- “A causa della mole di lavoro immensa che ho dovuto sostenere nel lockdown, ero arrivata al limite dell’ esaurimento nervoso. La psicologa mi ha aiutato a mettere dei limiti a questo e impostare delle regole per evitare il burnout.” (F, Lussemburgo);
- “Ai tempi del liceo per problemi di ” (F, Cuba);
- “Avevo 18 anni, non ne sentivo il bisogno, i miei genitori mi hanno obbligato ed è stata ” (F, Emirati Arabi Uniti);
- “Colloqui di sostegno soprattutto relativi alla mia decisione di separarmi.” (F, Stati Uniti);
- “Dolorosa ma ha risolto i miei ” (F, Israele);
- “Dopo un evento personale traumatico i miei cari mi hanno consigliato di chiedere supporto psico Sono stata 9 mesi in psicoterapia e mi è servito moltissimo per affrontare il dolore e ricostruire il mio equilibrio, ma anche crescere personalmente.” (F, Regno Unito);
- “Dopo una relazione abusiva, ho fatto un percorso di terapia per ritrovare ” (F, Belgio);
- “Durante gli anni universitari ho fatto un percorso di psicoterapia per imparare a gestire l'ansia e lo stress da competizione.” (M, Svizzera);
- “È in corso da un anno. Mi dà tranquillità, mi allevia il senso di vuoto e mancanza di significato nelle cose. Mi conforta.” (M, Canada);
- “È via zoom col fuso italiano, e questo alle volte diventa un problema per farlo conciliare con gli orari giapponesi.” (F, Giappone);
- “Mi dà la forza e la carica per migliorare e sentirmi appieno con me stessa. Ci vuole tanta pazienza e voglia di ‘amarsi’” (F, Stati Uniti);
- “Era un periodo della mia vita dove mi sentivo persa. Ho finalmente deciso di cercare aiuto, e mi ha portato a scoprire molte cose di me di cui non avevo idea, tipo blocchi psicologici dovuti al mio passato. È stato un percorso di scoperta ed un lavoro su me stessa abbastanza faticoso, che è ancora in divenire.” (F, Stati Uniti);
- “Era uno spazio in cui poter esprimermi liberamente su ciò che provavo e che mi ha permesso di comprendere meglio il mio funzionamento e le mie difficoltà.” (F, Svizzera);
- “Erano anni che pensavo di volerlo fare ma non ho mai avuto soldi a sufficienza per pagarlo, l'ho fatto non appena ho potuto.” (F, Spagna);
- “Ero appena diventata mamma e avevo appena traslocato in Germania, mi sentivo impaurita e impotente.” (F, Germania);
- “Ero ragazzina e dovevo accettare la perdita di mia madre. Il mio psicoterapeuta mi aiutò a prenderne coscienza.” (F, Stati Uniti);
- “Esperienze positive e negative, alti e bassi, ho trovato aiuto ma spesso anche sensazione di perdere tempo, non arrivare mai al punto.” (F, Belgio);
- “Facevo un lavoro molto stancante emotivamente (call center) e la compagnia per cui lavoravo offriva la possibilità di essere seguiti da uno psicologo per un breve periodo di tempo. Feci tre sedute (il massimo) e poi dovetti smettere. Non me lo potevo permettere. Mi è piaciuto molto però, mi sentivo molto meglio dopo le sedute.” (F, Regno Unito);
- “Funzionale a ripristinare una situazione stabile dopo una serie di crisi di panico.” (M, Singapore). - (Anna Pisterzi - Presidente di Transiti Psicologia d'Espatrio Coop Soc.)
Tag: Transiti – Psicologia d’espatrio
Migrantes-Transiti: la condizione psicologica degli italiani nel mondo durante il Covid-19.
