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Covid19 in Argentina: la testimonianza di Mariel Pitton Straface

21 Aprile 2020 -     Buenos Aires - Mi chiamo Mariel Ángeles Pitton Straface. Sono argentina e abito a Buenos Aires. Sono nipote di quattro migranti italiani di diverse regioni, da parte paterna (sua madre siciliana e suo padre friulano), e da parte materna ambedue calabresi di Corigliano Calabro. In Argentina ci sono, al momento in cui scriviamo, 2839 casi in totale, con 132 morti. Siamo in quarantena, chiusi a casa, dal 19 marzo. Possiamo uscire solo per andare in farmacia e al supermercato per fare un po' di spesa, vicino a casa nostra. Ci fanno entrare poche persone alla volta e distanti uno dall'altro. Tutti dobbiamo usare le mascherine. Per uscire con la macchina è necessario un giustificato permesso. Questa settimana hanno aperto alcune banche, però si può andare con appuntamento. Gli anziani, che hanno più di 70 anni, non possono uscire fuori. Devono chiedere un permesso, se vogliono fare le spese, andare al medico o fare qualche operazione in banca. Ogni settimana ci sono nuove disposizioni, più esigenti con le cure. E siamo attenti perché non sappiamo che cosa può succedere. Tra poco, inizierà l’inverno, e speriamo che questo non influisca. Comunque, stanno creando nuovi spazi per ospitare gli ammalati. Prima guardavamo la situazione da lontano, come avanzava il virus in Cina e Europa, ma dopo abbiamo iniziato a vivere le stesse cose qua. Eravamo informati di quello che succedeva specialmente in Italia, preoccupati per la nostra terra di origine. Conoscere quello che poteva succedere, ci ha fatto capire l’importanza di seguire le regole e rimanere a casa, prima di aver iniziato qua la quarantena. Abbiamo dovuto prenderci cura di noi stessi dal primo momento. Per fortuna, tutti i membri della mia famiglia possono rimanere a casa, e lavorare in smart-working: quindi nessuno deve uscire per lavoro. Siamo cinque persone, cerchiamo di uscire una volta alla settimana, ma anche proviamo di cercare le maniere di fare le spese online, ma i servizi non sempre funzionano. Siamo tutti molto preoccupati, perché non sappiamo che può succedere, stiamo cercando di vivere giorno per giorno senza progettare tanto. Ci stiamo abituando e adattando al a distanza, agli incontri virtuali tra amici e famiglie. Ci sono giorni dove c’è più panico, perché i mezzi di comunicazione mettono tanta paura. È importante informarsi, ma ci sono tantissimi fake news, che producono più incertezza, sofferenza e dolore. Ci sentiamo spesso con la nostra famiglia che abita a Corigliano Calabro tramite WhatsApp anche con videochiamate come abbiamo fatto a Pasqua. Sono stati loro chi ci hanno avvertito della situazione che stavano vivendo all’inizio di tutto. Ci hanno raccomandato di prestare attenzione e cura di noi, specialmente dei nostri genitori, mia nonna e zii. C’è stato un messaggio di mia cugina che mi ha colpito veramente. Lei ha iniziato la conversazione dicendo: “Mariel l'Italia è in ginocchio”. Lei sa quanto grande è la mia passione per il paese delle mie origini, e tutto quello che faccio ogni giorno per mantenerle vive e farle conoscere a Buenos Aires. In quel momento, non c’era preoccupazione qua in Argentina per il coronavirus, ma tutta la nostra famiglia era preoccupata per l’Italia. Noi eravamo informati con le notizie. Ma sentire le parole dei nostri familiari in Italia, ci ha fatto capire le dimensioni del problema. “Siamo chiusi in casa dal 2 marzo, non si può uscire e ci sono molti controlli della polizia. Possiamo uscire di casa solo per andare in farmacia e al supermercato per fare un po' di spesa e fanno entrare una persona alla volta e distanti uno dall'altro di 1 m. Quando esco sono con la mascherina e i guanti. Nel nostro paese ci sono persone positive al virus e per questo il sindaco ha fatto chiudere bar, negozi... Aperti solo farmacia e supermercati alimentari. Speriamo che tutto questo passi il più presto possibile e che tutti noi possiamo incominciare a vivere in libertà e sorridere”, questo ci raccontava nostra cugina.   Mariel Ángeles Pitton Straface

Produrre mascherine per le persone che ne hanno bisogno: l’impegno del sarto ivoriano Bakary Oularè

20 Aprile 2020 - Massa - “In un momento tanto critico, in cui il virus ci ha inchiodato tutti sulla stessa barca, la solidarietà non conosce confini di etnia e di fede”. Con queste parole si può riassumere l’idea che Bakary Oularè, giovane sarto ivoriano, ha lanciato sui social network: produrre mascherine per le persone che ne hanno bisogno! Ospite dell’Associazione Casa di Betania O.n.l.u.s di Carrara, Bakary non si è piegato sotto il peso della pandemia, ma ha preso in mano ago e filo ed ha deciso di mettere a disposizione degli altri i propri talenti. Un sentito ringraziamento per questo gesto di generosità giunge da Ivonne Tonarelli, direttrice dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli, che si è detta orgogliosa dal grande cuore del giovane ivoriano: “È bello constatare che, anche in un momento tanto travagliato, Bakary non abbia perso l’altruismo e la generosità che lo hanno sempre contraddistinto. Gli auguro di continuare su questa strada, perché sta andando nella direzione giusta!”. Nel numero di maggio della rivista Migranti-Press troverete tutti i dettagli della bellissima iniziativa di Oularè.

E.Guenzi

Coronavirus: il Comites di Hannover offre consulenza telefonica

20 Aprile 2020 - Hannover – “Tramite le tante richieste  delle ultime settimane che mi sono giunte a tutte le ore, ho notato che esistono, a causa della crisi del Coronavirus, tantissime insicurezze di come proseguire dopo il lock-down e quale diritti hanno anche i nostri connazionali residenti in Germania”. Così il presidente del Comites di Hannover, Giuseppe Scigliano annuncia che a partire dal 24 aprile ogni venerdì dalle 11.00 alle 13.00 i cittadini italiani residenti in Germania hanno la possibilità di porgere telefonicamente domande riguardanti i temi del diritto di lavoro, indennità per lavoro o orario ridotto, indennità di disoccupazione, prestazioni di Hartz IV, pagamento dell'affitto come anche domande riguardanti il diritto di famiglia.  A rispondere saranno l’avv. Elena Sanfilippo (membro del Com.IT.Es) e lo stesso Scigliano.

