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Don Basile (Mci Lucerna): ha senso oggi essere missionario con gli italiani?

16 Ottobre 2020 -

Lucerna - Spesse volte mi vengono fatte queste domande: “Ha senso ancora oggi nel 2020 parlare di missione ? Ha senso ancora oggi parlare di missionari ?

Beh, effettivamente, può sembrare superfluo forse oggi usare questi due termini missione e missionario, soprattutto per noi che viviamo in Svizzera. Potevano essere usati una volta per indicare l’opera evangelizzatrice di coloro che partivano per i continenti per annunciare il Vangelo di Gesù a quei popoli che mai avevano sentito parlare di Lui; ma oggi nel mondo della globalizzazione, molti dicono che non ha più senso parlare di missione e di missionari.

Eppure, personalmente, penso che soprattutto oggi sia necessario appropriarsi del significato “genuino” di questi due termini che non vanno mai persi (per brevità di spazio non posso dilungarmi sulla mia riflessione) ma penso che sia “urgente” soprattutto oggi parlare di Missione e di missionari e non solo come presbiteri o consacrati, bensì come battezzati.

Mi trovo in Svizzera come presbitero da circa 25 anni a servizio delle Comunità di lingua italiana e il mio essere qui in questo contesto elvetico è come dice il nostro Papa Francesco “ il riflesso della gratitudine di quanto si è ricevuto”: mai finirò di dire grazie al Signore per il dono del Battesimo e ancor più per il dono del Sacerdozio ministeriale.

E’ vero che la nostra azione missionaria in Svizzera è cambiata, ma la nostra opera e proposta evangelica rimane sempre valida e attuale per i nostri tempi “Hic et nunc”. I motivi sono tanti non per ultimo il fatto che in Svizzera continuano ad arrivare molti italiani e il contesto elvetico,purtroppo, continua a vedere sempre di più la fede in Gesù come un qualcosa di non importante o essenziale per la vita personale.

Spesse volte quando mi trovo a parlare con le autorità svizzere e italiane ribadisco l’importanza della Missione oggi in Svizzera, intesa come ”segno e presenza concreta” a servizio degli italiani. Una proposta evangelica, quella che continuo a fare insieme ai miei collaboratori laici, che abbia il taglio della concretezza, dunque una proposta evangelica che sia soprattutto valida perché espressione autentica di quella Parola che sa essere a volte silenziosa, ma efficace dell’Amore di Gesù. Penso soprattutto oggi in Svizzera come in Europa (paesi ormai secolarizzati) ci sia bisogno di un nuovo Annuncio: nuovo nei metodi e nelle proposte, nuovo negli atteggiamenti, nuovo nello slancio, nuovo nell’essere autentici e veri discepoli di Gesù a partire dal Battesimo che abbiamo ricevuto.

Concludo con un racconto, che ci riferiscono le Fonti francescane, il quale riassume quello che in semplicità mi sforzo di fare in Svizzera, nel mio piccolo contesto del Canton Lucerna, insieme ai miei collaboratori e che spero possa essere da sprono.

“Un giorno, uscendo dal convento, san Francesco incontrò frate Ginepro. Era un frate semplice e buono e san Francesco gli voleva molto bene. Incontrandolo gli disse: “Frate Ginepro, vieni, andiamo a predicare”. “Padre mio” rispose, “sai che ho poca istruzione. Come potrei parlare alla gente?”.

Ma poiché san Francesco insisteva, frate Ginepro acconsentì. Girarono per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle botteghe e negli orti. Sorrisero ai bambini, specialmente a quelli più poveri. Scambiarono qualche parola con i più anziani. Accarezzarono i malati. Aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d’acqua. Dopo aver attraversato più volte tutta la città, san Francesco disse: “Frate Ginepro, è ora di tornare al convento”. “E la nostra predica?”. “L’abbiamo fatta… L’abbiamo fatta” rispose sorridendo il santo. Se hai in tasca il profumo del muschio non hai bisogno di raccontarlo a tutti. Il profumo parlerà in tua vece. La predica migliore sei tu”.

Don Mimmo Basile

Missione Cattolica Italiana di Lucerna

Don Vignola (MCI Amburgo): l’esperienza come prete “Fidei donum”

16 Ottobre 2020 - Amburgo - La scelta di andare a lavorare in Missione credo sia la scelta di chi dopo anni di servizio, e con una certa “base” alle spalle, voglia fare l’esperienza nuova di un mondo per certi versi diverso da quella che è la routine giornaliera del servizio in Parrocchia in Italia. Non mi sarei mai immaginato di venire in una terra la cui lingua per me è sempre stata ostica, e che mi si disse durante il dottorato di studiarla perché serviva per la Teologia. Mai fatto, ma era destino dover studiare il tedesco. Da qui nasce l’esperienza di chi ha avuto ed ha come preoccupazione principale ed attenzioni prioritarie le famiglie in una Missione con circa 30.000 persone: famiglie da istituire o sostenere e quelle da coinvolgere ed animare. Le famiglie italiane con la loro religiosità semplice e tanta devozione, non fa sentire il peso del servizio, anzi sempre più la gioia di trasmettere come gli apostoli la Parola di Dio. Ecco allora che l’essere prete “fidei donum”, perché “donato” in nome della fede dalla Chiesa potentina ad una Chiesa sorella per una sorta di scambio di doni, diventa ogni giorno sempre arricchente. Anche se non sono mancati e non mancano problemi e limiti, posso dire che in questi sei anni ho cercato di far entrare ancor più profondamente la missione nel cuore della nostra gente, proprio perché sentita una “scuola di missione” ancora attuale. Il servizio in missione, i rapporti nati con le Chiese sorelle missionarie di altra madre lingua, hanno aiutato a sentirmi parte della Chiesa universale e a confrontarmi con la vita dei cristiani in altre parti del mondo. Così l’essere fidei donum ha aiutato a rendere più visibile la natura missionaria della Chiesa e nello stesso tempo ne ha mostrato tutta la fecondità. Questa esperienza che mi ha toccato la vita profondamente ha fatto sì che scoprissi il senso dell’essenzialità, i tratti della condivisione, l’apertura alla mondialità. Il coinvolgimento avuto e dato nella missione, è stato occasione di condivisione del cammino dei poveri nella ricerca del regno di Dio e più in generale di crescita umana, spirituale, ecclesiale. Donare la fede è il modo migliore per farla crescere. don Pierluigi Vignola Missione Cattolica Italiana Amburgo

