Tag: Immigrati e rifugiati

Migrantes: in distribuzione numero di gennaio della rivista “Migranti Press”

8 Gennaio 2021 - Roma - Si apre con un editoriale del direttore dell’organismo pastorale della CEI, don Giovanni De Robertis, l’ultimo numero della rivista mensile della Fondazione Migrantes, “Migranti Press”, in distribuzione in questi giorni. 

"La pandemia e la mobilità umana": questo il titolo dell’articolo che si sofferma su mesi appena trascorsi segnati dalla crisi sanitaria causata dalla pandemia Covid-19 ma anche da tante altre situazioni difficili, che hanno continuato a consumarsi pur rimanendo invisibili. «La pandemia che stiamo vivendo ha limitato i movimenti di tutti, ma soprattutto ha segnato il cammino dei migranti: chi vive in un paese diverso dal proprio da mesi e mesi non può – salvo eccezioni - rivedere i familiari, nemmeno in caso di gravi malattie». La Fondazione Migrantes ha cercato in ogni modo di rimanere vicina e accompagnare alcune fra le categorie più colpite da questa crisi, peraltro già in condizioni economiche precarie a causa della povertà e della mancanza di lavoro. Non solo migranti e rifugiati, ma, colf, Rom, lunaparkisti e circensi.  

Nel numero un approfondimento anche sul Rapporto Asilo della Fondazione Migrantes presentato a dicembre dal titolo "Costretti a fuggire...ancora respinti". E poi un articolo sulla creazione a cardinale di Paolo Lojudice, vescovo delegato Migrantes della Conferenza Episcopale Toscana e segretario della Commissione CEI per le Migrazioni, un bilancio della campagna Ce "Liberi di partire, liberi di restare" e anche alcune esperienze di pastorale in questo tempo di coronavirus tra gli italiani che vivono all'estero e tra i Rom in Europa.  E poi un articolo sui "ritrattisti di Maria, cioè i Madonnari. E ancora un inserto con una Scheda sul Tempo di Natale dal titolo "La mia parrocchia: famiglia di famiglie senza frontiere". 

Migrantes Torino: ieri la Festa dei Popoli con mons. Nosiglia

7 Gennaio 2021 -

Torino - Ieri mattina il Duomo di Torino ha accolto una rappresentanza delle Cappellanie etniche della diocesi nella celebrazione della Messa dell'Epifania. Come ogni anno la Migrantes di Torino organizza la Festa dei Popoli che solitamente ha inizio con la celebrazione eucaristica e prosegue nel pomeriggio con le esibizioni delle comunità tra musica, danza e teatro. Quest'anno, vista l'emergenza sanitaria, la giornata dedicata ai popoli è stata celebrata con la sola funzione religiosa presieduta dall'Arcivescovo e co-celebrata da alcuni dei sacerdoti a capo delle singole cappellanie. Erano presenti le comunità filippina, romena, latino-americana, anglofona, francofona, lusofona, brasiliana, peruviana, srilankese, ucraina, ecumenica. Ad animare la celebrazione il coro multietnico e le preghiere dei fedeli nelle diverse lingue. L'arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia nell'omelia ha ringraziato le comunità etniche ricordando il grande legame di fratellanza che ci unisce e la Migrantes per la testimonianza di unità e fede che dà nel suo lavoro quotidiano accanto alle sorelle e ai fratelli migranti. «Sul territorio colgo 'segni di speranza'», a partire dalle famiglie, dalle aziende, dalle nostre comunità che si «aprono» all'altro. Mons. Nosiglia ha richiamato le parole dell'enciclica "Fratelli tutti" e la frase di Papa Francesco "Siamo tutti sulla stessa barca", a proposito del difficile periodo che la pandemia ci costringe a vivere e della necessità di sentirsi parte di un'unica umanità.  

«Siamo più poveri, ma più solidali - ha affermato Sergio Durando, direttore della Migrantes di Torino -. L'anno appena trascorso è stato difficile, ma ci siamo scoperti capaci di trovare nuove forme per restare accanto a chi ha bisogno"». Durando, al termine della celebrazione, ha lanciato una provocazione affermando che l'accoglienza non basta più. È giunto il momento di valorizzare le ricchezze culturali dei nostri fratelli, di andare oltre allo stereotipo che vede il migrante, in quanto tale, appartenere alla categoria degli 'svantaggiati'. Siamo chiamati a un altro compito: quello di rendere cittadini i migranti!».

Viminale: da inizio anno sbarcate 270 persone sulle nostre coste

7 Gennaio 2021 - Roma - Sono 270 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane dall’inizio dell’anno. Il dato è del Ministero dell’Interno ed è aggiornato alle 8 di questa mattina. Dei 270 migranti sbarcati al momento solo per 5 è stata definita la nazionalità, che è tunisina (38%), mentre per gli altri 265 è ancora in corso la procedura di identificazione, fa sapere il Viminale.  