Dal ghetto alla prima linea

20 Aprile 2020 -

Foggia - Dai ghetti degli immigrati nel Foggiano alla prima linea del Covid-19, le Rsa del Nord, dove l’epidemia sta facendo strage. È la scelta del dottor Antonio Palieri, 64 anni, gastroenterologo e dirigente medico della Asl di Foggia. Lunedì 6 aprile è stato per l’ultima volta nel ghetto di “ Tre Titoli” a Cerignola a visitare i braccianti africani che vivono in casolari e baracche. Emarginati e sfruttati. Volontario tra gli immigrati, così come lo fa nei pellegrinaggi a Lourdes dell’Unitalsi. Mercoledì 8 è partito per la Liguria, medico volontario, in risposta al bando della Protezione civile. Fino all’ultimo non lo ha fatto sapere a nessuno. Discreto come sempre. «Faccio il medico, lo facevo giù e ora lo faccio qua. Lavorare qui è molto bello», è la sua semplice spiegazione, rispondendoci al telefono dal suo nuovo “fronte”. «Non faccio niente di speciale. È nella mia scelta di vita – aggiunge –. Il lavoro di medico l’ho sempre preso come una missione. Sarei voluto andare in Africa ma poi l’Africa è arrivata nella mia terra». Così da anni, con la Caritas diocesana di Cerignola-Ascoli Satriano, segue i braccianti dei ghetti assieme ad altri medici volontari. Tre volte a settimana, prima visitando in un container, dall’anno scorso a “Casa Bakhita”, la grande struttura realizzata dalla Diocesi a “ Tre Titoli”, della quale è il direttore. Si occupa di patologie legate alle condizioni di vita e lavorative. «Non arrivano malati in Italia, si ammalano qui – ci aveva spiegato in uno dei nostri incontri a “ Tre Titoli” –. D’inverno malattie respiratorie, d’estate muscolari e articolari. Per il lavoro piegati in due a raccogliere per dieci ore pomodori o asparagi, o a raccogliere in alto l’uva». Ma quando è stato fatto il bando per medici volontari non ci ha pensato due volte. «Mi è sembrato doveroso farlo. Ne ho parlato con la mia famiglia e ho avuto la loro autorizzazione. E ne ho parlato anche col vescovo, monsignor Luigi Renna. Ho fatto il tampone prima di partire, ed era negativo. Spero che lo sia anche al ritorno... ». Anche perchè è finito proprio nel cuore dell’epidemia. Ora è a Genova, assegnato alla Asl 3 e si deve occupare delle Rsa che ospitano anziani. «La situazioni negli ospedali è buona, nelle Rsa no. Sono le situazioni più preoccupanti. Le persone anziane dovevano essere cautelate prima, le strutture andavano chiuse. Perchè una volta che il virus entra fa una strage. Ora faremo i tamponi a tutti, ospiti e operatori». Drammi e inaspettati “miracoli”. Come un signore di 107 anni che «fortunatamente sta bene». E i ragazzi africani dei ghetti? Non sono rimasti soli. «Ho lasciato tutto sotto controllo. Le visite continuano come prima. Stiamo assicurando gli stessi servizi, che oggi sono ancor più necessari ». Fino ad ora non ci sono casi di contagio. «Sarebbe stato drammatico, ma per ora sta andando bene. Non credo sia una questione genetica. Forse perchè vivono molto isolati e tra di loro, con pochi contatti con l’esterno. In questo periodo ancora di più. L’agricoltura è ferma. Infatti lavorano meno, non li chiamano ». Una situazione che aggrava la condizione di emarginazione. Per questo, aggiunge non dimenticando il suo ruolo di “direttore”, «la Caritas è presente nei ghetti di Borgo Tre Titoli, Contrada Ragucci, Pozzo Terraneo, Contrada Ripalta e Borgo Tressanti. Sono circa settecento ragazzi immigrati che non sono stati abbandonati ». I volontari sono sempre in campo. Nei ghetti e “in prestito” anche su altri campi. Da dove il dottore ci lascia con una sola richiesta, la stessa che ha fatto prima di partire. «Pregate per me». (Antonio Maria Mira - Avvenire)

Lettera-appello della società civile: “tutelare la salute dei migranti costretti in insediamenti rurali informali”

18 Aprile 2020 - Roma - “Agire subito per tutelare la salute dei migranti costretti negli insediamenti rurali informali e nei ghetti”. È quanto chiesto in una lettera aperta – indirizzata al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio dei ministri, e ai ministri dell’Agricoltura, del Lavoro, dell’Interno, della Salute e del Sud – alcune associazioni, capeggiate da Flai Cgil, da enti e da privati cittadini. Tra i firmatari, vi sono Caritas, Fondazione Migrantes, Acli Terra nazionale, Fabio Ciconte, direttore di “Terra! – campagna #FilieraSporca”, don Luigi Ciotti, presidente nazionale di “Libera” e “Gruppo Abele”. “Esprimiamo profonda inquietudine e sentimenti di estrema preoccupazione per le migliaia di lavoratori stranieri che abitano nei tanti ghetti e accampamenti di fortuna sorti nel nostro Paese”, si legge nella lettera. “Molti di loro sono impiegati nel settore agricolo, più che mai indispensabile per la sicurezza alimentare della cittadinanza e la tenuta collettiva”. “Come è noto – evidenziano i firmatari – le condizioni dei braccianti che oggi raccolgono i prodotti destinati alle nostre tavole sono spesso inaccettabili” e “il rischio è che il Covid-19 arrivi in quegli aggregati, tramutandoli in focolai della pandemia, e motivo di fondata apprensione”. Secondo i firmatari, “i ragguardevoli provvedimenti assunti dal Governo per l’emergenza coronavirus non prendono in considerazione queste realtà”, e “non ci risulta da parte degli organi istituzionali alcun intervento specifico di prevenzione in questi contesti altamente a rischio”. Tale situazione viene definita “una allarmante discrasia che richiede correttivi istituzionali immediati in una cornice di monitoraggio preventivo nonché di presa in carico degli eventuali casi di Covid-19”. Secondo i firmatari, “i Prefetti, alla luce degli ulteriori poteri loro conferiti dal Dpcm del 9 marzo u.s., possono assumere autonomamente iniziative o adottare disposizioni volte alla messa in sicurezza dei migranti e richiedenti asilo presenti sul territorio, mediante l’allestimento e/o la requisizione di immobili a fini di sistemazione alloggiativa”. “Le risorse necessarie per gli eventuali interventi di rifacimento e adeguamento degli immobili requisiti – si suggerisce nella lettera – potrebbero essere attinte dalla dotazione del Piano triennale contro lo sfruttamento e il caporalato”. Nella lettera si pone all’attenzione che “molti stranieri si trovano oggi in condizioni di irregolarità acuite dai decreti sicurezza e non vanno in cerca di lavoro per timore di essere fermate ai posti di blocco”, e per questo “diventa fondamentale una regolarizzazione per far emergere chi è costretto a vivere e lavorare in condizioni di irregolarità”. “È necessario – concludono – rafforzare le misure di contrasto al lavoro nero e favorire l’assunzione di chi sta lavorando in maniera irregolare, applicando i contratti collettivi agricoli” attraverso “soluzioni strutturali che, soprattutto in condizioni di eccezionalità, non possono attendere”.

Mci Barcellona e le chiese domestiche

17 Aprile 2020 - Barcellona - E' ormai da quattro settimane che a Barcellona, come in tutta la Spagna si conduce una vita ritirata. Un lungo cammino di cui ancora non si vede la fine. Una vita in cui si è privati di molto, soprattutto della libertà di movimento, e in cui la tecnologia ed il virtuale sembrano prendere il sopravvento sulla vita reale. Anche la vita di fede ha dovuto adattarsi: adesso si prega guardando uno schermo e vivendo una esperienza che è normalità per chi ,malato, è sempre costretto in casa e non può condividere la pienezza di una celebrazione comunitaria. Eppure questa forma di pregare sta portando frutti preziosi. Abbiamo cominciato a pregare in famiglia. Si sono aperte tante chiese domestiche. Don Luigi Usubelli, cappellano della Comunità Cattolica Italiana  di Barcellona, celebra la Messa in diretta Facebook ogni domenica ed ha invitato a preparare delle piccole mense dove appoggiare il pane che, benedetto da un familiare al momento della comunione e poi distribuito, permette di vivere la comunione spirituale. Abbiamo chiesto di inviarci le foto di queste mense e scoperto con quanta cura sono preparate. Si vedono utilizzati i centrini della nonna, diverse bibbie, tante icone preziose i cui sguardi illuminano la mensa tanto quanto le candele. Si vedono ricordi di pellegrinaggi a Lourdes o lavoretti pasquali dei bambini. Quanto desiderio di bellezza per accogliere anche solo spiritualmente un Ospite così importante. La bellezza è anche nelle mense più semplici, essenziali, di chi magari è solo ma preparandole si sente vicino a tanti altri e più sereno Attorno a queste mense ci immaginiamo un iniziale imbarazzo per la mancanza di abitudine alla preghiera in famiglia; per quel qualcosa di nuovo che sta succedendo. Ci immaginiamo mamme felici, padri apparentemente distratti ma invece partecipi, qualche bambino seduto su un tappeto che forse prega meglio perché si sente più libero. E magari qualche adolescente che ha il broncio perchè non voleva partecipare ma che certo sente l’importanza del momento e si fa abbracciare al momento dello scambio della pace. Attorno a queste mense il virtuale si unisce al reale e lo impreziosisce. E’ una alleanza che crea vicinanza nella lontananza, di intensa spiritualità. Le parole di Gesù diventano realtà “dove sono due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Matteo 18; 20)