Don Giacomelli (MCI Romania): “mostrare” gli effetti della presenza di Dio

16 Ottobre 2020 - Bucarest - All’inizio di questa mia breve riflessione mi sento di poter dire che il missionario, meglio il sacerdote, suora o laico/a, che si prende a cuore la cura spirituale dei propri connazionali residenti come lui/lei in una nazione altra dalla propria, è colui che dovrebbe “mostrare” gli effetti della presenza di Dio nella sua vita, colui che è cosciente del fatto che il frequentare Dio, nutrirsi di Lui, Parola ed Eucarestia, accogliere Lui nel fratello e nella sorella che incontriamo ogni giorno, mettendosi al loro “servizio”, sia la cosa più normale, bella e saggia che una persona possa fare. Primariamente informare. Occorre cioè far giungere ai nostri connazionali, tramite il passaparola, tramite i normali mezzi di comunicazione e, perché no, valorizzando e chiedendo “ospitalità” ai vari gruppi social di associazioni italiane già presenti sul territorio, la notizia che, in questa o quella città, c’è una Messa in Italiano, ci sono in lingua italiana delle iniziative di tipo aggregativo, catechetico/pastorali. Se si trovano le possibilità, dar vita a delle riviste o gruppi social come abbiamo fatto anche noi qui in Romania con il settimanale Adeste o con il FacebooK “parrocchia Cattolica Italiana Virtuale Iasi”. L’esperienza più che ventennale al fianco degli italiani che, per vari motivi, si ritrovano a vivere di passaggio o più o meno stabilmente in Romania ha accresciuto in me la convinzione che, per poter rafforzare e/o sostenere la vita di fede, speranza e carità dei nostri connazionali, occorre innanzitutto mettersi umilmente al loro fianco tramite un atteggiamento di ascolto empatico e, con tanta delicatezza, ma anche risolutezza, cercare di aprire loro la mente e il cuore affinché colgano la presenza di Dio che è un buon Padre che ricopre ogni persona del suo affetto e che viene sempre incontro a tutti per accoglierli o riaccoglierli. “Accoglierli o riaccoglierli” è un’azione questa da parte di Dio che il “missionario” è chiamato a mediare. Ci sono molti connazionali con i quali occorre primariamente avere un approccio umano e questo perché si tratta di persone che hanno trascurato, già dall’Italia, il loro rapporto di fede. Per usare delle immagini bibliche occorre, con tanta pazienza “dissodare il terreno” ma anche “seminare a larghe mani”, quasi incuranti di dove possa cadere la Parola e questo in quanto ciascuno di noi dovrebbe essere convinto che sia la Parola stessa a dissodare. Una sfida importante è quella legata ai giovani connazionali che vengono in Romania per frequentare le università romene in modo stabile o tramite il programma Erasmus. Anche nei loro riguardi credo sia importante andare la dove si trovano e cioè nelle università da loro frequentate e fare loro delle proposte concrete che siano anche di tipo caritativo oltre che spirituale. Credo che il pastore missionario, oggi come sempre, debba incarnare il motto che San Luigi Orione ripeteva ai suoi figli e figlie delle congregazioni da lui fondate: “Fuori di sacrestia!”. O, per dirla al Papa Francesco che parla spesso di chiesa in uscita: “andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali” e “Siate pastori con l’odore delle pecore addosso”. Don Valeriano Giacomelli MCI Romania      

