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“Giovani protagonisti silenziosi”. Che Italia emerge dal Rapporto Immigrazione 2025? | In uscita “Migranti Press” 10/2025

4 Dicembre 2025 - Roma, 4 dicembre 2025.  È in uscita il numero 10/2025 di Migranti Press, il periodico della Fondazione Migrantes. In copertina, la “giovane Italia silenziosa” che emerge dal Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes 2025: un’Italia che è cambiata e continua a cambiare, senza clamore, ma con la forza di una trasformazione profonda. È l’Italia dei giovani di origine straniera, nati o cresciuti in un Paese che è anche il loro, che oggi rappresentano non soltanto una componente numerica rilevante, ma soprattutto un laboratorio vivente. In evidenza, l’editoriale della presidente dell’associazione “Tutori in rete”, Paola Scafidi, che chiede “un tutore volontario per ogni minore”: la realtà dei minori stranieri non accompagnati vista da chi vorrebbe prendersene cura, ma ancora non può farlo fino in fondo; e poi, il progetto, da poco concluso a Roma, della Mostra immersiva sull’emigrazione italiana, “Come ponti sul mondo”. E ancora, oltre alla rubrica “Paesi sicuri?”, questa volta dedicata al Sudan, anche “La speranza è una radice”, l’esperienza del Festival dell’Accoglienza di Torino; l’intervista a Marco Omizzolo sulla storia di Balbir Singh e di come si è liberato dalla schiavitù del caporalato; un racconto di una giovane studentessa su Gaza, premiato al concorso “La scrittura non va in esilio” del Centro Astalli.  Infine, le nostre rubriche (Norme e giurisprudenza, Brevi e Segnalazioni – Libri, Cinema, Arte, etc).

Info:mpress@migrantes.it

Migranti Press 10 2025 Copertina

“Oltre il mare, oltre i muri”. Il Festival della Migrazione compie 10 anni

22 Ottobre 2025 - Il 22 ottobre 2025 parte ufficialmente la 10ma edizione del Festival della Migrazione, promosso sin dal principio dalla Fondazione Migrantes. Ecco come il presidente del Festival, Edo Patriarca, ha presentato questa edizione speciale della manifestazione, nata a Modena, sulle pagine dell'ultimo numero di "Migranti Press".
Raccontare 10 anni del Fe­stival della migrazione è come raccontare un po’ la storia del Paese. Il tema delle migrazioni è una questione sul­la quale si è giocato tanto nella politica come pure nel dibattito pubblico sociale e culturale. Quali sono stati e sono tutto­ra gli assi portanti di questa av­ventura iniziata da un gruppo di amici, dall’associazione Porta Aperta, con l’Università di Mode­na e la Fondazione Migrantes? I punti sono rimasti presso­ché invariati nonostante nel frattempo si siano succedu­ti governi di vario colore e con maggioranze diverse. Anzitut­to abbiamo raccontato la real­tà del fenomeno migratorio con verità e onestà. Abbiamo scrit­to nella nostra Agenda che “vi­viamo in emergenza dimenti­cando che le migrazioni sono un fenomeno strutturale, ine­stinguibile, che andrebbe ac­compagnato da una narrazione onesta fondata sulla verità del­ le cose, sulla realtà conosciuta e accolta per quella che è. Troppa la propaganda, troppe le infor­mazioni non veritiere e l’enfasi data alla presunta eccezionali­tà o all’emergenza del fenome­no migratorio che offuscano le cause più profonde e le dina­miche effettive”. Da qui il contributo di analisi e di dati offerti per fare chia­rezza sul fenomeno. Partire dai dati di realtà per non offrire il fianco a stereotipi e luoghi co­muni cavalcati da populismi che costruiscono il consenso sulla paura del diverso, sulla sacralizzazione dei confini da difendere con muri e barrie­re normative di ogni tipo, sulla presunta invasione che minac­cerebbe le tradizioni del Paese e persino le sue radici cristiane. Sappiamo che non è in atto al­cuna invasione, che non sono i migranti a modificare la mappa demografica di un Paese invec­chiato che perderà nei prossi­mi decenni abitanti soprattutto nelle aree interne, anche per l’e­migrazione di tanti giovani ita­liani. Non saranno i 5 milioni di residenti stranieri in gran parte di religione cristiana a modifi­care questo trend negativo. Dunque il Festival non è solo un’occasione per fare chiarez­za, dicevamo, ma anche per svelare le contraddizioni sul­le quali si sono mossi i gover­ni succedutisi negli anni. La più evidente è la questione la­voro. La relazione tecnica che accompagna il cosiddetto “de­creto flussi” – approvato nel lu­glio scorso dall’attuale gover­no –, che consente l’ingresso di mezzo milione di migranti regolari nel prossimo triennio, dichiara che “le dinamiche po­sitive dell’andamento genera­le dell’economia e dell’occupa­zione possono essere sostenute solo da una politica migratoria che consenta in Italia di avere manodopera indispensabile al sistema economico e produtti­vo nazionale e di difficile repe­rimento nel nostro Paese”. Fermo restando che i lavorato­ri non sono pacchetti, numeri o solo “forza lavoro”, ma per­sone con diritti, quella del go­verno appare di primo acchito una presa di posizione sensa­ta. Peccato non se ne tragga­no le dovute conseguenze: non si parla di politiche di ac­coglienza e di inter-relazione con le comunità locali; di rego­larizzazione della immigrazio­ne originariamente irregolare, ma ormai stabile e integrata; di formazione scolastica e profes­sionale; di modifica della legge Bossi-Fini e di quella per acce­dere alla cittadinanza italiana; di investire risorse e speran­ze, in un Paese con il più bas­so tasso di natalità al mondo, sugli oltre 20 mila minori non accompagnati ospitati nel si­stema Sai (Sistema accoglien­za e integrazione) in carico ai Comuni, e che oggi rischiano di non aver più i mezzi per portar­li avanti; non ultimo di favori­re i ricongiungimenti familiari, proprio perché crediamo nella famiglia come spazio vitale an­che per i lavoratori stranieri. Festival della Migrazione 2025 Abbiamo sempre dichiarato che il Festival è anche un even­to politico nella sua accezio­ne più nobile, per la costru­zione di comunità sempre più fraterne e accoglienti, plura­li e ricche di diversità. La no­stra Agenda scritta a più mani, con il contributo del Comita­to scientifico, intende offrire ai soggetti pubblici e privati e alle istituzioni una bussola, un orientamento per governare un fenomeno strutturale che si gestisce solo con politiche lun­gimiranti e stabili nel tempo. Inoltre le battaglie per i diritti dei migranti misurano la quali­tà e la tenuta della democrazia e dello stato di diritto (quel­lo sostanziale), che è nato pro­prio a tutela soprattutto delle persone più fragili. Con preoc­cupazione stiamo assistendo alla sua lenta erosione, indot­ta dall’ideologia del “governo forte” che attraversa le demo­crazie mature e che vorrebbe ridurre alla irrilevanza le auto­rità sovranazionali, avere una magistratura sempre allinea­ta e Parlamenti ridotti a passa­carte e sotto dettatura. Ma l’aspetto più significativo del Festival è quello cultura­le, con il coinvolgimento del­le Università, delle Migrantes diocesane, dell’associazioni­smo laico e cattolico, e di tan­te amministrazioni locali e re­gionali. Un riferimento costante sono i Messaggi per la Giorna­ta mondiale del migrante e del rifugiato, quelli di papa France­sco e ultimo quello di papa Le­one: “Migranti, missionari di speranza”. In questi anni abbiamo narrato le migrazioni come un elemen­to costituivo della nostra uma­nità, un tratto quasi esisten­ziale. Gli uomini e le donne da sempre sono cresciuti sulla strada, le migrazioni da sem­pre hanno fatto la storia delle comunità. E questo ha compor­tato contaminazioni culturali e religiose straordinarie. Lo spirito che ha animato le precedenti edizioni è quello che anima la vita dei navigato­ri più esperti: viaggiano spesso andando di bolina, controven­to, praticando lo studio e l’os­servazione attenta del presen­te, senza attardarsi e guardando avanti. Conoscere per compren­dere per l’appunto, modifican­do i punti di osservazione, le posture, indagando con ostina­zione nuove prospettive. Temi come l’educazione interculturale, la libertà religiosa e il dialogo fra le religioni, il valore delle diaspore nel nostro Pae­se, la presenza creativa dei gio­vani italiani ormai di seconda e terza generazione, l’Italia del­le professioni sempre più “co­lorate” da persone con back­ground migratorio, sono stati temi sempre presenti in tutte le edizioni. È questa l’Italia che verrà e che noi testardamente continueremo a raccontare. Il messaggio di Leone XIV ci spinge a proseguire su questo cammino: lo sentiamo molto vicino: “In un mondo oscura­to da guerre e ingiustizie, an­che lì dove tutto sembra per­duto, i migranti e i rifugiati si ergono a messaggeri di spe­ranza”. Essi sono una benedi­zione, in un tempo in cui sono necessari e urgenti la condivi­sione e la cooperazione contro ogni forma di chiusura, contro nazionalismi e sovranismi. “La generalizzata tendenza a cu­rare esclusivamente comunità circoscritte – continua il San­ to Padre nel suo Messaggio – costituisce una seria minaccia alla condivisione di responsa­bilità, alla cooperazione multi­laterale, alla realizzazione del bene comune e alla solidarietà globale a vantaggio di tutta la famiglia umana”. Papa Leone si rivolge soprat­tutto alle chiese locali, tal­volta irrigidite e appesantite; le sollecita a restare aperte, a mantenere viva la dimensio­ne pellegrina e a contrastare la tentazione di “sedersi”. Comu­nità per essere “nel mondo” e non per diventare “del mondo”. Un invito alle comunità cristia­ne che noi pensiamo valga per tutte le comunità locali in cui vive ancora speranza e fiducia nel futuro. (Edo Patriarca - "Migranti Press" 9 2025) Festival della Migrazione 2025

In uscita “Migranti Press” 9/2025. “Salto logico”: lo sport di base fotografa la quotidianità di un “Paese reale” che attende solo piena legittimazione