Festa dei Popoli: ieri celebrazioni in tante diocesi italiane

7 Gennaio 2021 - Roma - Celebrazioni Eucaristiche e momenti all’insegna dell’essenzialità ieri in tante diocesi italiane per la Festa dei Popoli. Occasioni che annualmente – quest’anno in modo molto limitato a causa della pandemia - richiamano non solo gli stranieri presenti ma anche molti fedeli italiani. Anche ieri da Nord a Sud ci si è ritrovati per pregare insieme. In questi giorni su www.migransonline.it abbiamo dato alcuni appuntamenti. In questo pezzo oggi raccontiamo qualche celebrazione come a Vicenza dove il vescovo, mons. Beniamino Pizziol, ha celebrato in Cattedrale evidenziando che si è trattato di «una celebrazione meno solenne ma non meno intensa, perché i nostri cuori sono uniti». Alla celebrazione, promossa dall’ufficio diocesano Migrantes, un centinaio di migranti residenti in città a causa della pandemia che hanno animato la liturgia con canti e preghiere nelle varie lingue con una particolare attenzione agli ammalati di Covid e agli operatori sanitari, alle famiglie, al Papa, ai giovani. «Voi – ha detto il presule - arricchite la Chiesa con la vostra presenza, la vostra cultura e le vostre tradizioni». Con il vescovo hanno celebrato p. Domenico Colossi, direttore dell’ufficio Migrantes e i cappellani che seguono le singole comunità cattoliche di nazionalità straniera, circa 15 di fede cattolica che risiedono nel territorio diocesano. «Voi fratelli immigrati portate il dono della vostra fede, che è cresciuta con voi e che ora si manifesta in questa città che vi accoglie, conservando la vostra fede con generosità ed evitando che i vari Erodi possano metterla in discussione o scalfirla», ha detto il card. Crescenzio Sepe, amministratore apostolico della diocesi di Napoli, nella celebrazione in cattedrale.  Alla celebrazione, organizzata dall’Ufficio diocesano Migrantes, diretto da don Pasquale Langella, erano presenti alcuni gruppi etnici che vivono a Napoli. Nella tradizione della festa della Befana, poi, ai figli degli immigrati, sono stati donati giocattoli offerti dal Movimento Cristiano Lavoratori e dall’Ordine di Malta. Festa dei Popoli anche nella cattedrale di Torino su iniziava dell’ufficio Migrantes diocesano diretto da Sergio Durando e che ha visto, pur con tutte le limitazioni dovute alle normative vigenti, la presenza di diverse comunità etniche. «La Chiesa ha sempre visto il pellegrinaggio dei Magi sotto il segno di quell’anelito di tutta l’umanità verso Cristo Signore perché ogni uomo è stato creato per Cristo e il desiderio più forte, che ha in sé stesso, è trovarlo e riconoscerlo come suo Creatore e Signore» ha detto l’arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia, nell’omelia della liturgia. Il presule, che anche amministratore apostolico di Susa, ha celebrato anche qui una liturgia per le comunità migranti. A Rimini celebrazione con il vescovo, mons. Francesco Lambioasi in varie lingue mentre la festa è stata rinviata a domenica 26 settembre, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Alla celebrazione hanno partecipato sacerdoti stranieri che prestano servizio in diocesi per sottolineare «l’universalità del Vangelo e della Chiesa dove ognuno si deve sentire accolto, desiderato e amato», ha detto il direttore Migrantes, Cesare Giorgetti. Per mons. Lambiasi la festa dell’Epifania è «manifestazione di Cristo ai pagani, è la festa della fede, offerta a tutto il mondo». (Raffaele Iaria)      

Migranti: quando il ritorno può essere un’opportunità

7 Gennaio 2021 - Milano - Mentre i riflettori dei media restano invariabilmente puntati sui nuovi arrivi di migranti, poco si racconta dei molti che hanno deciso di tornare nel Paese di origine, complice la crisi occupazionale ed economica generata da mister Covid. Tra questi c’è anche chi riesce a farlo in maniera strutturata utilizzando il Progetto di ritorno volontario assistito, una misura prevista dal ministero dell’Interno con cui si offre l’opportunità di rientrare attraverso un progetto individuale che comprende il counseling, l’assistenza logistica e finanziaria per il viaggio e l’accompagnamento al reinserimento sociale ed economico in patria. «Non si deve leggere il ritorno a casa semplicemente come un fallimento dell’esperienza migratoria – spiega Elisabetta Tuccinardi, responsabile del progetto per il CIR, il Consiglio Italiano per i Rifugiati –. In molti casi è l’occasione per investire il capitale umano acquisito in Italia in termini di conoscenze e competenze, e diventa un passaggio intermedio che prelude a una ripartenza in termini umani e professionali». Possono candidarsi a usufruire del progetto i migranti irregolari, i titolari del diritto di soggiorno (tranne quelli che provengono da Stati per i quali non si richiede il visto d’ingresso in Italia), di protezione internazionale o di protezione temporanea e anche coloro che si sono visti rifiutare la richiesta di protezione o quanti sono in attesa di una risposta. Il percorso del ritorno volontario è complesso, molti sono i passaggi e le istituzioni che devono analizzare la pratica, e spesso le tempistiche non coincidono con le attese di chi si è candidato e che ha fretta di tornare. In questo periodo, in particolare, il blocco dei voli, lo slittamento di tante partenze, la necessità di garantire il tampone molecolare che dia risultato in 48 ore – il tempo richiesto dalle compagnie aeree per accettare il migrante a bordo – hanno fatto diventare tutto più complicato. Per ogni persona che viene autorizzata al rientro assistito è previsto uno stanziamento di 4.500 euro che comprende le spese di viaggio, quelle per il rilascio del lasciapassare da parte dello Stato di origine quando il migrante non è in possesso del passaporto (caso piuttosto frequente), una somma di 400 euro in contanti che viene consegnata il giorno della partenza e 2.000 euro come contributo per la fase di reintegrazione, erogati in beni e servizi e il costo del personale necessario per supportare l’intero processo in Italia e nel Paese d’origine. All’arrivo in patria il migrante viene seguito da un ente locale che lavora in partnership con quello operante in Italia e lo accompagna in un percorso che prevede inserimento abitativo, lavorativo e formazione professionale. Sono 450 le persone che attualmente stanno usufruendo del programma di rientro assistito del Cir. Nigeria, Bangladesh, Ghana, Pakistan e Senegal i principali Paesi di ritorno. Ahmed, che oggi ha 37 anni, ha lasciato il Pakistan nel 2009. Sognava un lavoro stabile e la possibilità di sostenere la famiglia, ma la realtà è stata molto diversa: ha fatto i conti con il degrado abitativo, ha dovuto accettare lavori irregolari e sottopagati, il tutto in una situazione di precarietà giuridica e con la nostalgia del suo Paese che continuava ad aumentare. Quando ha saputo dell’esistenza del Progetto di ritorno volontario si è candidato, e con l’assistenza del Cir è riuscito a tornare in Pakistan dove grazie al contributo per la reintegrazione ha comprato un trattore avviando un’attività come agricoltore. Kubra ha lasciato la Nigeria a 19 anni, faceva la parrucchiera e sognava l’Europa come tante sue coetanee, ma anche lei ha dovuto abbandonare il sogno e fare i conti con una realtà dura. Dopo tre anni di tentativi andati a vuoto ha deciso di tornare a casa e di riprendere il suo lavoro. Ha aderito al progetto di ritorno volontario del Cir e grazie all’aiuto di un ente partner locale ha aperto un laboratorio di parrucchiera dove lavorano con lei altre due donne. (Giorgio Paolucci – Avvenire)   ​    

Migrantes Asti: ieri la Giornata dei Popoli con mons. Prastaro

6 Gennaio 2021 -

Asti - Nella solennità dell’Epifania la chiesa diocesana di Asti ha festeggiato ieri la Giornata dei Popoli all’interno di una Celebrazione Eucaristica promossa dalla Pastorale Giovanile e dall’Ufficio Migrantes. E stato il primo incontro dell’anno per tutti i giovani della diocesi con un’apertura universale in occasione di una giornata dedicata alla fratellanza di tutti i popoli. L’appuntamento ieri pomeriggio in Cattedrale dove  il vescovo, mons. Marco Prastaro - vescovo delegato per la Migrantes della Conferenza Episcopale del Piemonte e Vale d'Aosta - ha celebrato una messa animata dai giovani e delle comunità etniche del territorio per un momento di profonda fraternità attorno alla mensa dell’unico Padre.