La missione oggi: la voce dei missionari con gli italiani nel mondo

15 Ottobre 2020 - Roma - A pochi giorni dalla Giornata Mondiale Missionaria, che si celebrerà domenica prossima, una domanda si pone: “ha senso ancora oggi nel 2020 parlare di missione? Ha senso ancora oggi parlare di missionari?”. Il missionario, meglio il sacerdote, suora o laico/a, che si prende a cuore la cura spirituale dei propri connazionali residenti come lui/lei in una nazione altra dalla propria, è colui – spiega don Valeriano Giacomelli, delegato per le Missioni Cattoliche di Lingua Italiana in Romania - che dovrebbe “mostrare” gli effetti della “presenza di Dio nella sua vita, colui che è cosciente del fatto che il frequentare Dio, nutrirsi di Lui, Parola ed Eucarestia, accogliere Lui nel fratello e nella sorella che incontriamo ogni giorno, mettendosi al loro ‘servizio’, sia la cosa più normale, bella e saggia che una persona possa fare”. Per don Giacomelli occorre “primariamente informare”, cioè far giungere ai nostri connazionali, tramite il passaparola, tramite i normali mezzi di comunicazione e, “perché no, valorizzando e chiedendo ‘ospitalità’ ai vari gruppi social di associazioni italiane già presenti sul territorio, la notizia che, in questa o quella città, c’è una Messa in italiano, ci sono in lingua italiana delle iniziative di tipo aggregativo, catechetico/pastorali. Se si trovano le possibilità, dar vita a delle riviste o gruppi social come abbiamo fatto anche noi qui in Romania con il settimanale Adeste o con il Facebook”. Nella sua riflessione il sacerdote italiano, da oltre venti anni al fianco degli italiani che, per vari motivi, si ritrovano a vivere di passaggio o più o meno stabilmente in Romania, sottolinea che questa esperienza ha “accresciuto” la convinzione che, per “poter rafforzare e/o sostenere la vita di fede, speranza e carità dei nostri connazionali, occorre innanzitutto mettersi umilmente al loro fianco tramite un atteggiamento di ascolto empatico e, con tanta delicatezza, ma anche risolutezza, cercare di aprire loro la mente e il cuore affinché colgano la presenza di Dio che è un buon Padre che ricopre ogni persona del suo affetto e che viene sempre incontro a tutti per accoglierli o riaccoglierli”. “Accoglierli o riaccoglierli” è un’azione questa da parte di Dio che il “missionario” è “chiamato a mediare. Ci sono molti connazionali con i quali occorre primariamente avere un approccio umano e questo perché si tratta di persone che hanno trascurato, già dall’Italia, il loro rapporto di fede”. Per il delegato una sfida importante è quella legata ai giovani italiani che arrivano in Romania per frequentare le università romene in modo stabile o tramite il programma Erasmus: “anche nei loro riguardi credo sia importante andare là dove si trovano e cioè nelle università da loro frequentate e fare loro delle proposte concrete che siano anche di tipo caritativo oltre che spirituale”. Si dice convinto che oggi c’è necessità di essere “per strada” don Luigi Usubelli, missionario con gli italiani a Barcellona: “io, per ironia, mi definisco un ‘prete per strada’ e non un ‘prete di strada’ perché penso che c’è il modo di accogliere il dono dell’imprevedibile che lo Spirito ci suggerisce e ci propone. Bisogna camminare, stare – spiega – concretamente per strada, creare incontri, creare opportunità di incontro e raccogliere quelle opportunità che la vita ci offre”. Don Usubelli parla di “doppio movimento di missione con gli italiani all’estero oggi: radunare e raggiungere”. “Radunare i diversi livelli pastorali quindi fare comunità” e raggiungere cioè “recuperare questa dimensione di uscire e raggiugere le persone italiane che vivono qui con la nostra presenza discreta presente”. Per “chiamare – spiega il sacerdote italiano - bisogna mettersi ‘per’ e raggiungere le persone ed essere raggiungibili”. La scelta di andare a lavorare in Missione per don Pierluigi Vignola, missionario con gli italiani ad Amburgo – “è una scelta di chi dopo anni di servizio, e con una certa ‘base’ alle spalle, voglia fare l’esperienza nuova. Non mi sarei mai immaginato – dice - di venire in una terra la cui lingua per me è sempre stata ostica, e che mi si disse durante il dottorato di studiarla perché serviva per la Teologia. Mai fatto, ma era destino dover studiare il tedesco. Da qui nasce l’esperienza di chi ha avuto ed ha come preoccupazione principale ed attenzioni prioritarie le famiglie in una Missione con circa 30.000 persone: famiglie da istituire o sostenere e quelle da coinvolgere ed animare. Le famiglie italiane – aggiunge don Pierluigi - con la loro religiosità semplice e tanta devozione, non fa sentire il peso del servizio, anzi sempre più la gioia di trasmettere come gli apostoli la Parola di Dio”. Ecco allora che l’essere prete in missione diventa “ogni giorno sempre arricchente. Anche se non sono mancati e non mancano problemi e limiti, posso dire che in questi sei anni ho cercato di far entrare ancor più profondamente la missione nel cuore della nostra gente”.  Effettivamente – aggiunge don Domenico Basile, missionario con gli italiani a Lucerna in Svizzera -   può sembrare superfluo forse usare due termini come missione e missionario, soprattutto “per noi che viviamo in Svizzera. Potevano essere usati una volta per indicare l’opera evangelizzatrice di coloro che partivano per i continenti per annunciare il Vangelo di Gesù a quei popoli che mai avevano sentito parlare di Lui; ma oggi nel mondo della globalizzazione, molti dicono che non ha più senso parlare di missione e di missionari. Eppure, personalmente, penso che soprattutto oggi sia necessario appropriarsi del significato ‘genuino’ di questi due termini che non vanno mai persi (per brevità di spazio non posso dilungarmi sulla mia riflessione) ma penso che sia ‘urgente’ soprattutto oggi parlare di Missione e di missionari e non solo come presbiteri o consacrati, bensì come battezzati”. Don Basile è in Svizzera da 25 anni a servizio delle Comunità di lingua italiana e “il mio essere qui in questo contesto elvetico è come dice il papa Francesco ‘il riflesso della gratitudine di quanto si è ricevuto’: mai finirò di dire grazie al Signore per il dono del Battesimo e ancor più per il dono del Sacerdozio ministeriale”. È vero che la “nostra azione missionaria in Svizzera è cambiata, ma la nostra opera e proposta evangelica rimane sempre valida e attuale per i nostri tempi”.

Raffaele Iaria

I missionari italiani e la loro esperienza nel mondo

14 Ottobre 2020 -

Roma - Domenica prossima si celebra la Giornata Mondiale Missionaria. Il tema scelto dalle Pontificie Opere Missionarie in Italia è “Eccomi, manda me. Tessitori di fraternità”. Testimoni di questa “tela” di fraternità e speranza sono le diverse iniziative portate avanti dalle diocesi italiane in varie parti del mondo e anche tanti missionari del nostro Paese “fidei donum”. Testimonianze che aiutano a riflettere sul senso della vita cristiana e dell’impegno missionario oggi. In questo servizio vogliamo citarne alcuni attraverso le storie pubblicate dai giornali diocesani.

“Chi ha un lavoro giornaliero è stato maggiormente colpito dall’emergenza sanitaria in questo ultimo periodo. Si parla di persone che stanno in strada con la pala, il trapano o il pennello in mano, oppure i proprietari di negozi nei bazar o chi si occupa delle pulizie per le strade o nelle case. Quando la nostra comunità ci ha inviato un contributo di cinquemila Euro dall’Italia, siamo andati a comprare viveri come farina e riso e li abbiamo impacchettati per distribuirli a circa cinquanta famiglie”, racconta al settimanale di Cosenza-Bisignano, “Parola di Vita” Andrea Giordano, genovese di nascita, ma calabrese di origine, in Pakistan come missionario laico fidei donum del Movimento dei Focolari e in missione con una particolare convenzione sostenuta dall’otto per mille destinato alla Chiesa Cattolica, scrive il giornale diretto da don Enzo Gabrieli. Prima della pandemia il giovane si occupava principalmente di attività di evangelizzazione per i giovani e per le comunità e con le famiglie era stato avviato un progetto di aiuto a gruppi di indù che si erano convertiti al Cristianesimo e che vivevano in campagna. In Pakistan – racconta Andrea - il lockdown è stato più blando che in Italia, perché le persone non avevano l’obbligo di rimanere in casa. Però sia i negozi di vestiario che le fabbriche essenziali sono stati chiuse e i trasporti pubblici sono stati interrotti. Il 14 marzo “la mia comunità ha celebrato l’ultima messa, stando attenti a mantenere il distanziamento fisico. Io sono stato fortunato: abitando di fronte alla parrocchia, il mio sacerdote ha detto la messa ogni giorno per me e per le altre tre persone con cui vivevo. Tra i membri della nostra comunità non c’erano casi di indigenza, perché tanti di noi sono insegnanti o infermieri. Tuttavia, la sanità non è pubblica: chi ha bisogno di andare in ospedale deve pagare il servizio”. Il giovane è tornato ad agosto in Italia a Mendicino e vorrebbe tornare in Pakistan.

