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La macchina della solidarietà dei latino americani a Roma

3 Giugno 2020 - Roma - I banchi della chiesa Santa Maria della Luce, a Trastevere, non sono rimasti inutilizzati durante la quarantena. Interdetto l’accesso ai fedeli durante le celebrazioni, le panche sono state occupate da chili di pasta, litri di latte e di olio, scatolame e da tanti altri generi di prima necessità ordinatamente sistemati per la distribuzione alle famiglie in difficoltà a causa del lockdown. Sede dal 2003 della missione latinoamericana, la chiesa di via della Lungaretta, affidata alla Congregazione dei missionari di San Carlo – Scalabriniani -, è diventata un punto di riferimento importante per centinaia di persone che in questi mesi hanno perso il lavoro. I pacchi viveri vengono distribuiti ogni quindici giorni e solo a maggio ne hanno usufruito oltre 130 nuclei familiari. L’aula liturgica è divenuta in queste settimane un deposito di viveri sempre rifornito grazie al sostegno dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Roma, delle congregazioni dei missionari e delle missionarie di San Carlo, dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo sviluppo e di donazioni private. Prezioso anche il contributo della campagna #unasolacasa, per raccogliere fondi e continuare a supportare chi è in difficoltà. Una macchina della solidarietà che si è messa in moto a fine marzo e che vede tra le fila dei volontari decine di persone che si sono improvvisamente ritrovate disoccupate. "I bisognosi che aiutano altri bisognosi hanno rappresentato quel valore in più che dà gioia. È la bellezza di una comunità che esprime il suo senso di appartenenza", spiega padre Luis Gabriel Martin, da due anni cappellano della comunità latinoamericana a Roma, che oltre a Santa Maria della Luce si compone anche di 5 centri pastorali e 12 comunità di differenti paesi dell’America latina. Le porte della chiesa sono aperte a tutti, "nessuno in queste settimane è andato via a mani vuote", dice il cappellano che dà il benvenuto a tutti e si informa sulle situazioni familiari degli abitanti del quartiere che in questo momento vivono una situazione di maggiore necessità. "Non chiediamo però Paese di provenienza o credo religioso – prosegue -. Ci prendiamo cura di chi si trova in difficoltà, di chi ha bambini piccoli e in questo momento non ha un’occupazione. Cerchiamo di aiutare tutti a superare questa emergenza anche attraverso la compilazione dei moduli per ricevere i contributi statali". Molti migranti sono in forte apprensione per i familiari rimasti in Equador, Colombia, Brasile, Perù, alcuni dei quali hanno contratto il coronavirus. "Diamo loro conforto morale e spirituale – aggiunge padre Luis Gabriel -. È un modo per sentirsi meno soli e spaventati". Anche il cardinale brasiliano João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in occasione di una sua recente visita a Santa Maria della Luce "ha fatto una donazione per l’acquisto di generi alimentari – dice Amilton Gomes de Araujo, laico coordinatore della comunità brasiliana cattolica a Roma -. Offerte in denaro sono poi arrivate da comunità brasiliane del Nord Italia, grazie alle quali è stato possibile preparare i primi 30 pacchi viveri. Abbiamo 'adottato' 16 famiglie che vivono a Fiumicino e Fregene, che hanno figli molto piccoli. Quando ci hanno confidato di non essere di religione cattolica abbiamo spiegato loro che questo non è il momento di fare distinzioni ma di aiutare". (Roberta Pumpo - Romasette)    