Don Rodrigo e Daniela Iavarone, responsabili della Pastorale Giovanile e di Migrantes, sottolineano come “sia importante che le comunità continuino a invitare i giovani all’unico incontro che è possibile in presenza: la Celebrazione Eucaristica, il cuore della nostra vita cristiana”. “Un incontro ancora possibile in presenza è la partecipazione alla Messa. Sarebbe un bel segnale per i giovani – aggiungono – quello di darsi appuntamento in Cattedrale per vivere, in comunione con il Vescovo, insieme, distanti ma vicini, questo momento di intensa spiritualità aperto a tutti popoli”.

Migrantes Napoli: oggi Festa dei Popoli con card. Sepe

6 Gennaio 2021 - Napoli  Questa mattina il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, in Cattedrale, presiederà la solenne Celebrazione Eucaristica nella ricorrenza della Festa dell'Epifania che è anche Festa dei Popoli. Alla celebrazione, organizzata dall’Ufficio diocesano Migrantes, diretto da don Pasquale Langella, interverranno alcuni gruppi etnici che vivono a Napoli.

Nella tradizione della festa della Befana, poi, ai figli degli immigrati, verranno donati giocattoli offerti dal Movimento Cristiano Lavoratori e dall’Ordine di Malta.

 

Migrantes Palermo: domani Festa dei Popoli con mons. Lorefice

5 Gennaio 2021 - Palermo – Saranno 14 le lingue che verranno usate per la celebrazione dell’Epifania che l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, presiederà in Cattedrale. Il 2020 è stato un anno molto difficile per la pandemia dovuta al covid-19, ma nonostante tutto abbiamo celebrato il Santo Natale ed ora, all’inizio del nuovo anno celebriamo l’Epifania, sottolinea l’Ufficio Migrantes di Palermo: “nessuna difficoltà impedisce a Dio di farsi vicino a ciascuno di noi e di attirare a sé ogni persona”. Dai dati ufficiali gli stranieri residenti a Palermo, al 31 dicembre 2019 erano 25.075 pari al 3,8% della popolazione residente. Circa un terzo sono cristiani: Cattolici, ortodossi e di diverse denominazioni evangeliche e protestanti. Ancora oggi migliaia di esseri umani sono costretti a fuggire dalla loro patria, dai Paesi asiatici, africani e dell’America latina a causa di piccole e grandi guerre, a causa delle discriminazioni economiche e degli effetti devastanti del clima. Nel 2019 è stato registrato un numero record di 79,5 milioni di rifugiati, pari all’1% della popolazione mondiale, 10 milioni in più rispetto all’anno precedente. Tutti come Gesù Cristo, costretti a fuggire per vivere una vita migliore, sottolinea Migrantes Palermo: “interessarci dei migranti è interessarci di noi stessi perché viviamo tutti sulla medesima terra e siamo parte della medesima “famiglia umana”. La presenza dei migranti e dei rifugiati è “un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità senza contrapporre i migranti agli italiani. Non è in gioco solo la causa dei migranti; non è solo di loro che si tratta, ma di tutti noi, del presente e del futuro della famiglia umana. Anche attraverso i migranti il Signore ci invita a riscoprire e riappropriarci della nostra vita cristiana ed a contribuire, ciascuno secondo la propria vocazione, alla costruzione di un mondo sempre più rispondente al progetto di Dio. E’ quanto avviene nel cammino delle comunità cristiane: ghanesi, filippini, nigeriani, tamil, cingalesi, mauriziani, polacchi, etc. che in questo contesto sociale difficilissimo sono testimoni dei valori evangelici”. Il 6 gennaio 2020 dalle ore 10,00 nella Cattedrale di Palermo, tutti i popoli sono invitati a manifestare la volontà di voler vivere in armonia nel medesimo territorio, accogliendo la Pace portata da Gesù. Alle ore 11,00 la celebrazione presieduta da mons. Corrado Lorefice, che “ancora una volta presenterà Gesù come il Dio-con-noi, come Colui che è sorgente di pace”.  

Migrantes Vicenza: domani la Festa dei Popoli

5 Gennaio 2021 - Vicenza – Domani, Solennità dell'Epifania, alle ore 10.30 nella Cattedrale di Vicenza, nella Cattedrale di Vicenza. il vescovo, mons. Beniamino Pizziol, presiederà la Santa Messa Solenne con una rappresentanza di fedeli cattolici immigrati da altri paesi, quale segno di accoglienza e integrazione. La celebrazione sarà trasmessa in diretta da Radio Oreb, sul Canale Youtube della diocesi di Vicenza e da Tele Chiara. Pur con le limitazioni imposte dal Covid, le famiglie di cittadini italiani e quelle dei cittadini immigrati “saremo uno nel manifestare la fede comune durante questa S. Messa presieduta dal nostro Vescovo Beniamino, in un momento molto significativo di incontro e di comunione, convinti che occorre rendere ‘epifanica’ la nostra fede e il nostro impegno concreto per l’accoglienza cristiana in sintonia con l’insegnamento e i continui appelli di Papa Francesco articolati nel suo ultimo messaggio attorno a quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, spiga l’Ufficio Migrantes diocesano che ha promosso l’iniziativa. Alla messa parteciperà una piccola rappresentanza dei migranti cattolici residenti nel territorio della diocesi, che animeranno la celebrazione con canti e preghiere e presenteranno doni propri dei diversi Paesi di origine. A Vicenza sono 16 i Centri pastorali per migranti di fede cattolica Nella diocesi di Vicenza, ricorda una nota, sono 16 i Centri pastorali per migranti di fede cattolica: 7 a Vicenza (per filippini, ghanesi, nigeriani, romeni, srilankesi, latinoamericani e ucraini), 3 a Bassano del Grappa (per filippini, ghanesi, nigeriani, latinoamericani e ucraini), 2 a Schio (per ghanesi, nigeriani e romeni) e poi uno ad Arzignano (per ghanesi), uno a Creazzo (per africani francofoni), uno a Chiampo (per ucraini) e uno a Valdagno (per ucraini).