16 Ottobre 2025 - È in uscita il numero 9/2025 di Migranti Press, il periodico della Fondazione Migrantes. In copertina, il balzo mondiale di Mattia Furlani da cui prende spunto l’“altro editoriale” di Elena Miglietti, che mostra come dall’osservatorio quotidiano offerto dai piccoli e grandi atleti dello sport di base e dalle loro famiglie emerga già un Paese reale che chiede solo di essere visto, sostenuto e pienamente legittimato. Mattia Furlani MIgranti Press A seguire, dopo l’editoriale di S.E. mons. Gian Carlo Perego sulla specifica rilevanza dei corridoi umanitari per le donne in fuga da violenze e privazioni, in primo piano, la presentazione della nuova edizione del Festival della Migrazione – “Oltre il mare, oltre i muri” –, che compie 10 anni: come costruire città più giuste e inclusive? E poi: il giubileo dei migranti, letto anche alla luce del pellegrinaggio in vita di alcuni giovani santi; l’intervista a p. Pat Murphy, direttore della Casa del Migrante a Tijuana, in Messico, al confine con gli Stati Uniti; e quella a Gabriella Kuruvilla sul ruolo della letteratura della migrazione nel processo di inclusione; e la nostra scheda sui Paesi cosiddetti “sicuri”: questa volta parliamo di Tunisia. E ancora, la memoria della tragedia di Mattmark, a 60 anni da quella “ultima strage” di lavoratori italiani emigrati; l’esperienza del Coro Millecolori a Napoli; il contributo della Fondazione Migrantes all’effettivo esercizio del diritto allo studio per i figli e le figlie delle famiglie dello spettacolo viaggiante in Italia. Infine, le nostre rubriche (Norme e giurisprudenza, Brevi e Segnalazioni – Libri, Cinema, Arte, etc).
Il sommario completo
  • Editoriale Donne in fuga. Corridoi umanitari e politica europea Gian Carlo Perego 
  • L’altro editoriale I cittadini di fatto di ogni benedetta domenica Nello sport di base vediamo già l’Italia del futuro. E la politica? Elena Miglietti 
  • Primo Piano Oltre il mare, oltre i muri. Il Festival della migrazione compie 10 anni Edo Patriarca 
  • Immigrati e rifugiati
    • La santità è in cammino. Storie di giovani santi, giubilei e migranti Simone M. Varisco
    • A Tijuana è in gioco il “sogno americano”. Intervista a p. Pat Murphy Antonella Palermo
    • La letteratura della migrazione e la nuova Italia Una conversazione con Gabriella Kuruvilla Marina Halaka
    • Paesi sicuri? Tunisia a cura di Mirtha Sozzi e Giovanni Godio 
  • Italiani nel mondo L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana. A 60 anni dalla strage della diga di Mattmark Carlo De Stasio 
  • Rom, Sinti e caminanti Il Coro Millecolori. Le voci di Scampia Eraldo Cacchione 
  • Spettacolo viaggiante Il diritto allo studio dei figli dello spettacolo viaggiante Arianna Cocchi 
  • Leggi e giurisprudenza a cura di Alessandro Pertici. Ufficio nazionale per i problemi giuridici della Cei
  • Brevi
  • Segnalazioni

“Migranti Press”, il numero speciale per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2025

11 Settembre 2025 - È in uscita il numero 7/8 del 2025 di Migranti Press, il periodico della Fondazione Migrantes. Si tratta di un numero speciale, interamente dedicato alla Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2025 (GMMR), che quest’anno – per volontà di papa Francesco – si celebra eccezionalmente in concomitanza con il Giubileo dei migranti e del mondo missionario (4-5 ottobre 2025). Nella prima parte del numero, una serie di articoli propongono una sintesi essenziale delle principali tendenze degli ultimi 25 anni negli ambiti di azione pastorale e di ricerca della Fondazione Migrantes (emigrazione, immigrazione, rifugiati e richiedenti asilo, rom-sinti e camminanti, spettacolo viaggiante) e nella legislazione e giurisprudenza italiana dello stesso periodo. La seconda parte è dedicata a uno speciale regionale – sempre suddiviso per ambiti – che in quest’anno giubilare si sofferma sul Lazio. In copertina, il tema e l’immagine usata per il manifesto della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. E poi: il commento biblico al tema della GMMR di p. Claudio Monge e il sussidio liturgico per la celebrazione della GMMR. Nel suo Messaggio per la GMMR, “Leone XIV evoca una missio migrantium, – scrive nell’editoriale il direttore della Fondazione Migrantes, mons. Pierpaolo Felicolo – la «missione realizzata dai migranti, per la quale devono essere assicurate un’adeguata preparazione e un sostegno continuo frutto di un’efficace cooperazione interecclesiale». Il Papa sembra volerci dire che è proprio questa, oggi, la prima forma di testimonianza evangelica di speranza da contemplare, accanto, certamente, a quella delle comunità che li accolgono. Sono migranti e rifugiati i primi missionari della speranza in questo tempo in cui il cielo appare chiuso come lo sono tante frontiere! Una sottolineatura che mi fa vedere meglio che spesso diamo molto – troppo? – più spazio a quello che facciamo e diciamo noi per loro, invece che direttamente alla voce, alla testimonianza e allo sguardo sulla realtà dei migranti e dei rifugiati, anche nelle nostre comunità”
Il sommario del numero 7/8 2025
  • Editoriale | Missionari di speranza, insieme (mons. Pierpaolo Felicolo).
  • La voce del biblista | La speranza di raggiungere la felicità (Claudio Monge).
  • La mobilità italiana oggi. La ricerca della felicità e la ferita migratoria (Delfina Licata).
  • Da “clandestini” a cittadini. La lunga strada in salita (Simone Varisco).
  • 25 anni di accoglienza di persone in fuga. Tra interazione e contenimento (Mariacristina Molfetta).
  • Un cammino insieme. La Chiesa italiana con i rom e i sinti dal 2000 a oggi (Susanna Placidi).
  • Gente dello spettacolo viaggiante. Uomini e donne di speranza (Mirko Dalla Torre).
GMMR 2025 | Sussidio liturgico «Migranti, missionari di speranza» a cura di sr. Ana Paula Ferreira da Rocha mscs e p. Marcin Paca cr GMMR 2025 | Speciale Lazio GMMR 2025 | Leggi e giurisprudenza
  • Mobilità umana ed evoluzione normativa in Italia dal 2000 a oggi (Alessandro Pertici).
Copertina Migranti Press speciale 2025

Mons. Savino (Cei): “Senza accoglienza, l’Europa perde sé stessa”

18 Luglio 2025 - A margine della tavola ro­tonda “I Nord e i Sud del mondo: quali relazioni oggi?”, promossa da Progetto Continenti il 14 giugno pres­so il Convento di Sant’Andrea a Collevecchio (RI), "Migran­ti Press" ha intervistato S.E. mons. Francesco Savino, ve­scovo di Cassano all’Jonio e vi­cepresidente della Conferenza episcopale italiana per l’Italia meridionale. Eccellenza, c’è stato un tempo in cui l’Europa discuteva animata­mente circa la propria identità e le proprie radici cristiane. Oggi quel­ le radici sembrano affiorare solo nei discorsi, ma non nelle scelte. Di fronte a un’Europa che si chiu­de, che si mostra fragile e diso­rientata sul tema delle migrazio­ni, lei ha parlato di “smarrimento”. È forse questo lo smarrimento di chi ha perso memoria delle pro­prie radici? Sì, ho parlato volutamente di smarrimento. Non si tratta solo di una crisi politica o sociale: è, prima ancora, una crisi di sen­so. L’Europa sembra aver perso il filo della propria narrazione fondativa, quello che univa di­ritto e misericordia, giustizia e accoglienza. Il dibattito sul­le “radici cristiane” si è spes­so ridotto a una sterile conte­sa ideologica, dimenticando che il Vangelo è innanzitut­to prossimità, non uno slogan identitario. Oggi quelle radici affiorano nei discorsi, ma raramente ispira­no scelte coraggiose. Occorre­rebbe tornare a ciò che san Pa­olo VI chiamava “umanesimo integrale”: un’Europa fonda­ta su un’idea alta dell’umano, capace di custodire i più fragi­li come pietre angolari del pro­getto comune (cfr Ef 2,20). Lo smarrimento attuale è il segno di una memoria tradita. Non si può custodire la memoria sen­za la fatica del discernimento storico e spirituale. La gestione delle migrazioni è la cartina al tornasole di una civiltà. Quando l’altro è visto solo come un capro espiatorio e non come una rivelazione di senso, significa che abbiamo reciso le radici evangeliche che parlano di “forestiero accolto” (cfr Mt 25,35). L’Europa che si chiude è un’Europa impaurita, e la paura – come insegna Ro­berto Esposito – è sempre cat­tiva consigliera nella costru­zione dell’ordine politico. Ma se tornassimo a vedere in ogni volto migrante il riflesso di Cri­sto, allora sì, quelle radici di­venterebbero carne, decisione, civiltà. “Sogno un’Europa solidale e gene­rosa. Un luogo accogliente ed ospi­tale, in cui la carità – che è som­ma virtù cristiana – vinca ogni forma di indifferenza e di egoi­smo”, scriveva papa Francesco nel 2020. Oggi, però, sembra preva­lere un’Europa chiusa e impauri­ta, che fatica a riconoscere il vol­to umano del migrante. Quanto ci siamo allontanati da quel sogno? Ci siamo allontanati da quel sogno tanto quanto ci siamo allontanati dal Vangelo. Per­ché quel sogno non è un’u­topia astratta: è il riflesso più concreto dell’annuncio cristia­no, che ci chiede di riconoscere nel volto dell’altro – soprattut­to nel volto sofferente, stranie­ro, vulnerabile – la carne stessa di Cristo. Oggi l’Europa sembra vivere una forma di afasia mo­rale: non trova più le parole, né le categorie, per riconoscere l’altro come fratello. È il segno di una deriva cultu­rale e spirituale, in cui il sogno della fraternità è stato sop­piantato dalla retorica della paura. In molti Paesi europei assistiamo al riemergere di for­me di nazionalismo difensivo, che costruiscono l’identità sul rifiuto dell’altro. Come ha luci­damente osservato Tony Judt, il problema non è solo l’oblio, ma la manipolazione del passato a fini identitari: la costruzione della nazione si accompagna troppo spesso a un racconto mitico, epurato dalle respon­sabilità storiche, che giustifica chiusure e autoassoluzioni. Anche Paul Ricoeur, nella sua opera La memoria, la storia, l’o­blio, ci ammonisce sull’ambi­valenza della memoria: essa può essere forza di riconcilia­zione, ma anche strumento di esclusione, se ridotta a narra­zione unilaterale. Ecco perché una memoria davvero cristia­na deve essere memoria ospi­tale, aperta all’altro e capa­ce di trasformare la storia in responsabilità. Oggi, al contrario, si innalzano muri, si esternalizzano le fron­tiere, si criminalizza il soccor­so. Eppure, la carità, che papa Francesco chiamava “somma virtù cristiana”, non è un’ap­pendice dell’agire politico: è il suo cuore dimenticato. Sen­za carità, anche la giustizia si svuota. E senza accoglienza, l’Europa tradisce sé stessa. Siamo dunque lontani da quel sogno, sì. Ma il sogno resta. Ed è nostro compito – come Chie­sa e come cittadini – renderlo ancora abitabile. La speranza non è ingenuità, ma forza tra­sformativa. Abbiamo bisogno di un’Europa più unita nella compassione che nei trattati, capace di riconoscere che la di­fesa della dignità umana viene prima di ogni confine. Dal 2013 si stima che oltre 30.000 persone abbiano perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Euro­pa attraversando il Mediterraneo. Dopo la tragedia di Cutro, nel feb­braio 2023, lei ha parlato di un “fallimento collettivo” che pesa come una colpa storica, denuncian­do una “miopia politica”, ma anche una “cecità spirituale”. Le migra­zioni ci interpellano come cristia­ni, ancor prima che come cittadini. Non dovremmo allora chiederci se, oltre all’inadeguatezza della poli­tica, vi sia anche una difficoltà pro­pria del Popolo di Dio nel ricono­scere nelle migrazioni un autentico “segno dei tempi” da leggere e in­terpretare alla luce del Vangelo? Sì, è una domanda profonda e imprescindibile. Le migrazio­ni non sono soltanto un feno­meno sociale o politico, ma un segno dei tempi, nel senso più vero che il Concilio Vaticano II ha dato a questa espressione. Sono il grido della storia che reclama di essere ascoltato alla luce del Vangelo. Se non impa­riamo a leggere questi drammi come vere e proprie realtà teo­logiche, rischiamo di separare la fede dalla realtà, il culto dalla giustizia, la liturgia dalla carità. La tragedia di Cutro, come le migliaia di vite spezzate nel Mediterraneo, sono “epifa­nie” della nostra indifferenza strutturale: riflettono una ci­viltà che ha smarrito la gram­matica della compassione. Per questo parlai – e oggi ribadisco – di un fallimento collettivo, che riguarda non solo le isti­tuzioni, ma anche la coscien­za ecclesiale e della comunità. Se un’intera generazione re­sta muta davanti alla morte dei poveri in mare, significa che qualcosa si è rotto non solo nel sistema, ma anche nell’anima. La Chiesa, Popolo di Dio in cammino, è chiamata a una conversione profonda: non può restare neutrale davanti al gri­do dei migranti, né limitarsi a offrire solo assistenza caritati­va, per quanto indispensabile. È tempo di una pastorale pro­fetica, capace di alzare la voce contro le ingiustizie strutturali e di accompagnare i migran­ti come sacramenti di una pre­senza divina che ci visita nel povero, nel perseguitato, nel naufrago. In questo senso, il Vangelo ci precede: non ci chiede il per­messo per essere annunciato nelle periferie del mondo. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’og­gi [...] sono anche le gioie e le speranze, le tristezze e le an­gosce dei discepoli di Cristo” (GS 1). Il fenomeno migrato­rio è oggi uno dei nodi centrali della storia della salvezza, per­ché ci obbliga a domandarci non solo “cosa dobbiamo fare”, ma soprattutto “chi vogliamo essere”. Non possiamo accettare che il Mediterraneo sia ormai un grande cimitero liquido, né re­stare prigionieri di una spi­ritualità disincarnata, che consola ma non converte. Ac­cogliere non è solo un gesto etico, ma una scelta escatolo­gica: una risposta concreta alla presenza viva di Dio nei poveri. Vorrei concludere spostando il no­stro sguardo dalle migrazioni for­zate a quella presenza silenziosa – o, meglio, silenziata – costituita da oltre 5 milioni di stranieri rego­larmente e stabilmente residenti nel nostro Paese. Il cardinale Zup­pi, in più occasioni, ha denunciato i rischi di una lettura politicizzata e strumentale del fenomeno migra­torio, sottolineando, invece, la ne­cessità di affrontarlo con coraggio politico e senso di responsabilità sociale. Alla luce dell’esito del re­cente referendum sulla cittadinan­za, le chiedo: possiamo dire che, allo stato attuale, in Italia manchi­no proprio quel coraggio politico e quel senso di responsabilità auspi­cati dal presidente della Cei? Sì, possiamo dire che in Italia manca ancora quel coraggio politico e quel senso di respon­sabilità sociale auspicati dal cardinale Zuppi. Il referendum sulla cittadinanza ha mostra­to quanto il tema resti fragile, spesso banalizzato o strumen­talizzato politicamente, nono­stante si tratti di una questio­ne fondamentale per la qualità della nostra democrazia. Parliamo di oltre 5 milioni di persone straniere stabilmen­te residenti, molte delle qua­li pienamente integrate nella vita del Paese, ma escluse dal riconoscimento giuridico. È una zona grigia che contraddi­ce il principio di giustizia. Detto questo, è importante ri­conoscere anche i segnali posi­tivi. Penso al recente Protocol­lo d’intesa firmato tra la Cei e il ministero dell’Interno, che rafforza la colla­borazione tra istituzioni civili e realtà ecclesiali per un’acco­glienza diffusa, dignitosa e so­stenibile. È un passo concreto che dimostra come sia possi­bile coniugare legalità e soli­darietà, coesione sociale e ri­spetto delle regole. Da queste sinergie può nascere una po­litica migratoria più giusta, umana e lungimirante. Come cristiani, non possiamo accontentarci di uno sguar­do neutrale o rinunciatario. La Parola di Dio ci interpella con forza: ci chiama a essere un popolo dell’accoglienza, non spettatori passivi di un mon­do ferito, ma testimoni attivi di una storia di riconciliazione. Non basta osservare le ingiu­stizie da lontano: siamo chia­mati a incarnare il Vangelo nei luoghi dove si decide il destino dell’umano. La cittadinanza, in questa pro­spettiva, non è solo un atto le­gislativo, ma una forma di re­sponsabilità reciproca: è il gesto con cui riconosciamo l’altro non come ospite tempo­raneo, ma come parte viva del­la comunità. Come ha scritto papa France­sco nella Fratelli tutti, “nessu­no può affrontare la vita isola­tamente” (n. 30). È un principio che vale anche per le nazio­ni. Riconoscere i nuovi italia­ni, accompagnare i percorsi di integrazione, superare la logi­ca dell’eccezione e della paura: sono tutte tappe essenziali per costruire una società più giusta, matura e fedele al Vangelo. (Elia Tornesi in Migranti Press 6 2025) [caption id="attachment_61802" align="aligncenter" width="1024"]Europa, Futuro (foto: Calvarese/SIR)[/caption]