Decreto Rilancio ed emersione dei rapporti di lavoro

3 Giugno 2020 - Roma -Il c.d. Decreto-Legge Rilancio (n. 34 del 19 maggio 2020) contiene una norma volta alla regolarizzazione dei migranti presenti sul territorio dello Stato denominata “Emersione dei rapporti di lavoro” (art. 103). Si tratta di un testo piuttosto complesso che prevede la regolarizzazione per alcune precise categorie di persone, che lavorano o intendono lavorare nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento, dell’assistenza agli anziani e della cura della casa. La ratio dichiarata dell'art. 103 è quella di "garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da Covid-19 e favorire l'emersione di rapporti di lavoro irregolari ...". La norma in esame si presenta come un testo molto corposo, composto di 26 commi, che delinea anzitutto due canali per attuare la regolarizzazione: il primo prevede che i datori di lavoro possano regolarizzare i lavoratori attualmente irregolari. Nel caso di migranti irregolari, questi riceveranno automaticamente un permesso di soggiorno; il secondo canale dispone – per i migranti irregolari che già avevano lavorato nei settori interessati ma hanno perso il lavoro – un permesso temporaneo di sei mesi per cercare un nuovo impiego nei settori concordati. La normativa si rivolge sia ai datori di lavoro sia ai lavoratori irregolari. In forza del comma primo dell'art. 103, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione Europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso di un titolo di soggiorno ex art. 9 del Decreto Legislativo n 286 del 1998, possono presentare istanza per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti nel territorio italiano o per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare ancora in corso con cittadini italiani o cittadini stranieri. Allo stesso modo, invece, il comma secondo prevede che i cittadini stranieri, con permesso di soggiorno, possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio italiano della durata di 6 mesi. Tale termine inizia a decorrere dalla presentazione dell'istanza. Le istanze suddette possono essere presentate previo pagamento di un contributo forfettario di euro 500 da parte del datore di lavoro per ciascun lavoratore che si intende far emergere, mentre di euro 130 per le ipotesi di cui al comma secondo. Per quanto riguarda i datori di lavoro si prevede che l’istanza debba contenere anche l'indicazione della durata del contratto di lavoro e la retribuzione convenuta (comma 4). Le istanze devono possono essere presentate all'INPS nel caso di lavoratori italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea; allo Sportello Unico per l'immigrazione, nel caso di lavoratori stranieri; alla Questura se riguardano il rilascio di permessi di soggiorno temporaneo. Dopo le verifiche preliminari, lo Sportello unico dell'immigrazione convoca i soggetti interessati per la stipula del contratto di soggiorno, per la comunicazione obbligatoria di assunzione e la compilazione del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Nella diversa ipotesi di istanza per il rilascio di permesso di soggiorno temporaneo avanzata dal cittadino straniero presentata direttamente al Questore tra il 1 giugno e il 15 luglio del 2020, questa deve contenere anche tutta la documentazione comprovante l'attività lavorativa svolta nei settori indicati in precedenza. Al momento della presentazione della domanda, viene consegnata una attestazione all'interessato che consente a questi di soggiornare legittimamente nel territorio italiano fino alle ulteriori determinazioni dell'Autorità. Tale attestazione consente anche lo svolgimento di lavoro subordinato, sempre nei settori indicati, nonché la possibilità di convertire la domanda di permesso di soggiorno temporaneo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Naturalmente, nelle more della definizione dell'iter procedimentale appena richiamato, lo straniero non può essere espulso dal territorio italiano. La normativa che si sta analizzando non si applica in maniera indiscriminata a tutti i lavoratori stranieri presenti sul territorio nazionale. Innanzitutto, la disciplina si applica solo per i settori richiamati in premessa (agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura, assistenza alla persona, lavoro domestico); inoltre, agli stranieri che siano stati sottoposti a rilievi foto dattiloscopici prima dell'8 marzo 2020 o che abbiano soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data attraverso la prova di aver fatto la dichiarazione di presenza. Si tratta di una previsione che rischia di creare alcuni problemi perché sono numerosi i cittadini stranieri che non sono mai stati sottoposti a rilievi foto dattiloscopici o che non hanno reso la dichiarazione di presenza. Soggetti che quindi rischiano di non poter dare prova della loro presenza sul territorio prima della data indicata nel decreto e che pertanto non potranno regolarizzare la loro posizioni. Allo stesso modo, invece, la possibilità di richiedere un permesso di soggiorno temporaneo è limitata ai cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto successivamente al 31 ottobre 2019. Non possono presentare istanza i datori di lavoro che siano stati condannati negli ultimi 5 anni, anche con sentenza non definitiva, per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” o per reati diretti allo sfruttamento della prostituzione o di minori, per intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo. Sono esclusi i lavoratori stranieri nei confronti dei quali è stato emesso un provvedimento di espulsione, quelli segnalati ai fini della non ammissione del territorio dello Stato, i condannati anche in via non definitiva, compresa quella di cui all'art. 444 c.p.p per reati ad esempio che riguardano le sostanze stupefacenti, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, la prostituzione o il suo sfruttamento, l'impiego di minori in attività illecite e infine coloro che sono considerati una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Alcune perplessità sulla validità del testo del decreto, in particolare della parte che prevede la regolarizzazione degli immigrati che lavorano come braccianti, e come colf o badanti, le hanno espresse diversi operatori del settore, sindacati ed esperti. Mancherebbero gli incentivi che dovrebbero spingere il datore di lavoro a rinunciare a quel rapporto di potere con i lavoratori che oggi risultano senza diritti. Vi è poi la questione dell'esclusione dalla 'sanatoria' di tutti quei lavoratori impegnati in altri settori, come quello dell'artigianato, della logistica e dell'edilizia. Quanto al problema dello sfruttamento della manodopera nei campi, andrà verificato se effettivamente la misura contenuta nel decreto inciderà o meno sui diversi aspetti legati alle condizioni in cui si trovano a lavorare i braccianti. Nello stimare la platea «ipotetica» dei beneficiari, la relazione tecnica che accompagna il decreto legge riporta che l’esperienza pluridecennale delle precedenti sanatorie (a partire dal 2000, previste con D.L. n. 195/2002, D.L. n. 78/2009 e Decreto legislativo n. 109/2012) «non consente di effettuare confronti omogenei poiché i requisiti, di volta in volta previsti, afferivano a differenti tipologie di cittadini stranieri e/o di rapporti di lavoro considerati per l'emersione». Viene inoltre segnalato che da quelle esperienze applicative «è possibile rilevare come il numero complessivo delle domande presentate per tali procedimenti è sempre risultato notevolmente inferiore a quello dei destinatari potenziali». Al numero di 220 mila domande si arriva facendo riferimento alla media delle richieste presentate nel 2009 (295.130 domande) e nel 2012 (134.772 domande). Come per tutti gli interventi legislativi, comunque, per comprendere se e come avrà funzionato si dovrà attendere almeno qualche mese per iniziare a valutare i numeri delle regolarizzazioni e gli effetti concreti sul miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori c.d. “invisibili”. (Alessandro Pertici)  