In Perù vive un altro giovane che proprio alla vigilia del Giornata verrà ordinato sacerdote nella sua diocesi di origine. Si tratta di Damiano Boffo, di Fossalta Maggiore, nella diocesi di Vittorio Veneto. La celebrazione, come riferisce il settimanale “L’azione” è diretto da don Alessio Magonza – sarà presieduta da Mons. Giorgio Barbetta, originario di Sondrio e ausiliare della diocesi di Huari (Perù). È nel seminario di quella diocesi che Damiano ha approfondito la sua vocazione e lì, un anno fa, è stato ordinato diacono, scrive il giornale. Ora il passo del sacerdozio nella sua terra natale “per dare modo ai miei familiari e ai miei tanti amici di essermi vicini” dice. Poi ripartirà per Huari, dove lo attende l’incarico di parroco. Fin da bambino, in famiglia Damiano ha respirato i valori dell’Operazione Mato Grosso: “a 14 anni ho iniziato a partecipare a un gruppo giovani dell’Operazione a San Michele di Piave. Facevamo incontri serali e servizi il sabato e la domenica: imbiancature, raccolte ferro... Il tutto per raccogliere fondi per le missioni dell’Operazione. Ho anche preso parte a campi di lavoro in giro per l’Italia”. L’impatto appena arrivato in Perù – racconta al giornale -  è stato “duro: sono partito pensando di andare a salvare il mondo e invece non è affatto così”. Nella zona di Huari la Chiesa cattolica è ancora ben radicata, “tra la gente c’è una religiosità semplice, tanta devozione, è molto bello”, racconta ancora. Don Damiano tornerà a metà novembre, Covid permettendo.

Il settimanale di Reggio Emilia-Guastalla, “La Libertà”, diretto da Eduardo Tincani racconta questa settimana l’esperienza del “Villaggio del sorriso”, casa di accoglienza delle Suore Missionarie della Consolata a Meru, in Kenya. Il Villaggio del sorriso è una casa di accoglienza designata a ricevere bambini/e senza famiglia e ridare loro dignità, serenità, gioia e futuro, scrive, spiega il giornale: la loro è una storia di sofferenza e umiliazione, ma dopo i primi timori, vivendo nel Villaggio, “tornano a sorridere, guardando al futuro con speranza e s’impegnano a rendere più bella la loro vita”. Complessivamente il Centro ospita 120 persone, attualmente 65 bambine e 55 bambini: 74 frequentano le elementari e scuola materna, 22 nelle secondarie, 16 in attesa di scegliere e frequentare corsi vocazionali e 8 nei corsi vocazionali. Grazie all’aiuto di Dio e alla Sua Provvidenza che arriva anche tramite il gruppo missionario di Sant’Agostino di Reggio Emilia, “abbiamo avuto innumerevoli buoni risultati: Charles ha terminato il corso per infermiere ed è già al lavoro in un ospedale di Meru. È lui che custodisce il fratello più piccolo. Doris ha terminato il corso da hostess, lei ha al Villaggio un fratello e sorella che attendono il suo aiuto. Orundo insegna all’Università, Eugene e Josephine frequentano l’Università e anche per loro il futuro sarà migliore, Dominic è stato al Villaggio 17 anni e ora, felice e indipendente, lavora come elettricista specializzato...”, racconta il servizio scritto da suor Gianna Irene Peano.

Raffaele Iaria

 

Losanna: a breve un museo della migrazione

14 Ottobre 2020 - Losanna – Sorgerà a Losanna un nuovo museo della migrazione. Lo segnala la newsletter della Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera. Il museo, integrato nei locali del Centro culturale des Amériques Casona Latina, sarà dedicato sia agli immigrati in Svizzera che agli svizzeri emigrati in altre parti del mondo. La prima mostra, che verrà inaugurata il 29 ottobre, sarà dedicata al cinquantesimo anniversario dell’iniziativa Schwarzenbach e ai diritti umani.  “Racconterà – spiegano i promotori – la storia dei migranti arrivati in Svizzera per costruire le grandi infrastrutture e il lancio dell’iniziativa contro l’“inforestieramento”. L’esposizione porrà l’accento sulla violazione dei diritti umani con le testimonianze dei bambini nascosti e delle famiglie separate”.  

Papa Francesco telefona ad un missionario italiano in Brasile: “ha bruciato la sua vita coni poveri”

12 Ottobre 2020 - Città del Vaticano - “Ieri sera, sono riuscito a fare una telefonata a un anziano prete italiano, missionario dalla gioventù in Brasile, ma sempre lavorando con gli esclusi, con i poveri. E vive quella vecchiaia in pace: ha bruciato la sua vita con i poveri. Questa è la nostra Madre Chiesa, questo è il messaggero di Dio che va agli incroci dei cammini”. Papa Francesco sabato sera ha chiamato un missionario italiano in Brasile. Lo ha detto lui stesso ieri mattina all’Angelus. Si tratta di p. Julio Renato Lancellotti che opera in Brasile da oltre 30 anni, attualmente vicario episcopale per la Pastorale del popolo di strada dell’arcidiocesi diSan Paolo. A riferire il nome VaticanNews che ricostruisce anche come è avvenuto questo contatto. Il missionario ha scritto al pontefice a fine settembre una lettera dalla quale emerge lo spaccato di miseria quotidiana che da lungo tempo padre Julio condivide con la gente che sopravvive per le strade di San Paolo. Uno scenario duramente complicato dal Covid che, nel mix devastante con la povertà endemica che affligge questi diseredati, genera un’inimmaginabile e anche inedita quantità di violazioni della dignità umana, racconta VaticanNews evidenziando che p. Julio ne ha viste tanti eppure racconta al Papa la sua sorpresa nel constatare come una grave crisi sanitaria sia diventata in Brasile il proscenio di un numero ancora maggiore di attacchi al valore della vita. Il missionario racconta nella lettera la sua esperienza e chiede una benedizione che il missionario avrebbe desiderato ricevere di persona ma anche con l’ammissione che questo sarà irrealizzabile perché le condizioni fisiche per affrontare il viaggio a Roma non ci sono. Papa Francesco ha chiamato il missionario ale14,15 di sabato. In un’intervista al settimanale della diocesi di San Paolo p. Julio ha riferito di aver ricevuto una chiamata da un numero non identificato e, quando ha risposto, il papa ha detto solo  “Sono papa Francesco”. E ha poi chiesto al sacerdote se preferiva parlare in spagnolo o in italiano. “Il Papa ha detto che ci accompagna con affetto, conosce le difficoltà che stiamo vivendo, di non scoraggiarci e, come Gesù, di stare con i poveri”, ha detto ancora il missionario italiano che al momento della chiamata "era incredulo".

