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Fondazione Migrantes-Transiti: la condizione psicologica degli expat italiani nel 2018: come, questa comunità, viveva la complessità della distanza?

31 Marzo 2022 - Roma - Prima del Covid-19 si evidenziavano due differenti “strategie d’espatrio”. La prima, decisamente maggioritaria tra i soggetti intervistati, vedeva l’espatrio come una scelta personale derivata dal desiderio di coltivare un proprio progetto di vita. Questa scelta risultava orientata da due motivazioni principali. La prima riguarda il desiderio di esercitare la professione desiderata, ritenendo l’Italia un contesto poco vantaggioso rispetto al paese ospitante per esaudire tale aspettativa. Guardando all’estero, si intravedeva la possibilità di ricevere un reddito più alto rispetto a quello presunto nel paese di origine.

Il secondo gruppo di soggetti dichiarava di essere emigrato per una proposta lavorativa ricevuta da terzi. Il ruolo “passivo” ricoperto dalla scelta della destinazione è un aspetto importante, come evidenziano i risultati dello studio che esporremo in maggior dettaglio in un secondo momento.

In questo senso, le maggiori cause di sofferenza emotiva sperimentata da coloro che sceglievano di partire inseguendo un proprio progetto, erano rappresentate dalla mancanza dei familiari e degli amici, dal senso di solitudine esperito in determinati momenti del proprio percorso d’espatrio e da tutta una serie di sintomi che venivano indicati come “uno stato di malessere generalizzato”. A cui però risultava difficile dare una forma e un nome precisi.

L’aggiunta di questa sensazione risultava essere la più importante causa di sofferenza nel gruppo di chi emigrava per una proposta lavorativa non cercata. La difficoltà a nominare e dare una forma al malessere si accompagnava ad un sentimento di insoddisfazione verso le relazioni sociali instaurate e da difficoltà di apprendimento della lingua del paese ospitante non commisurate al grado di difficoltà linguistica. Queste criticità risultavano maggiori rispetto a quelle dichiarate da chi sceglieva la propria traiettoria migratoria.

Di che cosa parlano gli italiani all’estero. Il nostro team di ricerca si è impegnato a indagare se queste tematiche di condizione psicologica fossero in qualche modo condivise e socializzate nelle conversazioni con altri expat nel medesimo contesto. E alla domanda “Di che cosa parlano gli italiani all’estero quando sono con altri italiani?”, la risposta non poteva essere più scontata… ovviamente, di cibo!

Ebbene sì, come da tradizione e stereotipo il tema del cibo è stato indicato come l’argomento principale in entrambi i gruppi. Un dato, questo, che fa riflettere su come il cibo sia uno strumento dotato di tantissimi significati culturali, sociali, nonché psicologici, che spesso vanno oltre la mera soddisfazione dei bisogni primari.

Altri importanti e ricorrenti argomenti di conversazione risultavano essere la famiglia, la cultura d’origine e, più in generale, l’Italia. Tutte queste tematiche riguardano le varie sfere dell’identità e toccano la condizione psicologica.

Il secondo gruppo (gli expat per proposta lavorativa ricevuta) si differenziava dal primo per il tema della difficoltà di apprendimento della lingua. I ricercatori  ipotizzano che questo dato derivi dal fatto che chi emigra aderendo ad una proposta lavorativa esterna difficilmente sceglie la propria destinazione. Di conseguenza, è plausibile che abbia una differente preparazione linguistica e culturale relativa al contesto d’arrivo rispetto a coloro che espatriano per un progetto personale. Questi ultimi soggetti potrebbero probabilmente essere maggiormente motivati a studiare la nuova lingua e ad apprendere e comprendere alcuni aspetti chiave del contesto culturale che incontreranno una volta partiti.

Per quanto riguarda le aspettative delle persone che hanno scelto di partecipare a questa indagine si può dire che, seguendo i risultati presentati, siano state ampiamente attese.

Nella maggior parte dei casi, chi si aspettava di trovare un lavoro migliore rispetto a quello che aveva prima del trasferimento lo ha effettivamente trovato. Chi credeva che la partenza avrebbe migliorato la propria condizione economica, non ha avuto delusioni. Anzi, alcuni expat che da questo punto di vista avevano delle basse aspettative, si sono poi ricreduti.