Le condizioni socio-economiche dei rifugiati in Italia. Uno studio Unhcr

15 Luglio 2025 - Il titolo della ricerca voluta e finanziata dall’agenzia del­le Nazioni unite per i rifugia­ti (Unhcr), – “L’integrazione tra sfide e opportunità. Uno studio sulle condizioni socio-econo­miche dei rifugiati in Italia” – non gli rende abbastanza giu­stizia. Perché non si tratta di uno studio tra i tanti, ma del primo in assoluto così este­so realizzato in Italia, e uno dei primi in Europa, sulle con­dizioni socio-economiche suc­cessive all’accoglienza delle persone che hanno avuto sia una protezione internazionale (da qui in avanti Bip, ossia “be­neficiari di protezione interna­zionale”) che una protezione temporanea (da qui in avan­ti Btp, cioè “beneficiari di una protezione temporanea”). Lo studio è stato portato avan­ti con la società di consulenza Lattanzio Kibs e con l’associa­zione di ricercatori specializzati sulla mobilità umana, Fieri, che hanno contribuito con diversi ricercatori; e si è avvalso di un comitato scientifico composto da rappresentanti del ministero dell’Interno, del ministero del Lavoro, del ministero dell’E­conomia, della Banca mondia­le, dell’Associazione nazionale dei comunica italiani (Anci), di Confindustria, del Tavolo asi­lo e immigrazione, dell’ Unione nazionale italiana per i rifugiati ed esuli (Unire), nonché da rap­presentanti di Unhcr Italia ed Europa. Integration between challenges and opportunity (Unhcr su rifugiati in Italia)
Il percorso di ricerca e l’individuazione degli intervistati
La ricerca è durata più di anno. I primi mesi hanno impegnato i ricercatori in un lavoro prelimi­nare su più di 200 articoli cor­relati al tema. Successivamente si sono messi in campo stru­menti di indagine sia qualita­tivi che quantitativi. Le princi­pali nazionalità delle persone da intervistare sono state indi­viduate in base al Paese di pro­venienza, al genere, all’area di residenza e al tempo di perma­nenza, scegliendo sia persone da poco riconosciute, che per­sone presenti in Italia da 5 anni e altre da 10. I criteri di selezione adottati hanno portato a scegliere per­sone che provenivano da Ni­geria, Eritrea, Mali, Somalia, Sudan, Iraq, Siria, Pakistan, Af­ghanistan, Venezuela, El Salva­dor e Ucraina. Tra questi l’84% è un Bip e il 16% Btp; le don­ne erano il 37% dei Bip e l’80% dei Btp; il 34% di loro era resi­dente nel Nord-Ovest del Pae­se, il 16% nel Nord-Est, il 31% nelle regioni del Centro e il 19% nel Sud e nelle Isole. Ricordia­mo che secondo l’Istat le perso­ne con un permesso Bip in Italia sarebbero circa 100.000, mentre i Btp sarebbero circa 150.000, per una popolazione totale di 250.000 persone. Grazie anche alla collabora­zione con la rete Europasilo si sono individuate le 1.231 per­sone intervistate in 16 diverse città, grandi e piccole, in tutta Italia. Le interviste sono state effettuate tutte in presenza e la traccia è stata un questiona­rio semistrutturato di circa 60 domande. Ci sono stati anche colloqui più approfonditi con circa 20 tra “attori principali” e rifugiati e 10 focus group che hanno coin­volto 80 persone, oltre a una giornata finale che ha riunito i ricercatori con altri accademi­ci e con il comitato scientifico di ricerca. Insomma, si tratta di una ricerca caratterizzata da un altissimo rigore scientifico. Lo studio aveva come obietti­vo quello di fornire una com­prensione quanto più possibile completa sia delle sfide affron­tate dalle persone dopo il rico­noscimento della protezione internazionale e della prote­zione temporanea in Italia, che provare a entrare nel merito di quali sono i fattori sistemici e strutturali che influenza­no in positivo o in negativo la loro integrazione.
I risultati
Ora proviamo a vedere alcuni dei risultati dello studio. Innan­zi tutto, spicca un elemento: i titolari di protezione tempora­nea o internazionale in Italia sono mediamente più giovani, ma anche più istruiti della po­polazione straniera in genera­le. La scarsa conoscenza del­la lingua italiana rappresenta un ostacolo all’integrazione socio-economica: circa il 53% dei rifugiati accolti ne ha una conoscenza medio-bassa. Più aumenta il livello di conoscen­za della lingua, più aumenta la possibilità di occupazione e an­che il riconoscimento salaria-le. Su questo aspetto, in parti­colare, è necessario dire che le norme che hanno tolto la pos­sibilità di frequentare dei corsi di italiano all’interno dei centri – sia nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) che in quel­li del Sistema accoglienza e in­tegrazione (Sai) – quando si è ancora nella condizione di ri­chiedenti asilo, in particolare il cosiddetto “decreto Cutro” (dl 20/2023), evidentemente non hanno favorito il successivo processo di integrazione. I dati più preoccupanti ri­guardano però la povertà. Nella ricerca si sono usati tre indicatori diversi: povertà as­soluta, povertà relativa, esclu­sione sociale e deprivazione materiale. Si trova in condizioni di povertà assoluta il 43,5% delle persone intervistate. Questo indicatore viene calcolato in base al reddi­to e in questa fascia ci sono più che altro donne e chi risiede in Italia da meno tempo. È in condizione di povertà re­lativa – che si calcola tenendo conto del reddito mediano na­zionale – il 67% delle persone intervistate. Bisogna conside­rare, per fare un raffronto, che si trova in condizione di pover­tà relativa il 17% degli italiani e il 39% degli stranieri residenti. In questa fascia ci sono soprat­tutto le persone meno istruite e chi è in Italia da meno tempo. Si trova, infine, in una situazio­ne di esclusione sociale e depri­vazione materiale il 26% degli intervistati. Questa particolare condizione si calcola osservan­do quanti intervistati non pos­sono godere di almeno 7 dei 13 servizi indicati come essenziali. Gli italiani nella medesima si­tuazione sono l’8% e i migranti in generale il 31%. Il reddito medio mensile dei nostri Bip e Btp è di poco più di 1.100 euro al mese, a con­fronto dei 1.680 degli italiani e dei 1.330 dei migranti in gene­rale. Si tenga conto che il 40% degli intervistati percepisce meno di 1.000 euro. L’84% dei rifugiati intervistati lavora da quando è in Italia, ma generalmente svolgendo man­sioni a bassa qualifica; anche se il tasso di istruzione, la cono­scenza della lingua e il tempo di permanenza nel Paese possono lentamente risultare dei fattori per migliorare la loro posizio­ne. Rispetto alle difficoltà eco­nomiche in cui molti di loro si sono ritrovati, la rete cui pos­sono fare riferimento è mol­to ridotta: il 49% del campione può contare su una o due perso­ne, mentre contrariamente alla vulgata pochissimi hanno usu­fruito di un qualche sussidio lo­cale o statale: il 73% non ha mai chiesto o ricevuto nulla. Il 62% degli intervistati vive con qualcuno, ma la casa è comun­que stata o è ancora un proble­ma. Il 16% di essi vive attual­mente in una situazione molto precaria e un altro 26% ha avu­to problemi rispetto a dove vi­vere nell’ultimo anno. L’allog­gio risulta essere un problema soprattutto per gli uomini, per chi ha meno di 45 anni e per chi viene da un Paese africano. Il 45% delle persone raggiun­te dalla ricerca – poco meno di uno su due – dichiara di aver subito qualche forma di discri­minazione o perché straniero o per il colore della pelle, ma la cosa ancora più triste è che l’83% delle vittime dichiara di non aver denunciato l’accaduto “per non avere problemi, per­ché succede spessissimo, per­ché non servirebbe, perché non può provarlo…”. La lenta e difficile situazione di inserimento socio-lavorativo delle persone rifugiate in Italia, anche quando sono nel nostro Paese da diversi anni, testimo­nia la durezza del loro percorso anche una volta che sono in sal­vo. Dall’altro lato, appare un’oc­casione persa proprio per il Paese che li ha accolti e ricono­sciuti come meritevoli di prote­zione, perché vuol dire che non siamo in grado di permette­re loro di usare e valorizza­re i talenti che hanno – ricor­diamoci che il 19% per cento di loro ha un titolo universitario – e che potrebbero essere una ri­sorsa preziosa per tutti. (Mariacristina Molfetta in Migranti Press 6 2025) [caption id="attachment_61322" align="aligncenter" width="1024"]Rifugiati (foto: Valeria Ferraro)[/caption]

