Tag: Mobilità umana e migrazioni

La mia parrocchia: famiglia di famiglie senza frontiere

26 Dicembre 2020 - Messina - Per questo tempo liturgico, Tempo di Natale, viene proposta una riflessione che ci inviti a guardare con occhi diversi e più vigili alla famiglia migrante, nucleo di uomini e donne costretti costantemente ad armonizzare il proprio mondo con quello del Paese che li ospita e li accoglie. Si tratta di una realtà in continua costruzione che, inevitabilmente, aiuta anche la nostra a non restare uguale a se stessa. Otto spunti da leggere, rileggere e meditare, per una narrazione altra, a tratti scomoda, che ci invita a guardare all’altro in maniera complessa e, per ciò stesso, mai banale. Il peso della responsabilità verso la famiglia di origine. Le persone che decidono di emigrare sono sempre portatrici di un progetto famigliare. Sentono su di sé la responsabilità di rispondere ai bisogni che hanno determinato la decisione di partire e alle attese che la loro partenza ha generato. Si sentono responsabili di un investimento affettivo e anche economico che la famiglia ha fatto su di loro, spesso indebitandosi fortemente. Attualmente, l’impossibilità di ottenere un visto sul passaporto e quindi di poter prendere un normale volo aereo, obbliga ad affrontare viaggi rischiosissimi, di cui spesso al paese di partenza non si è abbastanza consapevoli. Le prove che le persone migranti oggi devono affrontare operano una selezione già alla partenza: partono le persone meglio attrezzate per affrontarle e queste persone sentono sulle proprie spalle tutto il peso della responsabilità di cui sono caricate. Il migrante è un uomo di confine, in tensione fra due mondi.  La frontiera oltrepassata segna profondamente la sua vita: rimane come una ferita di demarcazione fra il “suo” mondo, ormai non più suo, ed il nuovo mondo, il mondo dell’“altro”, che non potrà mai essere veramente suo. Le persone migranti non partono perdenti: investono anzi molta energia nel proprio progetto di riuscita. Esse hanno da affrontare il difficile passaggio dello sradicamento.   Nonostante le pesanti penalizzazioni (dovute spesso alla nostra paura di far posto a un commensale non invitato) di solito realizzano un loro progetto.  A volte anzi accumulano conoscenze ed esperienze umane che portano ad un notevole allargamento degli orizzonti e delle capacità critiche. Nessuno parte per sempre, solitamente si pensa che nel giro di qualche anno si tornerà per migliorare la situazione a casa. E invece per nove persone su dieci il progetto deve cambiare e si deve adattare a una situazione economica e sociale molto diversa da quella sperata. Di qui la necessità di pensare a crearsi una famiglia qui o farsi raggiungere da coniuge e figli che sono rimasti al paese. Le dinamiche della famiglia immigrata sono particolari e aggiungono complessità alla comune vita delle famiglie. È normalmente all’interno delle mura domestiche che l’immigrato coltiva la sua identità di origine, ed è qui che misura la “distanza culturale” che lo separa dal mondo circostante. La famiglia è soprattutto il luogo della trasmissione dei saperi sociali, che vengono attinti molto spesso dalla religione e si basano sul rispetto dei genitori (e degli adulti in genere) e sul senso della comunità. Al paese questa funzione era supportata dall’intero contesto sociale.  Dentro casa il padre faceva rispettare certe regole, fuori casa i figli erano sorvegliati dal gruppo adulto e presi in carico dalla comunità. In emigrazione i genitori sono soli a portare il peso della tradizione e il ruolo della trasmissione della cultura viene spesso compresso fra le mura domestiche.  I modelli esterni incombono come una minaccia per la missione di cui i genitori si sentono investiti.  Come minimo essi tendono ad imporre ai figli la conoscenza e l’uso della lingua domestica, mentre questi la vivono con fastidio.  Il loro più grande smarrimento è costatare che i figli aspirano a essere come i loro coetanei del mondo di fuori.  Nello sforzo di “salvare i figli”, spesso è il richiamo religioso a diventare il simbolo della resistenza “Nell’incontro fra culture, infatti, la religione è l’ultimo baluardo ad arrendersi” (R. Bastide).  È così che molti immigrati, con l’arrivo dei figli, ricuperano un profondo attaccamento alla pratica religiosa prima trascurata. Paradossalmente il problema fondamentale per la famiglia immigrata è la “comunicazione”.  Il suo isolamento, conseguente ai processi di emarginazione, oltre che abitativo è psicologico. Quel che è valorizzato e desiderabile per i genitori è svalorizzato e disprezzato dai figli e viceversa.  Ciò implica non solo conflitto con i genitori, ma anche rottura con il loro sistema di valori. I traguardi divergono.  La scelta dei genitori è innescata su una educazione che li aveva resi adulti partecipi di una società locale, mentre i figli puntano all’affermazione psicologica di sé. I genitori, infatti, anche se emigrando hanno scelto la realizzazione personale, fanno sempre riferimento alla società dove sono stati educati come membri di un gruppo. Inoltre, questa contrapposizione viene aggravata dalla negatività dell’immagine dei genitori rimandata dal contesto locale. E i genitori reagiscono a questo deprezzamento cercando ancor più di tener fermi alcuni punti, per loro fondamentali, della propria cultura. Seduti tra due sedie. I giovani immigrati, soprattutto nella fase scolastica, vivono in due ambiti principali di socializzazione, che sono la scuola e la famiglia.  Sono di conseguenza contesi fra due appartenenze: quella dei genitori (e del gruppo etnico) e quella della scuola (e della società locale): Essi vivono perciò una tensione identitaria che li costringe a dibattersi in una ambivalenza difficilmente risolvibile, per la difficoltà di coniugare le due appartenenze senza disporre di uno spazio “neutro” o di contesti di sostegno per una elaborazione emotivamente più serena. La ricerca di identità corrisponde al bisogno di punti di riferimento stabili per sentirsi sicuri e provare benessere.  Infatti, il cercare di aumentare la propria stima di sé e la stima che si riceve dagli altri è una delle motivazioni fondamentali della vita psicologica e sociale di ciascuno. Sebbene ogni giovane straniero abbia un nome, un ruolo sociale, una precisa origine etnica o una famiglia attraverso cui possiamo identificarlo, viene visto solo come “immigrato”, cioè tramite un filtro stigmatizzante che evoca marginalità ed estraneità.  Mentre vorrebbe sentirsi qui come a casa sua, noi lo etichettiamo a vita come “straniero”: diverso e inferiore. Il vedere in lui anzitutto un immigrato, è un modo per sancirne l’esclusione.  Una tale identità egli non se la sente: la subisce come un ruolo che gli viene imposto.  Insomma, omologando gli stranieri fra loro, li segreghiamo. E noi? A volte sappiamo così poco di loro, che proviamo inquietudine nei loro confronti: una realtà confusa e poco conosciuta mette naturalmente apprensione.  Ma di solito simili pregiudizi cadono quando si instaurano dei rapporti individuali. Occorre dunque anzitutto far emergere dal fondale inquietante indistinto volti che diventino delle persone precise, da cui levare tutte le etichette ingombranti.  E poi scommettere su tutte quelle loro potenzialità che il pregiudizio ci impediva di vedere. Non si tratta di crogiolarsi in ingenui ottimismi o in paternalismi condiscendenti e deresponsabilizzanti.  La vita che i giovani immigrati hanno davanti è dura: non hanno perciò bisogno di alibi o di sentirsi solo ripetere quello che non possono fare, quel che non possono avere, quel che non possono essere.  Hanno bisogno che qualcuno gli dia l’opportunità di fare e di avere qualcosa, di essere finalmente qualcuno.   … alcune domande per lasciarci interpellare
  • La mia parrocchia conosce e trova il modo di avvicinare le persone straniere di fede cristiana che sono sul suo territorio?
  • Le famiglie straniere trovano momenti di vicinanza e accoglienza nella comunità parrocchiale, almeno per i momenti più importanti della nascita di un figlio o del dolore di una perdita?
  • Quando organizziamo eventi della comunità parrocchiale, pensiamo a invitare esplicitamente anche le persone e le famiglie straniere?
  • Le comunità di stranieri possono trovare spazi di incontro nei locali della mia parrocchia?