  Cristina Quaranta

 

Migrantes Alba in aiuto alle famiglie dello spettacolo viaggiante

17 Aprile 2020 - Alba - “Abbiamo cercato di rispondere come abbiamo potuto alle richiese che con sono giunte anche attraverso la consegna di prodotti alimentari a famiglie e operatori di un Luna Park fermi dopo il divieto di circolazione a causa del coronavirus”. E’ quanto dice don Paolo Rocca, direttore dell’Ufficio Migrantes di Alba. Specialmente nella zona del Casale Monferrato è stato molto attivo l’impegno della Migrantes mentre per richieste “giuntemi da Chieri e zona Villafranca, Moncalieri lodevole il contributo in alimenti da parte dell'Emporio solidale e Misericordie S.Chiara. Sono riconoscente per interventi che hanno impegnato per lunghi percorsi culminati anche presso campi Rom in zona Madonna di Campagna”. Vi è stato anche un coinvolgimento dell’Emporio solidale di Asti per i giostrai di Piazza d'Armi. Il mondo circense – dice il sacerdote - sta “soffrendo particolarmente”. Come Ufficio Migrantes il raccordo con i servizi sociali lo “riteniamo fondamentale ma altresì importante non interrompere il rapporto personale, veicolo straordinario anche per i percorsi di fede. Esiste una domanda di fede, ma è necessario venga alimentata da una corresponsabilità personale capace di andare oltre le parole, al cuore della vita della persone viaggianti”, conclude don Paolo.  

Peruviani in Italia: la testimonianza del coordinatore nazionale

17 Aprile 2020 - Lima - “Mantengo i contatti con molti peruviani in Italia, alcuni sono morti, a Milano, Piacenza, Bergamo, molti contagiati al nord; in Perù alcuni familiari mi hanno contattato per avere notizie dei loro cari e ho potuto riferire quello che mi è stato comunicato”. Lo racconta a www.migrantesonline.it il coordinatore dei peruviani in Italia, p. Emerson Campos Aguilar che si trova in Perù dall’inizio del mese e non è potuto rientrare in Italia. Anche nel paese sudamericano la situazione non è semplice: aumentano i contagiati e le morti. Ed è ancora più urgente per chi vive lontano dalle città. P. Emerson si trova dai genitori in una città dove non c’è ospedale: “ci sono dei medici ma non c’è un ospedale per questi casi, non ci sono i templi crematori, dobbiamo solo pregare Dio che abbia pietà di noi”, dice. Il sacerdote è preoccupato per il sistema sanitario “dove mi trovo, non abbiamo la capacità di rispondere a uno scenario che ci pone davanti alla sopravvivenza. Oltre alla richiesta di rimanere a casa, il governo deve garantire la protezione delle persone dal reddito delle famiglie, dalla fame, dalla crisi economica. In questa crisi questo è il problema centrale, come sostenere le famiglie che non hanno un lavoro, una assicurazione sanitaria, tanto meno un reddito giornaliero, e sono costretti a stare a casa. Come aiutare in caso di emergenza se non abbiamo specialisti, infettivologi, quando tutto è centralizzato nelle capitali? L'epidemia è arrivata in condizioni in cui la maggioranza della popolazione non ha un lavoro regolare, un'assicurazione sanitaria o uno stipendio sufficiente per vivere dignitosamente e questo in tutto il Sudamerica non solo in Perù”. Nel Paese è iniziata anche una migrazione interna; dalle città ai villaggi e ai piccoli centri di origine. “Il popolo peruviano che crede, che soffre e aspetta – dice il sacerdote - volge il suo sguardo al Signore dei Miracoli, implora Santa Rosa da Lima e San Martino de Porres”. E’ un momento che ci chide di “essere solidali gli uni con gli altri, prenderci cura di noi stessi e prenderci cura degli altri, gli altri siamo noi. O ci sentiamo umani, uguali nella stessa casa comune o affonderemo tutti. La nuova grammatica del Santo Padre Francesco ci ha indicato, è l'unica porta e l'unico porto di salvezza. Nessuno si salva da solo”.  