Raffaele Iaria

 

Ultimo aggiornamento ore 12,30 del 12 ottobre 2020

   

“L’influenza italiana sullo sviluppo, sulla cultura e lo sport nello Stato del Minas Gerais”: un convegno da domani in diretta streaming

5 Ottobre 2020 - Roma - Il X Seminario sull’ Emigrazione Italiana nel Minas Gerais si svolgerà in diretta streaming dal 6 al 10 ottobre 2020. L’ evento è promosso da “Ponte entre Culturas” e dal “Consiglio Generale degli Italiani all’Estero – CGIE” in partenariato con le Università Federali di Minas Gerais (UFMG) e di Juiz de Fora (UFJF) e con il patrocinio del Consolato d’ Itália in Belo Horizonte. Tra il 1875 e il 1960 – spiega una nota - quasi due milioni di italiani emigrarono in Brasile e quelli che vi rimasero - cioè circa un milione - costituirono la base per l'inizio della crescita demografica della componente italiana del popolo brasiliano. Minas Gerais è stata la terza area a ricevere immigrati italiani, dopo gli stati di São Paulo e Rio Grande do Sul: i dati esistenti suggeriscono che la popolazione di discendenti italiani in tutto il Minas Gerais è di circa due milioni. C'è anche una più recente immigrazione italiana, legata all'arrivo della FIAT negli anni '70, a cui si aggiunge una nuova ondata migratoria, iniziata negli anni 2000 e intensificatasi con la crisi globale del 2008. Nonostante l’importanza di questo fenomeno, gli studi sull’emigrazione italiana nello stato del Minas Gerais sono sempre stati molto scarsi. Per colmare questa lacuna nel 2005 è nato il progetto del Seminario sull’Emigrazione italiana nel Minas Gerais che si prefigge di incentivare la ricerca e divulgare i diversi aspetti e contributi dati dagli emigrati italiani allo sviluppo di questo Stato, in ambito culturale, socioeconomico e politico. Il seminario ha anche l’obiettivo di promuovere il dialogo tra Minas Gerais e l'Italia in diversi ambiti e, per questo motivo, il programma ha sempre dato spazio a temi contemporanei con la partecipazione di esperti italiani e brasiliani. L'evento è multidisciplinare, pubblico e gratuito previa iscrizione. Quest’anno si svolgerà on line in streaming su youtube. Il programma prevede tre sessioni con la presentazione di lavori di ricerca, conclusi o in corso, riguardanti il tema dell'influenza italiana nello Stato del Minas Gerais  su tre assi tematici: lo sviluppo economico e sociale regionale; la formazione culturale e identitaria nelle sue manifestazioni materiali e immateriali e la nascita, l'organizzazione e la diffusione dello sport. Le sessioni di apertura e di chiusura saranno dedicate a temi contemporanei come lo sviluppo sostenibile e il made in Italy, e ai rapporti bilaterali in ambito socioeconomico e culturale, con la partecipazione di rappresentanti istituzionali, ricercatori ed esperti italiani e brasiliani. Per info www.ponteentreculturas.com.br/seminario2020  

Mci Olanda: nella festa di San Franceco la ripresa di tutte le attività

29 Settembre 2020 - Amsterdam - Il 4 ottobre è la festa di San Francesco, patrono d’Italia ed anche il patrono della Missione Cattolica Italiana in Olanda. Nel Consiglio pastorale si è deciso di mantenere questa festa, come inizio del nuovo anno della coomunità. A Leiden è prevista una celebrazione eucaristica per tutta la mCi . Purtroppo – in questo tempo di Covid 19 - "non avremo l’opportunità per un incontro fraterno dopo la messa, ma anche la celebrazione stessa è un modo fraterno di essere insieme. Alla fine della messa sarà data una benedizione speciale per i catechisti, che dall'11 ottobre cominceranno la catechesi per i nostri giovani in preparazione alla prima Comunione e alla Cresima", dice don Robert annunciando che dall'11 ottobre riprenderanno di nuovo le tre celebrazioni domenicali in tutte le comunità:  ad Amsterdam, Leiden e Den Haag. Ad  Amsterdam nella cappella della Onze Lieve Vrouwekerk alle ore 12.00, a Leiden nella chiesa ‘Regenboog’ alle ore 16.30 e  all’Aia nella chiesa San Paschalis, in Wassenaarseweg 53, alle ore 18.00.

MCI: don De Robertis, “un ruolo importante nel contribuire nel rinnovamento della Chiesa”

28 Settembre 2020 - Francoforte – “Occorre un deciso cambio di passo, sia per quello che riguarda i missionari che l’identità stessa delle Missioni cattoliche Italiane”. Lo ha detto questa mattina don Gianni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, portando il suo saluto al convegno annuale delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia che si è aperto oggi sul tema "Maschio e femmina li creò. I rapporti interpersonali”. Un convegno che si svolgerà, fino a venerdì prossimo, in videoconferenza. Le MCI possono – ha detto “giocare un ruolo importante nel contribuire nel rinnovamento della Chiesa Cattolica in Germania, sia nell’aiutare la nostra Chiesa italiana a non ripiegarsi su se stessa ma ad avere un respiro veramente cattolico”. Don De Robertis ha poi annunciato le nuove date del convegno europeo delle Missioni Cattoliche Italiane che si svolgerà a Roma dal 9 al 12 novembre -12 novembre 2021 sul tema “Gli italiani in Europa e la missione cristiana”.    

MCI Germania e Scandinavia – Da oggi il convegno nazionale in videoconferenza

28 Settembre 2020 - Francoforte - "Maschio e femmina li creò. I rapporti interpersonali”. Questo il tema del convegno nazionale delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia che si svolgerà, in videoconferenza, da questa mattina al 2 ottobre. Il Convegno “sarà molto diverso dai convegni cui siamo abituati da sempre", spiega la delegazione delle MCI di Germania e Scandinavia. I lavori saranno incentrati sui temi del IV Foro del “Cammino sinodale” e verranno moderati dalla nuova direttrice dell’ufficio Udep della Delegazione, Paola Colombo. I lavori saranno aperti dall’intervento del Direttore generale della Fondazione Migrantes, don Gianni De Robertis. Tra gli interventi previsti quella del vescovo ausiliare di Colonia Mons. Dominicus Schwaderlapp, responsabile della Internationale Seelsorge della diocesi e delle Comunità d’altra madre lingua.