Operazione Colomba, “sale il livello di intolleranza” contro i rifugiati siriani in Libano

5 Gennaio 2021 - Roma - La notizia dell’incendio, il 27 dicembre scorso, del grande campo profughi siriani, composto da 100 tende situato in località Al Minyeh, in Libano, “fa riflettere su quanto il livello di intolleranza stia salendo notevolmente” nel Paese dei Cedri. Ad affermarlo sono i volontari dell’Operazione Colomba, corpo di pace non violento dell’Associazione Comunità Giovanni XXIII, che hanno raccolto informazioni e denunciato il tutto in un comunicato diffuso ieri. Il campo in questione, si legge, “non è solo uno dei tanti insediamenti informali costruiti dai profughi che hanno superato il confine a causa della guerra, ma esisteva già molto prima del 2011 ed era abitato da lavoratori stagionali siriani che già da diversi anni lo abitavano nei periodi di lavoro. Dopo l’inizio della guerra, questi vi hanno portato anche le loro famiglie e vi si sono trasferiti in pianta stabile. Inoltre, a differenza di altri posti del Libano particolarmente ostili, la zona di Al Minyeh non è quasi mai stata teatro di episodi di violenze contro i siriani di tale portata, pur essendosi verificati episodi minori”. I volontari di Operazione Colomba, dopo aver ricostruito i fatti che hanno portato all’incendio appiccato da un gruppo di cittadini libanesi, analizzano le conseguenze del gesto spiegando che “c’è anche chi tra i libanesi risponde alle barbarie con la solidarietà, come i tanti cittadini che subito dopo l’incendio hanno messo a disposizione le loro case e le merci dei loro negozi per chi aveva perso tutto per la seconda volta”. Ma i media locali “riportano interviste a cittadini libanesi del posto, che invece lamentano il fatto di essere poveri come i siriani che stanno ricevendo aiuto, ma di non ricevere niente per loro”. Da qui, denuncia Operazione Colomba, “il clima esplosivo di razzismo e di gravi intolleranze reciproche tra le due comunità, dovuti alle ingiustizie subite dai siriani e dalle condizioni di povertà e crisi economica in cui versano tutti, libanesi e siriani”. I volontari parlano di “guerra fra poveri che è ormai in atto da tempo in Libano. Questo incendio, infatti, è avvenuto a poco più di un mese dagli episodi di razzismo che si sono verificati a Bsharre. A perdere sono sempre gli ultimi mentre a vincere è sempre il sistema di uno Stato che non può e non vuole proteggere né i suoi cittadini, né chi sul suo suolo cerca solo riparo ed un minimo di sicurezza. Stato che non muove un dito per spegnere il fuoco dell’odio, ma che ci soffia sopra per alimentarlo, ricorrendo alla retorica razzista contro i siriani, capro espiatorio di ogni male, come unica risposta al malcontento della marea di cittadini libanesi indigenti e recentemente ancora più impoveriti”. L’appello di Operazione Colomba è che alla situazione dei siriani e del Libano in generale “venga prestata attenzione sempre, perché anche se gli episodi così eclatanti di violenza non succedono tutti i giorni, violazioni meno grandi ma comunque gravi avvengono invece in maniera sistematica e le autorità del Paese continuano a spingere i profughi a tornare in patria, pur sapendo benissimo che ciò non è possibile in condizioni di dignità e sicurezza. Sappiamo con certezza che per chi torna in Siria non c’è altro destino se non torture, arruolamenti forzati e ancora fame e povertà”.  

Migrazioni e respingimenti nel Mediterraneo: mons. Lorefice si augura che il nuovo anno “ci porti a un vero cambiamento delle politiche europee”.