Un discorso a parte va fatto per le aspettative nei confronti del sistema sanitario. Sembrerebbe che gli expat interpellati avessero diverse difficoltà ad interagire con questo aspetto della nuova vita e che in qualche modo rivalutassero i servizi di sanità pubblica offerti dal proprio contesto d’appartenenza.

Il profilo di expat che ricercatrici e ricercatori hanno elaborato alla luce dei risultati estratti da questa indagine sembra parlarci in maniera chiara rispetto ad alcuni punti di vista.

Come la dott.ssa Di Girolamo, autrice della ricerca,  afferma: “Sembra che gli expat intervistati prima del Covid-19 avessero in qualche modo deciso di incontrare la propria identità personale in un contesto altro da quello d’origine. Nel fare ciò, sembravano aver sacrificato, in varia misura, l’incontro con gli aspetti culturali e contestuali della propria identità. Una frase di una ragazza da noi intervistata era particolarmente eloquente. Parlando della sua esperienza di post-doc all’estero, si è rivolta a noi con una riflessione personale: ‘Ho paura che alla fine della giostra non valga la pena aver scelto di sacrificare le mie persone più care per stare qui da sola a lavorare’.”

È interessante come questa affermazione, anche se apparentemente incentrata su una valutazione negativa dell’esperienza di espatrio, in realtà ponesse l’accento non tanto sul tema del fallimento del progetto, quanto sulla paura e sull’indeterminatezza di questa condizione psicologica.

Quel “Ho paura che” ci parla, più che di una sconfitta, di un’indeterminatezza che spesso può rivelarsi positiva, come nei casi di miglioramento della propria condizione lavorativa e remunerativa, ma che comunque chiede in cambio una ristrutturazione dell’identità personale funzionale alla vita nel nuovo contesto.

Questo comporta delle sfide e delle rinunce sul piano dell’identità che spesso veicolano un senso temporaneo di “assenza”, una paura di svanire insieme alle relazioni importanti che abbiamo lasciato indietro. Una nostalgia del passato, del presente e la paura di un futuro indeterminato. Indeterminato come il malessere che molti dichiarano di provare in contesti d’espatrio e che accompagna molto spesso le traiettorie migranti.

Si tratta, tuttavia, di un passo importante. La sua risoluzione gioca un ruolo chiave nella ridefinizione di se stessi come expat ed è in qualche modo necessaria per appropriarsi di un nuovo futuro. (Anna Pisterzi)

    Questo articolo anche nella sezione Articoli del sito di Transiti - Psicologia d’espatrio.  

Cei: no Green pass per le celebrazioni liturgiche ma raccomandata la mascherina FFP2

12 Gennaio 2022 - Roma - Per le celebrazioni liturgiche "non è richiesto il Green Pass, ma si continua a osservare quanto previsto dal Protocollo Cei-Governo del 7 maggio 2020, integrato con le successive indicazioni del Comitato Tecnico-Scientifico: mascherine, distanziamento tra i banchi, niente scambio della pace con la stretta di mano, acquasantiere vuote". Lo scrive la Segreteria generale della Cei in una lettera ai vescovi italiani che richiama le norme introdotte dagli ultimi decreti legge legati all’emergenza Covid. In particolare, si legge nel testo, "occorre rispettare accuratamente quanto previsto, in particolar modo: siano tenute scrupolosamente le distanze prescritte; sia messo a disposizione il gel igienizzante; siano igienizzate tutte le superfici (panche, sedie, maniglie...) dopo ogni celebrazione. Circa le mascherine, il Protocollo non specifica la tipologia, se chirurgica o FFP2; certamente quest’ultima ha un elevato potere filtrante e viene raccomandata, come peraltro le autorità stanno ribadendo in questi giorni". Quanto al catechismo, "chi è sottoposto a 'sorveglianza con testing' non potrà partecipare" pur "risultando negativo al primo test, fino all’esito negativo del secondo test da effettuarsi cinque giorni dopo il primo. Per gli operatori (catechisti, animatori ed educatori...) è vivamente raccomandato l’utilizzo della mascherina FFP2". Anche ai partecipanti alla catechesi tale tipologia di mascherina sia raccomandata e "può essere opportuno che le parrocchie tengano alcune mascherine FFP2 di scorta da far utilizzare a chi ne fosse sprovvisto o l’abbia rotta, sporca o eccessivamente usurata". La Segreteria generale, dunque, consiglia l’utilizzo delle mascherine FFP2 "per tutte le attività organizzate da enti ecclesiastici". Infine, "il personale delle Facoltà Teologiche e degli Istituti di Scienze Religiose nonché i docenti dei corsi curriculari nei Seminari sono tenuti a possedere il Green Pass rafforzato a partire dal 1° febbraio 2022".