MCI Germania e Scandinavia: da lunedì il convegno nazionale in videoconferenza

25 Settembre 2020 -

“Maschio e femmina li creò. I rapporti interpersonali”. Questo il tema del convegno nazionale delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia che si svolgerò, in videoconferenza, dal 28 settembre al 2 ottobre. Il Convegno “sarà molto diverso dai convegni cui siamo abituati da sempre. Il coronavirus ci costringe a farlo in videoconferenza, un modo di incontrarsi che in questi ultimi mesi tanti di noi hanno già sperimentato con successo. È più comodo, si può partecipare da casa o dall’ufficio, senza mascherina, senza problemi di igiene e di distanze, senza lunghi costosi viaggi. Basta il cellulare, il tablet, o il computer, attrezzato di videocamera e di microfono”, spiega la delegazione. I lavori saranno incentrati sui temi del IV Foro del “Cammino sinodale” e verranno moderati dalla nuova direttrice dell’ufficio Udep della Delegazione, Paola Colombo.

I lavori saranno aperti dall’intervento del Direttore generale della Fondazione Migrantes, don Gianni De Robertis. Tra gli interventi quella del vescovo ausiliare di Colonia Dominicus Schwaderlapp, responsabile della Internationale Seelsorge della diocesi e delle Comunità d’altra madre lingua.

GMMR: un convegno su “Emigrazione di ieri, immigrazione di oggi”

18 Settembre 2020 -  

GMMR: “Migranti. Quando a partire eravamo noi” apre il calendario delle Giornata a Torino

4 Settembre 2020 - Torino - Gli eventi per la prossima Giornata  Mondiale del Migrante e del Rifugiato sono cominciati! Lunedì 31 agosto lo spettacolo-concerto “Migranti. Quando a partire eravamo noi” ha dato avvio al calendario di iniziative per celebrare la 106° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebrerà il prossimo 27 settembre. Cinque artisti del Teatro Regio di Torino – Cristiana Cordero, Daniela Valdenassi, Giancarlo Fabbri, Davide Motta Fré e Giulio Laguzzi -, "ci hanno guidati in un viaggio nel tempo e nello spazio, nella storia della musica e del popolo italiano. Per la verità, un viaggio che è soprattutto nell’animo umano: attraverso gli occhi e le orecchie dei circa 30 milioni di italiani emigrati all’estero, infatti, rivivendone le speranze, le delusioni, le sofferenze, le angosce, le ingiustizie subite, le fatiche e il desiderio di una vita migliore, ci hanno fatto riscoprire i sentimenti di tutti i migranti, di ogni tempo, nazione e condizione sociale", spiega l'Ufficio Migrantes di Torino. Si è trattato di uno spettacolo intelligente – come lo ha definito uno spettatore – perché capace di fare vera cultura e di alta qualità, accessibile e fruibile a tutti con semplicità e leggerezza. Ha saputo infatti parlare del tema delle migrazioni in modo molto efficace e coinvolgente, con serietà e ironia, intercettando una cultura popolare diffusa, risvegliando ricordi diretti o di racconti ascoltati, perché l’emigrazione è storia di ogni famiglia. Gli italiani non hanno mai smesso di partire. Anche oggi, secondo i dati più recenti; tanto che il numero degli italiani all’estero e quello degli stranieri residenti in Italia si assestano entrambi intorno ai 5,3 milioni. Un’esperienza collettiva di tale portata, che ha segnato così profondamente l’identità del popolo italiano, non poteva che produrre una ricchissima eredità in ambito di espressioni artistiche, e specialmente musicali: i canti dell’emigrazione italiana, di origine popolare o scritte da autori più o meno famosi, sono in grado ancora oggi di riproporcene il vissuto, comunicando sentimenti, nostalgie e aspirazioni. Ogni brano musicale è stato introdotto da una breve presentazione che lo ha contestualizzato, a volte suscitando un po’ di sorpresa nel pubblico, invitato a ricomprenderlo sotto un’altra luce. "È stato uno spettacolo estremamente emozionante: portandoci indietro di 150 anni agli anni della cosiddetta Grande Emigrazione degli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, transitando per gli spostamenti connessi alle guerre e le colonizzazioni, passando per la ripresa dell’emigrazione nel secondo dopoguerra e le migrazioni interne degli anni 50-70, fino ai giorni nostri, le voci degli artisti ci hanno condotto sulle banchine delle stazioni e dei porti, sui bastimenti transatlantici, nelle città della Svizzera, tra le vie di New York e Buenos Aires, nelle miniere di carbone di Marcinelle, tra gli alloggi torinesi che non si affittavano ai meridionali, tra le onde del mediterraneo e le sponde agognate dell’Europa".  La parabola percorsa nello spettacolo la si ritrova nell’evoluzione storica della stessa iniziativa della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che, istituita da Pio X nel 1914 come Giornata Nazionale dell’Emigrante, raggiunge quest’anno la sua 106ª edizione. A riflettere il mutare dei flussi migratori che lo spettacolo ha ripercorso è anche la stessa Fondazione Migrantes che ebbe come primo nucleo il Pontificio Collegio per l’Emigrazione Italiana, sorto proprio in concomitanza con la Giornata.  L’opportunità di ricordare “quando a partire eravamo noi” ci chiede di "prendere posizione rispetto al presente e propone cammini per orientare la propria comprensione e le proprie relazioni con coloro che partono oggi e da altri paesi giungono nelle nostre città".

IC Toronto: in mostra giovani protagonisti design italiano

3 Settembre 2020 -
Toronto - Il rapporto tra il manufatto e il naturale è l'oggetto di una mostra, voluta dall'Istituto Italiano di Cultura Toronto, che vuole presentare il lavoro di due giovani protagonisti del design italiano più innovativo in rapporto con la cultura e l'identità canadese. La mostra Majesty. L'illusione tra Italia e Canada affronta dal punto di vista italiano un tema prettamente canadese come il rapporto con la natura selvaggia e con gli spazi poco antropizzati, presentando il lavoro di Chiara Andreatti e Francesco Faccin, due designer che nel proprio lavoro hanno rivolto una particolare attenzione all'uso di materiali e soluzioni sostenibili.
L'esposizione che doveva essere inaugurata negli spazi dell'Istituto Italiano di Cultura a Toronto, a causa dell'arrivo della pandemia è stata trasformata in una mostra digitale che fino alla fine di gennaio si potrà ammirare cliccando qui.

Mci Olanda: domenica la ripresa delle Le Sante Messe in lingua italiana riprendono Domenica 6 settembre.

