Roma - E' morto, lo scorso 13 aprile, don Fausto Urgu, per anni missionario in Germania con gli italiani. Nato a Montecatini Terme nel 1946 e ordinato sacerdote nel 1972, arriva in Germania come vice parroco nella Missione Cattolica Italiana di Wiesbaden nel 1977. Tre anni dopo diventa responsabile della Missione continuando l'attività del suo predecessore , padre Mario Salon. L’operato che distingue maggiormente don Fausto è l’attività pastorale negli ospedali, nelle carceri, la celebrazione delle messe e l’amministrazione dei sacramenti in tutte le postazioni vicine e lontane del comprensorio di Wiesbaden. Nel settembre del 2014, don Fausto va in pensione e i molti italiani che vivono a Wiesbaden ritengono indispensabile la sopravvivenza della missione, perciò viene nominato amministratore parrocchiale il tedesco Stephan Gras, coadiuvato dall’aiuto di padre Vincenzo Maria Tomaioli come cappellano.
La Migrantes è vicina alla famiglia di don Fausto, alla Delegazione delle Mci in Germania e Scandinavia e alla diocesi di Alessandria.Tag: Italiani nel mondo
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Il secondo gruppo di soggetti dichiarava di essere emigrato per una proposta lavorativa ricevuta da terzi. Il ruolo “passivo” ricoperto dalla scelta della destinazione è un aspetto importante, come evidenziano i risultati dello studio che esporremo in maggior dettaglio in un secondo momento.
In questo senso, le maggiori cause di sofferenza emotiva sperimentata da coloro che sceglievano di partire inseguendo un proprio progetto, erano rappresentate dalla mancanza dei familiari e degli amici, dal senso di solitudine esperito in determinati momenti del proprio percorso d’espatrio e da tutta una serie di sintomi che venivano indicati come “uno stato di malessere generalizzato”. A cui però risultava difficile dare una forma e un nome precisi.
L’aggiunta di questa sensazione risultava essere la più importante causa di sofferenza nel gruppo di chi emigrava per una proposta lavorativa non cercata. La difficoltà a nominare e dare una forma al malessere si accompagnava ad un sentimento di insoddisfazione verso le relazioni sociali instaurate e da difficoltà di apprendimento della lingua del paese ospitante non commisurate al grado di difficoltà linguistica. Queste criticità risultavano maggiori rispetto a quelle dichiarate da chi sceglieva la propria traiettoria migratoria.
Di che cosa parlano gli italiani all’estero. Il nostro team di ricerca si è impegnato a indagare se queste tematiche di condizione psicologica fossero in qualche modo condivise e socializzate nelle conversazioni con altri expat nel medesimo contesto. E alla domanda “Di che cosa parlano gli italiani all’estero quando sono con altri italiani?”, la risposta non poteva essere più scontata… ovviamente, di cibo!
Ebbene sì, come da tradizione e stereotipo il tema del cibo è stato indicato come l’argomento principale in entrambi i gruppi. Un dato, questo, che fa riflettere su come il cibo sia uno strumento dotato di tantissimi significati culturali, sociali, nonché psicologici, che spesso vanno oltre la mera soddisfazione dei bisogni primari.
Altri importanti e ricorrenti argomenti di conversazione risultavano essere la famiglia, la cultura d’origine e, più in generale, l’Italia. Tutte queste tematiche riguardano le varie sfere dell’identità e toccano la condizione psicologica.
Il secondo gruppo (gli expat per proposta lavorativa ricevuta) si differenziava dal primo per il tema della difficoltà di apprendimento della lingua. I ricercatori ipotizzano che questo dato derivi dal fatto che chi emigra aderendo ad una proposta lavorativa esterna difficilmente sceglie la propria destinazione. Di conseguenza, è plausibile che abbia una differente preparazione linguistica e culturale relativa al contesto d’arrivo rispetto a coloro che espatriano per un progetto personale. Questi ultimi soggetti potrebbero probabilmente essere maggiormente motivati a studiare la nuova lingua e ad apprendere e comprendere alcuni aspetti chiave del contesto culturale che incontreranno una volta partiti.
Per quanto riguarda le aspettative delle persone che hanno scelto di partecipare a questa indagine si può dire che, seguendo i risultati presentati, siano state ampiamente attese.
Nella maggior parte dei casi, chi si aspettava di trovare un lavoro migliore rispetto a quello che aveva prima del trasferimento lo ha effettivamente trovato. Chi credeva che la partenza avrebbe migliorato la propria condizione economica, non ha avuto delusioni. Anzi, alcuni expat che da questo punto di vista avevano delle basse aspettative, si sono poi ricreduti.
Un discorso a parte va fatto per le aspettative nei confronti del sistema sanitario. Sembrerebbe che gli expat interpellati avessero diverse difficoltà ad interagire con questo aspetto della nuova vita e che in qualche modo rivalutassero i servizi di sanità pubblica offerti dal proprio contesto d’appartenenza.
Il profilo di expat che ricercatrici e ricercatori hanno elaborato alla luce dei risultati estratti da questa indagine sembra parlarci in maniera chiara rispetto ad alcuni punti di vista.