(Germano Gartatto, coordinatore del progetto educativo "Il viaggio della vita" promosso a Lampedusa dalla Fondazione Migrantes)

  La scheda completa per il Tempo di Natale,  con consigli per la riflessione e la preghiera, curato dall'Ufficio Migrantes di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela è pubblicata sul numero di Gennaio del mensile "MigrantiPress".  

Buon Natale!

24 Dicembre 2020 - Siamo ormai arrivati alle “porte” del Santo Natale. Viviamo oggi il culmine del tempo dell’attesa che ci fa dirigere verso il luogo dove Gesù è voluto nascere “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Luca 2, 7): una grotta, fredda ma “ricca di calore”, quello dell’amore di Maria e Giuseppe per il Bambino e quello portato dai pastori, pronti ad accogliere Colui che nasce per noi e ad annunciarlo al mondo. Nessuno deve restare escluso da questo annuncio. Questo monito rimane valido anche oggi, soprattutto in questo tempo di pandemia in cui poveri ed indifesi rischiano più del solito di rimanere ai margini. Per questo papa Francesco ha fatto sentire in maniera forte la sua voce, invitandoci a non rimanere indifferenti verso le angosce e le sofferenze di tanti uomini, donne e bambini che vivono la loro vita nella difficile condizione di migranti. Il Papa ci esorta ad essere attenti agli ultimi senza farci troppe domande, e ad opporci con decisione a quella “cultura dello scarto” che spesso prevale nel nostro mondo. “La pandemia sembra aver sospeso ogni ambito della vita, ma il Salvatore continua a nascere per noi e in noi: Dio non ci lascia da soli”, scrive oggi il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, aggiungendo che la Natività “c’interpella profondamente. Ci rimanda all’essenzialità dell’esistenza, a ciò che dà senso alla quotidianità, alla bellezza della vita familiare, alla qualità delle relazioni, alla capacità di accogliere Cristo nel nostro cuore”. Nel corso del 2020 molte persone sono “state visitate da sorella morte, altre sono rimaste sole, altre ancora hanno perso il lavoro e vivono in una condizione di grande precarietà. Questa sofferenza innocente c’interroga e ci aiuta a meditare sul dono della vita”. Un dono da salvaguardare sempre. Allora, continuiamo a guardare con premura alle vicende complicate e dolorose che ogni giorno vivono tante persone giunte in Italia da ogni angolo della terra, ed insieme ad esse, a quelle dei nostri connazionali che vivono all’estero, anche loro lontani dalle loro famiglie. E continuiamo a guardare anche al mondo dei Rom e dei Sinti, e alle famiglie dello Spettacolo viaggiante, che in questo tempo sono prive di reddito, poiché l’emergenza sanitaria ha tolto loro ogni possibilità di lavoro e di guadagno. In questi giorni così speciali, cerchiamo ancor di più che ci sia un po’ di  posto per loro nell’ “albergo” del  nostro cuore. (Raffaele Iaria)

Migrantes Marche: il Natale si fa invito alla frontiera

23 Dicembre 2020 -
Loreto - Natale. È tempo che sa di intimità e del suo calore. Parla di prossimità. Festa dall’aspetto ovattato, magico, si snoda in un clima di musica, di canto e di poesia. Ma all’origine non era così. Anzi, il contrario. Aveva il gusto amaro della frontiera e delle sue sfide. Un Natale alla frontiera dell’accoglienza che si faceva rifiuto. Della lontananza dalla propria terra che diventava esilio. Alla frontiera degli uomini e del loro mondo, per farsi sosta tra pecore e animali. E ancora da un ambiente di casa trovare rifugio unicamente in una grotta. Contesto originale, per presentarsi agli uomini, da parte di Dio! Atteso dai secoli, da interminabili generazioni, da infiniti sospiri di profeti ecco il volto di un Salvatore. Nel cuore della notte, a Betlemme, è nato ancora un agnello. L’Agnello di Dio. Per questo il Natale si fa invito alla frontiera. Ad andare al di là dei nostri ritmi e abitudini. Ad incontrare Dio attraverso le due categorie che preferisce: il novum, cioè la novità. E l’alterità, l’altro, lo straniero. E sono i tratti di chi viene da altrove e da lontano. Con la memoria ciò mi fa andare al Natale di anni fa, tra italiani emigranti, a Bedford, in terra inglese. Alla messa di mezzanotte, il miracolo si compiva subito. All’arrivo di Antony, un fagottino di appena quattro settimane, che viene posto subito tra la paglia, sotto l’altare. Il gruppo di bambini della parrocchia canta imperturbabile  “Astro del ciel” , mentre lui strilla a contrappunto con tutte le sue energie. Una corale inedita. Per prendere, infine, sonno, dolcemente. Un’assemblea fittissima di vecchi emigrati italiani, specialmente dal Sud, guarda, ammira e pensa forse a quanto ha pianto essa stessa per poter rinascere qui in terra straniera. Ricostruire la propria vita tra mille e una difficoltà. Anche se qui, nel mondo inglese, a differenza che da noi, freedom, la libertà di fare, di intraprendere, di lanciarsi è senz’altro impareggiabile, anzi unica. Senso di un popolo di mare, dall’intraprendenza e dagli orizzonti aperti. “Sono venuti moltissimi da un ambiente mafioso e povero” mi soffiava Padre Mario, il parroco, un giovanile ottantenne, parlando dei nostri “ma qui hanno dovuto rimboccarsi le maniche, credere in stessi, camminare da soli. Sono stati ammirevoli!” Accanto al presepio, l’albero di Natale si illumina grandioso, come in tutte le chiese inglesi. Ma avverti, altrettanto grandioso, un forte senso di comunità, di radici comuni e di italianità. Un popolo che camminava nelle tenebre e che veniva da lontano, si era messo un duro giorno in viaggio… Come Maria e Giuseppe. È il loro, forse, il Natale più vero, autentico. Al posto di chi non si è mai mosso dalla sua terra. Non potrà mai capire questo bambino nato lontano da casa. Da una famiglia in cammino, sprovvista di tutto e sperduta. Una nascita che sconvolge le frontiere, dall’Oriente dei re magi alla fuga forzata in Egitto. Come sempre, Dio lo si incontra, solo quando ci si mette in cammino. E lo sento, in fondo, come un invito potente per tutti – specie per chi è rimasto ancorato alla propria terra – a costruire comunità. Ad accogliere novità e alterità. Ad uscire dal nostro piccolo mondo antico. A formare un popolo unico con coloro che camminano. A inseguire insieme la luminosità di una stella, cioè valori grandi e comuni come dignità, fratellanza, compassione, empatia. In una calligrafia da bambino, qui sotto l’albero di Natale di una chiesa inglese, una frase di Susanna Tamaro: “Dobbiamo camminare per costruire un mondo non più fondato sul giudizio e il pregiudizio, ma l’umiltà e la comprensione”. Buon Natale! (p.Renato Zilio - Direttore Migrantes Marche)