Monge: una “stranierità” da riscoprire. Per una teologia della mobilità umana e dell’ospitalità

7 Luglio 2025 - La consapevolezza dell’intima connessione tra ciascuno di noi e gli altri va ridestata, in un tempo che è caratterizzato dalla “morte del prossimo”. Ma questa morte porta con sé inevitabilmente anche la nostra condanna a morte! Nel famoso racconto biblico genesiaco, “l’operazione chirurgica” del Dio creatore, che dal fianco dell’Adam (il tirato dalla terra, sessualmente ancora indistinto) dà origine a «un aiuto che gli sia di fronte» (Gn 2,18b), significava che solo una mancanza, una perdita, apre un essere all’alterità e che non è possibile una relazione autentica se non accetto di essere ferito, mancante, mendicante. Ma già le Sacre Scritture ci ricordano che, purtroppo, non è sempre così, e Caino ne è la prova. La Genesi ci ricorda anche che Dio pose sulla fronte del fratricida, un segno per preservarlo dalla vendetta del primo venuto. Perché la rottura delle relazioni alimenta il circolo vizioso della violenza e rende impossibile il rapporto stesso con Dio! Il Cristo, si spingerà ancora più lontano istituendo la relazione, la Cura dell’altro e cioè la prossimità dell’essere umano all’essere umano, alla stessa altezza della prossimità di Dio all’umanità. Non potremmo interpretare diversamente delle affermazioni come «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». (Mt 25,40). Oggi siamo chiamati a riscoprirlo senza esitazioni, come credenti e, soprattutto, come cristiani, leggendo tra le righe di una storia che è caratterizzata in modo particolare dalla mobilità umana, spesso e volentieri non frutto di una libera scelta, ma di drammatiche condizioni di vita. Siamo chiamati a istituire un pensiero a partire e non malgrado l’esistenza dello straniero, un pensiero dove la condizione di “stranierità” non rappresenti una condanna ineluttabile o una minaccia da scongiurare, ma piuttosto una parola da accogliere che, una volta accolta, genera una nuova etica e un nuovo pensiero al cui centro non si erge più “l’io” ma “l’altro”, come via d’irruzione dell’Assoluto nella storia. Bisogna ripensare il migrare, tratto caratterizzante la post-modernità, come a un “luogo teologico”, cioè un ambito che ci permette di percepire aspetti originali ed essenziali del Dio della nostra fede, uscendo da una concezione pauperistica del migrante, che apre solo a una prospettiva assistenzialistica e non alla teologia. Per secoli, la teologia della migrazione è ruotata attorno a una “stranierità” colta nel suo senso escatologico: che implica, cioè, un distacco progressivo da questo mondo come espressione di una tensione verso un Regno che non è di questo mondo. Ebbene, in una stagione in cui si assiste a dei fenomeni di chiusura, di ripiegamento su sé stessi, dove l’altro è respinto come minaccia o, nella migliore delle ipotesi, è considerato come “semplice oggetto” di sfruttamento economico, o come interlocutore che devo condurre, volente o nolente, alla “mia verità”, la “stranierità” è da riscoprire non nel senso dell’abbandono di questo mondo, ma come invito ad abitare diversamente questo mondo, secondo una logica non dell’appropriazione, ma della gratuità. Bisogna sapersi cogliere come stranieri e pellegrini perché è su questo sentiero che il Risorto si mette sulle nostre tracce, come l’Accogliente che si fa accogliere per aprirci al senso delle Scritture (cfr Lc 24); un Dio che si rivela in modo inatteso e sorprendente: il “totalmente differente” che si dimostra, tuttavia, non “indifferente” alla nostra umanità. (Claudio Monge, teologo e direttore del DoSt-I, centro culturale domenicano di Istanbul | in Migranti Press 6 2025) [caption id="attachment_61469" align="aligncenter" width="1024"]Giovani, preghiera. multicultura (Foto: Agenzia Romano Siciliani)[/caption]

“Migranti Press” | Accolti. E poi? Le condizioni socio-economiche dei rifugiati in Italia

3 Luglio 2025 - È in uscita il numero 6 del 2025 di Migranti Press, il periodico della Fondazione Migrantes. In copertina, uno studio dell’Unhcr, il primo in assoluto così esteso realizzato in Italia, e uno dei primi in Europa, sulle condizioni socio-economiche dei rifugiati successive all’ottenimento della protezione. In primo piano, l’intervista a S.E. mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente della Conferenza episcopale italiana per l’Italia meridionale, su Europa, accoglienza dei migranti e sul ruolo e la responsabilità della Chiesa. E poi: l’editoriale di p. Claudio Monge: una possibile traccia per sviluppare una teologia della mobilità umana e dell’ospitalità. E, ancora.
  • La nostra scheda sui Paesi cosiddetti “sicuri”: questa volta parliamo di Costa d’Avorio.
  • Le voci silenziate dell’accoglienza”: l’esperienza quotidiana e le opinioni di migranti e operatori sul sistema italiano.
  • La proposta di convivenza e condivisione tra giovani e migranti del Progetto Combo del Centro Astalli di Trento.
  • Migrazioni e salute mentale: il progetto “La cura di chi cura” della Fondazione Mamre di Torino.
  • “Un manifesto rosa”: un racconto di Luigi Dal Cin per ricordare l’emigrazione italiana in Belgio e la tragedia di Marcinelle.
E, infine, le nostre rubriche (Norme e giurisprudenza, Brevi e Segnalazioni – Libri, Cinema, Arte, etc).

ℹ mpress@migrantes.it

Migranti Press 6 2025

Il nuovo numero di Migranti Press: “Ero straniero e mi avete accolto”. Da Francesco a Leone, due Papi figli di emigranti

29 Maggio 2025 - È in distribuzione, in Italia e all’estero, il numero 4-5 del 2025 di Migranti Press, il periodico della Fondazione Migrantes. In copertina, l’editoriale “doppio” di S.E. mons. Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Cei e della Fondazione Migrantes. Per ricordare e ringraziare Francesco per il suo magistero e il suo servizio alla Chiesa, e per accogliere papa Leone XIV. In evidenza, l’intervista ad Alba Lala, segretaria generale del Coordinamento nazionale delle nuove generazioni italiane (Conngi), una delle anime del comitato promotore dell’imminente referendum sulla cittadinanza; e il nostro viaggio dentro il volontariato giovanile in Italia, in particolare tra coloro che cercano esperienze di servizio con e per i migranti: cominciamo con le proposte di ASCS, l’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo. E, ancora. L’esperienza di giornalismo al femminile di “Donne senza frontiere”. L’intervista al prof. Andrea Bassi che racconta genesi e motivazioni della ricerca AVIS – “Il dono che include” – sul rapporto tra cittadini di origine straniera e agire solidaristico. La spinta del tema della prossima Giornata del migrante e del rifugiato sul sentiment positivo verso il Giubileo. La scheda sull’Albania della nostra rubrica “Paesi sicuri?”. Italea, il programma di “viaggi delle radici” per italiani residenti all’estero e italo-discendenti. L’arte come “spazio accogliente” di vita, culture e religioni: l’esperienza di Bottega d’Arte. E, infine, le nostre rubriche (Norme e giurisprudenza, Brevi e Segnalazioni – Libri, Cinema, Arte, etc).