- “A causa della mole di lavoro immensa che ho dovuto sostenere nel lockdown, ero arrivata al limite dell’ esaurimento nervoso. La psicologa mi ha aiutato a mettere dei limiti a questo e impostare delle regole per evitare il burn-out.” (F, Lussemburgo);
- “Ai tempi del liceo per problemi di ” (F, Cuba);
- “Avevo 18 anni, non ne sentivo il bisogno, i miei genitori mi hanno obbligato ed è stata ” (F, Emirati Arabi Uniti);
- “Colloqui di sostegno soprattutto relativi alla mia decisione di separarmi.” (F, Stati Uniti);
- “Dolorosa ma ha risolto i miei ” (F, Israele);
- “Dopo un evento personale traumatico i miei cari mi hanno consigliato di chiedere supporto psico Sono stata 9 mesi in psicoterapia e mi è servito moltissimo per affrontare il dolore e ricostruire il mio equilibrio, ma anche crescere personalmente.” (F, Regno Unito);
- “Dopo una relazione abusiva, ho fatto un percorso di terapia per ritrovare ” (F, Belgio);
- “Durante gli anni universitari ho fatto un percorso di psicoterapia per imparare a gestire l'ansia e lo stress da competizione.” (M, Svizzera);
- “È in corso da un anno. Mi dà tranquillità, mi allevia il senso di vuoto e mancanza di significato nelle cose. Mi conforta.” (M, Canada);
- “È via zoom col fuso italiano, e questo alle volte diventa un problema per farlo conciliare con gli orari giapponesi.” (F, Giappone);
- “Mi dà la forza e la carica per migliorare e sentirmi appieno con me stessa. Ci vuole tanta pazienza e voglia di ‘amarsi’” (F, Stati Uniti);
- “Era un periodo della mia vita dove mi sentivo persa. Ho finalmente deciso di cercare aiuto, e mi ha portato a scoprire molte cose di me di cui non avevo idea, tipo blocchi psicologici dovuti al mio passato. È stato un percorso di scoperta ed un lavoro su me stessa abbastanza faticoso, che è ancora in divenire.” (F, Stati Uniti);
- “Era uno spazio in cui poter esprimermi liberamente su ciò che provavo e che mi ha permesso di comprendere meglio il mio funzionamento e le mie difficoltà.” (F, Svizzera);
- “Erano anni che pensavo di volerlo fare ma non ho mai avuto soldi a sufficienza per pagarlo, l'ho fatto non appena ho potuto.” (F, Spagna);
- “Ero appena diventata mamma e avevo appena traslocato in Germania, mi sentivo impaurita e impotente.” (F, Germania);
- “Ero ragazzina e dovevo accettare la perdita di mia madre. Il mio psicoterapeuta mi aiutò a prenderne coscienza.” (F, Stati Uniti);
- “Esperienze positive e negative, alti e bassi, ho trovato aiuto ma spesso anche sensazione di perdere tempo, non arrivare mai al punto.” (F, Belgio);
- “Facevo un lavoro molto stancante emotivamente (call center) e la compagnia per cui lavoravo offriva la possibilità di essere seguiti da uno psicologo per un breve periodo di tempo. Feci tre sedute (il massimo) e poi dovetti smettere. Non me lo potevo permettere. Mi è piaciuto molto però, mi sentivo molto meglio dopo le sedute.” (F, Regno Unito);
- “Funzionale a ripristinare una situazione stabile dopo una serie di crisi di panico.” (M, Singapore). - Anna Pisterzi, Presidente di Transiti Psicologia d'Espatrio.
Migrantes-Transiti: la sicurezza sanitaria e la fiducia durante il Covid-19
Migrantes-Transiti: la condizione psicologica degli expat, voci degli expat
Fondazione Migrantes-Transiti: la condizione psicologica degli expat italiani nel 2018: come, questa comunità, viveva la complessità della distanza?
Il secondo gruppo di soggetti dichiarava di essere emigrato per una proposta lavorativa ricevuta da terzi. Il ruolo “passivo” ricoperto dalla scelta della destinazione è un aspetto importante, come evidenziano i risultati dello studio che esporremo in maggior dettaglio in un secondo momento.
In questo senso, le maggiori cause di sofferenza emotiva sperimentata da coloro che sceglievano di partire inseguendo un proprio progetto, erano rappresentate dalla mancanza dei familiari e degli amici, dal senso di solitudine esperito in determinati momenti del proprio percorso d’espatrio e da tutta una serie di sintomi che venivano indicati come “uno stato di malessere generalizzato”. A cui però risultava difficile dare una forma e un nome precisi.
L’aggiunta di questa sensazione risultava essere la più importante causa di sofferenza nel gruppo di chi emigrava per una proposta lavorativa non cercata. La difficoltà a nominare e dare una forma al malessere si accompagnava ad un sentimento di insoddisfazione verso le relazioni sociali instaurate e da difficoltà di apprendimento della lingua del paese ospitante non commisurate al grado di difficoltà linguistica. Queste criticità risultavano maggiori rispetto a quelle dichiarate da chi sceglieva la propria traiettoria migratoria.
Di che cosa parlano gli italiani all’estero. Il nostro team di ricerca si è impegnato a indagare se queste tematiche di condizione psicologica fossero in qualche modo condivise e socializzate nelle conversazioni con altri expat nel medesimo contesto. E alla domanda “Di che cosa parlano gli italiani all’estero quando sono con altri italiani?”, la risposta non poteva essere più scontata… ovviamente, di cibo!