Vicini e vigilanti: un progetto Migrante a Palermo

22 Dicembre 2020 -

Palermo - Avvicinandoci al termine di questo anno molto particolare ci fermiamo un attimo a riflettere sull’esperienza fatta con il Progetto “Una Sola Famiglia Umana”, con cui la Fondazione Migrantes ci ha consentito di attivare uno sportello di ascolto legale, sanitario e di ricerca lavoro presso la Parrocchia San Nicolò da Tolentino di Palermo in stretta collaborazione con il parroco Padre Adriano Titone.

Abbiamo svolto con fatica le attività di ascolto e rallentati dalle tante restrizioni ministeriali legate all’ancora attuale emergenza sanitaria dovuta al Covid 19, ma questo non ci ha visto arrendevoli anzi sempre più determinati a dare ascolto a chi ha manifestato in vari modi le tante difficoltà legate sia alla parte amministrativa e burocratica relativa ai documenti necessari per ottenere i tanti bonus previsti dal governo - con maggiori difficoltà per le persone straniere - sia alla ricerca di lavoro per chi lo ha perso durante la pandemia e si è ritrovato in serio disagio economico e sociale.

Abbiamo collaborato in stretta sinergia con l’associazione APICOLF, soprattutto nell’attività di ricerca ed offerta di lavoro, cercando di dare risposte concrete a quelle famiglie in cerca di sostegno in termini di assistenza familiare e mediando le condizioni di regolarizzazione dei rapporti di lavoro che si sono attivati.

Con lo spirito che contraddistingue il nostro servizio, seguendo le orme di chi come Padre Adriano Titone e Padre Sergio Natoli che ci hanno sempre sostenuto ed hanno sostenuto le tante esigenze di molte famiglie che si sono rivolte a noi, abbiamo affrontato delle difficoltà con momenti di crescita e di sperimentazione ingegnosa di modalità alternative di essere operativi. Ciascuno ha cercato in vari modi di non fermarsi e di restare attento anche al solo e semplice ascolto in quei momenti di lockdown in cui potevamo solo rispondere al telefono, ma per molti utenti del nostro sportello ha significato davvero tanto, essere ascoltati e supportati nelle piccole operazioni amministrative e burocratiche da compiersi solo a distanza.

Si è lavorato inoltre in rete con altre associazioni locali per dare risposte agli innumerevoli bisogni emersi a causa della pandemia. Si pensi dalla distribuzione di generi di prima necessità distribuiti dalla Parrocchia e persino consegnati a domicilio laddove è stato necessario; alle innumerevoli segnalazioni alle Unità di Strada Notturne per portare un pasto caldo ai senza dimora, con annessa segnalazione ai Servizi Sociali territoriali competenti e potremmo raccontare anche di persone che poi hanno riscattato la loro condizione avviando percorsi di autonomia abitativa e lavorativa. Abbiamo messo in campo la voglia di esserci, utilizzando varie competenze professionali (legali, mediche, sociali, spirituali, etc.) al completo servizio di chi si è rivolto a noi, cercando di fare quanto possibile per dare risposte concrete e di confidare anche nella costante preghiera di chi ci ha accompagnati nel percorso, non sempre facile.

In preparazione a questo Santo Natale abbiamo cercato di tradurre in operatività le parole del nostro amato Papa Francesco, facendo nostri i termini "Vicinanza" e "Vigilanza". La preghiera permette a Dio di starci vicini, libera dalla solitudine e dà speranza, ma la vigilanza, l’attenzione ai bisogni dell’altro ci permette di ridestarci dal sonno dell’indifferenza.

Ecco il nostro servizio è un’ottima palestra per la nostra anima e quest’anno tanto difficile che speriamo porti via tante difficoltà, ci ha proprio insegnato che non possiamo cadere nel sonno dell’indifferenza, non possiamo anestetizzarci al solito “ho fatto il mio dovere, non posso fare altro..”, no! Dobbiamo reinventarci cercando di non lasciare nulla di intentato, perché spesso il nostro semplice ed umile ascolto è un conforto per quelle persone che vivono momenti di grande scoraggiamento, soprattutto in un momento in cui ci sentiamo tanto distanti e spesso soli. Siamo certi che neppure il famigerato Virus Covid-19, potrà toglierci l’amore per il prossimo e la speranza di esserci sempre per chi ha bisogno, riscoprendo il vero senso del Natale nella sua pura essenza.

Che questo tempo natalizio ed il nuovo anno siano un tempo prosperoso e fecondo e, perché no, pieno di sana positività!

Rosa De Luca

 

Rosario per l’Italia: domani la preghiera da Siena presieduta dal card. Lojudice

22 Dicembre 2020 - Siena - Sarà il card.  Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino a presiedere il Rosario per l'Italia dalla cattedrale di Santa Maria Assunta. Il Rosario sarà trasmesso domani sera alle 21 e Rosario potrà essere seguito su Tv2000 (Canale 28 – 157 Sky – Pagina Facebook TV2000) e InBlu Radio e sui canali social e Youtube della CEI.  