4 Gennaio 2021 -  Palermo - “C'interessa di portare un destino eterno nel tempo, di sentirci responsabili di tutto e di tutti, di avviarci, sia pure attraverso lunghi erramenti, verso l'Amore, che diffonde un sorriso di poesia su ogni creatura e che ci fa pensosi davanti a una culla e in attesa davanti a una bara”, scriveva don Primo Mazzolari. A questo monito, a questa necessità di “sentirsi responsabili di tutto e di tutti”, l’arcivescovo di Palermo,  mons. Corrado Lorefice, fa riferimento con un nuovo durissimo appello dopo le notizie delle ultime tragedie del Mediterraneo, gravemente sottovalutate anche dalla stampa nazionale. «Il mio appello è perché questo 2021 si apra nel segno di una nuova, reale riflessione che conduca presto a un cambiamento nella condivisione delle regole europee», dice il presule che ricorda che «appena un mese fa  piangevamo insieme la morte del piccolo Joseph, rimasto nel cuore di tutti, in uno dei tanti drammatici naufragi a cui abbiamo assistito nell’anno appena trascorso. Oggi abbiamo la conferma che i 4 bambini i cui cadaveri sono stati ritrovati il 18 dicembre scorso sulle coste libiche, nel silenzio generale, sono morti annegati durante un respingimento, uno dei tanti ‘push-back’ operati dalla cosiddetta guardia costiera libica. Gli ultimi report sui fatti avvenuti nel Mediterraneo centrale tra le fine di dicembre e i primi giorni di gennaio fanno stringere il cuore a chiunque avverta ancora il senso della propria umanità: siamo chiamati a reagire da esseri umani e da cristiani». Secondo gli ultimi report delle organizzazioni umanitarie, infatti, a fronte dei 34.476 migranti giunti sulle coste italiane attraverso il Mediterraneo centrale, in assenza di canali sicuri e legali di accesso in Europa, sarebbero 11.891 i migranti intercettati e riportati in Libia nel 2020 (9.225 nel 2019), mentre 323 corpi sono stati restituiti dal mare e 417 vite risultano tuttora scomparse nel nulla. E va ricordato che tra il 1 e il 3 gennaio 2021 la Open Arms ha già dovuto soccorrere 266 persone, mentre già i primi 79 migranti sono stati intercettati e rimpatriati in Libia. «Non ci stancheremo mai di ripetere – ribadisce mons. Lorefice – che i respingimenti costituiscono una grave violazione del principio di ‘non refoulement’ sancito dalla Convenzione di Ginevra, violano i diritti umani internazionali, calpestano il Vangelo, tradiscono la fraternità universale. E oltre a causare il ritorno di tante persone nei lager libici, portano ad esiti come l'annegamento di questi 4 bambini. È assordante il silenzio e spaventosa l'indifferenza che sta avvolgendo queste notizie. Non possiamo non indignarci anche come cristiani: “La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte provenga. La sua via non è la neutralità, ma la profezia”, come diceva il card. Giacomo Lercaro. La Carta costituzionale e il Vangelo «ci chiedono di alzare la voce e di coinvolgere i cittadini italiani perché il nostro Paese attraverso quanti lo governano prenda le distanze da questa barbarie che massacra corpi, vite, volti umani, attese, drammi, speranze, e si adoperi anche a livello europeo per una soluzione umanamente sostenibile. Mentre viviamo direttamente il dramma della pandemia che sta colpendo il mondo intero, vicini alle nostre famiglie private degli affetti più cari e travolti dalle conseguenze economiche e sociali che porta con sé questo tremendo virus, sempre fiduciosi nella responsabilità di tutti per la salvaguardia del bene prezioso della salute e della vita, ci viene richiesta la stessa responsabilità per il dramma che continua a consumarsi nel Mediterraneo e che non può lasciarci indifferenti.  Bisogna fare di tutto – conclude mons. Lorefice – per recuperare quanti continuano a salire su barconi della morte: è una responsabilità prossima che riguarda l'intera Europa, chiamata a mettersi in gioco a livello internazionale e a trovare  risposte  e soluzioni  efficaci al fenomeno migratorio». La Fondazione Migrantes esprime gratitudine all'arcivescovo di Palermo per questa  riflessione l'invito a reagire e ad essere umani e cristiani.  

Bosnia-Erzegovina: 1.700 persone senza cibo né rifugi

4 Gennaio 2021 - Bruxelles - Più di 1.700 rifugiati e migranti sono senza rifugio e sostegni adeguati in Bosnia-Erzegovina, nella regione di Una Sana. Ed è guardando a questa emergenza umanitaria – di cui stanno parlando i media europei – che la Commissione europea ha annunciato uno stanziamento di 3,5 milioni di euro di aiuti. “La situazione è inaccettabile”, ha dichiarato l’Alto rappresentante Josep Borrell, sollecitando le autorità locali a “mettere a disposizione strutture esistenti fornendo una soluzione temporanea fino a quando non sarà ricostruito il campo di Lipa”, recentemente distrutto da un incendio. I fondi Ue serviranno per dare alle persone in difficoltà “l’accesso a beni di prima necessità” (cibo, coperte, vestiti pesanti), ma servono urgentemente soluzioni a lungo termine, secondo Borrell. In questi giorni ci sono centinaia di persone, compresi i bambini, che dormono all’aperto e al freddo. Secondo il commissario per la gestione delle crisi Janez Lenarčič è un “disastro umanitario” che si sarebbe potuto evitare se il Paese “avesse implementato una gestione della migrazione adeguata, come richiesto dall’Ue da molti anni”. Questo finanziamento servirà anche per assicurare assistenza sanitaria, per limitare la diffusione del coronavirus e supporto psicosociale. Si aggiunge ai 4,5 milioni di euro stanziati nell’aprile 2020, portando l’assistenza umanitaria dell’Ue per i rifugiati e i migranti in Bosnia-Erzegovina a 13,8 milioni di euro dal 2018. (SIR)  

Caritas: “rischio catastrofe umanitaria in Bosnia-Erzegovina”

4 Gennaio 2021 -

Roma - La situazione già precaria dei migranti in Bosnia-Erzegovina rischia di aggravarsi ulteriormente sia per il peggioramento delle condizioni meteo, sia per i continui trasferimenti da un campo profughi all’altro, in strutture dove mancano le condizioni minime per una sopravvivenza dignitosa. “L’esito è una probabile catastrofe umanitaria che può condurre anche a violenze e gravi tensioni sociali”. Lo denuncia oggi Caritas italiana. Intanto in Bosnia è appena cominciata la ricostruzione del campo di accoglienza di Lipa, andato quasi completamente distrutto qualche giorno fa. L’esercito sta montando le prime tende. “Lipa è però un luogo assolutamente inadatto all’accoglienza, soprattutto in questo periodo invernale – ricorda Caritas –. Era infatti stato chiuso la settimana scorsa perché altamente pericoloso per la vita delle persone che ospitava: è sprovvisto di elettricità, acqua potabile e riscaldamento, in una zona dove le temperature scendono sotto zero. Subito dopo la sua chiusura, un incendio aveva distrutto le poche tende rimaste nel campo”. Le 1.200 persone ospitate al momento della chiusura – prosegue Caritas – erano finite per strada senza una sistemazione alternativa. I tentativi di riaprire l’ex campo Bira (nella città di Bihac) o di allestire l’ex caserma in località Bradina (non distante da Sarajevo) da parte delle autorità locali sono falliti per le proteste dei cittadini e delle autorità locali. Alla fine la soluzione è stata la riapertura del campo di Lipa, “nonostante tutti gli attori internazionali fossero contrari, perché significa mettere a rischio la vita di centinaia di persone, dal momento che in quel campo non potranno essere garantite in poco tempo le condizioni minime necessarie per vivere”.