Cei: il comunicato finale del Consiglio Permanente

17 Aprile 2020 - Roma - “Abbiamo nel cuore i defunti, i malati, quanti si stanno spendendo per alleviare le sofferenze della gente (medici, operatori sanitari, sacerdoti…). Nello stesso tempo, guardiamo al dopo-emergenza, con uno sguardo di speranza e di prospettiva. Esprimiamo un pensiero di vicinanza al Cardinale Angelo De Donatis, vicario generale della diocesi di Roma, ancora convalescente a casa dopo il ricovero al Policlinico Gemelli in quanto positivo al coronavirus”. Con un messaggio di solidarietà, si sono aperti i lavori del Consiglio Episcopale Permanente svolto giovedì 16 aprile, in videoconferenza, sotto la guida del Cardinale Presidente, Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve. È una forma inusuale, hanno sottolineato i vescovi, ma necessaria e importante nel ritrovarsi per avviare una riflessione ampia su quanto e come l’emergenza vissuta inciderà sul Paese e sulla Chiesa. Come cambieranno le cose? Come saremo? Il futuro sarà scandito ancora da abitudini reiterate? Come sarà la coscienza personale e collettiva? Cosa ci chiede il Signore in questo tempo? Perché un Dio buono permette tutto ciò ai suoi figli? Nelle domande dei vescovi è emersa la necessità di una lettura spirituale e biblica di ciò che sta accadendo. La certezza è che la ripresa non sarà contraddistinta da ritmi e abitudini precedenti alla crisi. Senza dubbio, ci sarà una profonda cesura rispetto al passato, anche quello più recente. Per questo, sono necessari strumenti di riflessione per capire alla luce della fede quanto stiamo vivendo. Il Signore, infatti, ci sta facendo entrare nel mistero della Pasqua. Quello presente è un tempo di grande purificazione, un Kairos, che, nella ristrettezza, porta con sé delle opportunità. La costrizione contiene necessariamente anche qualche Grazia. Se è vero che nessuno sa come sarà il nuovo inizio, è altrettanto vero che si è in cammino. Una prima lezione, allora, riguarda la sobrietà, l’essenzialità, la semplificazione. Un’altra lezione chiama in causa l’essere Chiesa e la capacità progettuale, ossia quello sguardo che permette di andare oltre l’emergenza del tempo presente. E poi c’è la grande lezione sul valore della vita che include la malattia e la fragilità. La proposta è che questi temi vengano ripresi nelle Conferenze Episcopali Regionali, per poi poterli approfondire alla prossima sessione del Consiglio Permanente, in programma a settembre. Ciò consentirebbe di allargare l’orizzonte degli Orientamenti pastorali per il quinquennio 2020-2025, ancora in via di approvazione, all’attualità di queste settimane. Il tema della “gioia del Vangelo” al centro del Documento - è stato osservato - va posto in relazione a questo momento di sofferenza e di crisi. Lo sguardo al futuro Sofferenza e crisi segneranno gli anni a venire. Questa esperienza, impensabile e impensata, non è ancora conclusa e continua a preoccupare. È stato messo in discussione un modello di sviluppo che sembrava potesse dettare le regole di vita. La visione di un compimento raggiunto ha mostrato la sua vulnerabilità a causa di una malattia. E a farne le spese saranno nuovamente i più poveri. Per questo è importante liberare le energie positive per ripartire. “È con questo sguardo di fiducia, speranza e carità che intendiamo affrontare questa stagione”, hanno sottolineato i vescovi. A partire dalla solidarietà che non va snaturata dal suo fondamento cristiano, ovvero l’amore di Dio per i suoi figli, che spinge all’impegno verso gli altri, a prestare attenzione agli ultimi tra gli ultimi. L’esperienza della fede, in queste settimane, è stata riconosciuta come una forza morale con ricadute notevoli. È stata una molla per l’energia necessaria ad affrontare la vita e le sue situazioni difficili. La creatività, che ha animato le diverse iniziative spirituali e pastorali, è stata espressione di una nuova vicinanza, in cui la gente ha riconosciuto la vicinanza di Dio. Le parrocchie, i sacerdoti, i volontari sono stati segno eloquente di questa prossimità, che ha assunto il volto concreto della carità con la disponibilità delle strutture ecclesiali per la Protezione Civile, i medici e le persone in quarantena e con gli aiuti destinati dall’otto per mille, in modo particolare con quello straordinario di 200 milioni di euro cui si aggiungono i 22,5 milioni di euro stanziati in queste settimane. La Chiesa c’è, è presente ed è aperta a una riflessione su valori fondamentali quali la famiglia, l’educazione, la sobrietà, la comunità, la solidarietà. L’orizzonte deve essere il mondo post-coronavirus, non trascurando alcun piano di responsabilità, a partire dalla vita ecclesiale. In questo senso il Consiglio Permanente ha condiviso l’impegno della Segreteria Generale, nell’interlocuzione con le Istituzioni governative, per definire un percorso meno condizionato all’accesso e alle celebrazioni liturgiche per i fedeli, in vista anche della nuova fase che si aprirà dopo il 3 maggio. È fondamentale dare una risposta alle attese di tanta gente, anche come contributo alla coesione sociale nei diversi territori. Così come è importante non sottovalutare la preoccupazione circa la tenuta del sistema delle scuole paritarie. Se già ieri erano in difficoltà sul piano della sostenibilità economica, oggi - con le famiglie che hanno smesso di pagare le rette a fronte di un servizio chiuso dalle disposizioni conseguenti all’emergenza sanitaria - rischiano di non aver più la forza di riaprire. La ripresa passa anche dal piano educativo: ormai in prossimità dell’estate, è necessario dare indicazioni alle famiglie circa lo svolgimento dei campi estivi e dei Grest, opportunità di crescita per i ragazzi e di aiuto per i genitori impegnati con la possibile ripresa delle attività lavorative. Lo sguardo al futuro non può trascurare le conseguenze enormi che questa situazione sta recando alle famiglie dell’intero Paese, a quelle già in precarietà o al limite della sussistenza. Una carezza di consolazione Lo sguardo dei vescovi si fa gesto di tenerezza con una carezza di consolazione. Questa apre il cuore ed è capace di ridare speranza. “In questi giorni drammatici – hanno affermato – abbiamo portato nel cuore i defunti, i malati, i medici e gli operatori sanitari, gli anziani, i poveri, le famiglie e i sacerdoti. A tutti loro rivolgiamo la nostra carezza. Quante volte abbiamo avvertito questo gesto fatto con generosità da chi poteva concederla a chi ne aveva bisogno. Non possiamo dimenticare chi ha più sofferto e continua a soffrire”. La carezza, allora, è affetto pieno verso i malati, come sollievo e consolazione per le sofferenze patite; verso i medici e gli operatori sanitari, come gratitudine per la generosità nella cura e nell’assistenza alla persona; verso gli anziani, come invito a preservare la memoria viva del Paese, ma anche come dolore per quanti ci hanno lasciato e per quanti portano ferite non più rimarginabili; verso i poveri, come impegno a essere loro custodi, a non chiudere gli occhi davanti alle vecchie e nuove marginalità, perché l’accoglienza ha una rilevanza sociale; verso le famiglie, quale grazie per la capacità di tenuta complessiva, messe a dura prova da una vita insolita o da lutti dovuti al coronavirus o ad altre cause; verso i sacerdoti, come ringraziamento per il loro essere prossimi al popolo: tanti - più di 100 - hanno offerto la loro vita esprimendo ancora una volta il volto bello della Chiesa amica, che si prende cura del prossimo. La carezza, per tutti, è esortazione alla preghiera, vero antidoto a questo tempo. “L’ombra della morte – hanno detto i vescovi – sembrava estesa sul nostro Paese, ma non ha avuto l’ultima parola. Nel dolore estremo il tema della vita eterna è stato squarcio e svelamento della speranza nella Resurrezione”. Messa Crismale nel Tempo Pasquale Il Consiglio Permanente ha poi condiviso le indicazioni relative alla Messa Crismale, rinviata quest’anno a causa della pandemia. Il Decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti dello scorso 25 marzo ha dato facoltà alle Conferenze Episcopali di trasferire la celebrazione della Messa Crismale ad altra data. “Spero che potremo averla prima di Pentecoste, altrimenti dovremo rimandarla all’anno prossimo”, sono state le parole del Santo Padre durante la Santa Messa in Coena Domini. Il Consiglio Episcopale Permanente ha indicato, come orientamento unitario, che questa celebrazione avvenga, nelle forme possibili, nel Tempo Pasquale, che si concluderà domenica 30 maggio, Solennità di Pentecoste. Orientativamente entro l’ultima settimana. Nelle Diocesi in cui non si potrà procedere con questa celebrazione, verranno conservati gli olii sacri (infermi, catecumeni e crisma) dello scorso anno. Assemblea generale rinviata a novembre Il Consiglio Episcopale Permanente ha deciso di rinviare l’Assemblea Generale che era in programma dal 18 al 21 maggio prossimi: si terrà a Roma da lunedì 16 a giovedì 19 novembre 2020. Nel frattempo, restano in carica sia i Vice Presidenti dell’area Nord e dell’area Centro sia i Presidenti delle Commissioni Episcopali. Slitta, pertanto, al 31 agosto la data di consegna delle relazioni quinquennali. Entro quel termine verranno raccolte le indicazioni del nominativo proposto da ciascuna Conferenza Episcopale Regionale per la presidenza delle dodici Commissioni Episcopali, come pure eventuali segnalazioni circa l’elezione dei membri del Consiglio per gli Affari Economici. Comunicazioni Ripartizione fondi otto per mille. In merito alla ripartizione e all’assegnazione della somma relativa alla quota dell’otto per mille che i cittadini destinano alla Chiesa Cattolica, il Consiglio Permanente, tenuto conto della particolare urgenza della sua approvazione e della necessaria consultazione dei membri della CEI, prevede la condivisione della stessa per corrispondenza. Tale scelta nasce dalla necessità non procrastinabile di questo adempimento. Convenzioni “fidei donum”. I vescovi hanno approvato l’aggiornamento della modulistica riguardante le convenzioni per sacerdoti “fidei donum” e sacerdoti provenienti da altre nazioni in Italia. Entreranno in vigore dal prossimo 1 settembre. Nomine Nel corso dei lavori, il Consiglio Episcopale Permanente ha provveduto alle seguenti nomine:
  • Direttore dell’Ufficio Liturgico Nazionale (dal 1° settembre 2020): Don Mario Castellano della diocesi di Bari-Bitonto;
  • Responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica: Dott. Massimo Monzio Compagnoni;
  • Assistente ecclesiastico centrale del settore giovani dell’Azione Cattolica Italiana: Don Gianluca Zurra della diocesi di Alba.