BeWeb: una storia che è generatività

18 Dicembre 2020 - Il 20° anniversario di BeWeb (Beni ecclesiastici in web) permette una riflessione sul senso del tempo, sugli anni passati e su quelli che si aprono. Papa Francesco nella Evangelii gaudium esprime un principio che può accompagnare e sostenere il ragionamento: “Il tempo è superiore allo spazio”. Credo che tra i suoi significati ci sia anche il privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi culturali e mediatici, coinvolgendo persone e gruppi che li porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. È generatività perché non ci si accontenta d’iniziare, ma si vuole portare avanti. È tensione e responsabilità per il futuro. È generatività perché non si pretende di fare da soli, ma si vuole coinvolgere, nutrire speranza per chi verrà dopo e non interrompere il patto generazionale. BeWeb riassume questo patto di generatività che lega passato, presente e futuro. (Vincenzo Corrado)

Natale: gli auguri “scomodi” di Migrantes, Missio e Caritas Toscana

17 Dicembre 2020 - Firenze - “È un Natale diverso quello che ci prepariamo a vivere... Un Natale diverso perché mancherà sì qualcosa, ma potremo scoprire più da vicino l’essenziale, quello che conta, ciò che non passa e non può essere nascosto per nessun motivo, da nessuna causa: Dio si fa uomo, in Gesù di Nazareth”. E’ quanto si legge in un biglietto di auguri di Migrantes, Missio e Caritas Toscana firmato dal card. Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino e dal vescovo di Pescia Roberto Filippini, rispettivamente responsabili per la Conferenza episcopale toscana della Migrantes e del servizio della carità.  Un Natale “più vero – scrivono  - che ci permetterà di scoprirci più vicini anche se distanziati, più aperti anche se col volto in maschera, più disposti a collaborare se scopriamo quanto è importante fare le cose insieme e che, se fatte insieme, producono frutti molto più abbondanti”. Quattro le parole che sul biglietto formare una croce: accogliere, promuovere, proteggere, integrare. “Auguri scomodi per un Natale di fraternità”, è il titolo cmposto da alcune riflessioni di don Tonino Bello e alcuni passaggi dell’enciclica “Fratelli Tutti” di Papa Francesco. Parole che “ci mostrano il volto della Chiesa della misericordia che dona al mondo il volto bello di Dio, infinita tenerezza di padre e di madre”.

“Mediterranea”: arriva l’ammiraglia delle navi di salvataggio

15 Dicembre 2020 - MilanoHa le caratteristiche tecniche per trasportare in caso di emergenza 700 persone, anche se in stato di necessità sul ponte possono essere ospitati anche mille naufraghi. Avrà bandiera italiana ed un nutrito equipaggio composto di volontari. La nuova nave della piattaforma civica “Mediterranea” avrà a bordo anche un ospedale e si candida ad essere l’ammiraglia della “flotta civile” che in questi anni ha sopperito al progressivo ritiro delle navi di soccorso istituzionali. Il vascello si aggiunge alla “Mare Jonio”, il rimorchiatore che ha permesso di soccorrere quasi 400 persone, oltre al centinaio di migranti soccorsi dalla barca a vela “Alex” sempre di “Mediterranea”. La nuova nave di salvataggio entrerà in funziona non appena saranno conclusi i lavori di adattamento nei cantieri navali di Brema, in Germania. La nave ha una lunghezza di quasi 70 metri ed è stata per ora ribattezzata “Mare Jonio 2”.  

Il Presepe degli scrittori

15 Dicembre 2020 - Il presepe ha attirato l’attenzione di tanti, e non solo credenti, perché è divenuto il simbolo stesso di una festa che non ha perso di vista le origini povere e umili della nostra fede. Tutto inizia a Greccio. Siamo nel 1223 e Francesco “trasforma quasi in una nuova Betlemme”, come scrisse Tommaso da Celano, l’allora sperduto borgo oggi in provincia di Rieti. È l’inizio di una storia che dura ai nostri tempi e continuerà per molto, perché divenuta immaginario collettivo e soprattutto straordinaria creatura di un uomo come il poverello d’Assisi, senza denaro, senza calzature di moda, senza abiti di gran marca, senza un posto dove dormire e nonostante tutto questo in grado di cambiare il mondo. E di scrivere uno dei testi più importanti della storia della nostra letteratura. Ha cambiato anche il nostro modo di ricordare la nascita di Gesù, un modo che ha influenzato l’arte (basti pensare all’affresco della basilica superiore di Assisi) e la letteratura. Ad esempio Corrado Alvaro, uno dei grandi della nostra letteratura del Novecento, descrive in “Gente in Aspromonte” un presepe in un villaggio della sua terra, la Calabria, con i pastori che somigliano alle persone del posto, il cacciatore, il pastore e perfino il mendicante. E soprattutto lo scrittore riesce a dare l’impressione viva dell’attesa della gente, persone semplici e non impegnate a correre per i centri commerciali come ai nostri tempi, rivelandoci ancora una volta come il Natale non riguardi le mode aggiornate, le vacanze, i soldi, ma la persistenza di un qualcosa di indefinibile nel cuore, come se quell’evento di 2020 anni fa avesse lasciato una traccia archetipica e incancellabile in ognuno di noi. Ma può diventare anche motivo di ossessione, di perfezione, di possibile vittoria al concorso sul presepe più bello, e anche di cedimento alle dicerie popolari, per cui un onesto padre di famiglia impone la realizzazione di un presepe, sempre lo stesso, per sette anni, la tradizione, non si sa mai, va rispettata, e allora ecco profilarsi alla fine “un cottolengo”, come lo definisce Achille Campanile, L’autore della gustosa storiella, “Il presepio dei sette anni”. E poi c’è stato anche chi come Gianni Rodari, ha attualizzato i personaggi con la figura di un indiano nella filastrocca “Il pellerossa”, sospettato di rappresentare una minaccia per gli altri, armato com’è di “ascia di guerra in pugno ben stretta”, ma che fa nascere anche il dubbio che voglia semplicemente deporre di fronte alla mangiatoia quegli strumenti di guerra “perché ha sentito il messaggio: pace agli uomini di buona volontà”: un invito a non essere rigidi e soprattutto a non essere schiavi del nostro immaginario provinciale, a causa del quale vediamo qualsiasi diversità come un pericolo e non come una possibile ricchezza interiore. Come dimenticare quello che ormai è un classico del teatro di Eduardo De Filippo, “Natale in casa Cupiello”? Nonostante età, acciacchi e problemi familiari, Luca, il capofamiglia, nei giorni immediatamente a ridosso del Natale, non ha che uno scopo: realizzare il presepe e sottoporlo all’approvazione degli altri, soprattutto del figlio Tommasino, il quale sadicamente gli risponde sempre che no, non gli piace “o’ presepio”. Solo quando Luca è sul letto di morte, e sta per raggiungere finalmente il grande “presepe dei cieli”, allora il figlio gli concederà il desiderato sì: il presepe, cui il papà ha dedicato tutta la sua attenzione sotto Natale, finalmente gli piace. Come si vede da questi pochi esempi, il presepe ha attirato l’attenzione di tanti, e non solo credenti, perché è divenuto il simbolo stesso di una festa che non ha perso di vista le origini povere e umili della nostra fede, ricordando a tutti noi l’essenza stessa della vita cristiana. (Marco Testi )    