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Gli occhi di Aziz. Il metodo e lo spirito della Cooperativa Sophia

27 Maggio 2025 - Entro nel cantiere – siamo nella zona Ardeatina, nella periferia di Roma – mentre Aziz e altri colleghi stanno lavorando alla pulitura dei filtri di un macchinario. Il suo responsabile lo fa chiamare in un piccolo container lì accanto. Entra, chinandosi un poco sotto la porta dell’ufficietto, e guarda i presenti un po’ sorpreso, guardingo: forse intuisce e spera, forse teme qualcosa di spiacevole. “In questa busta – è Marco Ruopoli, il presidente della cooperativa Sophia, che rompe il silenzio – c’è una lettera che dice che hai i documenti. Hai ottenuto la protezione speciale”. Aziz non ci crede, scuote la testa, dice qualche parola confusa. Usciamo e ci mettiamo in cerchio, ora ha realizzato, si commuove, ma sorride, un sorriso che è un abbraccio. Sono di fronte a lui. Alza la testa e incrocia il mio sguardo: “Non so chi tu sia, ma ricorderò per sempre il tuo viso. Perché sei l’angelo di questa notizia”. Mi sento in imbarazzo. Ma grato di poter condividere in una mia giornata qualsiasi la gioia di una giornata speciale, specialissima, di un’altra persona. Sono l’ospite di un mattino, ma mi sento per un istante anche io parte della sua storia, di questa storia. Possiamo chiamarlo “il metodo Sophia”: lavorare insieme ad altri per scoprire ciascuno la propria dignità e il proprio posto nel mondo, condividendo la vita quotidiana. “Questa sentenza è il prodotto di un percorso durato sette anni, e di qualcuno che nel mentre ti accompagna passo passo”, spiega Ruopoli. “In questo piccolo traguardo suo, c’è il cuore del lavoro di Sophia con i migranti: l’accompagnamento, il lavorare con loro su vari livelli, il tempo. Ci vuole veramente una pazienza incredibile per arrivare a giorni come questo, per noi e per loro”. Aziz ora scalpita per tornare subito in Senegal, ma deve attendere il documento. D’altra parte, avendo già un contratto di lavoro con la cooperativa, può passare direttamente a un permesso di soggiorno da lavoro. “Eppure, in questi sette anni ci sono stati momenti veramente difficili da gestire. Un giorno, due anni fa, mi arriva un suo messaggio sul telefono: voleva una mano per tornare in Africa. Se fosse partito, avrebbe perso tutto. E allora lì, insieme, a rimotivare, a lavorare”. La cooperativa Sophia – attualmente 12 soci e 24 collaboratori, con un’età media di 24 anni – grazie al sostegno di fondazioni private e bancarie e della Conferenza episcopale italiana, nei suoi oltre 12 anni di attività ha sviluppato progetti in più ambiti: educazione sul tema della migrazione nelle scuole di Italia e Senegal per più di 20.000 studenti; dal 2023, formazione a distanza per ragazzi e ragazze di 11-18 anni a rischio di dispersione scolastica, appartenenti alle famiglie dello spettacolo viaggiante (questi due progetti, in particolare, sono sostenuti dalla Fondazione Migrantes); e poi, un percorso personale di accompagnamento dei giovani nel mondo del lavoro, che finora ha coinvolto più di 150 giovani; infine, la formazione ai mestieri artigianali, in particolare al mestiere edile, elettrico e idraulico, e un accompagnamento personale per 200 giovani italiani e migranti. Progetti che sono collegati a vari servizi che Sophia, che è anche un’impresa sociale, mette poi sul mercato: dal lavoro che fa Aziz, ai servizi di manutenzione per condomini e parrocchie. Ma come è nata la cooperativa Sophia? “Facevo la tesi in economia – racconta Ruopoli – e iniziai a orientarla sulla realtà che vivevo in quel momento. Avevo deciso di avviare un’attività di affissione, e cinque, sei giorni dopo, bussò alla porta un candidato minore a sindaco di Roma e chiese se potevo dargli una mano con la campagna elettorale: era proprio il succo della mia tesi. In quei giorni avevo incontrato al semaforo Dullal, misi insieme i pezzi del puzzle, e scoprii che potevo far lavorare non uno ma 30 ragazzi migranti. Da lì poi è nata Sophia”. [caption id="attachment_59637" align="aligncenter" width="300"]Sophia Dullal e Marco.[/caption] La Fondazione Migrantes è stata la prima a crederci: “Ebbi modo di entrare in contatto con mons. Perego. Gli raccontai quello che facevamo coi migranti – che all’inizio era pulire i condomini e attaccare i manifesti – e lui mi invitò a mandare un progetto, che poi fu finanziato. Ed eccoci qui”. La cooperativa è nata nel 2013 con 4 soci e all’inizio è stata dura. Poi, paradossalmente, lo sviluppo più significativo è avvenuto in tempo di Covid: “Non potendo lavorare nei servizi, abbiamo iniziato a ragionare sulle aree di lavoro. Nel terzo settore sono molto importanti amministrazione e rendicontazione, progettazione e comunicazione. Sono cose che in qualche modo avevamo sempre fatto, ma se volevamo sopravvivere dovevamo strutturarci un po’. In quel periodo lo Stato si faceva da garante su prestiti a tasso bassissimo, un prestito che tuttora stiamo pagando. E ci siamo detti: ‘va bene, prendiamo questo prestito, investiamolo sulle persone e iniziamo a tirare su le aree di lavoro’. E nel 2020 in poco tempo siamo diventati da 10 a 29 tra soci e collaboratori”. Ora Sophia sta vivendo una nuova sfida interna dovuta a una fase di crescita. Ed è dunque un tempo di verifica anche del cammino spirituale, di ispirazione ignaziana, che gran parte dei soci e dei collaboratori condividono, e che li ha fatti incontrare. Si tratta probabilmente del nucleo dell’esperienza di Sophia, e del modo di procedere e di vedere il lavoro: “Non ci siamo neanche scelti tra di noi, ma un passo alla volta camminando siamo diventati compatibili anche come logica”. Un’esperienza sorgiva molto forte che però non ha impedito di coinvolgere sul piano pratico, attraverso il lavoro, anche persone di religione musulmana e induista, o non religiose. “Noi puntiamo a far scoprire a ciascuno quello che può fare meglio e a farglielo sperimentare. È una sfida molto grande e complessa. Ma quando, a scelte fatte, ti resta gioia e pace nel cuore, è un segno buono, no?”. (Simone Sereni)

L'articolo è stato pubblicato sul numero 3 2025 di "Migranti Press".

Sophia

Migranti Press 3 2025 | L’integrazione è una bella impresa. Due esperienze che tracciano una rotta possibile

30 Aprile 2025 - Il numero 3 del 2025 di Migranti Press, il periodico della Fondazione Migrantes, era già stampato e in spedizione da qualche giorno quando abbiamo tutti ricevuto la notizia dolorosa della morte di papa Francesco. Abbiamo atteso un tempo più opportuno per presentarne i contenuti. Eccoli. In copertina, la speranza concreta di due belle esperienze di integrazione, nelle quali emergono il rispetto della dignità delle persone e la fiducia in relazioni comunitarie coraggiose: l’esperienza della cooperativa Sophia di Roma e quella del progetto di accoglienza portato avanti dal CIAC di Parma sulla base del modello del community matching. Di che si tratta? Poi, gli editoriali del direttore del JRS, Michael Schöpf SJ, sull’impatto operativo della decisione del governo degli Stati Uniti di congelare gli aiuti esteri; e quello del Delegato nazionale per le Missioni Cattoliche Italiane in Germania, don Gregorio Milone, su come i cattolici italiani stanno vivendo il particolare momento politico ed ecclesiale del paese. E, ancora. La seconda scheda della nostra rubrica sui “Paesi sicuri”: questa volta ci siamo occupati del Bangladesh. Un approfondimento ragionato sui dati Frontex 2024. Il resoconto della missione della Fondazione Migrantes con le Acli in visita presso la comunità italiana di New York City. La prospettiva sulla “fuga dei cervelli” dei ricercatori italiani in America Latina. L’esperienza della “scuola itinerante” per centinaia di bambini e giovani delle famiglie dello spettacolo viaggiante in Italia. E, infine, le nostre rubriche (Norme e giurisprudenza, Brevi e Segnalazioni – Libri, Cinema, Arte, etc). Copertina Migranti Press 3 2025

Migranti Press | La dignità umana non è negoziabile. Il caso USAid

29 Aprile 2025 - La decisione del governo degli Stati Uniti di congelare gli aiuti esteri ha scosso profondamente il mondo umanitario, mettendo a rischio non solo servizi essenziali, ma anche la resilienza a lungo termine delle comunità più vulnerabili. Lo scorso 24 gennaio, anche noi del Jesuit Refugee Service (Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati) abbiamo ricevuto una comunicazione ufficiale in cui ci veniva chiesto di interrompere immediatamente progetti di assistenza consolidati, che raggiungono oltre 100.000 rifugiati e sfollati in nove Paesi. Parliamo, ad esempio, del supporto psicosociale per membri della comunità yazidi in Iraq, sopravvissuti al genocidio del 2014 per mano dello Stato islamico; di attività di protezione dell’infanzia rivolte ai minori non accompagnati in Etiopia; di un progetto in India per rifugiati dal Myanmar, che prevede aiuti d’emergenza, servizi psicosociali e per la salute mentale. L’amministrazione Trump ha escluso dal blocco solo le attività considerate “salva vita” in senso molto restrittivo: cibo, acqua e alcuni medicinali. Ma cosa significa davvero “salva vita”? Uno dei nostri programmi più colpiti è il progetto educativo nell’est del Ciad, regione segnata da instabilità e povertà cronica. Qui il blocco dei fondi minaccia il sostentamento di 450 insegnanti e rischia di costringere decine  di migliaia di studenti ad abbandonare la scuola, aumentandone significativamente il rischio di diventare vittime di trafficanti o di sfruttamento. Il congelamento ha colpito anche il supporto alla salute mentale per 500 studenti e le attività di sostentamento per le famiglie, rendendo ancora più difficile spezzare il ciclo della marginalizzazione. [caption id="attachment_57972" align="aligncenter" width="300"]Formazione, Ciad BAC exam in Farchana, Chad (foto: JRS).[/caption] Possiamo davvero ridurre la sopravvivenza al solo accesso a cibo e acqua? Per noi, anche l’istruzione e il supporto alla salute mentale, che aiutano a curare i traumi e ricostruire il futuro, sono essenziali per vi- vere con dignità e sono spesso salva vita. Eppure, viste le dichiarazioni di disimpegno da parte di un numero crescente di governi, la politica sarà sempre meno incline a finanziare attività di questo tipo. Stiamo già osservando  un  drammatico incremento della vulnerabilità di un numero incredibile di persone, costrette a pagare il prezzo di tali decisioni. Inoltre, la progressiva riduzione di risorse e opportunità non farà che acuire le tensioni, sia tra i rifugiati che tra le comunità locali. Altrettanto preoccupante è la crescente tendenza all’abbandono della cooperazione multilaterale, un pilastro fondamentale degli aiuti umanitari globali. Il progressivo smantellamento di un sistema basato sulla solidarietà e su valori condivisi sta portando a un mondo frammentato, dove prevale la logica della forza. La politica tende sempre più a ridursi alla tutela del proprio tornaconto a scapito dell’impegno per il bene comune. Lo vediamo nell’ormai diffusa narrazione di odio e divisione che va ben oltre le semplici misure amministrative, nelle politiche migratorie e di accoglienza sempre più restrittive, nell’isolamento di governi autocratici che stringono accordi esclusivamente tra simili. Stiamo assistendo a un passaggio verso un nuovo ordine globale, in cui le relazioni transazionali e l’interesse nazionale avranno la precedenza sulla dignità umana. A mio avviso, è questo l’aspetto più preoccupante di tutti: se non ci sono relazioni basate sul riconoscimento dell’altro e sulla pari dignità di ogni individuo, la strada verso il conflitto e la violenza è inevitabile. Come JRS, sosteniamo le parole di papa Francesco nella lettera indirizzata ai vescovi degli Stati Uniti il 10 febbraio 2025: “Ciò che viene costruito sul fondamento della forza e non sulla verità riguardo alla pari dignità di ogni essere umano incomincia male e finirà male”. È necessario riscoprire il valore della solidarietà e del bene comune, riaffermando con decisione che la dignità umana non è negoziabile. Solo così potremo costruire un  futuro che non lasci indietro nessuno e che non apra un mondo di odio in cui tutti noi dobbiamo vivere. (Michael Schöpf SJ, direttore internazionale del Jesuit Refugee Service - JRS su Migranti Press 3 2025) Copertina Migranti Press 3 2025