A maggio maratona di preghiera nei santuari

22 Aprile 2021 - Città del Vaticano - Papa Francesco ieri, al termine dell’udienza generale tenuta nella Biblioteca del Palazzo apostolico,  ha auspicato che «il tempo pasquale» favorisca in tutti «la rinascita nello Spirito Santo, per vivere una vita nuova, piena di amore e di entusiasmo». Un clima che verrà alimentato giorno per giorno durante il mese di maggio che, come indica una nota della Sala Stampa vaticana, «per vivo desiderio» del Papa «sarà dedicato a una maratona di preghiera sul tema “Da tutta la Chiesa saliva incessantemente la preghiera a Dio (At 12,5)”». L’iniziativa, prosegue il comunicato, «coinvolgerà in modo speciale tutti i santuari del mondo, perché si facciano promotori presso i fedeli, le famiglie e le comunità della recita del Rosario per invocare la fine della pandemia. Trenta santuari rappresentativi, sparsi in tutto il mondo, guideranno la preghiera mariana, che verrà trasmessa in diretta sui canali ufficiali della Santa Sede alle 18 di ogni giorno». Papa Francesco aprirà questa grande preghiera il 1° maggio e la concluderà il 31 maggio.

Amnesty: “odio online contro migranti e rifugiati”

14 Aprile 2021 - Roma - Anche in tempo di pandemia migranti e rifugiati sono il capro espiatorio prediletto dagli odiatori, a fianco di operatori sanitari, runner e di coloro che godono di presunti ed esclusivi benefici. E’ quanto emerge dalla ricerca di Amnesty International Italia “Il Barometro dell’odio”, giunta alla sua quarta edizione e dedicata quest’anno all’intolleranza pandemica, ossia l’analisi dell’impatto della pandemia da Covid-19 sui diritti economici, sociali e culturali e sull’odio online. La ricerca, svolta tra giugno e settembre 2020, ha preso in analisi oltre 36.000 contenuti unici, tra post/tweet e relativi commenti di 38 pagine/profili pubblici di politici, testate giornalistiche, rappresentanti del mondo sindacale (organizzazioni e singoli) ed enti legati al welfare. Dall’analisi è emerso che: i commenti sono nel 10,5% dei casi offensivi e/o discriminatori e l’1,2% di questi è hate speech (+0,5% rispetto alle scorse edizioni). Si offende di meno, si incita di più all’odio; l’odio online è più radicalizzato quando incrocia i temi legati ai diritti economici, sociali e culturali; i dati aumentano quando questo tipo di contenuti incrocia anche temi come “immigrazione” e “rom”. Le principali sfere dell’odio sono: nei post/tweet islamofobia (46%), sessismo (31,3%), antiziganismo (23,1%), antisemitismo (20,1%), razzismo (7,9%); nei commenti islamofobia (21%), razzismo (19,6%), antiziganismo (19%), antisemitismo (16,6%), omobitransfobia (14,5%). Andando oltre le prime cinque sfere dell’odio più diffuse tra i commenti, troviamo quella classista (11,2%)

Papa Francesco in Aula Paolo VI per assistere alla vaccinazione dei senza dimora

2 Aprile 2021 -

Città del Vaticano - Questa mattina, Venerdì Santo, poco prima delle 10.00, Papa Francesco si è recato in visita nell’atrio dell’Aula Paolo VI, mentre si svolgevano le vaccinazioni di alcune persone senza dimora o in difficoltà, accolte e accompagnate da alcune associazioni romane. Tra questi anche molti stranieri.  Il Papa - riferisce il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha salutato i medici e gli infermieri, ha seguito la procedura di preparazione delle dosi di vaccino e si è intrattenuto con le persone in attesa della vaccinazione. Ad oggi - aggiunge - sono state vaccinate con la prima dose circa 800 delle circa 1200 persone bisognose a cui sarà somministrato il vaccino questa settimana. (R.I.)