Il mirabile segno che è in ogni casa

15 Dicembre 2020 - Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. […] È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero. […] Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. (Papa Francesco, Lettera Apostolica Admirabile Signum, sul significato e il valore del presepe, 1° dicembre 2019)   C’è qualcosa che nessun lockdown può impedire, proprio come ai tempi di Gesù nulla poté impedire la sua nascita quando fu il tempo stabilito. È la tradizione del presepe, quella che dobbiamo a Francesco d’Assisi e a cui papa Francesco ha voluto dedicare, l’anno scorso, una breve quanto accorata lettera apostolica. Riunirsi in famiglia quest’anno sarà più difficile o addirittura impossibile, ma in ogni casa c’è un “mirabile segno” che può farci sentire tutti uniti in contemplazione del Natale e del Signore che viene. Quali statuine metteremo quest’anno nel nostro presepe? C’è Maria grazie al cui "sì" tutto è stato possibile, c’è Giuseppe, padre dell’ascolto e della protezione, con il suo bastone o la lanterna in mano. C’è un paesaggio notturno che ben simboleggia come anche la natura fosse in trepidazione per l’evento dell’incarnazione; e poi ci sono i pastori con le loro greggi, fino ad arrivare ai Re Magi, coloro che hanno seguito la luce della stella e ora saranno pronti per portare la buona notizia di Gesù al mondo. A seconda degli usi e delle abitudini famigliari, in ogni presepe poi entrano personaggi che si rifanno solo alla tradizione e che anche se non menzionati dal Vangelo hanno diritto di cittadinanza nella rappresentazione. Sono personaggi umili, intenti al loro lavoro, dai campi o dalle botteghe, sono personaggi che ci fanno ancor più immedesimare, uniti a noi nel desiderio di essere presenti e a loro volta essere visitati, lì dove sono, nelle loro occupazioni quotidiane, da una nascita tanto straordinaria quanto propiziata nella più grande e semplice povertà. Quest’anno attorno al presepe molti di noi non potranno essere insieme e forse si potrà intravvedere le reciproche costruzioni fra nonni e nipoti solo con qualche fotografia o qualche collegamento in rete… Eppure proprio il segno del presepe ci insegna ad avere uno sguardo che sa andare oltre le distanze. Nella contemplazione di questo manufatto, come scrive il Papa, si crea un legame per cui siamo “senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero”. Il presepe del Natale 2020 potrà essere ricordato per la sua pregnanza e simbolicità, idealmente attorno alla grotta, davanti a quella mangiatoia vuota, prima che sia deposto il Bambino Gesù, potremo mettere tutte le persone che dovranno trascorrere le feste in ospedale, tutte le persone sole, senza ricongiungimento; ma poi anche tutti i medici e gli infermieri, tutte le persone che non possono smettere di lavorare e quelle che il lavoro non ce l’hanno o l’hanno perso. C’è la nostra umanità stupita e ammirata nel presepio, c’è fra le statuine che si è andati a prendere in soffitta o in cantina, c’è il desiderio di dire al mondo che ancora una volta Gesù nasce per noi, scegliendo la via di un’umanità nuda e disarmata proprio come la nostra. Come si scuote la polvere dalla capanna stipata in qualche ripostiglio per tutto il resto dell’anno, così rispolveriamo la tradizione del presepe come un’eccezionale occasione per raccontare ai fratelli che l’amore di Dio non teme blocchi, o quarantene, ma anche quest’anno viene copioso ovunque ci sia un uomo che lo accoglie. (Giovanni M. Capetta - Sir)  

Mons. Marangoni ai bellunesi nel mondo: farsi strumenti di Vangelo

10 Dicembre 2020 - “Gran parte di tutto quello che eravamo abituati a fare è saltato o pesantemente stravolto; gli stessi rapporti di vicinanza umana - forse più in questi mesi che durante il primo lockdown - stanno vivendo un senso di diffidenza e di paura che, credo, avranno pesanti conseguenze per il futuro; ancora, la crisi economica che si è generata fa guardare all’immediato domani e oltre con sguardo preoccupato. Eppure, dentro tutto questo, possiamo scorgere qualche luce di speranza o, meglio, di novità che può dare rinnovato slancio alle nostre vite a quelle delle nostre comunità cristiane”. È quanto scrive il vescovo di Belluno-Feltre, mons. Renato Marangoni, in una lettera agli emigrati della sua diocesi attraverso la rivista dell’Associazione Bellunesi nel Mondo. “Con le sue indubbie difficoltà, inimmaginabili solo un anno fa, e con il dolore e l’apprensione che ha generato e continua a portare questa situazione di pandemia, una forte tentazione direbbe semplicemente che il 2020 è un anno da dimenticare! E forse – scrive - in effetti, può essere anche vero: l’impossibilità di fare tanto ci ha, diremo, costretti a fare bene quel poco… che tuttavia è essenziale! La difficoltà a non poter più interagire liberamente fra di noi ci ha aiutati a capire che è la cura delle relazioni ciò che vale e che va accompagnata, nella semplicità di ogni aiuto vicendevole. La dolorosa impossibilità di celebrare per tanto tempo nelle nostre chiese parrocchiali ha aiutato a scoprire la famiglia come ‘chiesa domestica’ e luogo di preghiera”. Il 2020 sta passando “come passerà anche il Covid-19” – ma quante “sfide ci sono poste davanti! Non solo sanitarie, non solo economiche, non solo sociali ma innanzitutto umane! E, forse per la prima volta nella storia, questa situazione pandemica ha coinvolto simultaneamente i governi di tutto il mondo. Allora, seppur distanti e “sparsi” nel mondo, vogliamo – conclude il vescovo rivolgendosi agli emigrati bellunesi - sentirci stretti non solo dalla comune provenienza geografica, dalla condivisione di cultura e di valori, dall’importanza del lavoro, ma anche come portatori di speranza per il 2021 che ci sta davanti”. L’ augurio è quello di portare sempre una “buona notizia”, di farsi “strumenti di vangelo!”  