Paesi sicuri? Il caso del Bangladesh. La rubrica di “Migranti Press”

28 Aprile 2025 - Il 16 aprile la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha proposto di anticipare l’attuazione di due misure del Patto sulla migrazione e l’asilo (procedure “rapide” ed eccezioni sui Paesi “sicuri”) e di redigere una lista UE di Paesi di provenienza “sicuri”. Le proposte dovranno ora essere approvate dall’Europarlamento e dal Consiglio Europeo. Se l’Europarlamento e il Consiglio approveranno la proposta, gli Stati membri potrebbero subito applicare la procedura di frontiera o una procedura accelerata alle persone che hanno lasciato Paesi i cui cittadini richiedenti protezione internazionale nell’UE ottengono protezione solo nel 20% dei casi, o meno. I Paesi terzi considerati “sicuri” e i Paesi d’origine “sicuri” potrebbero essere designati con delle eccezioni, in modo da offrire «agli Stati membri maggiore flessibilità, escludendo regioni specifiche o categorie di individui chiaramente identificabili». Questa seconda anticipazione andrebbe a influire sulla legittimità delle liste di Paesi “sicuri” stilate da alcuni Paesi membri, fra cui l’Italia. In un primo elenco UE di Paesi di origine “sicuri”, secondo la Commissione, dovrebbero esserci Kossovo, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Marocco e Tunisia, oltre ai Paesi candidati ad entrare nell’Unione, tranne i casi di «violenza indiscriminata in situazioni di conflitto, sanzioni adottate dal Consiglio nei confronti del Paese o un tasso di riconoscimento dei richiedenti asilo a livello UE superiore al 20%». Dall'inizio dell'anno sulla rivista Migranti Press della Fondazione Migrantes è presente una nuova rubrica - a cura dell'Osservatorio permanente sui rifugiati "Vie di fuga" - che intende informare proprio sulla situazione sociale e politica dei Paesi considerati "sicuri" dal nostro governo, che al momento sono 19. Nell'ultimo numero si parla del Bangladesh, dove la situazione dei diritti umani "è critica. Secondo i monitor dei diritti umani del Paese, le forze di sicurezza sono responsabili di centinaia di sparizioni, di torture e di varie forme di repressione". Copertina Migranti Press 3 2025  

Migranti Press | Rom, superare i campi si può. Intervista a Carlo Stasolla

8 Aprile 2025 - In occasione della Giornata Internazionale dei Rom e Sinti - che si celebra l'8 aprile per ricordare il primo Congresso Mondiale del Popolo Rom, tenutosi a Londra nel 1971 - pubblichiamo integralmente l'intervista di Simone Sereni a Carlo Stasolla, presidente della “Associazione 21 luglio” - che domani presenterà a Roma il suo Rapporto annuale - pubblicata sul numero 2 2025 della rivista della Fondazione Migrantes, "Migranti Press". «Salone è un campo estremamente complesso, dove però abbiamo avviato un processo partecipativo nel 2023. E da aprile 2024 stiamo lavorando con operatori e assistenti sociali per il superamento del campo, attraverso un processo integrato, che vuol dire scuola, salute, casa popolare, lavoro, documenti. A metà gennaio abbiamo superato il 50% dei rom usciti. Oggi a Salone vivono meno di 200 persone. Nel 2010 si era arrivati a 800 presenze…. Tutti hanno un documento e una tessera sanitaria. E stiamo lavorando su 32 richieste di cittadinanza. La mattina di bambini non ne vedrai quasi nessuno. Ma fino a 2 anni fa c’era una frequenza scolastica del 19%». Incontro Carlo Stasolla alla stazione ferroviaria di Salone, a Roma, appena fuori dal Grande Raccordo Anulare, tra la via Tiburtina e la Prenestina. Stasolla – 59 anni, presidente della “Associazione 21 luglio” – è stato appena nominato dal presidente Mattarella Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. Mentre ci incamminiamo verso l’ingresso del campo, nato nel 2006, sul ciglio della strada trafficata del mattino, l’intervista incomincia da sé... “Superamento” sarà la parola-guida di tutta la nostra conversazione. Dal 2021 abbiamo presentato alla Camera un modello partecipativo di “superamento” dei campi rom, il “modello Ma.rea” (Mappare e Realizzare comunità, ndr). E lo stiamo disseminando per l’Italia. Laddove le amministrazioni ci chiamano, noi le aiutiamo ad applicarlo. Ad Asti a giugno, per esempio, si chiuderà il campo, la baraccopoli di Via Guerra, 36. Ecco. A parte Roma, negli anni avete di fatto un mappato un po' tutte le situazioni simili in giro per l'Italia… Sì, si trova tutto su www.ilpaesedeicampi.it. Quasi in tempo reale, riusciamo a geolocalizzare gli insediamenti, quando sono stati aperti, quante persone ci sono, di quale etnia. E per noi è un indicatore sulla strada del superamento. Fino al 2018 siamo stati un po’ “cani da guardia” con le istituzioni. Poi dal 2018 abbiamo iniziato a cambiare approccio. Da “cani da guardia” siamo diventati “cani per ciechi”, accompagnando le amministrazioni interessate nel superamento. Intanto, siamo entrati nel campo. A un certo punto svoltiamo verso il container dove ha sede la sala polifunzionale dell’associazione. Il tempo per un saluto a una giovane coppia di vicini, che ci offre un caffè caldo. Hanno appena salutato i figli, che vanno alla materna e alle elementari. Stasolla mi racconta un fatto del giorno precedente: un rom del campo è andato per la prima volta ad aprire la casa popolare che gli è appena stata assegnata. La chiave non va. Si pensa a un’occupazione abusiva. Si mette in moto tutta una macchina di interventi. Poi torna al campo è scopre che in realtà aveva preso la chiave sbagliata. Che ci dice questa storia? Quella chiave, quanto l'hai dimenticata veramente o quanto dentro di te hai avuto difficoltà a prenderla per aprire quella porta? C'è una fatica che non è l'antiziganismo: sono casi molto isolati ed episodici quelli della famiglia rom che arriva e i vicini la cacciano. La resistenza viene dalla mancanza di stima in sé stessi, di fiducia. Il nostro lavoro è anche far sbocciare le persone. Sono sicuro che tutte le famiglie che sono uscite da qua, se non ci fosse stato qualcuno che le accompagnava, in casa non ci sarebbero entrati o rimasti. Quindi, il pregiudizio contro i rom non è il primo ostacolo da superare? No. Abbiamo compreso sin dall'inizio che il problema in Italia fossero i campi. Il campo è il luogo in cui si sviluppa e si amplifica l'antiziganismo. Perché si è a lungo pensato che i rom volessero vivere nei campi. Il punto invece è superare i campi. Nel 2010, quando è nata la “21 luglio”, era impensabile. Non si sapeva nulla dei rom. Da qui il lavoro di ricerca, il monitoraggio, la mappatura degli insediamenti. Abbiamo iniziato a capire l'entità del fenomeno. Oggi in Italia solo il 6% dei rom vive nei campi. C’è stato un momento-chiave? La sentenza storica nel 2015 del Tribunale Civile di Roma sul campo “La Barbuta”. Per la prima volta si stabilisce che costruire un campo è discriminatorio. Un precedente importantissimo che ci ha consentito di bloccare la costruzione di campi successivi. Chiaramente mettendoci tutti contro. Per due anni abbiamo avuto la Polizia che ci proteggeva. Il nostro rapporto – “Campi nomadi S.P.A” –, è stato acquisito da Pignatone nelle indagini su Mafia Capitale. Una persona che viveva qui a Salone prima del 2014 costava al Comune 600 euro al mese, per servizi inutili, appalti mai realizzati. Abbiamo pagato il prezzo di quella denuncia… Ora però il Presidente della Repubblica l’ha nominata Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana… Quando ho saputo, ho avuto un flash. Come quelli che, si dice, capitino a chi sta per morire. In un attimo ho rivisto un po' tutta la vita dell'associazione, e tutte le accuse e le calunnie ricevute sul nostro lavoro. Ci dicevano che era inutile e che non si basava su dati certi, anche se non abbiamo mai ricevuto una querela o una denuncia sui dati che abbiamo prodotto. Ci deridevano. Perché? Il punto è che ho vissuto 14 anni nei campi prima di iniziare questo lavoro, e l'ho fatto in uno spirito di nascondimento. Nessuno sapeva che c'ero, e non ero lì per risolvere problemi, ma per condividere la vita. E quando presentavamo le prime ricerche, si diceva: “E questi, che ne sanno loro di rom?”. La mia è una conoscenza dal di dentro e mi è servita tantissimo, anche perché a stare nel campo si acquisisce una capacità di conoscere l'animo umano. Come è nata la sua sensibilità per la situazione abitativa dei rom? Non è nata tanto intorno al diritto alla casa, ma rispetto a tutte le forme di diseguaglianza. Lo devo a un episodio che mi raccontò mia madre da piccolo. Poi ho incontrato casualmente i rom attraverso un libro. Non li conoscevo. E così che poi la mia esperienza l'ho vissuta con loro. Chi la conosceva comprese le sue motivazioni? Assolutamente, no. Anche in famiglia. Ma me ne rendo conto adesso del perché. Avevo una enorme difficoltà a spiegare: non ero dentro un'organizzazione, non ero dentro una parrocchia, non avevo nessuno dietro. “Perché lo fai?”. Perché è giusto così, dicevo. Che razza di risposta può essere per un padre, per una madre, per un amico? Gli stessi rom erano convinti che mi rifugiassi nel campo perché scappavo da qualcosa o da un amore andato male. In realtà era un amore andato bene… Questa del Quirinale credo sia anche una tappa di verifica per l'associazione. Cambia qualcosa per voi ora? Facciamo 15 anni di vita ad aprile, siamo in piena adolescenza. Secondo me è qualcosa che impatta più sulle motivazioni, e non tanto sull'attività pratica. Una persona autorevole ti dà una pacca sulla spalla e senti di avere più forza, per andare avanti e lavorare meglio, diventare più autorevoli nel dare voce ai rom che vivono in queste condizioni. La vedo in un’ottica futura. Le chiedo di immaginarsi la prima volta che è entrato in un campo per andarci a vivere… Era il 6 maggio 1988, festa di san Giorgio, quando i rom uccidono l’agnello. Entrai, e pensavo che tutti i giorni fossero così… Era un campo informale, dietro Cinecittà... Tra l'altro, la bambinetta che mi venne incontro quel giorno è stata la prima persona di Salone per la quale ho fatto fare domanda e che è entrata in una casa popolare. Certe cose ritornano sempre.
Leggi anche l'articolo di Elia Tornesi "Organizzare la speranza. Dal basso. Il progetto Scuola per e con i rom” pubblicato sul numero 1 2025 della rivista della Fondazione Migrantes, "Migranti Press".