Come la dott.ssa Di Girolamo, autrice della ricerca, afferma: “Sembra che gli expat intervistati prima del Covid-19 avessero in qualche modo deciso di incontrare la propria identità personale in un contesto altro da quello d’origine. Nel fare ciò, sembravano aver sacrificato, in varia misura, l’incontro con gli aspetti culturali e contestuali della propria identità. Una frase di una ragazza da noi intervistata era particolarmente eloquente. Parlando della sua esperienza di post-doc all’estero, si è rivolta a noi con una riflessione personale: ‘Ho paura che alla fine della giostra non valga la pena aver scelto di sacrificare le mie persone più care per stare qui da sola a lavorare’.”
È interessante come questa affermazione, anche se apparentemente incentrata su una valutazione negativa dell’esperienza di espatrio, in realtà ponesse l’accento non tanto sul tema del fallimento del progetto, quanto sulla paura e sull’indeterminatezza di questa condizione psicologica.
Quel “Ho paura che” ci parla, più che di una sconfitta, di un’indeterminatezza che spesso può rivelarsi positiva, come nei casi di miglioramento della propria condizione lavorativa e remunerativa, ma che comunque chiede in cambio una ristrutturazione dell’identità personale funzionale alla vita nel nuovo contesto.
Questo comporta delle sfide e delle rinunce sul piano dell’identità che spesso veicolano un senso temporaneo di “assenza”, una paura di svanire insieme alle relazioni importanti che abbiamo lasciato indietro. Una nostalgia del passato, del presente e la paura di un futuro indeterminato. Indeterminato come il malessere che molti dichiarano di provare in contesti d’espatrio e che accompagna molto spesso le traiettorie migranti.
Si tratta, tuttavia, di un passo importante. La sua risoluzione gioca un ruolo chiave nella ridefinizione di se stessi come expat ed è in qualche modo necessaria per appropriarsi di un nuovo futuro. (Anna Pisterzi)
Questo articolo anche nella sezione Articoli del sito di Transiti - Psicologia d’espatrio.Bologna: questa sera incontro sui giovani che emigrano
Cgie: cordoglio con le famiglie e con la Comunità italiana di La Louvrière per la tragedia del Carnevale
Mci Ungheria: testimonianze e riflessioni a Radio Mater
Milano – Domani, martedì 22 marzo 2022, andrà in onda la settima puntata de «Gli italiani nel mondo. E la Chiesa con loro». La trasmissione – in diretta su Radio Mater dalle ore 17.30 alle ore 18.30, l’ultimo martedì di ogni mese – presenta alcune Missioni cattoliche italiane, soprattutto europee. Esse, sono animate da circa 700 operatori (laici/laiche consacrati e non, sacerdoti diocesani e religiosi, suore). Lo spazio radiofonico di marzo, ospiterà alcune testimonianze dall’Ungheria. Si collegheranno il francescano fra Sergio Tellan, delegato della locale Comunità cattolica italiana e Ida Addesa, impegnata nella medesima MCI, sposata con un ungherese.
Nell’occasione, con Massimo Pavanello – sacerdote della diocesi di Milano, ideatore e conduttore della trasmissione, con la consulenza della Fondazione Migrantes – gli ospiti descriveranno anche le attività che i nostri connazionali stanno svolgendo a Budapest, in ordine all’accoglienza dei profughi provenienti dalla confinante Ucraina. Radio Mater si può ascoltare – in Italia – attraverso la radio (sia in Fm sia in Dab) o la televisione (Digitale terrestre – Canale 403). In tutto il mondo all’indirizzo internet https://www.radiomater.org/it/streaming.htm
Seoul: studentessa di italianistica Ambasciatrice per un giorno
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Nell’occasione, con Massimo Pavanello - sacerdote della diocesi di Milano, ideatore e conduttore della trasmissione, con la consulenza della Fondazione Migrantes - gli ospiti descriveranno anche le attività che i nostri connazionali stanno svolgendo a Budapest, in ordine all’accoglienza dei profughi provenienti dalla confinante Ucraina. Radio Mater si può ascoltare - in Italia - attraverso la radio (sia in Fm sia in Dab) o la televisione (Digitale terrestre - Canale 403). In tutto il mondo all’indirizzo internet https://www.radiomater.org/it/streaming.htm
Italiani nel Mondo: in Argentina alla ricerca delle radici
Svizzera: oltre 4000 gli italiani nuovi cittadini
Reggio Calabria: oggi la presentazione di “Emigrazione e immigrazione in Calabria” di mons. Denisi
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CGIE: il ricordo dell’Ambasciatrice Tardioli
Mci Romania: il settimanale “Adeste” compie 10 anni
Ok21 Febbraio 2022 - Bucarest - 522 numeri in dieci anni di vita per il settimanale delle Missioni Cattoliche Italiane in Romania.