Uniti nella speranza, diamo vita al digitale

10 Dicembre 2020 - Roma - Che cosa caratterizza un ambiente digitale? La domanda può sembrare azzardata se ci si sofferma in superficie. La risposta, d’altronde, è ovvia: l’immaterialità. A differenza di altri luoghi quello digitale, infatti, non presenta contorni definiti e delimitanti. Andando, però, in profondità si assume la consapevolezza che siamo noi stessi ad abitarlo e, quindi, l’immaterialità prende forma con ciò che noi siamo, con i nostri sentimenti, le nostre emozioni, la nostra vita. Mai come oggi anche questo contesto ha bisogno di speranza, di quella luce che illumina l’esistenza. Nasce con questo obiettivo www.unitinellasperanza.it, sito che raccoglie e rilancia le buone prassi proposte dalle diocesi, offre contributi di riflessione e approfondimento, condivide notizie e materiale pastorale. È la nostra vita che dà la sostanza all’ambiente digitale. (Vincenzo Corrado)

Migrantes: in distribuzione il nuovo numero di Servizio Migranti

4 Dicembre 2020 -

Roma – Il flusso di persone immigrate nel nostro paese si è negli ultimi anni quasi del tutto interrotto, o meglio il flusso di persone in ingresso si equivale a quello in uscita. È quanto scrive il Direttore generale della Fondazione Migrantes, don Giovanni De Robertis nell’editoriale del nuovo numero di Servizio Migranti, il trimestrale di formazione dell’organismo pastorale della CEI. Nel numero uno speciale sulla Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si è celebrata lo scorso 27 settembre e poi uno speciale sull’attività Migrantes dello scorso anno per ogni settore della mobilità.

Sentinelle del bene

2 Dicembre 2020 - Roma - Capita alle volte che una chiacchierata mattutina con un amico generi pensieri che disegnano percorsi altri rispetto alla routine quotidiana. E, così, questa mattina la condivisione di una strofa dell’inno della preghiera della Comunità di Bose diventa motivo di riflessione rispetto anche al proprio ambito d’impegno. “La sentinella nella veglia invoca il giorno dalla notte; volgiamo gli occhi al Dio con noi; il suo splendore ci pervade”. Come operatori della comunicazione possiamo “invocare il giorno dalla notte”, ovvero possiamo “squarciare” la notte di questo tempo con la luce della speranza? E in che modo? La risposta viene da Papa Francesco nell’Evangelii gaudium: “Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene” (n.9). Comunicare il bene può sostenere l’attesa non in maniera passiva, ma collaborando attivamente a narrare il volto bello della società. (Vincenzo Corrado)

La Chiesa e il virus della missionarietà

2 Dicembre 2020 - Loreto - Mi sentivo quasi in imbarazzo. Vestito, ormai, per la santa Messa, attendevo in un angolo della sacrestia. Era quest’estate, un martedì qualsiasi. La voce del sacrestano un po’ concitata al telefono ricorda al parroco che il cappellano non si è presentato all’eucarestia del mattino. E mancavano, ormai, pochi istanti… Eroicamente, dopo una manciata di minuti, ecco il parroco stesso per celebrare. Qualche tempo prima, situazione simile. Da una decina di minuti fuori tempo, ecco arrivare un sacerdote, tutto rosso e trafelato. Lo aiuto fraternamente ad abbigliarsi, mentre squilla ansiosa la campanella… Sembra, pertanto, che il missionario in questo paese del Veneto, sia una presenza invisibile. O, forse, inutile. E mi ripeto dentro di me : "Come sarebbe bello essere contagiati dal virus salutare della missionarietà". Cioè, della preziosità di chi viene da fuori e da lontano. Come un missionario, l’immagine stessa della "Chiesa in uscita" per le tante frontiere affrontate: la propria terra, la propria gente, le proprie usanze, la propria lingua e la propria storia… Passare dalla "logica dell’identità e dell’identitario", del "siamo tra di noi" che troppo ci appassiona, alla "logica dell’alterità", dell’ospite. "Lo straniero è come un fratello, che non hai mai incontrato" recita un proverbio africano. È un volto diverso, una parola nuova, un messaggio differente, una testimonianza viva da altrove. Sì, sono queste le vere sorprese di Dio.  Lo si vive giustamente in Africa o nell’Oriente, quando si parla di ospitalità. Missionario all’estero per quasi quarant’anni, accompagnando comunità di emigranti italiani e non solo, ricordo sempre volentieri l’esperienza vissuta nella "più piccola delle grandi capitali", come la città ama definirsi : Ginevra. Specchiata attorno ad un lago superbo, è un porto di arrivo (e lo fu perfino di asilo politico) per migliaia di italiani emigrati, a ondate differenti, a partire dai primi ‘900, alla frontiera tra Svizzera e Francia. Molti, poi, vi lavorano attualmente nei 200 Organismi internazionali, come ONU, Croce Rossa… o al CERN, eccellenza della fisica europea. Ricordo che a volte si presentavano alla nostra chiesa italiana, a pochi passi dal lago, dei sacerdoti provenienti dall’Italia, ospiti di qualche parente. Si presentavano di domenica, anche all’ultimo momento, prima della Messa. "Padre, posso concelebrare con lei? mi sussurravano.  "Senz’altro, ma presiedi la celebrazione!" era spesso la risposta, togliendomi allo stesso tempo la casula del presidente d’assemblea. Alle delicate rimostranze per troppo onore, c’era sempre… uno stratagemma; li faceva subito crollare. "Guardi, è qualche anno che sono qui, ormai sono stanchi della solita voce…". E la celebrazione, così, era sempre un momento di grazia ! Non solo per la testimonianza di come si vive il Vangelo in Italia, nella loro parrocchia, ma anche per l’accoglienza di un ospite. Ciò prendeva i colori della gratuità. E, in fondo, della fraternità. E tutto questo faceva crescere una comunità, la nostra, e le dava un respiro nuovo. Come quando, a Messa, intravvedo uno straniero, un nigeriano o un siriano nell’assemblea, gli chiedo discretamente un aiuto… È al momento del "Padre nostro". Quando tutta l’assemblea termina, con la cadenza di una cavalcata, la bella preghiera, leggermente lo straniero si avvicina al microfono, per recitare subito, il "suo" Padre nostro. Con l’emozione che lo prende, senti scorrere in arabo "Abana lazi fissamauet…" tra il silenzio pietrificato dell’assemblea. Una vera sorpresa. Un altro figlio di Dio! In fondo, questo tempo di pandemia ci aiuta ad uscire da una Chiesa programmata, ben organizzata, fatta di incontri, di funzioni e di programmi prestabiliti. Senza sorprese, come una macchina ben oliata. Ci insegna, forse, ad essere più attenti allo Spirito e al suo soffio, che viene e va dove vuole. Più vigilanti sul senso della missionarietà, sul valore dell’ospitalità di chi è differente. A trovare, responsabilmente, tempi e luoghi alternativi per incontrare Dio. Non esclusivamente lo spazio di una chiesa. Forse, anche la nostra casa. Senz’altro, il cuore dell’uomo: primo luogo dell’incontro. Lo si era, forse, dimenticato. Per cui qualsiasi omelia che non parli al cuore, non cambierà le cose, tanto meno le persone. Perchè è là dove Dio si presenta.  Portandovi il virus benefico dell’imprevisto e della sorpresa. Dell’apertura all’altro. Della missionarietà. Sì, il senso dell’ospite come, pure, il gusto della fraternità. Ma soprattutto, la gratuità. Insieme alla misericordia, è proprio questa, la gratuità, il vestito più bello, con cui Dio si adorna. Per incontrare gli esseri umani, che siamo noi. (Renato Zilio - Direttore Migrantes Marche)