Mci Lucerna in aiuto delle strutture sanitarie di Bergamo

17 Aprile 2020 - Lucerna – Hanno raccolto oltre 11mila franchi svizzeri per dare il loro contributo alle strutture sanitarie e alle famiglie in alcune fasi più delicate della cura dei malati. L’iniziativa è della Missione Cattolica Italiana di Lucerna, in Svizzera, guidata da don Mimmo Basile ed è andata a favore del progetto “Abitare la cura” promosso dalla diocesi di Bergamo, dal quotidiano “L’Eco di Bergamo” e dalla locale Confindustria. “Come italiani residenti all’estero anche se lontani dagli affetti familiari, sentiamo forte il legame con la nostra Terra e con la nostra Comunità di origine; e ci tengo a precisare che non abbiamo reagito sul fatto dell’emozione, ma ci siamo detti che come cristiani non potevamo rimanere indifferenti dinanzi alla tragedia che si consumava a casa nostra e che dovevamo assolutamente fare qualcosa per le nostre Comunità in Italia”, spiega a www.migrantesonline.it don Basile: “così come avevamo già fatto anche in altre circostanze e per altre situazioni di emergenza (terremoti, calamità naturali, progetti in Africa, in India, in America latina) ci siamo messi all’opera. Se siamo parte di una grande famiglia, che è la chiesa, che è il mondo intero, è un dovere collaborare e contribuire, anche se con poco o attraverso una piccola goccia”. L’idea è venuta proprio dalla Missione Cattolica Italiana che hanno espresso al sacerdote la volontà di “fare qualche cosa“ a favore delle Comunità del nord Italia colpite duramente dal Coronavirus, e così “abbiamo pensato da subito di raccogliere delle offerte per far fronte ai bisogni essenziali”. E dal momento che don Basile ha lanciato il progetto attraverso diverse chat di WatsApp, i fedeli della Missione Cattolica Italiana si sono immediatamente attivati ed hanno subito dato il proprio contribuito. “Così nel giro di una settimana circa siamo riusciti a inviare 11.500 franchi svizzeri al progetto”, spiega don Basile: “quando abbiamo appreso attraverso i media tutto ciò che stava succedendo in Lombardia e in particolare a Bergamo e nella sua provincia, il nostro pensiero è andato subito a Papa Giovanni XXIII” al quale è dedicato il Centro Pastorale della Missione Cattolica Italiana inaugurato nel 2011 e anche a tanti bergamaschi, sacerdoti e non, emigrati in Svizzera da lungo tempo, “pionieri dell’emigrazione italiana”. Durante questo tempo di emergenza a causa della pandemia, ci stiamo attivando anche noi, impegnandoci ad essere vicino alla nostra Comunità di Lingua Italiana e come dice Papa Francesco stiamo cercando di mettere in moto la “ creatività del cuore”. In questo tempo di emergenza a causa della pandemia, “ci stiamo attivando anche noi, impegnandoci ad essere vicino alla nostra Comunità di Lingua Italiana e come dice Papa Francesco stiamo cercando di mettere in moto la ‘creatività del cuore’”, spiega ancora il sacerdote di origine calabrese. Attraverso la pagina di Facebook della Mci vengono inviate in streaming tutte le celebrazioni eucaristiche mentre i collaboratori della Mci insieme al missionario stanno raggiungendo telefonicamente a casa molti dei parrocchiani soprattutto quelli che non dispongono di cellulari e non possono uscire di casa perché anziani, malati o con patologie a rischio.

Raffaele Iaria

Commissione Ue: riviste procedure per asilo, rimpatrio e reinsediamento migranti

17 Aprile 2020 - Bruxelles - Anche le norme dell’Ue in materia di asilo, le procedure di rimpatrio e il reinsediamento sono state ricalibrate dalla Commissione che oggi ha adottato degli “orientamenti” alla luce delle mutate condizioni legate alla pandemia di coronavirus. Il vicepresidente per la promozione del nostro stile di vita europeo, Margaritis Schinas, ha affermato che le indicazioni sono un supporto agli Stati membri per “utilizzare la flessibilità delle norme dell’Ue, al fine di garantire il più possibile la continuità delle procedure e nel contempo la protezione della salute e dei diritti delle persone”. Se è cambiato “drasticamente il nostro modo di vivere nelle ultime settimane, non lo devono fare i nostri valori e principi”. Gli orientamenti sono stati preparati con il sostegno dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) e dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) e in collaborazione con le autorità nazionali. Nella video-conferenza settimanale dei ministri degli Affari interni che si è svolta oggi, si è discusso anche degli ultimi aggiornamenti in materia di migrazione e gestione delle frontiere nel contesto dell’epidemia di coronavirus.

Giovani italiani all’estero: domenica videomessaggi ad un anno dall’incontri di Palermo

17 Aprile 2020 - Roma - Ad un anno esatto dal Seminario di Palermo, che ha riunito 115 ragazzi italiani provenienti da tutto il mondo per una tre giorni di confronto e progettualità, l’elenco delle opportunità nate da questa iniziativa voluta dal Cgie continua a crescere. Associazioni di giovani italiani sono nate ufficialmente in Belgio, Svizzera, in Australia e altre ne nasceranno nei prossimi mesi. La pagina Instagram @giovanitalianinelmondo continua a fare emergere le storie dei tanti giovani italiani che vivono e lavorano all’estero. Dall’ecoprogetto “Piantala!” alle più recenti raccolte di fondi e di competenze che dalla Francia a Bruxelles a New York hanno visto coinvolti i delegati nell’emergenza Covid, la prospettiva di una rete globale di giovani assume oggi un’importanza strategica ancora più essenziale per il nostro Paese. Prova ne è anche l’adesione di svariati delegati alla campagna #standuptogether, ideata da Your Italian Hub di Letizia Airos con Pasquale Diaferia, che li vede al fianco di personalità come John Turturro o Dacia Maraini, per lanciare un messaggio di speranza e di futuro.  Le collaborazioni intavolate con l’Espresso, Radio3, Rai Italia, testimoniano "un’attenzione che finalmente, oltre la retorica, si apre a possibilità concrete". Il collegamento ancora attuale con le Istituzioni siciliane è la prova che eventi come questi, se ben collegati al sistema istituzionale, portano frutti duraturi (come per esempio il protocollo d’intesa tra il CGIE e l’ERSU). E’ con questo spirito dinamico e concreto che “ci apprestiamo a celebrare questo primo anno”, evidenzia una nota. Sulla pagina www.facebook.com/seminario.palermo si susseguiranno videomessaggi dei ragazzi e delle persone che li hanno sostenuti (dal Segretario Generale Michele Schiavone al Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, da Luigi Maria Vignali ai consiglieri della Commissione VII del CGIE, presieduta da Maria Chiara Prodi).   Il gran finale è previsto su questa stessa pagina Facebook domenica alle ore 21, con la diffusione del documentario realizzato da Pierfrancesco Lidonni e Danny Biancardi durante quei tre giorni che hanno dato la parola sia alla nuova emigrazione, sia a esponenti delle seconde, terze e quarte generazioni.   Punto di forza del Seminario, infatti, è stato saldare le comunità dell’emigrazione tradizionale con la nuova emigrazione, rinnovando il ruolo delle rappresentanze istituzionali che, soprattutto in questi frangenti di emergenza, hanno potuto così intercettare le opportunità (di competenze, di capacità, economiche) realmente in campo.   A fronte del rinvio della Conferenza Stato Regioni Province Autonome CGIE e delle elezioni dei Comites e del CGIE, eventi nei quali la rete si era già impegnata attivamente, un questionario approfondito è stato lanciato per affrontare insieme nuovi obiettivi per gli anni a venire, a partire da una piattaforma che possa essere punto di riferimento per le informazioni ufficiali e per gli spunti utili per chi vuole restare legato al nostro paese mettendo a frutto anche le nuove radici nel paese di residenza.   La prospettiva dei delegati, ma chiaramente anche di chi li accompagna in questo percorso, è quella di “non lasciare cadere la preziosa eredità dell’emigrazione storica, ma di interpretare la missione di impegno e di servizio della nuova generazione: sappiamo che ce ne sarà bisogno per lo sviluppo culturale, economico e sociale del nostro Paese e del suo protagonismo nel mondo. E rispondiamo ‘presente’”.   Il cammino della rete dei giovani, che dall’aprile del 2019 si ritrova almeno una volta al mese per videoconferenza, proseguirà quindi con coraggio, facendo fronte a tutti gli imprevisti che la Storia ci sta mettendo di fronte, con l’energia, l’entusiasmo e la nuova idea di Italia che le nuove generazioni portano in dote.