Mediterraneo: crescono i soccorsi

3 Giugno 2020 - Palermo - Due imbarcazioni sono state soccorse ieri a largo di Lampedusa: in una vi erano 54 migranti, nell’altra 13. In precedenza altri 77, fra cui 16 minori, erano stati trasbordati su una motovedetta delle Fiamme gialle che li aveva portati a Lampedusa. Nel frattempo è stato disposto il trasferimento per 81 ospiti del centro di accoglienza: destinazione Porto Empedocle, su motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza.  

Bangladesh: il coronavirus miete la sua prima vittima in un campo profughi

3 Giugno 2020 - Milano - La pandemia raggiunge i luoghi più reconditi e quelli più svantaggiati. Una prima vittima di coronavirus è stata registrata in un campo di rifugiati rohingya in Bangladesh. La notizia è stata resa nota dalle autorità sanitarie locali. La persona deceduta aveva 71 anni e viveva nel campo di Kutupalong, il più grande del mondo. “È morto il 31 maggio ma solo la notte scorsa abbiamo avuto la conferma che si trattasse di Covid–19”, ha dichiarato un portavoce. Nei campi profughi del Bangladesh circa un milione di rohingya – la minoranza musulmana fuggita dalle persecuzioni in Birmania – vive in condizioni di pericolosa promiscuità e di povertà estrema. Finora 29 di loro sono risultati positivi al coronavirus in Bangladesh. Le condizioni di vita assai precarie nei campi possono rivelarsi un tremendo veicolo di propagazione del virus.  