Ebbene sì, come da tradizione e stereotipo il tema del cibo è stato indicato come l’argomento principale in entrambi i gruppi. Un dato, questo, che fa riflettere su come il cibo sia uno strumento dotato di tantissimi significati culturali, sociali, nonché psicologici, che spesso vanno oltre la mera soddisfazione dei bisogni primari.
Altri importanti e ricorrenti argomenti di conversazione risultavano essere la famiglia, la cultura d’origine e, più in generale, l’Italia. Tutte queste tematiche riguardano le varie sfere dell’identità e toccano la condizione psicologica.
Il secondo gruppo (gli expat per proposta lavorativa ricevuta) si differenziava dal primo per il tema della difficoltà di apprendimento della lingua. I ricercatori ipotizzano che questo dato derivi dal fatto che chi emigra aderendo ad una proposta lavorativa esterna difficilmente sceglie la propria destinazione. Di conseguenza, è plausibile che abbia una differente preparazione linguistica e culturale relativa al contesto d’arrivo rispetto a coloro che espatriano per un progetto personale. Questi ultimi soggetti potrebbero probabilmente essere maggiormente motivati a studiare la nuova lingua e ad apprendere e comprendere alcuni aspetti chiave del contesto culturale che incontreranno una volta partiti.
Per quanto riguarda le aspettative delle persone che hanno scelto di partecipare a questa indagine si può dire che, seguendo i risultati presentati, siano state ampiamente attese.
Nella maggior parte dei casi, chi si aspettava di trovare un lavoro migliore rispetto a quello che aveva prima del trasferimento lo ha effettivamente trovato. Chi credeva che la partenza avrebbe migliorato la propria condizione economica, non ha avuto delusioni. Anzi, alcuni expat che da questo punto di vista avevano delle basse aspettative, si sono poi ricreduti.
Un discorso a parte va fatto per le aspettative nei confronti del sistema sanitario. Sembrerebbe che gli expat interpellati avessero diverse difficoltà ad interagire con questo aspetto della nuova vita e che in qualche modo rivalutassero i servizi di sanità pubblica offerti dal proprio contesto d’appartenenza.
Il profilo di expat che ricercatrici e ricercatori hanno elaborato alla luce dei risultati estratti da questa indagine sembra parlarci in maniera chiara rispetto ad alcuni punti di vista.
Come la dott.ssa Di Girolamo, autrice della ricerca, afferma: “Sembra che gli expat intervistati prima del Covid-19 avessero in qualche modo deciso di incontrare la propria identità personale in un contesto altro da quello d’origine. Nel fare ciò, sembravano aver sacrificato, in varia misura, l’incontro con gli aspetti culturali e contestuali della propria identità. Una frase di una ragazza da noi intervistata era particolarmente eloquente. Parlando della sua esperienza di post-doc all’estero, si è rivolta a noi con una riflessione personale: ‘Ho paura che alla fine della giostra non valga la pena aver scelto di sacrificare le mie persone più care per stare qui da sola a lavorare’.”
È interessante come questa affermazione, anche se apparentemente incentrata su una valutazione negativa dell’esperienza di espatrio, in realtà ponesse l’accento non tanto sul tema del fallimento del progetto, quanto sulla paura e sull’indeterminatezza di questa condizione psicologica.
Quel “Ho paura che” ci parla, più che di una sconfitta, di un’indeterminatezza che spesso può rivelarsi positiva, come nei casi di miglioramento della propria condizione lavorativa e remunerativa, ma che comunque chiede in cambio una ristrutturazione dell’identità personale funzionale alla vita nel nuovo contesto.
Questo comporta delle sfide e delle rinunce sul piano dell’identità che spesso veicolano un senso temporaneo di “assenza”, una paura di svanire insieme alle relazioni importanti che abbiamo lasciato indietro. Una nostalgia del passato, del presente e la paura di un futuro indeterminato. Indeterminato come il malessere che molti dichiarano di provare in contesti d’espatrio e che accompagna molto spesso le traiettorie migranti.
Si tratta, tuttavia, di un passo importante. La sua risoluzione gioca un ruolo chiave nella ridefinizione di se stessi come expat ed è in qualche modo necessaria per appropriarsi di un nuovo futuro. (Anna Pisterzi)
Questo articolo anche nella sezione Articoli del sito di Transiti - Psicologia d’espatrio.