Papa Francesco dona vaccini gratuiti ai rifugiati del Centro Astalli

1 Aprile 2021 - ROMA - Sabato mattina, sabato santo,  un gruppo di rifugiati del Centro Astalli, accompagnati dagli operatori della mensa, riceverà la prima dose di vaccino contro il coronavirus in Vaticano, per volere di papa Francesco. «Si tratta di un segno importante per la vita dei rifugiati che accogliamo, tra cui tanti vulnerabili, vittime di tortura e violenze intenzionale», commenta il presidente del Centro Astalli, p. Camillo Ripamonti: «un segno di vicinanza agli ultimi, a coloro che la pandemia ha reso invisibili e per questo più fragili e più esposti al rischio di ammalarsi. Quello di Papa Francesco è un gesto che riconosce nel povero, nell’emarginato, nel migrante il senso di un agire che mette al centro i più fragili perché solo così l’intera comunità diventa più forte, più solida, più al sicuro. Un dono che si riempie di significato alla vigilia della seconda Pasqua nella pandemia». Il Centro Astalli chiede alle istituzioni italiane di «moltiplicare» il gesto del Pontefice e «inserire nella strategia nazionale per le vaccinazioni, i senza fissa dimora, i migranti che vivono in insediamenti spontanei o in edifici occupati e in centri di accoglienza di medie e grandi dimensioni». (R.Iaria) —​

Ministero Beni Culturali: 11 milioni di euro per circhi e spettacolo viaggiante

26 Marzo 2021 - Roma - «Ho firmato due provvedimenti del valore di 11 milioni di euro per il sostegno degli operatori dello spettacolo viaggiante e dei circhi. Si tratta di realtà in enorme sofferenza, per le quali si è operato sin dall’inizio della pandemia, ma che continuano ad avere bisogno di un sostegno concreto». Così il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, al momento della firma di due decreti che ripartiscono le risorse del fondo emergenza spettacolo, cinema e audiovisivo, destinando 10 milioni di euro al sostegno dello spettacolo viaggiante e 1 milione di euro al sostegno delle attività circensi. Le risorse in favore dello spettacolo viaggiante verranno erogate anche in considerazione degli importi dovuti dalle singole realtà per la tassa di occupazione di spazi ed aree pubbliche nei comuni in cui insistono gli impianti, mentre quelle per i circhi verranno riservate alle imprese di produzione circense le cui attività in Italia è stata impossibilitata dalle misure di contenimento del contagio o la cui attività all’estero è stata interrotta e il cui rimpatrio è stato ritardato o impedito per i medesimi motivi, si legge in una nota. Questi interventi «rafforzano quanto già previsto nel 2020, con i 15 milioni di euro erogati in favore degli operatori dello spettacolo viaggiante e quota parte destinata ai circhi delle risorse devolute alle realtà escluse dal FUS, portando così a oltre 26 milioni di euro il montante complessivo finora indirizzato a sostenere questi specifici settori dello spettacolo dal vivo». I due decreti sono stati inviati agli organi di controllo e saranno disponibili, alla registrazione, sul sito istituzionale del ministero della cultura www.beniculturali.it

Covid 19: oltre 200 i sacerdoti scomparsi. Tra questi alcuni impegnati nella pastorale migratoria