1 Settembre 2020 - Amsterdam - Dopo il periodo delle vacanze estive riprendono, in Olanda, le celebrazioni eucaristiche  comunitarie in lingua italiana. Domenica, alle 13,00, a presiedere la celebrazione sarà il  vescovo di Rotterdam mons. Van den Hende, nella Chiesa di Leiden. Le domeniche successive (13, 20 e 27 settembre e 4 ottobre) la S. Messa a Leiden sarà spostata alle ore 17.00. Anche per le altre comunità della Missione Cattolica Italiana adAmsterdam (nella cappella della Onze Lieve Vrouweker) e Den Haag, "stiamo lavorando per riprendere presto le S. Messe in italiano e tutte le altre attività", spiegano i responsabili.

Italiani nel Mondo: suono delle campane per ricordare le vittime di Mattmark

30 Agosto 2020 - Roma – Oggi pomeriggio, alle 17.15, in diversi comuni italiani suoneranno le campane a ricordo dei propri cittadini morti 55 anni fa. Sono le vittime della tragedia di Mattmark , in Svizzera mentre costruivano una delle infrastrutture più importanti d’Europa, la diga di Mattmark. Era lunedì il 30 agosto del 1965. Alle 17,15 50 metri di ghiaccio, ghiaia e sassi travolsero, in meno di 3 secondi, 88 tra operai, tecnici ed ingegneri degli oltre 700 impegnati in quel momento nella costruzione della diga. Degli 88 morti la maggioranza erano italiani: ben 56. Come a Monongah nel 1907, a Dawson nel 1913 e nel 1923 o a Marcinelle nel 1956 – dove “la rincorsa a produrre energia aveva causato altrettante catastrofi del fordismo” – il prezzo più. Alto fu pagato dall’Italia”, come ricorda lo storico Toni Ricciardi nel suo saggio pubblicato in occasione del 50mo della tragedia nel “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes. Insieme agli italiani perirono, infatti, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci, un apolide e 23 svizzeri. La provincia di Belluno fu quella più colpita con 17 vittime, insieme al Comune di San Giovanni in Fiore (Cosenza), che perse 7 uomini. Complessivamente, delle 56 vittime italiane 17 erano veneti, 8 calabresi, 4 abruzzesi, 5 trentini, 3 campani, 3 emiliani, 3 friulani, 3 pugliesi, 3 sardi, 3 siciliani, 2 piemontesi, 1 molisano e 1 toscano. In tutti i comuni d'Italia che ebbero dei caduti a Mattmark, suoneranno per un minuto le campane. A promuovere l’iniziativa è stata l’Associazione “Bellunesi nel Mondo”. Sono trascorsi cinquantacinque anni da quel dramma, in periodo delle costruzioni di grandi opere pubbliche. La diga di Mattmark sarebbe stata la più grande costruzione di un bacino per produrre energia elettrica e fornire corrente a numerosi comuni svizzeri. Quindi avrebbe contribuito a generare ricchezza, sviluppo, progresso e civilizzazione, ricorda oggi il segretario del Consiglio Generale degli Italiani all’estero, Michele Schiavone evidenziando che quelle opere “sono il lascito di una generazione di uomini e donne che sapevano di contribuire al futuro e allo sviluppo sociale ed economico di interi territori, società e famiglie. La gratitudine non verrà meno, neanche a distanza di anni, verso coloro che con grandi sacrifici hanno creato le condizioni per modernizzare e rendere meno duri i tempi della vita”. L’8 agosto scorso si è celebrata la Giornata del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo, in occasione della tragedia del 1956 a Marcinelle dove persero la via, in una miniera, 136 italiani.

Raffaele Iaria

Italiani nel mondo: domenica 55° anniversario della tragedia di Mattmark

28 Agosto 2020 - Belluno - Domenica 30 agosto 2020 saranno trascorsi cinquantacinque anni esatti dal disastro di Mattmark. Una tragedia sul lavoro che colpì pesantemente la provincia di Belluno, all’epoca segnata da un’emigrazione di massa che ogni anno portava centinaia di bellunesi all’estero in cerca di un futuro migliore. Ed è proprio nell’ambito dell’emigrazione, di un fenomeno già scosso da numerose catastrofi che negli anni precedenti avevano spento l’esistenza di decine e decine di uomini e donne partiti dall’Italia, che si consuma questa sciagura. Siamo in Svizzera, nel Canton Vallese, a circa 2.200 metri di quota in una località chiamata Mattmark. È il 1965. Centinaia di operai, soprattutto stranieri, sono impegnati a costruire la diga in terra battuta più grande d’Europa. Un’opera monumentale, modellata da faticosi turni di lavoro che vedono tra i protagonisti anche molti bellunesi giunti da tutta la provincia. Nulla farebbe presagire il disastro, se non un dettaglio: una parte delle officine e degli alloggi dei lavoratori è posizionata sotto la lingua di un immenso ghiacciaio, l’Allalin. E proprio il 30 agosto, alle 17.15 l’Allalin si mette in moto. Un blocco di circa due milioni di metri cubi di materiale si stacca e comincia una letale discesa che travolge tutto ciò che incontra sulla propria strada, compresi uomini e donne. Le vittime sono ottantotto, di cui cinquantasei italiane.. In occasione dell’anniversario della tragedia, la Famiglia Ex emigranti “Monte Pizzocco”, con il patrocinio dell’Associazione Bellunesi nel Mondo e dei Comuni di Sedico, Santa Giustina, Cesiomaggiore, Sospirolo e San Gregorio nelle Alpi, organizza un momento di ricordo per commemorare le vittime e i loro familiari. L’evento si terrà domenica 30 agosto 2020 alle ore 10.00 presso il parco “Vittime di Mattmark”, in via Dino Buzzati a Mas di Sedico. Il programma prevede: alle 10.00 il ritrovo presso il parco, alla presenza dei gonfaloni dei Comuni di Sedico e Sospirolo e dei gagliardetti delle Famiglie Ex emigranti dell’Abm e degli Alpini; l’ intervento delle autorità; il ricordo delle vittime con la benedizione e la deposizione della corona d’alloro al monumento dedicato ai caduti sul lavoro e in emigrazione. Oltre all’evento di Mas di Sedico, su iniziativa dell’Abm domenica 30 agosto alle 17.15 (ora della tragedia) in tutti i comuni d’Italia che ebbero dei caduti a Mattmark suoneranno per un minuto le campane.  