In questi anni più di una volta mi sono sentito fare questa domanda: “ma come è nata la nostra rivista?”. Ho sempre dato la stessa risposta, spontanea: “è nata per poter avere uno strumento di collegamento e di informazione per gli italiani che sono lontani dalle nostre Missioni, ma anche per gli italiani che le frequentano”. Eravamo alla fine del 2011, anno in cui si era appena aperta la quinta delle Missioni Cattoliche di lingua italiana in Romania, quella di Cluj. Ora, con Oradea, sono sei. Immediatamente dopo la rivoluzione si era potuto riprendere a celebrare la Messa in lingua italiana presso quella che, fin dal 1916, veniva comunemente chiamata “la Chiesa Italiana di Bucarest” dove le comunicazioni liturgiche si erano potute riprendere normalmente solo dall’inizio del 1990. Nel 2004, con l’arrivo del mio confratello orionino, don Belisario Lazzarin, la suddetta Chiesa, intitolata al Redentore, che nel frattempo, era divenuta parrocchia, venne eretta a “Rettoria Italiana”. La delicatezza del vescovo, mons. Ioan Robu, fece sì che, proprio dal 1990, come primo parroco venisse nominato un etnico italiano, don Luigi Vittorio Blasutti, nato a Buzau da genitori italiani immigrati dal Friuli, nel periodo interbellico. Il nostro fondatore, San Luigi Orione, fin dagli inizi della fondazione della Congregazione, chiamata “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, aveva inviato i suoi sacerdoti, affinché si prendessero cura dei connazionali italiani, sia in Albania che in alcuni stati dell’America Latina. Questo per dire che la cura pastorale degli italiani emigrati all’estero fa parte del nostro carisma. Prima di me molti altri confratelli, sia in Europa che in altre nazioni del mondo, si sono occupati della cura pastorale e umana degli emigrati italiani come orionini, ma anche come sacerdoti della Fondazione Migrantes. Ecco che, anche in Romania, non poteva essere altrimenti. Infatti, per la cura pastorale degli italiani presenti, accanto a don Belisario, si affiancarono altri miei confratelli e con loro, grazie al benestare dei vescovi locali, si è potuto dare vita alle Missioni di cui accennavo prima: Bucarest; Iasi; Timisoara; Alba Iulia; Cluj e, da quasi un anno, si è aggiunta Oradea. Nel 2011 vi erano già cinque Missioni e ci si era resi conto molto chiaramente che molti italiani, pur desiderandolo, per via delle distanze geografiche, non riuscivano a frequentare le Missioni. All’ora nacque l’idea di fondare "Adeste". Fin dall’inizio apparve sia in forma cartacea che in forma telematica. Si è scelta anche quest’ultima modalità proprio per garantirne a tutti la fruizione (in Romania la rete internet è notoriamente buona e abbastanza diffusa sul territorio). Ma perché "Adeste?" Semplice, si era a Iasi nel periodo natalizio e al signor Pietro Marchettini, cofondatore e caporedattore, e a me, venne spontaneo dare al nostro settimanale il nome di uno dei più noti canti natalizi, inoltre, il nome stesso sottolinea l’invito alla partecipazione alla vita della comunità. L’abbiamo definito un settimanale di informazione e cura pastorale. Questo ha fatto sì che i contenuti principali trattati fossero di informazioni legate alla vita degli italiani, sia etnici che di recente immigrazione; notizie legate alla vita della Chiesa, in primis del Papa; alle notizie di pubblica utilità riprendendo anche quelle diffuse dalla nostra Ambasciata Italiana, ad esempio: ultimamente abbiamo dato ampia eco alla elezione del Comites; alle notizie provenienti dalle Missioni e, non da ultimo, alle letture della Messa domenicale sempre accompagnate da un breve commento. Da qualche anno siamo inoltre entrati a far parte della Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici (FISC) nella sezione Estero. Certamente 10 anni ci fanno sentire ancora “piccoli” e ci rendiamo conto che abbiamo “molta strada da fare” riguardo al far sì che, anche grazie a questa nostra rivista, gli italiani presenti in Romania riescano ad essere più coesi e a “far Comunità”. Accennavo prima che uno dei contenuti sempre presenti nel nostro settimanale è la Parola di Dio domenicale con lo scopo di favorire la preparazione per quello che dovrebbe essere per tutti un appuntamento stabile e cioè la partecipazione fisica alla Messa. Soprattutto all’estero c’è bisogno di essere accompagnati in quella che è l’integrazione nel tessuto ecclesiale e sociale del territorio in cui si vive. A questo riguardo riteniamo importante sostenere i nostri connazionali tramite un passaggio graduale. Mi sento di dire che le nostre tradizioni, a livello di usi, costumi e sentimenti religiosi, sono molto profonde ed anche apprezzate. Siamo convinti che la partecipazione alla Messa in lingua italiana di ogni domenica, proprio perché a scadenza fissa e ravvicinata, sia per noi, che viviamo all’estero, la modalità più importante ed efficace di “fare comunità”, comunità attorno alla Parola di Dio, all’Eucaristia e tra di noi, ma anche con coloro che ci ospitano e che, per motivi di famiglia o di amicizia/lavoro, si sentono in comunione con noi. (p. Valeriano Giacomelli)