Sr. Bipendu: il medico con il velo diventa un medico che deve testimoniare

16 Aprile 2020 - Roma - “Gesù è venuto nel mondo per salvare tutti noi, però per avere la salvezza ha sofferto molto. E poi è risolto e della sua resurrezione siamo salvi tutti”. Con queste parole piene di speranza suor Angel Bipendu, ha voluto chiudere l’intervista che verrà pubblicata su MigrantiPress di maggio. In questi giorni abbiamo già parlato di lei su www.migrantesonline.it per lo spiacevole episodio di cui la suora-medico congolese è stata ‘vittima’. Uno scherzo telefonico da parte di un collega, forse, che fingendosi papa Francesco ha voluto parlare con la religiosa per congratularsi del lavoro che sta svolgendo assieme ai suoi colleghi nel territorio bergamasco, uno tra i più colpiti dall’epidemia di Covid 19. Suor Angel fa parte delle equipe speciali denominate USCA che la Azienda della Tutela della Salute della provincia di Bergamo ha costituito attraverso la disponibilità dei medici e del personale sanitario per assistere i malati da Covid 19 a domicilio per dare un po’ di respiro agli ospedali e per evitare ulteriori contagi. La religiosa da due anni è medico del presidio di Guardia medica a Villa d’Almé e non ha esitato a dare la sua adesione quando le è stata fatta richiesta. La religiosa è abituata a stare in prima linea: nel 2016, un anno dopo che si era laureata in medicina e chirurgia a Palermo, è stata una volontaria del CISOM Corpo di Soccorso dell’Ordine di Malta, imbarcata per due anni sulle navi della Guardia Costiera nel Mediterraneo nel soccorso degli immigrati. E prima ancora era stata in Tanzania. Afferma: “il medico con il velo diventa un medico che deve testimoniare Cristo come persona con l’abito che indosso, e poi testimoniare Cristo con quello che faccio”.

Nicoletta Di Benedetto

   

Rieti: la pandemia vista dai rifugiati

16 Aprile 2020 - Rieti - Tra le attività che il coronavirus non può e non deve fermare ci sono quelle legate all’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo. Ed infatti è rimasto in funzione il Siproimi gestito a Rieti dalla Caritas diocesana. A livello territoriale, infatti, grazie al supporto delle realtà del terzo settore, gli enti locali riescono a garantire interventi di accoglienza integrata che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. A spiegare come la struttura sta funzionando in questi tempi difficili è Antonella Liorni, responsabile del servizio, dalla sua quarantena forzata dalla zona rossa di Contigliano. Normalmente le diverse attività si svolgono nei locali di via Sant’Agnese, ma in questo periodo sono ovviamente sospese tutte le azioni di orientamento che richiedono una presenza fisica o spostamenti da parte delle persone. Si procede dunque approfittando delle risorse telematiche: una modalità che sta a poco a poco diventando familiare anche ai più refrattari. E un po’ come i bambini e i ragazzi delle nostre scuole, anche i beneficiari del progetto di accoglienza e hanno velocemente preso confidenza con le lezioni a distanza, come quelle per imparare la lingua italiana. “Gli assistiti – dice Antonella – seguono le lezioni della nostra insegnante grazie a software come Skype e Zoom, e si fa lo stesso ogni volta che questa strategia riesce efficace”. Non ci sono infatti solo i corsi di lingua di cultura italiana. Spesso sono necessari percorsi di accoglienza ed educazione più complessi, che devono tener conto anche delle origini e della mentalità di chi arriva per facilitare il più possibile l’integrazione in fatto di costumi, approcci e stili di vita. Senza contare l’altra funzione del sistema di accoglienza, che è quello di fornire assistenza psicologica e umana dei beneficiari, persone che nella maggior parte dei casi hanno un vissuto assai problematico. E anche qui tornano utili le videochiamate: pur restando a distanza si ascoltano le storie e i bisogni, si curano le ferite dell’anima e a volte anche i dolori del corpo, perché resta garantita per tutti l’assistenza sanitaria. “Data la situazione, si svolge in teleconferenza anche l’attività dell’ufficio, compresa la settimanale riunione di coordinamento – aggiunge Antonella – e si cerca di supplire in ogni modo alle attività di sportello”. Perché per quanto flessibili, con gli strumenti della videochiamata non si può risolvere tutto. L’accoglienza dei migranti e il percorso di integrazione richiedono spesso attività semplici e pratiche, importanti anche se si tende a darle per scontate. Ma chi viene da un altro Paese, oltre all’ostacolo della lingua incontra molte altre difficoltà che attengono alla vita quotidiana: sottoscrivere un contratto di affitto o per la fornitura di un servizio, comprendere i propri diritti e doveri in un rapporto di lavoro, aprire un conto corrente in banca o alle poste, rinnovare il permesso di soggiorno o chiedere un ricongiungimento familiare. Nell’impossibilità di muoversi, si cerca rimediare a queste necessità con altri strumenti, soprattutto con il telefono. Facendo uno sforzo importante, perché a bussare alla porta non sono solo i beneficiari attuali, ma anche le persone uscite dal percorso di protezione che ancora non riescono a condurre una vita pienamente autonoma. Un universo complesso di uomini e donne che come tutti rispettano le indicazioni sanitarie per evitare di diffondere il contagio. “I primi tempi ci stupivamo quasi della cura con cui i nostri assistiti seguivano le indicazioni del Governo e anche della loro tranquillità di fronte a questo pericolo invisibile”, ci confida Liorni. “Il fatto è che in diversi Paesi di provenienza le epidemie non sono rare come dalle nostre parti” e dunque una qualche abitudine ad accettare le indicazioni di prevenzione può essere un dato acquisito. E poi, di fronte a certi vissuti drammatici e ai “viaggi della speranza” compiuti attraversando l’Africa per riuscire infine a sbarcare sulle coste italiane, starsene chiusi al sicuro, in casa, indossare qualche mascherina e prestare più attenzione del solito a quello che si fa non è poi così male.   Fonte Diocesi di Rieti  

Mons. Scicluna: “se affermiamo di avere un cuore di carne, non possiamo dimenticare i rifugiati nei centri sull’isola dove c’è il coronavirus”

15 Aprile 2020 - Roma - “La carità può davvero iniziare a casa. Ma la casa non è certo dove dovrebbe finire, specialmente per i cristiani, e la Pasqua è un periodo di riflessione e rinnovamento che invita ognuno di noi a porsi una domanda fondamentale: desideriamo avere un cuore di carne o un cuore di pietra?”: è un passaggio della riflessione apparsa oggi sul quotidiano “The times of Malta” a firma dell’arcivescovo Charles Scicluna. Dopo aver descritto il Covid-19 come “la nostra croce”, lo sconvolgimento che ha portato, le ferite che sta lasciando, il dolore anche personale dell’arcivescovo di aver dovuto “celebrare la Pasqua in una cappella praticamente vuota”, mons. Scicluna scrive che “se affermiamo di avere un cuore di carne, non possiamo dimenticare i rifugiati affollati nei centri a Malta, dove c’è un focolaio di coronavirus”. E ancora “se sosteniamo di avere un cuore di carne, non possiamo dimenticare gli altri esseri umani – tra cui dei bambini – che sono in difficoltà nel mare intorno a noi”. “Salvare vite non può mai essere considerato un’opzione”, continua il presule: “è un imperativo morale che non può essere negoziato e a cui non si può rinunciare. Se abbiamo un cuore di carne, dobbiamo riconoscere che anche i migranti colpiti sono i nostri fratelli e sorelle”. “La Chiesa continuerà a fare ciò che ha fatto per molti anni, offrendo le nostre risorse ai migranti in difficoltà”, afferma l’arcivescovo, che chiede all’Ue di “fare di più per sostenere le nazioni povere e i loro cittadini”.    