Migrantes Palermo: il 6 gennaio Festa dei Popoli con mons. Lorefice

31 Dicembre 2020 -

Palermo - Saranno 14 le lingue che verranno usate per la celebrazione dell’Epifania che l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, presiederà in Cattedrale. Il 2020 è stato un anno molto difficile per la pandemia dovuta al covid-19, ma nonostante tutto abbiamo celebrato il Santo Natale ed ora, all’inizio del nuovo anno celebriamo l’Epifania, sottolinea l'Ufficio Migrante di Palermo: "nessuna difficoltà impedisce a Dio di farsi vicino a ciascuno di noi e di attirare a sé ogni persona". Dai dati ufficiali gli stranieri residenti a Palermo, al 31 dicembre 2019 erano 25.075 pari al 3,8% della popolazione residente. Circa un terzo sono cristiani: Cattolici, ortodossi e di diverse denominazioni evangeliche e protestanti. Ancora oggi migliaia di esseri umani sono costretti a fuggire dalla loro patria, dai Paesi asiatici, africani e dell’America latina a causa di piccole e grandi guerre, a causa delle discriminazioni economiche e degli effetti devastanti del clima. Nel 2019 è stato registrato un numero record di 79,5 milioni di rifugiati, pari all'1% della popolazione mondiale, 10 milioni in più rispetto all'anno precedente. Tutti come Gesù Cristo, costretti a fuggire per vivere una vita migliore, sottolinea Migrantes Palermo: "interessarci dei migranti è interessarci di noi stessi perché viviamo tutti sulla medesima terra e siamo parte della medesima “famiglia umana”. La presenza dei migranti e dei rifugiati è "un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità senza contrapporre i migranti agli italiani. Non è in gioco solo la causa dei migranti; non è solo di loro che si tratta, ma di tutti noi, del presente e del futuro della famiglia umana. Anche attraverso i migranti il Signore ci invita a riscoprire e riappropriarci della nostra vita cristiana ed a contribuire, ciascuno secondo la propria vocazione, alla costruzione di un mondo sempre più rispondente al progetto di Dio. E’ quanto avviene nel cammino delle comunità cristiane: ghanesi, filippini, nigeriani, tamil, cingalesi, mauriziani, polacchi, etc. che in questo contesto sociale difficilissimo sono testimoni dei valori evangelici". Il 6 gennaio 2020 dalle ore 10,00 nella Cattedrale di Palermo, tutti i popoli sono invitati a manifestare la volontà di voler vivere in armonia nel medesimo territorio, accogliendo la Pace portata da Gesù. Alle ore 11,00 la celebrazione presieduta da mons. Corrado Lorefice, che "ancora una volta presenterà Gesù come il Dio-con-noi, come Colui che è sorgente di pace".

Oim e Centro Astalli: profughi nei boschi della Bosnia

29 Dicembre 2020 - Roma - Ci sono tremila persone nei boschi della Bosnia-Erzegovina, vagano all’aperto e esposti al freddo sotto zero. Sono migranti provenienti dalla cosiddetta 'rotta orientale' (su cui il quotidiano  Avvenire ha svolto numerosi reportage) e in attesa di trovare un varco per passare la frontiera con la Croazia e proseguire verso l’Europa occidentale. Si tratta di una «catastrofe umanitaria» secondo Peter van der Auverart, capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Bosnia. Un migliaio di profughi sono sfollati dal campo di Lipa, presso Bihac, devastato da un incendio appiccato nei giorni scorsi dagli stessi migranti dopo la notizia della chiusura della tendopoli per ristrutturazione. Anche il Centro Astalli dei gesuiti si unisce all’allarme «per le condizioni di estremo pericolo, indigenza e sofferenza» in cui versano «migliaia di persone in fuga da contesti di guerra e crisi umanitarie come Iraq, Siria e Turchia. È una situazione di violazione dei diritti umani. L’Europa deve farsi carico di attivare ora piani di ricollocamento in tutti gli Stati membri per portare in salvo migranti forzati che hanno diritto ad essere accolti e protetti. Non è possibile abbandonare degli esseri umani nella neve».

Medici malati e morti: le storie di quelli stranieri

29 Dicembre 2020 -

Milano - In prima linea ci sono anche loro. Dimenticati, trascurati, discriminati persino. E a volte contagiati, proprio come gli altri. «Sono un medico. Sono albanese, di Scutari. Mi sono laureata in medicina all’università italiana di Tirana, gemellata con Tor Vergata di Roma. Ma quando, dopo essere arrivata in Italia, sono andata ad iscrivermi all’Ordine dei medici, mi hanno detto che non potevo farlo perché non avevo il permesso di lavoro. Ho risposto: 'Certo che non ho un permesso di lavoro, senza l’iscrizione da voi, non posso esercitare'. Sono ricorsa al ministero della Salute. Ci sono voluti un po’ di tempo e un bel po’ di documenti, ma alla fine ho ottenuto parere favorevole alla mia iscrizione». Artes Memelli ha 28 anni, da agosto 2017 lavora da libera professionista nel mondo dell’emergenza veneta (oggi messo in ginocchio dalla seconda ondata di epidemia): Pronto soccorso e 118. «Amo il mio lavoro, mi sono preparata per farlo. Con il Covid l’impegno è moltiplicato, ma non mi sono mai tirata indietro. Però ho paura. Non solo d’essere contagiata. Ho paura perché sono sola e, se mi ammalo, come faccio con le spese? Non ho ferie, non ho malattia».

Ai medici stranieri che arrivano in Italia non basta il riconoscimento dell’equipollenza del titolo; per lavorare nella sanità pubblica serve la cittadinanza italiana. Così si arriva al paradosso che, da una parte, nella sanità pubblica il personale è sottodimensionato, mentre, dall’altra, la legge blocca nelle strutture private 22mila medici e 38mila infermieri, perché privi della cittadinanza italiana. Per fronteggiare la pandemia, il Decreto Cura Italia di marzo 2020, all’articolo 13 ha previsto la possibilità per i medici stranieri di lavorare nel pubblico, ma solo per questo tempo eccezionale. «Il rischio è che diventi una guerra fra poveri – spiega Foad Aodi, fondatore e presidente dell’Associazione medici di origine straniera (Amsi) –. Chi lavora nelle strutture private ha un trattamento economico inferiore. Poi ci sono i liberi professionisti a partita Iva, che quindi non godono dei benefici di un contratto. Sono colleghi qualificati, ma per la legge italiana sono di serie B».

