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Il Presepe degli scrittori

15 Dicembre 2020 - Il presepe ha attirato l’attenzione di tanti, e non solo credenti, perché è divenuto il simbolo stesso di una festa che non ha perso di vista le origini povere e umili della nostra fede. Tutto inizia a Greccio. Siamo nel 1223 e Francesco “trasforma quasi in una nuova Betlemme”, come scrisse Tommaso da Celano, l’allora sperduto borgo oggi in provincia di Rieti. È l’inizio di una storia che dura ai nostri tempi e continuerà per molto, perché divenuta immaginario collettivo e soprattutto straordinaria creatura di un uomo come il poverello d’Assisi, senza denaro, senza calzature di moda, senza abiti di gran marca, senza un posto dove dormire e nonostante tutto questo in grado di cambiare il mondo. E di scrivere uno dei testi più importanti della storia della nostra letteratura. Ha cambiato anche il nostro modo di ricordare la nascita di Gesù, un modo che ha influenzato l’arte (basti pensare all’affresco della basilica superiore di Assisi) e la letteratura. Ad esempio Corrado Alvaro, uno dei grandi della nostra letteratura del Novecento, descrive in “Gente in Aspromonte” un presepe in un villaggio della sua terra, la Calabria, con i pastori che somigliano alle persone del posto, il cacciatore, il pastore e perfino il mendicante. E soprattutto lo scrittore riesce a dare l’impressione viva dell’attesa della gente, persone semplici e non impegnate a correre per i centri commerciali come ai nostri tempi, rivelandoci ancora una volta come il Natale non riguardi le mode aggiornate, le vacanze, i soldi, ma la persistenza di un qualcosa di indefinibile nel cuore, come se quell’evento di 2020 anni fa avesse lasciato una traccia archetipica e incancellabile in ognuno di noi. Ma può diventare anche motivo di ossessione, di perfezione, di possibile vittoria al concorso sul presepe più bello, e anche di cedimento alle dicerie popolari, per cui un onesto padre di famiglia impone la realizzazione di un presepe, sempre lo stesso, per sette anni, la tradizione, non si sa mai, va rispettata, e allora ecco profilarsi alla fine “un cottolengo”, come lo definisce Achille Campanile, L’autore della gustosa storiella, “Il presepio dei sette anni”. E poi c’è stato anche chi come Gianni Rodari, ha attualizzato i personaggi con la figura di un indiano nella filastrocca “Il pellerossa”, sospettato di rappresentare una minaccia per gli altri, armato com’è di “ascia di guerra in pugno ben stretta”, ma che fa nascere anche il dubbio che voglia semplicemente deporre di fronte alla mangiatoia quegli strumenti di guerra “perché ha sentito il messaggio: pace agli uomini di buona volontà”: un invito a non essere rigidi e soprattutto a non essere schiavi del nostro immaginario provinciale, a causa del quale vediamo qualsiasi diversità come un pericolo e non come una possibile ricchezza interiore. Come dimenticare quello che ormai è un classico del teatro di Eduardo De Filippo, “Natale in casa Cupiello”? Nonostante età, acciacchi e problemi familiari, Luca, il capofamiglia, nei giorni immediatamente a ridosso del Natale, non ha che uno scopo: realizzare il presepe e sottoporlo all’approvazione degli altri, soprattutto del figlio Tommasino, il quale sadicamente gli risponde sempre che no, non gli piace “o’ presepio”. Solo quando Luca è sul letto di morte, e sta per raggiungere finalmente il grande “presepe dei cieli”, allora il figlio gli concederà il desiderato sì: il presepe, cui il papà ha dedicato tutta la sua attenzione sotto Natale, finalmente gli piace. Come si vede da questi pochi esempi, il presepe ha attirato l’attenzione di tanti, e non solo credenti, perché è divenuto il simbolo stesso di una festa che non ha perso di vista le origini povere e umili della nostra fede, ricordando a tutti noi l’essenza stessa della vita cristiana. (Marco Testi )    

Il mirabile segno che è in ogni casa

15 Dicembre 2020 - Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. […] È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero. […] Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. (Papa Francesco, Lettera Apostolica Admirabile Signum, sul significato e il valore del presepe, 1° dicembre 2019)   C’è qualcosa che nessun lockdown può impedire, proprio come ai tempi di Gesù nulla poté impedire la sua nascita quando fu il tempo stabilito. È la tradizione del presepe, quella che dobbiamo a Francesco d’Assisi e a cui papa Francesco ha voluto dedicare, l’anno scorso, una breve quanto accorata lettera apostolica. Riunirsi in famiglia quest’anno sarà più difficile o addirittura impossibile, ma in ogni casa c’è un “mirabile segno” che può farci sentire tutti uniti in contemplazione del Natale e del Signore che viene. Quali statuine metteremo quest’anno nel nostro presepe? C’è Maria grazie al cui "sì" tutto è stato possibile, c’è Giuseppe, padre dell’ascolto e della protezione, con il suo bastone o la lanterna in mano. C’è un paesaggio notturno che ben simboleggia come anche la natura fosse in trepidazione per l’evento dell’incarnazione; e poi ci sono i pastori con le loro greggi, fino ad arrivare ai Re Magi, coloro che hanno seguito la luce della stella e ora saranno pronti per portare la buona notizia di Gesù al mondo. A seconda degli usi e delle abitudini famigliari, in ogni presepe poi entrano personaggi che si rifanno solo alla tradizione e che anche se non menzionati dal Vangelo hanno diritto di cittadinanza nella rappresentazione. Sono personaggi umili, intenti al loro lavoro, dai campi o dalle botteghe, sono personaggi che ci fanno ancor più immedesimare, uniti a noi nel desiderio di essere presenti e a loro volta essere visitati, lì dove sono, nelle loro occupazioni quotidiane, da una nascita tanto straordinaria quanto propiziata nella più grande e semplice povertà. Quest’anno attorno al presepe molti di noi non potranno essere insieme e forse si potrà intravvedere le reciproche costruzioni fra nonni e nipoti solo con qualche fotografia o qualche collegamento in rete… Eppure proprio il segno del presepe ci insegna ad avere uno sguardo che sa andare oltre le distanze. Nella contemplazione di questo manufatto, come scrive il Papa, si crea un legame per cui siamo “senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero”. Il presepe del Natale 2020 potrà essere ricordato per la sua pregnanza e simbolicità, idealmente attorno alla grotta, davanti a quella mangiatoia vuota, prima che sia deposto il Bambino Gesù, potremo mettere tutte le persone che dovranno trascorrere le feste in ospedale, tutte le persone sole, senza ricongiungimento; ma poi anche tutti i medici e gli infermieri, tutte le persone che non possono smettere di lavorare e quelle che il lavoro non ce l’hanno o l’hanno perso. C’è la nostra umanità stupita e ammirata nel presepio, c’è fra le statuine che si è andati a prendere in soffitta o in cantina, c’è il desiderio di dire al mondo che ancora una volta Gesù nasce per noi, scegliendo la via di un’umanità nuda e disarmata proprio come la nostra. Come si scuote la polvere dalla capanna stipata in qualche ripostiglio per tutto il resto dell’anno, così rispolveriamo la tradizione del presepe come un’eccezionale occasione per raccontare ai fratelli che l’amore di Dio non teme blocchi, o quarantene, ma anche quest’anno viene copioso ovunque ci sia un uomo che lo accoglie. (Giovanni M. Capetta - Sir)