Papa: da venerdì le meditazioni per l’Avvento

1 Dicembre 2020 - Città del Vaticano - “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Salmo 90, 12). Questo il tema delle meditazioni per l'Avvento che saranno predicati per il Papa e la Curia Romana a partire da venerdì 4 dicembre. Lo rende noto la Prefettura della Casa Pontificia attraverso la Sala Stampa della Santa Sede. Le meditazione saranno tenute dal Predicatore della Casa Pontificia, il neo cardinale Raniero Cantalamessa e si svolgeranno  nell’Aula Paolo VI "al fine di consentire la debita distanza tra i partecipanti". Le prediche di Avvento avranno luogo venerdì 4, venerdì 11 e venerdì 18 dicembre, alle ore 9:00. (R.I.)

Santa Sede: online il nuovo sito web dedicato all’ “Enciclica Fratelli tutti”

1 Dicembre 2020 - Città del Vaticano - Il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale annuncia il sito web speciale dedicato all’Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”. Esso è consultabile entrando nella homepage del Dicastero: www.humandevelopment.va e ha anche un accesso diretto dall’URL www.fratellitutti.va. Il sito, realizzato con la collaborazione del Dicastero per la Comunicazione - spiega una nota -  ha l’obiettivo di "diffondere il messaggio sulla fraternità e l’amicizia sociale dell’Enciclica in maniera capillare, approfondendo e facendo conoscere tutti gli aspetti propri del testo e del magistero del Santo Padre in tal senso". La pagina, intuitiva e di rapida consultazione, è al momento sviluppata in tre lingue (italiano, spagnolo e inglese), ma contiene al proprio interno numerose risorse anche in altri idiomi, tra cui francese, portoghese, arabo e cinese. Il menù della homepage, che nella colorazione richiama l’arancione dell’edizione cartacea dell’Enciclica, è diviso per sezioni, aggiornate costantemente: “Fratelli tutti”, con una introduzione generale; “L'Enciclica”, dove si offre la possibilità di scaricare il testo nelle lingue disponibili e di rivedere il video della conferenza di presentazione del 4 ottobre, svoltasi nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano; “Riflessioni”, che include commenti e analisi provenienti dai Superiori del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, da rappresentanti delle Chiese locali, da rappresentanti di organismi internazionali, religiosi e non; nonché da esperti internazionali; “Notizie”.

“Prega con noi”: domani Rosario con Mons. Tani

1 Dicembre 2020 - Roma - Tv2000 e InBlu Radio invitano i fedeli, le famiglie e le comunità religiose a ritrovarsi, mercoledì 2 dicembre in occasione della Giornata Internazionale delle persone con Disabilità (3 dicembre), alle 21, per recitare insieme il Rosario che verrà trasmesso da Tv2000 (canale 28 e 157 Sky), InBlu Radio, e su Facebook. La preghiera sarà trasmessa dal Santuario del Pelingo in Acqualagna (PU), con mons. Giovanni Tani, Arcivescovo di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado.  

Quei focolari domestici

1 Dicembre 2020 - Noi vorremmo solamente questa mattina attirare la vostra attenzione sulla ospitalità, che è una forma eminente della missione apostolica della famiglia. […] Nei nostri tempi, così duri per molti, quale grazia è quella di essere accolti in questa “piccola Chiesa”, secondo la parola di San Giovanni Crisostomo, di entrare nella sua tenerezza, di scoprire la sua maternità, di esperimentare la sua misericordia, perché è vero che una famiglia cristiana è “l’immagine ridente e dolce della Chiesa”. È un apostolato insostituibile che dovete compiere generosamente, un apostolato famigliare per il quale la formazione dei fidanzati, l'aiuto ai giovani sposi, il soccorso alle famiglie in difficoltà costituiscono dei campi privilegiati. Sostenendovi a vicenda, quali compiti non siete in grado di svolgere nella Chiesa e nel mondo? (Paolo VI, Discorso ad una rappresentanza delle coppie dell’Équipes Notre-Dame, n.12 – 4 maggio 1970)   L’Équipes Notre-Dame nacquero intorno al 1938 per iniziativa di alcune coppie che, insieme ad un sacerdote, padre Henry Caffarel, presero l’abitudine di incontrarsi mensilmente per approfondire il significato del sacramento del matrimonio. Un’iniziativa che presto si diffuse dalla Francia ad altri Paesi fino a formalizzare, l’8 dicembre del 1947 la nascita di un nuovo Movimento che ancora oggi vive e anima la Chiesa. Nel 1970 Papa Paolo VI si rivolge a duemila coppie giunte in Vaticano in rappresentanza delle ventimila famiglie sparse nel mondo. Quello del Papa è un lungo e articolato discorso che abbraccia tutti gli ambiti della spiritualità coniugale a partire dalla rinnovata constatazione che la Chiesa non misconosce i valori quotidianamente vissuti da milioni di famiglie. Paolo VI richiama il tema conciliare della specifica vocazione alla santità dei coniugi, fa sua l’espressione di Lumen Gentium di famiglia come “chiesa domestica” e invita gli sposi a vedere nel sacramento che li unisce “il Mistero dell’Incarnazione, che innalza le nostre virtualità umane penetrandole dall’interno”. Una dimensione fondamentale dell’amore coniugale è la sua fecondità e ad essa il Papa dedica molto spazio all’interno del suo discorso, con il dichiarato intento di spiegare e collocare nel giusto inquadramento gli assunti dell’enciclica Humanae Vitae promulgata due anni prima. In questo contesto si inserisce il passo che abbiamo scelto, nel quale Paolo VI esplicita l’ospitalità come virtù peculiare della spiritualità coniugale. Una virtù che accomuna tutti gli sposi e che pone sullo stesso piano sia coloro che sono diventati genitori sia quelli che vivono la dura prova di non poter avere figli. La famiglia come luogo di accoglienza, come avamposto di prossimità, come chiesa domestica che mostra il volto, l’immagine ridente della Chiesa più grande. Il Papa sembra quasi immedesimarsi in un sacerdote, un pellegrino, un povero che bussi alla porta di una casa e sia accolto dal calore di una famiglia capace di farlo sentire a suo agio, di accudirlo con amore materno. Questo il compito alto che il Papa affida agli sposi rivolgendosi ad un’assemblea di famiglie di un movimento che ha saputo espandersi proprio in virtù di una spiritualità che dalla casa si apre al mondo. E il compito si amplia - il Papa lo chiama “apostolato insostituibile” denunciando una priorità delle coppie di laici rispetto al clero – individuando tre ambiti peculiari che ancora oggi a cinquant’anni di distanza appaiono come fertile terreno di evangelizzazione e servizio. Si tratta della formazione dei fidanzati, ai quali ancora oggi le parrocchie è bene che riservino delle risorse speciali e in cui risulta indispensabile il ruolo delle coppie sposate come animatori e guide; dell’aiuto alle giovani coppie, ovvero l’ideazione di percorsi di aggregazione e formazione per chi si è sposato da poco e cerca nella comunità ecclesiale un punto di riferimento per la nuova vita intrapresa; infine il soccorso alle famiglie in difficoltà, con riferimento sia alle condizioni pratiche – una carità fraterna e disinteressata che sostenga le coppie indigenti senza ledere la loro dignità – sia riguardo alle crisi e al rischio di separazioni, in cui l’affiancarsi con pudore e discrezione può già esso stesso essere un balsamo e un principio di guarigione.   L’invito è lanciato con calore da papa Montini che sprona le coppie cristiane ad osare una partecipazione che ancora oggi – in tempi non meno duri di allora - risulta essenziale e che pure necessita una sempre rinnovata chiamata all’azione. “Focolari provati, focolari felici, focolari fedeli, voi preparate per la Chiesa e il mondo una nuova primavera le cui prime gemme già ci fanno trasalire di gioia”. (Giovanni M. Capetta - SIR)  