“Il Mediterraneo e la crisi globale”: parte “Sabir 2020”

1 Giugno 2020 - ROMA – “Sabir 2020 Oltre. Il Mediterraneo e la crisi globale”: questo il titolo scelto per la sesta edizione del Festival diffuso delle culture mediterranee, promosso da ARCI, insieme a ACLI, Caritas Italiana e CGIL, in collaborazione con A Buon Diritto, ASGI e Associazione Carta di Roma, con la presenza di UNHCR e di tante reti e soggetti internazionali, con il sostegno dell’UNAR e con il patrocinio di istituzioni locali e nazionali. Quella di “Sabir 2020 Oltre” sarà – spiegano i promotori - un’edizione straordinaria online anche per dare continuità al lavoro di questi anni e per “costruire alternative possibili al modello diseguale che ha aumentato le distanze tra i Paesi e i popoli che si affacciano sul Mediterraneo. La nuova stagione che ci attende dopo la pandemia sarà migliore se ciascuno di noi metterà in campo tutto il proprio impegno, la propria passione e la propria tenacia. Sabir può e vuole essere lo spazio per costruire insieme un nuovo domani”. Il programma  su www.festivalsabir.it/.  

Tavolo Asilo: favorire emersione e regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri presenti in Italia

1 Giugno 2020 - Roma - “Il Tavolo Asilo nazionale, che ha tra i suoi obiettivi l’emersione e la regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri presenti sul nostro territorio, sostiene gli emendamenti che su questa materia la campagna Ero straniero ha elaborato perché vengano presentati alla Camera durante il dibattito sulla conversione in legge del ‘decreto Rilancio’. Il fine è quello di ampliare il più possibile il numero delle persone che potranno beneficiare della regolarizzazione”. Lo si legge in un comunicato del Tavolo Asilo, composto da una trentina di sigle nazionali fra cui Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Acli, Comunità Papa Giovanni, Centro Astalli. “In primo luogo va dunque consentito ai datori di lavoro di tutti i settori economici, che impiegano personale straniero, di poterlo assumere e mettere in regola. Se si vuole combattere davvero l’illegalità e l’invisibilità di centinaia di migliaia di lavoratori, non ha senso limitarsi soltanto a quelli impegnati in attività agricole o in lavori domestici e di cura. Sappiamo infatti che gli stranieri sono largamente impiegati nell’edilizia, nella logistica, nel settore manifatturiero e in molti altri. La possibilità di avere un contratto di lavoro è fondamentale per usufruire di tutti quei diritti di cui godono i lavoratori regolari, uscendo così dall’emarginazione e dallo sfruttamento”. Un altro punto “che va modificato è quello relativo alla documentazione che il lavoratore straniero deve presentare per dimostrare di essere presente nel Paese da prima dell’8 marzo 2020 e poter così accedere alla regolarizzazione, che invece va garantita a tutti coloro che hanno i requisiti per mettersi in regola, semplificando le pratiche richieste per dimostrare la presenza richiesta”. Infine, “è indispensabile prevedere un termine che vada oltre il 15 luglio per la presentazione della domanda, tenendo conto dei tempi di approvazione delle misure e la poca chiarezza sulle procedure”. Il Tavolo Asilo si unisce dunque all’appello rivolto alla maggioranza perché queste proposte vengano accolte dal Parlamento “e l’intervento di regolarizzazione coinvolga il maggior numero di persone straniere possibile”.    