Migranti Press | Giugliano (NA), il progetto “Scuola per e con i rom”

7 Aprile 2025 - In vista della Giornata Internazionale dei Rom e Sinti - che si celebra l'8 aprile per ricordare il primo Congresso Mondiale del Popolo Rom, tenutosi a Londra nel 1971 - pubblichiamo integralmente l'articolo di Elia Tornesi "Organizzare la speranza. Dal basso. Il progetto Scuola per e con i rom” pubblicato sul numero 1 2025 della rivista della Fondazione Migrantes, "Migranti Press". Il card. Carlo Maria Martini scriveva: “Sperare equivale a vivere: l’uomo, infatti, vive in quanto spera e la definizione del suo esistere è collegata alla definizione dell’ambito delle sue speranze”. Al pari della vita, la speranza, la più piccola e allo stesso tempo la più forte delle virtù, è un dono di Dio per l’umanità. Riprendendo una definizione particolarmente efficace di papa Francesco: per mezzo della morte e resurrezione del Figlio incarnato, l’uomo conquista un diritto universale, fondamentale e inalienabile, il diritto alla speranza. Il Giubileo del 2025, dedicato al tema “Pellegrini di speranza”, rappresenta un’occasione propizia per riflettere sul valore di questa virtù. A tal proposito, desta particolare preoccupazione l’allarme lanciato da Caritas Italiana nel Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia 2024, Fili d’erba nelle crepe. Nel nostro Paese, oltre 5,7 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta. Tra questi, il dato più drammatico riguarda i minori, con una cifra record che supera 1,3 milioni di bambini in condizioni di grave disagio economico.
La speranza è un impegno
La povertà, prima tra le gravi violazioni della dignità umana denunciate nel recente documento Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede, è definita come «una delle più grandi ingiustizie del mondo contemporaneo». La povertà, però, non può essere considerata unicamente come una condizione legata alla mancanza di risorse economiche. Essa comprende, oltre agli aspetti materiali, anche dimensioni immateriali e intergenerazionali. Tra queste vi è la progressiva erosione della capacità stessa di sperare in un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Vivere in una condizione di povertà prolungata e cronica, come si legge nelle pagine del Rapporto di Caritas Italiana, finisce per erodere il capitale progettuale, le aspettative e i sogni delle persone. I poveri, così, si trovano sempre più intrappolati in una condizione di privazione assoluta. Privi, finanche, della “speranza” di riuscire a trasformare un giorno il corso della propria esistenza. La speranza, però, oltre a essere dono è soprattutto impegno. E così, nella Bolla di indizione del Giubileo, Spes non confundit, papa Francesco ci esorta, in occasione di questo momento giubilare e sempre, a essere segni tangibili di speranza per le tante persone che vivendo in condizioni di disagio patiscono “vuoti di speranza”. Il cristiano, ci ricorda il Santo Padre, non può accontentarsi di “avere speranza”, ma al contrario è chiamato al compito di “organizzare la speranza”, utilizzando la bella, e sempre attuale, espressione di mons. Tonino Bello. Organizzare la speranza significa tradurla in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico. Non si tratta di un miracolo dall’alto, ma di un lavoro dal basso. Nel corso del 2024, grazie ai fondi dell’8 per mille della Chiesa Cattolica, la Fondazione Migrantes – organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana – ha sostenuto numerosi progetti distribuiti in diverse aree del territorio nazionale, inerenti ai suoi cinque ambiti di riferimento: immigrati, emigranti, richiedenti asilo e rifugiati, rom e sinti, e il mondo dello spettacolo viaggiante. La Fondazione cerca sempre di privilegiare quelle iniziative orientate non solo all’assistenza, ma soprattutto alla cura pastorale, alla ricerca, alla formazione, all’inclusione sociale, alla promozione dell’intercultura e dell’integrazione, valorizzando il protagonismo dal basso dei soggetti beneficiari.
Il progetto “Scuola per e con i Rom”
È quanto accade, ad esempio, nel progetto “Scuola per e con i rom”, portato avanti con dedizione e passione dall’organizzazione di volontariato Arrevutammoce operante nell’area Nord di Napoli, periferia geografica ed esistenziale tra le più complicate del nostro Paese. Partendo dalla consapevolezza che il problema della povertà educativa rappresenta, tanto una causa quanto una conseguenza della precarietà delle condizioni di vita delle comunità Rom e Sinti presenti sul territorio, Arrevutammoce ha avviato, con il sostegno della Fondazione Migrantes, un progetto di prescolarizzazione e scolarizzazione rivolto ai bambini e adolescenti rom del campo di via Carrafiello, a Giugliano in Campania. Tale piano mira a promuovere un accesso equo e non discriminatorio alla scuola dell’obbligo, contrastando il fenomeno dell’abbandono scolastico. Allo stesso tempo, il progetto favorisce il dialogo e la cooperazione tra le istituzioni scolastiche e politiche, il territorio in generale, le famiglie e le comunità rom, creando un ponte tra le diverse realtà sociali coinvolte e ponendo le basi per un’educazione, e quindi una società, più inclusiva. I risultati parlano da sé e certificano il successo di questa iniziativa. Nel luglio 2023, 52 minori hanno sostenuto un esame presso la scuola pubblica per verificare le competenze raggiunte grazie ai corsi di prescolarizzazione avviati. A partire da novembre dello stesso anno, grazie a un importante lavoro di rete, sono stati avviati gli inserimenti scolastici presso le scuole di Giugliano, dopo un confronto con le 92 famiglie residenti nel campo. Nel gennaio 2024, 64 bambini sono stati inseriti in cinque scuole primarie e una secondaria di primo grado, e a marzo, poi, si sono aggiunti 5 bambini iscritti alla scuola dell’infanzia. A settembre 2024, il numero complessivo di minori iscritti è salito a 72, registrando un incremento del 15%. Gli alunni hanno frequentato con regolarità e il 98% di loro è stato ammesso alla classe successiva. I risultati ottenuti, però, non si misurano tanto nei numeri, ma soprattutto – in termini umani e spirituali – con quanta dignità viene restituita ai più vulnerabili. In questo senso tali risultati non devono essere considerati un punto d’arrivo, ma piuttosto un punto di partenza per una Chiesa chiamata a essere instancabile promotrice di processi di speranza. Una Chiesa che non si limita ad assistere, ma si impegna a costruire un futuro in cui l’educazione sia una via privilegiata per la giustizia sociale e l’inclusione, dove nessuno sia lasciato indietro e dove la speranza, organizzata e tradotta in azione, possa continuare a fiorire per generazioni a venire.
La speranza è una “bambina da nulla”
Charles Péguy, poeta molto caro al Santo Padre, ci regala una meravigliosa immagine della speranza: una “bambina da nulla”, nata il giorno di Natale, che cammina tra le due sorelle maggiori, fede e carità. Apparentemente, sembrano essere loro ad accompagnarla lungo la strada accidentata della salvezza, ma in realtà è proprio lei, la speranza, con il suo passo leggero e vivace, a trainare le due sorelle. Senza di lei, fede e carità resterebbero statiche, prive di vitalità, ridotte a due donne avanti negli anni, “sciupate dalla vita”. E così, speranza è Eva che tutte le sere prepara la sua cartella. Speranza è Marianna che ogni mattina sale sul pulmino per andare a scuola. Speranza è Elvira che da oggi ha una nuova compagna di banco. Speranza è Valentina che impara a scrivere il suo nome. Speranza è Chiara che non vede l’ora di incominciare un nuovo anno scolastico. Speranza, infine, è anche Michelle, che non ha mai iniziato il suo percorso di studi, morta nel gennaio dello scorso anno, a soli sei anni, folgorata da un cavo elettrico scoperto vicino a una pozzanghera. Perché, come ci ricorda papa Francesco, è proprio a partire dai “dolori di oggi”, che noi cristiani siamo chiamati a seminare e nutrire la “speranza di domani”. (Elia Tornesi)

Migranti Press | I Cpr in Italia: inutili e “inumani”. Oltre il “populismo penale”

26 Marzo 2025 - Pubblicato il 13 dicembre 2024, un Report del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d’Europa ha evidenziato con allarme le criticità riscontrate nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) in Italia. Il documento scatta una fotografia allarmante delle condizioni di “vita” nei CPR, mettendo in evidenza gravi problematiche nel trattamento delle persone migranti. Tra i punti più preoccupanti emergono: episodi di maltrattamento, utilizzo sproporzionato della forza, condizioni infrastrutturali degradate, somministrazione diffusa e non prescritta di psicofarmaci e una mancanza di adeguate garanzie legali. Un Report che avvalora e rafforza le denunce e le segnalazioni degli ultimi anni, frutto dell’impegno costante di numerosi attori, dal mondo accademico alle organizzazioni della società civile, attivamente coinvolti nel monitoraggio e nella tutela dei diritti delle persone trattenute in questi luoghi.
La detenzione amministrativa: un sistema inefficace
Un sistema, quello fondato sulla implementazione della detenzione amministrativa e della rete dei CPR attivi sul territorio nazionale, che si è rivelato, dati alla mano, fallimentare nel corso degli anni. Nel 2022, secondo il report Trattenuti – realizzato annualmente da Action Aid, in collaborazione con l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” –, sono state espulse il 49,4% delle persone trattenute, confermando un trend stabile di anno in anno. Ciò significa che il trattenimento è inutile ai fini dell’espulsione in un caso su due. Nel 2023 su oltre 28 mila persone straniere colpite da provvedimento di espulsione quelle effettivamente rimpatriate dai CPR sono state solo 2.987, il 10%. Che i CPR non assolvano al compito che ne giustifica l’esistenza è un dato di fatto. È naturale, dunque, interrogarsi sul perché si ritenga utile perseverare nell’attuazione di politiche che – a fronte di costi ingenti in termini economici, ma soprattutto umani – si sono rivelate inidonee al perseguimento degli obiettivi prefissati.
Migranti e “populismo penale”
Non è difficile riconoscere in queste politiche i segnali di quel populismo penale denunciato da papa Francesco nel suo intervento del 23 ottobre 2014 davanti alla delegazione dell’Associazione internazionale di Diritto penale. Un populismo punitivo, costantemente alla ricerca di «capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la loro vita per tutti i mali sociali» e di «figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose». I rischi legati all’uso strumentale del diritto penale in senso repressivo e antigarantista non devono essere sottovalutati. Come osservato dal giurista Luigi Ferrajoli nel suo libro Giustizia e politica (Laterza, 2024), uno degli aspetti più critici delle attuali politiche migratorie risiede proprio nelle degenerazioni del populismo punitivo. La criminalizzazione dei migranti, infatti, assume nuove e preoccupanti dimensioni. Non ci si limita più all’inasprimento delle pene o alla creazione di nuovi reati, ma si mira piuttosto a costruire consenso attorno a politiche che, come nel caso dei cosiddetti “accordi di esternalizzazione delle frontiere”, rischiano di compromettere la tutela dei diritti fondamentali della persona. Questo processo raggiunge il suo apice con la criminalizzazione di comportamenti non solo leciti, ma persino moralmente doverosi, come nel caso delle Ong impegnate nelle operazioni di soccorso in mare.
La detenzione come “extrema ratio”
In un contesto in cui l’approccio securitario e repressivo sembra essere il fulcro delle politiche migratorie, sia a livello nazionale che sovranazionale, è auspicabile un radicale cambio di paradigma. Con specifico riferimento alla detenzione amministrativa dei migranti, si rende sempre più urgente la chiusura definitiva di questi “non luoghi”, i CPR, e l’adozione di alternative più umane e sostenibili. A tal riguardo, si veda anche la nota del 6 giugno 2020 della sezione Migranti e Rifugiati del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, che da tempo auspica il superamento del modello detentivo a favore di misure non custodiali. Il sistematico ricorso alla detenzione amministrativa, infatti, appare non solo poco conciliabile con le fondamenta dello stato di diritto, ma risulta altresì in contrasto con quel principio cardine della Dottrina sociale della Chiesa secondo cui ogni limitazione della libertà personale “dovrebbe essere comminata unicamente in proporzione alla gravità del crimine e allo scopo di scoraggiare comportamenti lesivi dei diritti dell’uomo e delle regole fondamentali di una civile convivenza e [rimediare], tramite il sistema delle pene, al disordine creato dall’azione delittuosa” (CDSC, n. 402). La privazione della libertà personale dovrebbe, pertanto, rappresentare un’eccezione nel sistema di governance delle migrazioni, l’extrema ratio cui ricorrere in circostanze peculiari e dopo un attento esame del caso concreto.
A difesa della dignità umana. Sempre
L’ascolto della realtà, in tutte le sue sfaccettature e la responsabilità di essere una voce profetica nella storia impongono alla Chiesa, e a tutte le sue articolazioni, di rinnovare il proprio impegno nella salvaguardia della dignità di ogni persona, con particolare attenzione ai più vulnerabili. Come ricorda la dichiarazione Dignitas infinita, è nel “dramma dei migranti” che si consuma una delle più gravi violazioni della dignità umana del nostro tempo. Si tratta di uomini e donne la cui dignità è spesso negata nei Paesi di origine, dove povertà, conflitti e ingiustizie impediscono loro di condurre una vita degna. Lo stesso accade nei luoghi di transito, dove molti affrontano ulteriori privazioni e umiliazioni. Eppure, anche quando raggiungono la meta del loro progetto migratorio, questi uomini e queste donne “vengono considerati non abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro, e si dimentica che possiedono la stessa intrinseca dignità di qualunque persona […] Non si dirà mai che non sono umani, però in pratica, con le decisioni e il modo di trattarli, si manifesta che li si considera di minor valore, meno importanti, meno umani”. (Elia Tornesi, Migranti Press 2 2025)

