casa’, per vedere se le cose che ci sono mancate, alla prova della realtà erano davvero così importanti”. Una lettura che non può mancare alla riscoperta di qualcosa di nuovo e di bello da vivere di nuovo insieme dopo questo tempo “sospeso” e le tante domande …

Raffaele Iaria

     

Mediterranea: nessuno si salva da solo, dalla morte in mare così come dalla pandemia

2 Luglio 2020 - Roma - “Siamo stati informati dalle autorità sanitarie che 8 dei 43 tamponi laringofaringei effettuati ieri pomeriggio sulle persone sbarcate ad Augusta dalla Mare Jonio sono risultati positivi al Covid-19”. Lo scrive oggi sul proprio sito Mediterranea Saving Humans sottolineando che la pandemia “non fa purtroppo distinzione e non conosce i confini e si è evidentemente propagata anche nel continente africano ed in Libia in modo massiccio. Questo impone – spigaa la nota pubblicata sul sito - un intervento umanitario di soccorso che preveda l’evacuazione dai campi di prigionia libici dove le condizioni igenico-sanitari disastrose rischiano di trasformare quei luoghi in un focolaio senza precedenti”. Mediterranea ribadisce che “far morire le persone in mare non può essere un metodo di prevenzione e contenimento del virus”. “È un discorso inaccettabile. E anche quando i profughi miracolosamente riescono ad arrivare fino alla terraferma in autonomia la sicurezza sanitaria è comunque meno garantita rispetto a quanto le nostre navi riescono a fare”. Le persone che “abbiamo salvato sono in quarantena e non rappresentano un rischio per la popolazione siciliana”, spiega l’ong ribadisce che “le procedure adottate da Mare Jonio sono le più avanzate per il contenimento del Covid-19, procedure che permettono di identificare i positivi immediatamente senza rischi di propagazione dell’epidemia”. L’equipaggio di Mare Jonio è adesso “all’ancora nel porto di Augusta, già in quarantena”. “L’equipaggio si atterrà scrupolosamente a tutte le misure che le autorità sanitarie riterranno opportune”.