«Il Covid è stato per noi un’occasione di riscatto. I medici stranieri sono stati e sono in prima linea nei pronto soccorso, molti si sono impegnati nella Protezione Civile o nella Croce Rossa»: la dottoressa Eugenia Voukadinova, 54 anni, di origini bulgare, è in Italia da 25 anni. Specializzata in dermatologia e venereologia, lavora per un’azienda francese convenzionata con il Servizio sanitario italiano, come medico di medicina fisica e riabilitazione. «Quando arrivai qui, mi riconobbero solo i primi esami. Praticamente ho dovuto prendere un’altra laurea in medicina, e studiare in un’altra lingua non è facile. Lavoravo di giorno e di notte stavo sui libri, in più crescevo mia figlia». Anche se da sei anni è cittadina italiana, ad Eugenia lavorare nel pubblico non interessa più, ma combatte «perché i muri cadano». E lei di muri se ne intende, visto che nel 1989, armata di piccone, fu una dei tanti giovani che a Sofia contribuirono a sfondare quel muro che dal 1961 imprigionava l’est Europa. «Quell’anno l’università si fermò. Tutti noi abbattemmo il nostro pezzo di muro. Qui faccio lo stesso, mi impegno ad abbattere tanti piccoli pezzi di muro perché i nuovi colleghi non abbiano più a patire discriminazioni». (Romina Gobbo – Avvenire)

Migrantes Caltanissetta: un video per essere vicini agli emigranti. Iniziativa di solidarietà per i migranti che vivono nel territorio

28 Dicembre 2020 - Caltanissetta - “Auguriamo un buon Natale ed un felice anno nuovo a tutti i migranti della diocesi di Caltanissetta che a causa della pandemia non sono potuti tornare nel loro paese di origine”. E’ l’augurio che ha voluto rivolgere ai migranti sparsi nel mondo la Migrantes diocesana  con un video . IL video si apre con un messaggio di speranza e di augurio  del vescovo, mons. Mario Russotto e con gli auguri e le immagini dai diversi paesi della diocesi.

L’Ufficio Migrantes di Caltanissetta non ha dimenticato, in questo Natale particolare, gli immigrati che vivono nel territorio diocesano, lontani dalla loro terra. A loro i volontari hanno portato doni natalizi nelle case di accoglienza Santa Barbara e San Giuseppe.

R.Iaria

Naufragio al largo della Tunisia: strage di donne, 4 erano incinte

26 Dicembre 2020 - Milano - Erano quasi tutte donne (un solo uomo) le 20 persone ritrovate morte al largo della costa della Tunisia a seguito del naufragio dell'imbarcazione a bordo della quale stavano tentando la traversata del Mediterraneo verso l'Italia. E quattro delle 19 donne erano incinte. Lo riferisce Mourad Torki, portavoce del tribunale della regione di Sfax, nel centro della Tunisia. Il naufragio è avvenuto giovedì. Le ricerche proseguono nel tentativo di trovare altre 13 persone che risultano disperse. Sempre secondo i dati forniti dal portavoce, quattro altri migranti sono stati salvati: uno resta sotto osservazione medica e un altro è fuggito dall'ospedale. L'imbarcazione, sovraccarica e in cattive condizioni - riferisce Avvenire - trasportava 37 persone di cui tre originarie della Tunisia e le altre dell'Africa sub-sahariana, ha riferito ancora il portavoce del tribunale regionale di Sfax. Le imbarcazioni della Guardia costiera tunisina e i sub della Marina, impegnati nelle ricerche, non hanno ritrovato ieri altri corpi né sopravvissuti. Nella zona ci sono forti venti e onde alte. I venti corpi sono stati recuperati da agenti della Guardia costiera e da pescatori locali, che li hanno portati a riva e trasferiti in sacchi bianchi in un vicino ospedale, dove sono state effettuate le autopsie. Le autorità tunisine fanno sapere che recentemente hanno intercettato diverse imbarcazioni cariche di migranti, e rilevano anche che il numero dei tentativi di partenza illegale è in crescita, in particolare tra la regione di Sfax e l'isola di Lampedusa. Le barche di migranti spesso partono dalle coste della Tunisia e dalla vicina Libia, con a bordo persone provenienti dal resto dell'Africa. Di recente a queste si è aggiunto anche un numero crescente di tunisini in fuga dalle difficoltà economiche che il Paese sta attraversando.