Il referendum per diventare cittadini prima. Un atto d’amore alla città

14 Marzo 2025 - Oltre 600.000 persone, in poche settimane, hanno firmato in Italia la richiesta referendaria in materia di cittadinanza. Il referendum, che vedrà il nostro voto in primavera, mira ad abrogare, congiuntamente, l’intero articolo 9, comma 1, lettera f), della legge numero 91 del 1992 – l’attuale legge italiana sulla cittadinanza - e, limitatamente ad alcune parole, l’articolo 9, comma 1, lettera b). La combinazione delle due diverse abrogazioni avrebbe quale esito che tutti gli stranieri maggiorenni con cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea potrebbero presentare richiesta di concessione della cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza legale in Italia. Al referendum si è arrivati dopo che il Parlamento ha fermato, per due volte, negli ultimi 10 anni, l’approvazione di una nuova legge sulla cittadinanza che abbreviasse i tempi – da 10 a cinque anni di residenza –, legandola soprattutto agli anni di studio (jus culturae e jus scholae). Ogni referendum abrogativo, come sappiamo, parte da una legge esistente per cambiare solo un aspetto, un comma, un elemento che, in questo caso, sono i tempi di attesa per la concessione della cittadinanza a una persona residente che proviene da un altro Paese non europeo. Nonostante questo, il referendum ha un grande valore per due motivi: da una parte, sollecita ancora il Parlamento a legiferare su un tema importante nella costruzione e nella vita di un Paese, quale è quello della cittadinanza, per evitare il referendum; dall’altra, esso è il frutto di una volontà popolare che interviene su una legge per accettare o meno una modifica. Ogni volta che si propone e si vota un referendum si ritorna al centro della democrazia, che vede il popolo sovrano. Ogni volta che si vota un referendum popolare si esercita un diritto fondamentale: quello di partecipare alla costruzione del bene comune. In questo caso, il referendum abrogativo sulla cittadinanza è, anzitutto, una denuncia di chi in Parlamento da anni fa ostruzionismo sul cambiamento di una legge che vuole soltanto accogliere prima le persone nella città, perché diventino cittadini, cioè persone che si sentano parte attiva di una città, con diritti e doveri, per costruire insieme il nostro futuro. Non si può lasciare fuori dalla città – oggi con un’attesa fino anche a 14 anni, per motivi burocratici, mentre negli altri Paesi europei l’attesa media è di sette anni – chi lavora, studia, si sposa, ha un figlio in Italia. Una città per vivere non può escludere, ma accogliere le persone che provengono da un altro Paese, facendole sentire effettivamente un bene per la città, cittadini e cittadine. Nel corso della storia, il ritardo della cittadinanza o addirittura la mancanza della cittadinanza ha significato mancanza di libertà, schiavitù, precarietà, discriminazione. Oggi il ritardo della cittadinanza rischia di indebolire quella “uguaglianza sostanziale” delle persone affermata dall’art. 3 della Costituzione. Votare il referendum sulla cittadinanza significa esercitare il diritto a modificare una legge che non aiuta a costruire l’Italia di domani, riconoscendo “gli italiani senza cittadinanza”. È un atto d’amore alle nostre città, tra le più vecchie al mondo, che potranno rinascere e vedere più coesione sociale solo attraverso nuovi cittadini, non da subito, alla nascita (jus soli) – come avremmo voluto –, ma aspettando solo cinque anni. (mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, presidente della Cemi e della Fondazione Migrantes - da "Migranti Press 2 2025")

Migranti e media: si parla di loro, ma non con loro

14 Febbraio 2025 - L'altro editoriale di Nello Scavo, inviato del quotidiano "Avvenire" e presidente dell’Associazione Carta di Roma, pubblicato sul numero 1 del 2025 di "Migranti Press". “Richiedente asilo, rifugiato, vittima di tratta, migrante non possono essere usati come sinonimi perché rimandano a condizioni giuridico–amministrative diverse. Tanto meno le persone che arrivano nel nostro paese irregolarmente possono essere accomunate sotto la definizione comune di ‘clandestini’, termine non solo fortemente connotato negativamente, ma anche inesistente giuridicamente”. Già nel 2018 le linee guida per i media elaborate da “Carta di Roma” mettevano in guardia da una comunicazione fuorviante e strumentale. Da allora qualcosa è cambiato in meglio? Alcune discontinuità sono state registrate. Se è vero che la rappresentazione delle migrazioni è quella di una “crisi permanente”, sempre adoperando toni  allarmistici imbastiti con il consueto campionario di “emergenza”, “crisi”, “allarme”, “invasione”, i ricercatori del XII Rapporto Carta di Roma, Notizie di contrasto, segnalano una lieve diminuzione della comunicazione parossistica. È un piccolo ma importante segnale, perché dice che il lavoro di questi anni ha permesso di innescare, anche grazie a “Carta di Roma”, una maggiore attenzione all’armamentario delle parole scelte da chi comunica. Chi, invece, è ancora assente dal panorama informativo sono i protagonisti. Nel 2024 la voce delle persone migranti e rifugiate sono state presenti solo nel 7% dei servizi dei telegiornali. Si parla di loro, ma non con loro. Non c’è da sorprendersi: il primo tema in agenda resta quello dei “flussi migratori”, mentre parlare di “accoglienza” è quasi una rarità. Le scelte mediatiche, dunque, rispecchiano lo spartito scritto dalla politica. Un pessimo segnale per un giornalismo, pur tra alcune eccezioni, vissuto tra assuefazione e complicità. C’è un altro dato che conferma le cattive abitudini di tante redazioni e le ricadute sull’opinione pubblica, il calo netto dell’attenzione mediatica verso la questione migratoria: parliamo di una contrazione del 40% circa in stampa e telegiornali di prima serata. Le considerazioni e le raccomandazioni finali del Rapporto non valgono solo per chi fa informazione. “Si sono rivelati molto costruttivi gli approfondimenti che attraverso molteplici ingredienti (dati, analisi, testimonianze, comparazioni) riescono a penetrare la superficie del fenomeno per darne letture articolate, inedite e stimolanti per la riflessione. Al contrario, le letture dell’accoglienza attraverso lenti parziali e ideologicamente condizionate non contribuiscono in alcun modo alla comprensione del fenomeno”. Valerio Cataldi, che a dicembre mi ha passato il testimone alla presidenza di Carta di Roma, così apriva il rapporto annuale: “Le persone spariscono (di nuovo). La politica (ancora) in primo piano”. Una sintesi perfetta, e amara.

“Fino a che punto?”. Il diritto d’asilo in copertina sul primo numero di “Migranti Press” del 2025

13 Febbraio 2025 - Arriva il numero 1 del 2025 di Migranti Press, il periodico della Fondazione Migrantes. In copertina, i numeri e la progressiva compressione del diritto d’asilo in tutto il mondo, ma anche le modalità di accoglienza e accompagnamento dei rifugiati nel nostro Paese, partendo dai dati del Report “Il Diritto d’asilo 2024”. In evidenza, un editoriale di Nello Scavo sull’ultimo Rapporto dell’associazione Carta di Roma, a proposito di migrazioni e media; un focus sull’appartenenza religiosa degli immigrati che vivono in Italia; i percorsi e le storie degli studenti stranieri accolti a Firenze dal Centro “La Pira”; il progetto “Scuola con e per i rom” a Giugliano, mentre l’Italia è ancora “il Paese dei campi”; uno dei racconti che Luigi Dal Cin ha pubblicato nel volume Sulla porta del mondo. Storie di emigranti italiani (Terre di Mezzo editore), realizzato con la Fondazione Migrantes. È la storia dei piccoli spazzacamini della Val Vigezzo. Infine, le nostre rubriche (Norme e giurisprudenza, Brevi e Segnalazioni – Libri, Cinema, Arte, etc).
Il sommario completo:
  • Editoriale La Festa dei popoli: insieme in Piazza e in Cattedrale Mons. Pierpaolo Felicolo
  • L’altro editoriale Migranti e media: si parla di loro, ma non con loro. Il XII Rapporto Carta di Roma Nello Scavo
  • In Italia e in Europa il diritto d’asilo è a rischio. L’ottava edizione del Report annuale della Fondazione Migrantes Cristina Molfetta e Giovanni Godio Sto alla porta e busso». L’esperienza delle “suore di frontiera” Bruno Salustri
  • “E tu, in chi credi?”. L’appartenenza religiosa degli immigrati in Italia Simone M. Varisco Il mio “jihad” attraverso il fumetto. Intervista a Takoua Ben Mohamed S. M. V.
  • 4 vite che sono anche la mia. Una medaglia dalle quattro facce Miriam Sereni
  • Facciamoli studiare. Diritto allo studio e integrazione Michele Zanzucchi e Maurizio Certini
  • Cam-caminì. Storie di (piccoli) emigranti italiani Luigi Dal Cin
  • Organizzare la speranza. Dal basso. Il progetto “Scuola per e con i rom” Elia Tornesi Diritti abitativi. L’Italia è ancora il “Paese dei campi” E. T.
  • Leggi e giurisprudenza a cura di Alessandro Pertici (Ufficio nazionale per i problemi giuridici della Cei)
  • Brevi
  • Segnalazioni (libri, cinema, musica, arte)