
Ucraina, tre anni dopo: i numeri essenziali sui rifugiati

Roma - «Voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne». Queste parole che san Paolo scrisse poco meno di duemila anni fa all’amatissima comunità cristiana di Efeso, grande città ionica oggi un sito archeologico in territorio turco, risuoneranno anche stasera in numerosissime chiese italiane, alla presenza di Gesù eucaristia. Il passo paolino sarà letto, per chi seguirà la traccia suggerita dalla Cei, durante l’adorazione eucaristica per la pace in Ucraina che la Conferenza episcopale italiana ha promosso aderendo all’iniziativa lanciata dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). «In questo giorno in cui la liturgia della Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della santa Croce, ci uniamo con tutte le Chiese d’Europa per implorare da Dio il dono di una pace duratura nel nostro continente – recita la preghiera contenuta nel sussidio preparato dall’Ufficio Liturgico Nazionale – in modo particolare, vogliamo pregare per il popolo ucraino perché sia liberato dal flagello della guerra e dell’odio». I vescovi europei in questi mesi hanno più volte unito la loro voce a quella del Papa perché tacciano le armi e si ponga fine alla guerra in Ucraina. Anche l’iniziativa quaresimale denominata “catena eucaristica”, pensata come segno della vicinanza della Chiesa alle vittime del Covid e alle loro famiglie, quest’anno è diventata l’occasione per pregare per le vittime della guerra e invocare la pace. La Conferenza episcopale romano-cattolica dell’Ucraina ha dichiarato il 2022 Anno della Santa Croce. «Ora più che mai comprendiamo Gesù Cristo nella sua Via Crucis – hanno scritto i presuli del Paese in una lettera pubblica – comprendiamo la sua sofferenza e morte come agnello innocente che è stato crocifisso da persone che si sono messe al servizio del male». Anno della Santa Croce che si concluderà oggi con una solenne liturgia e la Via Crucis nel Santuario della Passione del Signore a Sharhorod, paese di settemila anime nell’oblast Vinnycja, al centro dell’Ucraina.È certamente suggestivo il fatto che nel giorno in cui il mondo cattolico europeo si raccoglie in preghiera, in ginocchio, per chiedere il dono della pace, il Pontefice si trovi al “Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali”, un’iniziativa di dialogo che ha al centro il tema della concordia fra i popoli. E doppiamente suggestivo è il fatto che tutto si svolga in Kazakistan, Paese nel cuore del continente che segnerà il XXI secolo, l’Asia, all’incrocio tra grandi civiltà, russa, cinese, turca. E soprattutto Paese che è stato parte dell’Unione Sovietica, nato dalla sua disintegrazione, con tutte le problematiche che questo ha comportato, e con ancora all’interno una forte minoranza russa.Il sussidio di preghiera della Cei si apre con due immagini tratte dai Lezionari in vigore nella Chiesa italiana e che da sole invitano a meditare su ciò che sta accadendo a solo poche ore di aereo da qui: una composizione di Mimmo Paladino, Gesù muore in croce, una foglia d’oro a forma di croce che ricorda l’oro delle croci e dei campanili ortodossi e greco-cattolici; e un’altra di Filippo Rossi, Verbum Panis, dove un crocifisso stilizzato si trova tra macchie di colore che ricordano sia la terra e il vino, come suo frutto, che la terra irrorata dal sangue. (Andrea Galli - Avvenire)
Roma - Le donne e i bambini provenienti dall’Ucraina e attualmente ospiti presso il Centro Fonte d’Ismaele trascorreranno alcuni di questi giorni di fine estate al mare, grazie a un accordo tra l’associazione, Atac e il Dopolavoro dell'Azienda. Oggi il primo appuntamento presso lo stabilimento balneare di Ostia del Dopolavoro, poi l’esperienza verrà ripetuta martedì 30 agosto, giovedì 1 settembre e da martedì 6 fino a venerdì 9 settembre.
“Fin dallo scoppio di questa atroce guerra, ormai sei mesi fa, - spiega Lucia Ercoli, coordinatrice di Fonte d’Ismaele - ci siamo attivati per un’accoglienza di tipo familiare per le persone costrette a fuggire dall’Ucraina. Per un po’ abbiamo sperato che prevalesse la logica del buon senso e la guerra potesse terminare presto, ma non è andata così e le persone che sono arrivate qui in Italia sono sempre più smarrite e disperate”.
“Per questo - prosegue - ringraziamo sentitamente il Dopolavoro Atac Cotral, con il quale abbiamo già condiviso questa esperienza a luglio, che mettendo nuovamente a disposizione il proprio stabilimento balneare permette alle donne e ai bambini che ospitiamo di trascorrere qualche giorno di spensieratezza, nonostante il loro pensiero sia sempre ai figli, ai mariti e ai padri che sono rimasti in Ucraina a combattere e alle preoccupazioni per un futuro tutto da decifrare”.
“In particolare, - conclude - queste giornate speriamo possano essere importanti per i più piccoli, vittime innocenti della pazzia della guerra come le ha definite anche Papa Francesco, coloro i quali rischiano di subire i danni maggiori, sia sul piano fisico che sul piano emotivo e psicologico”.