La mia parrocchia: famiglia di famiglie senza frontiere

26 Dicembre 2020 - Messina - Per questo tempo liturgico, Tempo di Natale, viene proposta una riflessione che ci inviti a guardare con occhi diversi e più vigili alla famiglia migrante, nucleo di uomini e donne costretti costantemente ad armonizzare il proprio mondo con quello del Paese che li ospita e li accoglie. Si tratta di una realtà in continua costruzione che, inevitabilmente, aiuta anche la nostra a non restare uguale a se stessa. Otto spunti da leggere, rileggere e meditare, per una narrazione altra, a tratti scomoda, che ci invita a guardare all’altro in maniera complessa e, per ciò stesso, mai banale. Il peso della responsabilità verso la famiglia di origine. Le persone che decidono di emigrare sono sempre portatrici di un progetto famigliare. Sentono su di sé la responsabilità di rispondere ai bisogni che hanno determinato la decisione di partire e alle attese che la loro partenza ha generato. Si sentono responsabili di un investimento affettivo e anche economico che la famiglia ha fatto su di loro, spesso indebitandosi fortemente. Attualmente, l’impossibilità di ottenere un visto sul passaporto e quindi di poter prendere un normale volo aereo, obbliga ad affrontare viaggi rischiosissimi, di cui spesso al paese di partenza non si è abbastanza consapevoli. Le prove che le persone migranti oggi devono affrontare operano una selezione già alla partenza: partono le persone meglio attrezzate per affrontarle e queste persone sentono sulle proprie spalle tutto il peso della responsabilità di cui sono caricate. Il migrante è un uomo di confine, in tensione fra due mondi.  La frontiera oltrepassata segna profondamente la sua vita: rimane come una ferita di demarcazione fra il “suo” mondo, ormai non più suo, ed il nuovo mondo, il mondo dell’“altro”, che non potrà mai essere veramente suo. Le persone migranti non partono perdenti: investono anzi molta energia nel proprio progetto di riuscita. Esse hanno da affrontare il difficile passaggio dello sradicamento.   Nonostante le pesanti penalizzazioni (dovute spesso alla nostra paura di far posto a un commensale non invitato) di solito realizzano un loro progetto.  A volte anzi accumulano conoscenze ed esperienze umane che portano ad un notevole allargamento degli orizzonti e delle capacità critiche. Nessuno parte per sempre, solitamente si pensa che nel giro di qualche anno si tornerà per migliorare la situazione a casa. E invece per nove persone su dieci il progetto deve cambiare e si deve adattare a una situazione economica e sociale molto diversa da quella sperata. Di qui la necessità di pensare a crearsi una famiglia qui o farsi raggiungere da coniuge e figli che sono rimasti al paese. Le dinamiche della famiglia immigrata sono particolari e aggiungono complessità alla comune vita delle famiglie. È normalmente all’interno delle mura domestiche che l’immigrato coltiva la sua identità di origine, ed è qui che misura la “distanza culturale” che lo separa dal mondo circostante. La famiglia è soprattutto il luogo della trasmissione dei saperi sociali, che vengono attinti molto spesso dalla religione e si basano sul rispetto dei genitori (e degli adulti in genere) e sul senso della comunità. Al paese questa funzione era supportata dall’intero contesto sociale.  Dentro casa il padre faceva rispettare certe regole, fuori casa i figli erano sorvegliati dal gruppo adulto e presi in carico dalla comunità. In emigrazione i genitori sono soli a portare il peso della tradizione e il ruolo della trasmissione della cultura viene spesso compresso fra le mura domestiche.  I modelli esterni incombono come una minaccia per la missione di cui i genitori si sentono investiti.  Come minimo essi tendono ad imporre ai figli la conoscenza e l’uso della lingua domestica, mentre questi la vivono con fastidio.  Il loro più grande smarrimento è costatare che i figli aspirano a essere come i loro coetanei del mondo di fuori.  Nello sforzo di “salvare i figli”, spesso è il richiamo religioso a diventare il simbolo della resistenza “Nell’incontro fra culture, infatti, la religione è l’ultimo baluardo ad arrendersi” (R. Bastide).  È così che molti immigrati, con l’arrivo dei figli, ricuperano un profondo attaccamento alla pratica religiosa prima trascurata. Paradossalmente il problema fondamentale per la famiglia immigrata è la “comunicazione”.  Il suo isolamento, conseguente ai processi di emarginazione, oltre che abitativo è psicologico. Quel che è valorizzato e desiderabile per i genitori è svalorizzato e disprezzato dai figli e viceversa.  Ciò implica non solo conflitto con i genitori, ma anche rottura con il loro sistema di valori. I traguardi divergono.  La scelta dei genitori è innescata su una educazione che li aveva resi adulti partecipi di una società locale, mentre i figli puntano all’affermazione psicologica di sé. I genitori, infatti, anche se emigrando hanno scelto la realizzazione personale, fanno sempre riferimento alla società dove sono stati educati come membri di un gruppo. Inoltre, questa contrapposizione viene aggravata dalla negatività dell’immagine dei genitori rimandata dal contesto locale. E i genitori reagiscono a questo deprezzamento cercando ancor più di tener fermi alcuni punti, per loro fondamentali, della propria cultura. Seduti tra due sedie. I giovani immigrati, soprattutto nella fase scolastica, vivono in due ambiti principali di socializzazione, che sono la scuola e la famiglia.  Sono di conseguenza contesi fra due appartenenze: quella dei genitori (e del gruppo etnico) e quella della scuola (e della società locale): Essi vivono perciò una tensione identitaria che li costringe a dibattersi in una ambivalenza difficilmente risolvibile, per la difficoltà di coniugare le due appartenenze senza disporre di uno spazio “neutro” o di contesti di sostegno per una elaborazione emotivamente più serena. La ricerca di identità corrisponde al bisogno di punti di riferimento stabili per sentirsi sicuri e provare benessere.  Infatti, il cercare di aumentare la propria stima di sé e la stima che si riceve dagli altri è una delle motivazioni fondamentali della vita psicologica e sociale di ciascuno. Sebbene ogni giovane straniero abbia un nome, un ruolo sociale, una precisa origine etnica o una famiglia attraverso cui possiamo identificarlo, viene visto solo come “immigrato”, cioè tramite un filtro stigmatizzante che evoca marginalità ed estraneità.  Mentre vorrebbe sentirsi qui come a casa sua, noi lo etichettiamo a vita come “straniero”: diverso e inferiore. Il vedere in lui anzitutto un immigrato, è un modo per sancirne l’esclusione.  Una tale identità egli non se la sente: la subisce come un ruolo che gli viene imposto.  Insomma, omologando gli stranieri fra loro, li segreghiamo. E noi? A volte sappiamo così poco di loro, che proviamo inquietudine nei loro confronti: una realtà confusa e poco conosciuta mette naturalmente apprensione.  Ma di solito simili pregiudizi cadono quando si instaurano dei rapporti individuali. Occorre dunque anzitutto far emergere dal fondale inquietante indistinto volti che diventino delle persone precise, da cui levare tutte le etichette ingombranti.  E poi scommettere su tutte quelle loro potenzialità che il pregiudizio ci impediva di vedere. Non si tratta di crogiolarsi in ingenui ottimismi o in paternalismi condiscendenti e deresponsabilizzanti.  La vita che i giovani immigrati hanno davanti è dura: non hanno perciò bisogno di alibi o di sentirsi solo ripetere quello che non possono fare, quel che non possono avere, quel che non possono essere.  Hanno bisogno che qualcuno gli dia l’opportunità di fare e di avere qualcosa, di essere finalmente qualcuno.   … alcune domande per lasciarci interpellare
  • La mia parrocchia conosce e trova il modo di avvicinare le persone straniere di fede cristiana che sono sul suo territorio?
  • Le famiglie straniere trovano momenti di vicinanza e accoglienza nella comunità parrocchiale, almeno per i momenti più importanti della nascita di un figlio o del dolore di una perdita?
  • Quando organizziamo eventi della comunità parrocchiale, pensiamo a invitare esplicitamente anche le persone e le famiglie straniere?
  • Le comunità di stranieri possono trovare spazi di incontro nei locali della mia parrocchia?

(Germano Gartatto, coordinatore del progetto educativo "Il viaggio della vita" promosso a Lampedusa dalla Fondazione Migrantes)

  La scheda completa per il Tempo di Natale,  con consigli per la riflessione e la preghiera, curato dall'Ufficio Migrantes di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela è pubblicata sul numero di Gennaio del mensile "MigrantiPress".