Tempo di Avvento

30 Novembre 2020 - Città del Vaticano - Due imperativi accompagnano il credente in questa prima settimana di Avvento, tempo liturgico forte che ci conduce verso il Natale: fate attenzione e vigilate. Ma c’è soprattutto una prospettiva, ovvero “l’incessante richiamo alla speranza” come dice all’Angelus Papa Francesco. Tempo in cui “fare memoria della vicinanza di Dio”; tempo della “nostra vigilanza”, che ci permette di sfuggire al “sonno della mediocrità” e al “sonno dell’indifferenza”, come ha affermato nell’omelia, messa in San Pietro con i nuovi cardinali. Già il tempo. Ci sembrava insufficiente, fino all’inizio di quest’anno, eravamo quasi bisognosi di giornate più lunghe delle 24 ore per poter fare, almeno così credevamo, tutto quello che la frenetica società sembra chiederci. Poi ecco la pandemia; ci siamo accordi che lo spazio, i movimenti, i viaggi, si è estremamente ridotto, mentre si è dilatato il nostro tempo. Abbiamo riscoperto la possibilità di stare a casa, di lavorare da casa. Siamo entrati nel tempo dell’attesa, e l’anno liturgico ci porta la “buona notizia” di un Dio che ci dona il suo tempo, ricordava papa Benedetto XVI, nell’Angelus del 30 novembre 2008: “Dio ci dona il suo tempo, perché è entrato nella storia con la sua parola e le sue opere di salvezza, per aprirla all’eterno, per farla diventare storia di alleanza. In questa prospettiva, il tempo è già in sé stesso segno fondamentale dell’amore di Dio”. Nella basilica vaticana Francesco parla di attesa: siamo nella notte, afferma, e viviamo l’attesa del giorno “tra oscurità e fatiche”. La notte passerà e arriverà il giorno “sorgerà il Signore, ci giudicherà lui che è morto in croce per noi. Vigilare è attendere questo, è non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, e questo si chiama vivere nella speranza”. Se siamo attesi in cielo, allora “perché affannarci per un po’ di soldi, di fama, di successo, tutte cose che passano? Perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno? Perché cercare dei “padrini” per avere una promozione e andare su, promuoverci nella carriera? Tutto passa. Vegliate, dice il Signore”. Vegliare, dunque; e lo ripete all’Angelus: il Signore “non delude la nostra attesa”. Forse ci “farà aspettare”, afferma, “qualche momento nel buio per far maturare la nostra speranza, ma mai delude. Il Signore sempre viene, sempre è accanto a noi”. Il Natale commemora proprio questa venuta “in un preciso momento storico”, quando si è fatto uomo “per prendere su di sé i nostri peccati”. Verrà alla fine dei tempi come giudice, come abbiamo ricordato domenica scorsa, nella domenica della solennità di Cristo re dell’universo, re di giustizia e di misericordia. E viene ogni giorno, afferma ancora il Papa, viene “a visitare il suo popolo, a visitare ogni uomo e donna che lo accoglie nella Parola, nei Sacramenti, nei fratelli e nelle sorelle. Gesù, ci dice la Bibbia, è alla porta e bussa”. È accanto a noi anche nei momenti bui, “la vita è fatta di alti e bassi, di luci e ombre. Ognuno di noi sperimenta momenti di delusione, di insuccesso e di smarrimento”. In questo tempo di pandemia, tempo sospeso tra un prima e un dopo che ancora non conosciamo, viviamo una stagione di preoccupazione, paura, sconforto, “si corre il rischio di cadere nel pessimismo, il rischio di cadere in quella chiusura e nell’apatia”. Come reagire, chiede papa Francesco, come non cadere nel pericoloso “sonno della mediocrità”, quando “dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere; senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani. E questo corrode la fede”, ha affermato in san Pietro. Ecco allora l’attesa fiduciosa del Signore che “fa trovare conforto e coraggio nei momenti bui dell’esistenza”. L’Avvento “è un incessante richiamo alla speranza: ci ricorda che Dio è presente nella storia per condurla al suo fine ultimo, per condurla alla sua pienezza”. Dio cammina al nostro fianco, “ci accompagna nelle nostre vicende esistenziali per aiutarci a scoprire il senso del cammino, il significato del quotidiano, per infonderci coraggio nelle prove e nel dolore. In mezzo alle tempeste della vita, Dio ci tende sempre la mano e ci libera dalle minacce”. Il vero padrone del mondo, ci dice Francesco, non è l’uomo, ma Dio. (Fabio Zavattaro -Sir)