Leopoli - Non sono valigie di viaggiatori o turisti quelle che ancora si vedono alla stazione di Leopoli. Nell’atrio e nel piazzale di fronte si continua ad arrivare per fuggire dalla guerra ma anche per rientrare in Ucraina. Le partenze non hanno certo i numeri dei primi giorni del conflitto quando, come raccontano qui, «la città era un immenso aeroporto dove tutti si muovevano lungo le strade con valigie, zaini e sacchetti in mano». Ma l’esodo prosegue: soprattutto dall’Est e dal Sud del Paese, dove ai missili russi che cadono ogni giorno si aggiungono gli appelli delle autorità all’evacuazione delle zone “ad alto rischio”. E si lascia ancora il Paese. Non con i treni perché sono stati cancellati i convogli che collegano la città con la vicina Polonia, a meno di settanta chilometri. Ma con gli autobus che partono a decine ogni giorno. Verso Cracovia, verso Varsavia, persino verso il Portogallo. Ma anche per Kiev dove c’è chi ha scelto di tornare. Appena fuori la stazione tre gazebo sono i punti di primo soccorso per chi ha lasciato tutto. I volontari offrono tè freddo o piccoli panini. Accampati, nelle panchine intorno, tutti coloro che sono in attesa del loro futuro prossimo.
Certo, Leopoli resta la “capitale” dei rifugiati. Su poco meno di un milione di abitanti, i profughi sono 200mila: un quinto della “sua” gente. Sistemati ovunque: in edifici pubblici, nelle famiglie, nelle parrocchie ma soprattutto nelle scuole e nelle palestre. E adesso si profila un’emergenza nell’emergenza. «L’amministrazione comunale – racconta l’arcivescovo Mieczyslaw Mokrzycki che guida la Chiesa di rito latino – ha stabilito che dal 1° settembre riprendano le lezioni. E la domanda che tutti si fanno è: dove andranno quanti sono alloggiati nei plessi e negli impianti sportivi? Perché ogni scuola ha la sua palestra. E non solo vanno liberate le aule ma anche le strutture connesse. Si parla di migliaia di rifugiati da ricollocare». Per ora la risposta non c’è.
Ma c’è il “terrore” dell’inverno. Le temperature scendono fino a venti gradi sotto zero. «Si ipotizzano già problemi per il riscaldamento – spiega Mokrzycki –. E vale anche per noi come arcidiocesi che stiamo accogliendo oltre 4.500 sfollati in molte strutture sparse sul territorio. Però alcune diventano inadeguate quando le temperature crollano».
Appena dietro il palazzo arcivescovile il parco dedicato al padre culturale dell’Ucraina, Taras Shevchenko, è un gigantesco hub dell’ospitalità. Il dipartimento di fisica dell’Università con la sua palestra ha aperto le porte a centocinquanta famiglie. Si dorme sui materassi poggiati sopra il pavimento e su qualche bancale; si stendono i panni nei fili che vanno da un canestro alla pertica; si mangia su due casse di legno trasformate in tavola.
«È difficile vivere così – sostiene l’arcivescovo –. Se poi aggiungi il fatto che hai già esaurito tutti i risparmi e non hai un lavoro, la situazione è al limite della sopportazione. Per questo si sceglie di tornare. Almeno una famiglia ritrova la sua terra». In un angolo del parco è nato l’unico “villaggio prefabbricato” di Leopoli: l’ha donato il governo polacco, come indica la bandiera che al cancello sventola accanto a quella ucraina. Cinquantasei container con tre posti letto ciascuno sono le case dei rifugiati. Ma niente cucine e bagni: quelli sono in comune. Una mamma allatta un piccolo di pochi mesi mentre altri due figli giocano sull’asfalto. Accanto un anziano sulla sedia a rotelle si riscalda al sole. «Sono salvo – sussurra –. È ciò che conta di più». (Giacomo Gambassi - Avvenire)
Perugia - «Anche la comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve, attraverso parrocchie, famiglie religiose e con il coinvolgimento della locale comunità ucraina di rito greco-cattolico, non ha fatto mancare il suo sostegno spirituale e materiale a quanti sono fuggiti dall’Ucraina per sottrarsi alla guerra e ad una violenza inaudita contro la persona e i suoi affetti più cari». A sottolinearlo è il vescovo e amministratore diocesano di Perugia-Città della Pieve, mons. Marco Salvi, nel rendere noti i ‘frutti’ della “Raccolta fondi per l’Ucraina”. Una raccolta diocesana avviata subito dopo l’inizio delle ostilità, per finanziare le iniziative messe in campo per assistere dignitosamente più di 200 nuclei familiari composti in gran parte da donne e minori. Significativo anche il dato delle 98 famiglie perugine che hanno messo a disposizione una loro abitazione e quello di coloro che hanno accolto in casa profughi ucraini riservandogli una camera (attualmente sono 14).
«Desidero ringraziarvi tutti di cuore – scrive mons. Salvi in un messaggio rivolto alla comunità diocesana – per la generosità dimostrata in occasione della “Raccolta fondi per l’Ucraina” e dei diversi altri gesti di solidarietà concreta promossi dalla nostra Archidiocesi: un segnale di grande attenzione verso il prossimo che ci fa sentire interpreti veri della carità evangelica».