Vittorio Veneto: i funerali di don Lucio Dalla Fontana

28 Agosto 2020 - Vittorio Veneto - Sabato 22 agosto 2020, all’ospedale di Frascati, è mancato don Lucio Dalla Fontana, presbitero della diocesi di Vittorio Veneto. Aveva sessant’anni e da un anno prestava servizio a Grottaferrata presso l’Opera di Maria del Movimento dei Focolari, dopo essere stato per dieci anni parroco di San Polo e Rai nel Trevigiano. Da qualche tempo soffriva di una grave forma di diabete. Don Lucio aveva vissuto per otto anni in Germania, a Francoforte e a Bad Homburg, assistendo pastoralmente gli italiani emigrati in quel paese, ai quali era rimasto profondamente legato anche dopo il suo rientro in Italia.  Quell’esperienza aveva lasciato in lui il desiderio di continuare ad operare per favorire l’unione e la fraternità all’interno della comunità cristiana. Era stato anche insegnante di Ecclesiologia nella Scuola di formazione teologica di Vittorio Veneto. I suoi funerali si sono svolti nella chiesa di San Polo mercoledì 26 agosto e sono stati presieduti dal vescovo di Vittorio Veneto, mons. Corrado Pizziolo, che nell’omelia ha ricordato come l’esperienza spirituale di don Lucio sia stata contrassegnata da una particolare sottolineatura dell’amore di Dio come centro del Vangelo di Gesù. Questo amore infinito deve essere per ognuno di noi un modello nel relazionarci con il nostro prossimo, e questo, secondo mons. Pizziolo, era particolarmente visibile nell’impegno di don Lucio nella “ricerca della comunione, dell’unità e della concordia”, anche correndo il rischio di sottovalutare le situazioni di tensione e di conflitto nello sforzo di raggiungere l’unica possibile armonia.

M.D.T.

Papa Luciani e le migrazioni

26 Agosto 2020 - Roma – “Dio vi perdoni per quello che avete fatto” dice ai cardinali usciti dal Conclave, uno dei più brevi della storia. E’ il 26 agosto 1978 e il nuovo pontefice, Giovanni Paolo I, si è appena affacciato alla Loggia centrale di San Pietro per salutare i fedeli riuniti in piazza alla notizia della nomina del successore di Pietro. Avrebbe voluto dire qualcosa a quella gente, papa Albino Luciani (questo il suo vero nome) ma il rigido cerimoniale non lo prevede: “non rientra nella consuetudini”. Lo fa però il giorno successivo, domenica, al suo primo Angelus. Parla in modo semplice e schietto, ma diretto. “Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere”, confida sorridendo, quasi si sente vittima di una improvvisazione. E’ stato eletto al quarto scrutinio di un Conclave-lampo, durato solo un giorno. Sceglie di portare il nome dei due papi che lo hanno preceduto: Giovanni XXIII e Paolo VI. Si chiamerà infatti Giovanni Paolo I. “Ho fatto questo ragionamento”, confida ai fedeli in quel suo primo discorso. “Papa Giovanni ha voluto consacrarmi lui con le sue mani qui nella Basilica di San Pietro; poi, benché indegnamente, a Venezia gli sono succeduto sulla cattedra di San Marco, in quella Venezia che è ancora piena di papa Giovanni”. E oggi nel paese natale, Canale d’Agordo, provincia di Belluno, a quasi mille metri sul livello del mare, una celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, mons. Gian Carlo Perego invitato dal vescovo di Belluno-Feltre, mons. Guido Marangoni. Nella sua omelia il presule ferrarese ha evidenziato come il tema delle migrazioni era molto “caro a papa Luciani, che aveva visto il padre, la madre e altri familiari emigranti, partire alla ricerca di un lavoro in Svizzera. La chiamata alla santità chiede a ciascuno di noi – ha detto - pastori e fedeli, di vincere l’ipocrisia e avere il coraggio della verità e della testimonianza cristiana”. Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì ricorda che “la situazione attuale del mondo provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo collettivo. Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste nemmeno un vero bene comune” . La santità “non cresce sull’egoismo e l’individualismo, ma solo nella condivisione e nell’attenzione agli altri e al mondo. Come è stato capace Papa Luciani, il cristiano, il pastore di questa terra, che di Giovanni XXIII ha raccolto il coraggio di una riforma della Chiesa sfociata nel Concilio Vaticano II e di Paolo VI ha fatto suo il coraggio di un dialogo con il mondo, coniugando evangelizzazione e promozione umana”. Il futuro Papa varie volte ha parlato di emigrazione ricordando: “mia madre, da ragazza, ha lavorato in una fabbrica svizzera. Il papà, quand'ero fanciullo, lavorava in Svizzera da muratore. Ricordo quando il papà, di primavera, ripartiva da casa con la sua valigia e la tristezza di quei momenti. Ricordo come venivano lette e commentate le sue lettere. In una parola, ho visto e vissuto il dramma della emigrazione. Per questo è con tenerezza e viva comprensione che mando il mio cordiale saluto e che formulo i miei auguri per le famiglie che rivivono oggi quanto la mia famiglia ha provato ieri”. Varie anche le visite del futuro papa agli emigrati in varie occasioni come al santuario di Mariastein, dove incontra molte famiglie di emigrati veneti e amministra la cresima. Ma anche, come ricorda lo storico Marco Roncalli, in Brasile con l’incontro con emigrati della sua regione di più di una generazione, “parlando con loro non tanto il portoghese quanto il dialetto delle radici, tenendo persino prediche e discorsi in veneto, riuscendo a commuovere questi suoi lontani corregionali fra i quali anche suoi parenti”. E poi in Germania a Magonza dove partecipa alla “Giornata del lavoratore italiano all’estero” infondendo – scrive Roncalli – “coraggio ai connazionali e citando i suoi genitori che avevano fatto la loro stessa esperienza”. E nel 1965 scriveva: “qualche vescovo si è spaventato: ma allora domani vengono i buddisti e fanno la loro propaganda a Roma, vengono a convertire l’Italia. Oppure ci sono quattromila musulmani a Roma: hanno diritto di costruirsi una moschea. Non c’è niente da dire: bisogna lasciarli fare. Se volete che i vostri figli non si facciano buddisti o non diventino musulmani, dovete fare meglio il catechismo, fare in modo che siano veramente convinti della loro religione cattolica”. Parole che molti ancora oggi fanno fatica ad accettare.

Raffaele Iaria