18 Marzo 2021 - Roma – Oggi è la Giornata del Ricordo delle Vittime del Covid 19. In tutto il Paese bandiere a mezz’asta sugli uffici pubblici e un minuto di silenzio, alle 11, in corrispondenza dell’arrivo del premier Mario Draghi a Bergamo, città martire della pandemia. Il momento più solenne sarà la cerimonia che si svolgerà nel capoluogo orobico alla presenza del Presidente del Consiglio. Alle 11 verrà deposta una corona di fiori al Cimitero monumentale della città. Alle 11.15, al Parco Martin Lutero alla Trucca, si svolgerà l’inaugurazione del Bosco della Memoria con la messa a dimora dei primi 100 alberi. Oltre 103mila i morti finora e tra questo molti i sacerdoti che per il loro impegno fianco dei fedeli si sono ammalati ed hanno perso la vita. Dal 1° marzo al 30 novembre scorso – come ricorda Riccardo Benotti nel volume “Covid19: preti in prima linea” edito da San Paolo - sono stati 206 i sacerdoti diocesani italiani che sono morti a causa diretta o meno dell’azione del Covid-19. A essere coinvolto nella strage silenziosa è quasi un terzo delle diocesi: 64 su 225.La concentrazione delle vittime è nell’Italia settentrionale (80%), con un picco in Lombardia (38%), Emilia Romagna (13%), Trentino-Alto Adige (12%) e Piemonte (10%). Segue il Centro (11%) e il Sud (9%). Il mese di marzo 2020 è stato quello che ha registrato il numero più alto di decessi (99). Tra questi alcuni sacerdoti impegnati nella pastorale della mobilità umana. Don Giancarlo Quadri, 76 anni, è stato uno dei primi (è morto il 22 marzo scorso), per anni a fianco degli immigrati in Italia e degli italiani all’estero: dal 1989 al 1993 è stato cappellano Migrantes in Gran Bretagna, dal 1993 al 1996 in Marocco, dal 1996 al 2001 collaboratore di Curia a Milano nell’Ufficio Segreteria per gli Esteri. Cappellano delle Comunità di lingua straniera di Milano dal 2000 al 2014, responsabile di Curia per l’Ufficio Migrantes dal 2001 al 2014, cappellano del Centro pastorale per i fedeli di lingua italiana a Bruxelles dal 2014 al 2017. Per la pastorale accanto ai migranti don Quadri era stato chiamato dal card. Carlo Maria Martini. Grazie a lui – ricorda Benotti nel volume - la chiesa di Santo Stefano diviene il punto di riferimento per le comunità straniere presenti in città, prime fra tutte quelle sudamericane e filippine. A Pero, in provincia di Milano, fa esperienza fa esperienza dell’immigrazione interna dall’Italia meridionale. Durate il suo ministero promuove numerose occasioni di dialogo con i musulmani nel nome dell’integrazione e della convivenza. Impegnato nella pastorale con gli italiani in Belgio mons. Achille Belotti (83 anni), originario della diocesi di Bergamo dal 1974 al 1978 prima di far ritorno in diocesi. Mons. Belotti è morto l’11 marzo 2020 dopo un ricovero di poche ore all’ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. E ancora don Antonio Audisio, 80 anni, della diocesi di Saluzzo, che, dopo essere stato missionario in Africa, al rientro in diocesi ha seguito la catechesi dei migranti albanesi presenti sul territorio. Don Leonello Birettoni, di 79 anni, originario di Perugia, per tanti anni a fianco dei più bisognosi come i migranti. E tanti altri. «Nei mesi di pandemia da Covid-19, sono tornato spesso con la memoria agli incontri che ho avuto la fortuna di vivere con i futuri preti», scrive nella prefazione al volume il card. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI: «soprattutto nelle settimane di ricovero, perché anch’io ammalato di Covid, gli “appuntamenti” con le mie esperienze passate sono diventati frequenti. D’altronde, in una stanza di terapia intensiva si è anche agevolati da questa sorta d’introspezione. Ho pensato tanto al nostro donarci come sacerdoti; all’amore ricevuto e a quello donato; a tutte le opportunità di fare del bene non sfruttate. Ho pregato per tutti i malati, ho invocato il perdono per tutte le volte che non sono stato all’altezza». Questi sacerdoti sono stati “pellegrini”, come diceva don Mazzolari, “per vocazione e offerta”. Tanti di loro – aggiunge il porporato - «erano ancora in servizio, altri anziani; erano parroci di paesi, figure di riferimento per le nostre comunità, che hanno contribuito a costruire negli anni. Questo pellegrinare nella storia del loro ministero incrocia lo sviluppo sociale, civile e culturale del nostro Paese. Molto spesso si ha poca coscienza della capillarità delle nostre Chiese locali, nelle grandi aree urbane, ma soprattutto nei piccoli centri. Nelle une e negli altri, il pellegrinaggio di tanti sacerdoti sosta nelle vicende gioiose e sofferte degli uomini e delle donne, fino a diventarne tessuto connettivo. È il filo della memoria che si rinnova nell’umanità». (Raffaele Iaria)  

Mediterraneo frontiera di pace”: ad un anno dall’Incontro di Bari l’impegno continua