Suor Angela: medico congolese in prima linea per l’emergenza virus

14 Aprile 2020 - Roma - Ai lettori di www.migrantesonline.it e della rivista MigrantiPress non è nuovo il nome di suor Angela Bipendu, medico congolese della Congregazione Discepole del Redentore, da 16 anni in Italia, in servizio presso l’Ospedale di Zogno in provincia di Bergamo. Oggi la religiosa è in prima linea tra i malati di Covid 19: anche lei fa parte dei tanti medici che visitano i pazienti in casa in un territorio, come quello bergamasco, purtroppo come sappiamo, uno tra i più colpiti d’Italia da questa epidemia. Avevamo raccontando la sua storia di volontaria per due anni su una nave della Guardia Costiera italiana, impegnata nel Mediterraneo nel salvataggio di immigrati a rischio naufragio. Lei che non sa nuotare e ha paura dell’acqua non aveva esitato a raccogliere e mettere in pratica le parole di Papa Francesco quando rivolgendosi ai religiosi e alle religiose disse “Uscite andate altrove”. Fu un racconto toccante quello riportato dalla religiosa congolese che aveva assistito i tanti disperati che arrivano sulle nostre coste a bordo di mezzi di fortuna e hanno bisogno di aiuto, ma anche di essere rincuorati. Lo stesso aiuto e conforto che oggi cerca di trasmettere ai tanti malati che giorno e notte visita con gli altri colleghi dell’USca, le equipe mediche che si occupano dell’assistenza a domicilio dei pazienti positivi al Covid19 o con una sintomatologia influenzale sospetta. Anche il turno della dottoressa Angela può superare le 12 ore, ma a volte può proseguire di notte, quando presta servizio presso la Guardia Medica di Villa d’Almè, altro comune a pochi chilometri dal capoluogo orobico. Anche in questi casi suor Angela non si comporta solo da medico ma anche da religiosa perché oltre a misurare la febbre, accertarsi se il paziente ha bisogno di ossigeno, e tenere sotto controllo le altre patologie, non manca di dare una parola di conforto, di rassicurare le tante persone sole che incontra nelle sue visite. Visitando questi malati il pensiero di suor Angela non può non correre ai malati della sua Africa, pensando a quanto questa epidemia possa incidere negativamente in quel territorio in cui le strutture sanitarie non sono adeguate a poter fronteggiare una tale crisi. E proprio in uno dei turni di notte suor Angela è stato oggetto di uno scherzo ricevuto da un collega che fingendosi Papa Francesco si è fatto annunciare alla suora per congratularsi con lei e con tutto il personale per il lavoro che stanno svolgendo. La religiosa, anche se incredula e meravigliata per tanta attenzione, ha risposto al Santo Padre convinta che fosse proprio lui, il quale al termine l’ha invitata in Vaticano e le ha impartito anche la benedizione. Purtroppo solo ventiquattro ore dopo suor Angela Bipendu ha scoperto che si era trattato di uno scherzo, dopo aver condiviso quella gioia con i suoi colleghi e con la madre superiora.   Nicoletta Di Benedetto  

Cei: si intensifica l’impegno concreto delle diocesi

14 Aprile 2020 - Roma - Prosegue l’impegno delle diocesi italiane nel far fronte all’emergenza Covid-19 mettendo a disposizione strutture edilizie, proprie o altrui, destinate principalmente a tre categorie di soggetti: medici e infermieri, persone in quarantena, senza dimora. Ad oggi sono 33 - ma l’elenco è in continuo aggiornamento - le diocesi ad aver comunicato di aver messo a disposizione della Protezione civile e del Sistema sanitario nazionale 46 strutture per oltre 1.200 posti. Sono poi 23 le diocesi ad aver fatto sapere di aver impegnato oltre 28 strutture per più di 500 posti nell’accoglienza di persone in quarantena e/o dimesse dagli ospedali. Infine 27 diocesi hanno informato di aver messo a disposizione più di 32 strutture per oltre 600 posti per l’accoglienza di persone senza dimora.  

Coronavirus in Francia: una testimonianza da Parigi

12 Aprile 2020 - Parigi - Mi chiamo Mario, ho 36 anni, tarantino di origine e parigino di adozione da 9 anni. Ho conosciuto per caso la Missione Cattolica Italiana di Parigi dieci giorni dopo il mio arrivo in Francia ed è stato in quel momento che questa città, inizialmente ostile, ha smesso di farmi paura. Bellissima coincidenza, quel giorno Parigi si era vestita di un bel sole! Da allora partecipo, più o meno assiduamente, alle attività della comunità italiana. Qualcuno ha battezzato la Missione Cattolica Italiana di Parigi “la mia casa lontano da casa” e io non posso che essere d’accordo: le messe domenicali, le attività infrasettimanali, i rapporti umani che mi è stato permesso costruire con le persone che ho conosciuto in Missione rendono più dolce e più sopportabile la distanza dalla mia famiglia rimasta in Italia; tutto questo, beninteso, insieme alla grande fortuna di vivere la mia fede nella mia lingua e con tante persone in una grande comunione di intenti. Questa mia esperienza, pur personale, è condivisa da molti altri parrocchiani, ma personalmente, l’arrivo del Coronavirus l’ho vissuto con qualche timore, riguardo alla continuità delle attività. Le misure previste per arginare i rischi legati al Covid-19 hanno avuto un impatto, seppur soltanto organizzativo e logistico, sulle iniziative promosse dalla MCI: fortunatamente, i padri e gli animatori sono ricorsi alla tecnologia, cosicché ogni domenica mattina e per ben due venerdì abbiamo potuto partecipare alle messe settimanali, a un incontro di preghiera comunitaria e alla Via Crucis, tutti trasmessi in streaming sulla pagina Facebook o sul sito ufficiale della MCI. Quest’ultima ha potuto comunque svolgersi secondo le modalità previste: ognuno di noi ha potuto proporre un pensiero, una preghiera, una riflessione per ciascuna stazione, che sono stati poi letti dai sacerdoti nella loro abitazione, dove si è svolta la funzione. Per ovviare alla staticità forzata, sono stati proiettati dei dipinti ad acquerello, ognuno dei quali ritraeva o evocava una tappa della Via Crucis. Per aiutare la meditazione durante queste celebrazioni, molti fedeli hanno condiviso sussidi e libri di preghiere. Nonostante il carattere insolito di questa nuova organizzazione, il grande vantaggio che presenta risiede nel fatto che ognuno di noi può assistere alle celebrazioni da casa, aggirando le difficoltà di spostamento tipiche di una metropoli. Data l’impossibilità di avere dei rami d’ulivo quest’anno, abbiamo potuto, grazie ad un tutorial, fabbricare dei rami fatti in casa, che sono stati benedetti poi durante la messa delle Palme. Inoltre, da qualche anno, la comunità italiana partecipa all’iniziativa “Hiver Solidaire”, con la quale la parrocchia di Saint Bernard La Chapelle, anch’essa animata dai missionari di San Carlo, offre posti-letto, pasti caldi oltre che una sistemazione duratura, ad un gruppo di 7/8 immigrati ogni anno. Nell’ambito di questa proposta, i volontari preparano ogni sera la cena e trascorrono del tempo con gli ospiti di questo rifugio. A causa della quarantena, tuttavia, non essendo più possibile andare a Saint Bernard, i volontari e chiunque lo desideri, possono dare il loro contributo comprando generi alimentari da consegnare poi agli organizzatori di Hiver Solidaire. Anche i catechisti si sono mobilitati per dare continuità agli incontri, ritrovando via streaming i bambini e i ragazzi una volta alla settimana. Tuttavia, nonostante le difficoltà e la relativa, effimera tristezza che comporta, questa situazione singolare, insieme alle soluzioni trovate con tempestività ed entusiasmo, riassume con grande efficacia un pensiero destinato ai fedeli della parrocchia italiana: “non c’è nessun fedele in chiesa, ma c’è Chiesa in ogni fedele” e “la Chiesa è una madre combattiva e il suo Sposo agisce nei suoi figli dall’interno”.

Mario Stasi

Emergenza circhi nel periodo della pandemia

11 Aprile 2020 - Roma - Da nord a sud dell’Italia grande solidarietà anche per il ‘popolo’ circense e per gli animali dei circhi. Con il look down che l’epidemia ha imposto a tutto il Paese con le norme anticontagio, da seguire scrupolosamente per evitare l’assemblaggio di persone, tanti sono i circhi e i giostrai rimasti bloccati in varie città e località italiane come abbiamo raccontato su www.migrantesonline.it nei giorni scorsi. Ma, come sempre succede nei momenti di emergenza, la generosità umana è grande e si mostra in tutti i suoi aspetti. Qui citiamo alcune di queste iniziative, riportate sulla stmpa locale e rimandiamo al nostro sito per il resto. A Ancona il Circo di Maya Orfei non è stato lasciato solo a provvedere alle necessità quotidiane in aiuto è arrivata la Protezione Civile, i volontari del Corpo Nazionale Guardiafuochi che si occupano della prevenzione degli incendi e diverse associazioni di volontariato. La sera del 4 aprile, grazie al passaparola, gli addetti del circo hanno ricevuto 350 pezzi di pizza sfornati dalla pizzeria “Tofee”, che si trova nei pressi dove il circo si è accampato. Per l’occasione i proprietari non hanno esitato a riaprire appositamente la cucina. Invece alcuni supermercati hanno offerto verdure, frutta e scarti di carne per gli animali, e addirittura qualcuno ha regalato anche del fieno. Anche il Circo di Romina Orfei che staziona da un mese a Sa Nicola La strada, in provincia di Caserta, è aiutato attraverso la Protezione civile da alcune associazioni di volontariato e dagli amanti degli animali. Le collette messe in atto stanno facendo arrivare agli addetti i beni di prima necessità. Di contro il Circo ha voluto ringraziare organizzando uno spettacolo via facebook per il 13 aprile alle ore 17. Giocolieri, domatori, clown, trapezisti allieteranno per un’ora tutti stando comodamente sul divano di casa, ma soprattutto hanno pensato a far passare un’oretta diversa ai bambini che in questo periodo sono costretti a stare in casa. Il piccolo circo Grioni è fermo a Bussolengo da diverse settimane, gli addetti circa 15 persone, per ricambiare dell’ospitalità ricevuta che sta alleviando giornate molto critiche, in questo momento che non si possono esibire, hanno deciso di mettersi a disposizione dell’amministrazione per tagliare l’erba vicino ai muretti delle abitazioni che si trovano vicino l’area occupata dal tendone lo ha riferito il responsabile Marco Grioni e lo riporta l’Arena di Verona di oggi (11 aprile). Stessa situazione per il Circo Arbell di Mario Orfei che è rimasto fermo a Milano a piazzale Cuoco, la tournée li avrebbe poi dovuti spostare ad Asti. Il direttore Manuel Niemen in una  intervista rilasciata al Corriere della Sera il 6 aprile, parla di una situazione molto critica. Tra addetti e animali oramai vanno avanti solo con il sostegno del Comune di Milano tramite “Milano Aiuta”, la Protezione Civile, la Croce Rossa, e altre associazioni di volontariato. “A provvedere all’alimentazione degli animali – dice - ci pensa la ASL che ogni giorno procura trenta chili di carne tra rossa e pollo, per sfamare le tigri e la leonessa, grazie alle donazioni che arrivano da commercianti e supermercati”. Si augura di tornare presto in scena, ringrazia tutti per la solidarietà e lancia un ulteriore appello “se qualcuno vuole aiutarci noi siamo”. E scendendo ancora più giù si arriva a Ortelle in provincia di Lecce, stessa sorte per il circo di Amedeo e Lino Orfei, sono qui bloccati da oltre un mese. Per andare incontro alle difficoltà che il circo sta affrontando, 30 artisti e 50 animali, si è mobilitato tutto il paese. Il sindaco ha sposato la causa e così ha aperto una raccolta fondi con un apposito numero di conto corrente. Ma anche qui sta intervenendo la diocesi di Otranto  e la buona volontà di tutti, grandi e piccoli. Molti i bambini che si stanno adoperando per sfamare gli animali regalando croccantini e le scatolette che si danno ai cani e ai gatti. Stessa storia anche per i giostrai, Fabio De Bianchi che con i suoi tre figli e le rispettive famiglie è fermo a Zanica, in provincia di Bergamo dal 24 febbraio ha tenuto le attrezzature montate fino all’8 marzo nella speranza di poter riprendere presto. Nel periodo che va da marzo a novembre partecipano a circa venti fiere all’anno e i mesi di dicembre e gennaio vengono dedicati alla manutenzione. “…siamo in grande difficoltà. Siamo 11 persone”. Ha raccontato oggi sull’Eco di Bergamo (11 aprile) .”Per fortuna c’è la Caritas e la Migrantes  che ci aiutano, ma la nostra categoria non ha cassa integrazione, io ho la partita Iva”. Anche loro come tanti di altre categorie sperano nei buoni spesa messi attraverso le Amministrazioni Comunali.

Nicoletta Di Benedetto

La Sardegna piange Nabeel Kahir, medico e attivista italo-palestinese

11 Aprile 2020 -     Cagliari - Medico italo-palestinese, conosciuto in tutta la Sardegna per la sua attività nella Barbagia e le sue doti umane e professionali, Nabeel Kahir aveva recentemente assunto l’incarico di medico di base a Tonara (Nuoro) e per essere stato una storica guardia medica di Aritzo. Noto per il suo impegno a sostegno del popolo palestinese, ricopriva da alcuni anni l’incarico di vice-presidente della Comunità Palestinese in Europa. È morto all’età di sessantatré anni, dopo aver contratto come tanti operatori sanitari il covid-19. Si tratta del primo medico deceduto in Sardegna a causa del Coronavirus. Nabeel Kahir non era solo uno stimato medico. Laureatosi in medicina a Cagliari più di quaranta anni fa, è stato per decenni una delle anime dei movimenti in Sardegna per la comunità palestinese di cui era fra i promotori e animatori. Il medico palestinese, durante tutta la sua permanenza in Italia, Paese di cui era diventato cittadino e dove aveva costruito vita e carriera, non si è mai dimenticato del suo popolo e dei suoi problemi. Nelle manifestazioni di piazza, per sensibilizzare i sardi sulla questione palestinese, è sempre stato in prima linea, alle tante manifestazioni per la pace in Medio Oriente, per il diritto del popolo palestinese a vivere in un proprio Stato. Attivo in incontri e convegni locali e internazionali, è ricordato per la sua missione organizzata nel 2004 in Palestina frutto di un accordo di cooperazione tra le città di Monserrato (Cagliari) e di Quabatia con il dono di un ambulanza attrezzata all’amministrazione locale. Sui social network sono tantissimi i messaggi di condoglianze nei suoi confronti da parte di colleghi medici, compagni di lotta, intellettuali, politici e associazioni che ne hanno apprezzato l’operato professionale, l’impegno politico e le qualità umane. L’ennesimo tragico lutto che colpisce la terra sarda per effetto del Coronavirus. Decine i messaggi da parte dei suoi pazienti di Tonara e dei comuni limitrofi che si erano affezionati a lui. Non restano che lumini nelle case e preghiere musulmane per l’ultimo saluto al medico sardo. Se ne è andato il dottor Kahir in prossimità della Pasqua, festa di resurrezione e di pace. La comunità riserva un commovente abbraccio alla sua figura e continuerà a battersi per la causa palestinese anche in suo nome, con quell’impegno civile e democratico di cui il medico è stato per tanti anni un magnifico esempio. Il direttore dell’ufficio della Migrantes di Cagliari, Padre Stefano Messina, lo ricorda come un uomo di grande spessore culturale e di sensibilità umanitaria e per le confidenze di due grandi dolori che portava da sempre con sé: il desiderio di aiutare il popolo palestinese e il triste ricordo per aver perduto nel 2014 prematuramente la figlia ventisettenne, Jasmine, ritrovata morta a causa di una intossicazione da monossido causata da una stufa difettosa in Giordania, dove si era recata mossa dal desiderio di aiutare in un campo profughi. (Fabio Cruccu, collaboratore ufficio Migrantes Cagliari)