23 Febbraio 2021 - Roma - «Ricostruire i legami che sono stati interrotti, rialzare le città distrutte dalla violenza, far fiorire un giardino laddove oggi ci sono terreni riarsi, infondere speranza a chi l’ha perduta ed esortare chi è chiuso in sé stesso a non temere il fratello. E guardare questo, che è già diventato cimitero, come un luogo di futura risurrezione di tutta l’area». Questa l’«opera di riconciliazione e di pace» affidata da Papa Francesco ai Vescovi di 20 Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum, al termine dell’Incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo frontiera di pace” svoltosi a Bari dal 19 al 23 febbraio 2020. A distanza di un anno, «l’impegno a dialogare e a costruire la pace in un’area cruciale per il mondo intero non è venuto meno», sottolinea la CEI: «sebbene la dimensione pubblica dell’esperienza abbia subito un’interruzione a causa della pandemia, il confronto tra Chiese sorelle e il supporto vicendevole hanno continuato a caratterizzare i mesi della crisi sanitaria. E proprio la pandemia, che continua ad attraversare frontiere e continenti, dimostra ancora una volta che l’umanità è una sola e che i destini dei popoli sono strettamente correlati in questa era globale. In risposta al COVID-19, la nostra rete nel Mediterraneo ha visto confermare, dopo Bari, forme di collaborazione e solidarietà, tese a dare risposte comuni a problemi comuni. Ne sono esempio la solidarietà portata dalla Chiesa che è in Italia al Libano, colpito ad agosto da una tremenda esplosione nella zona portuale di Beirut, e alla popolazione della Croazia, devastata da una serie di scosse sismiche nel mese di dicembre». L’incontro di Bari, sottolinea il card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, è stato “la prima tappa, l’inizio di un cammino che era necessario intraprendere, per dare la nostra risposta col Vangelo ai problemi della Chiesa, alle nostre Chiese e alla società di oggi”. Nel solco di “Mediterraneo frontiera di pace” si è «alimentato lo spirito di fraternità e condivisione maturati durante l’incontro». In questo anno infatti, segnato in tutto il bacino dal diffondersi del COVID-19 e dalle sue tragiche conseguenze, i Vescovi dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum hanno convenuto sulla necessità di individuare piste per far sì che l’evento di un anno fa non resti un unicum, ma apra cammini di riflessione e di azione a livello locale e internazionale. Ne è segno la recente visita di una delegazione della CEI in Niger (per la Migrantes il direttore generale don Gianni De Robertis, ndr) e, ancora di più, la volontà del card. Bassetti di riprendere l’intuizione di Bari per rendere il Mare Nostrum quel «grande lago di Tiberiade» che fu in passato, come lo definiva Giorgio La Pira, le cui sponde tornino ad essere simbolo di unità e non di confine. «È essenziale proseguire in questo percorso di comunione – conclude il card. Bassetti -, nell’orizzonte indicatoci da Papa Francesco che, nella Fratelli tutti, ci ricorda che il dialogo perseverante e coraggioso, anche se non fa notizia, aiuta il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto”.    

Covid-19: migranti burundesi bloccati nel Sud Kivu per la chiusura del confine

19 Febbraio 2021 -

Kinshasa – “A causa dell'isolamento per la lotta al Covid-19, attualmente nel villaggio di Katogota osserviamo la chiusura dei confini. Quindi è impossibile per gli immigrati burundesi che si trovano nel nostro villaggio tornare nel loro Paese” afferma una nota dell’organizzazione umanitaria ACMEJ, che opera in questo villaggio del Sud Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), al confine col Burundi.

Gli espatriati burundesi sono arrivati nella RDC per visitare parenti e amici, altri per cercare un lavoro, altri ancora fuggono dall'insicurezza nel loro Paese. Al momento - riferisce l’agenzia Fides - alcuni sono ospitati dalle famiglie d’accoglienza, altri stanno in case prese in affitto. Si moltiplicano però i conflitti tra la popolazione di Katogota e gli immigrati che non possono più permettersi di pagare l’affitto della casa, mentre alcuni di loro sono diventati un pesante fardello per le famiglie che li ospitano.

Anche il centro medico locale che non ha i mezzi economici per garantire cure gratuite, si è lamentato di essere sopraffatto dalla situazione degli immigrati burundesi affetti da diverse malattie che non sono in grado di sostenere le spese mediche. I burundesi hanno bisogno urgente di aiuti umanitari soprattutto per i bambini che continuano ad ammalarsi. È quindi altamente auspicabile e urgente che le organizzazioni umanitarie inviino aiuti agli immigrati in difficoltà, in primis medicinali e assistenza medica.

"Auspichiamo che i governi del Burundi e della RDC guidino una discussione bilaterale per la riapertura delle frontiere, nel rispetto delle misure di barriera contro il Covid-19. Ciò consentirebbe a questi immigrati di tornare a casa e la situazione della comunità di Katogota potrebbe alleggerirsi” conclude l’ACMEJ.