Mazara del Vallo: iniziazione cristiana per quattro ragazzi africani

1 Giugno 2020 - Mazara del Vallo – Ieri, nel giorno di Pentecoste, la diocesi di Mazara del Vallo ha vissuto la gioia dell’iniziazione cristiana chiesta e ottenuta da quattro ragazzi provenienti dal continente africano. Nella Cattedrale di Mazara del Vallo, dopo un lungo periodo di preparazione e di attesa, è diventato cristiano attraverso i sacramenti, Soufien Giuseppe Zitoun. 41 anni, nato a Mazara da genitori immigrati tunisini e di religione musulmana. Studi presso la scuola elementare tunisina (in lingua araba e francese) e poi in quella italiana fino alla formazione in ambito della mediazione culturale. È stato il primo consigliere comunale aggiunto a Mazara del Vallo ed è cresciuto nell’ambiente cattolico-cristiano, Poi l’incontro con Giusi Asaro, il matrimonio al Santuario della Madonna del Paradiso con rito misto. La moglie da lì a poco si ammala: scopre un tumore allo stato terminale. In ospedale Soufien incontra il cappellano don Antonino Favata: “Egli è stato vicino a me, ai miei suoceri e a Giusi accompagnandola con la preghiera e con la grazia dei sacramenti e prepararla al suo passaggio da questa vita terrena al Paradiso”. Dopo la morte di Giusi, Soufien inizia a fare il volontario in ospedale col gruppo VOM (Volontari Ospedale Mazara). A Marsala, invece, hanno ricevuto i sacramenti del battesimo, comunione e cresima Doris Lucky, Jean Yamegogo e Komi Godwin Djika (questi ultimi due sono scout del gruppo “Marsala Due”). I tre ragazzi – provenienti dalla Nigeria, Togo e Costa d’Avorio – sono stati seguiti dai capi scout Giusy Chirco, Gaia Cammareri, Dino e Mauro Alagna (Jean e Godwin) e dalla catechista Maurizia Maggio (Doris). Storie che si intrecciano tra le vie delle migrazioni: Doris è arrivata in Italia in uno dei tanti sbarchi sulle coste siciliane e oggi fa la badante. Anche Jean ha attraversato il Mediterraneo a bordo dei barconi per raggiungere l’Italia: oggi studia presso l’Istituto alberghiero della città. Godwin, invece, ha 16 anni e vive a Marsala dal 2018, dopo aver raggiunto il papà che vive in città. Le due celebrazioni – a Mazara del Vallo e a Marsala – sono state presiedute dal vescovo, mons. Domenico Mogavero.  

Quella nave che “graffia” le nostre coscienze

1 Giugno 2020 - Agrigento - Nel panorama, che dalla città di Agrigento guarda il mare, in questi giorni si staglia all’attenzione di tutti la “Moby Zazà”, la nave per la quarantena dei migranti che giungono sulle nostre coste. La guardo dal “Belvedere Modugno” di Agrigento, lì nel  “mare africano”, oltre il promontorio del Caos… Continuo a guardarla  e penso a quei versi che mi ha suggerito un amico : “Mare mare mare .Voglio approdare. Portami in banchina. Non aspettare. Via via via da queste onde. Fine al mio migrar senza sponde…” La vedo dal Belvedere di Via Atena (discesa verso il teatro della posta Vecchia. È lì,  nel mare, ferma a galleggiare per giorni, col suo carico di persone, mentre accanto,  in arrivo,  puntuale,  al Porto di Porto Empedocle il traghetto proveniente da Lampedusa. Entrambe le navi nel loro ventre di ferro hanno persone pari in dignità. Se sei nella libreria Paoline (via Atenea) mente passi in rassegna i titoli delle novità  editoriali… non puoi non essere attratto dalla nave che si vede dalla finestra. Anche da Piazza Seminario, nel cuore del Centro Storico, guardando a Sud la si vede all’orizzonte insieme alle insegna che ci ricordano che la strada intrapresa è stretta e comunque “senza uscita”. Insomma, non c’è posto, balcone, finestra, strada, belvedere, insenatura del dedalo della vecchia Girgenti,  che guarda a sud,  da cui la Moby non si vede. Mentre la guardi quei disegni di Willy il Coyote, Gatto Silvestro e Titti, forse, a primo impatto ti strappano un sorriso, ma, contemporaneamente, graffiano la tua coscienza di uomo pensando che – forse –  la morte di quel ragazzo migrante che, nei giorni scorsi,  si è buttato dal ponte della nave tentando la fuga per raggiungere la costa che vedeva a poche decine di  metri,  si sarebbe potuta evitare con soluzioni, meno costose per la collettività e più dignitose e rispettose dei migranti, magari facendoli sbarcare in sicurezza e accogliendoli  in luoghi idonei sulla terra ferma.  (Carmelo Petrone - L'Amico del Popolo)

Viminale: da inizio anno sbarcate 5.024 persone migranti sulle coste italiane

29 Maggio 2020 -

Roma - 5.024 sono le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno. Il dato è stato diffuso dal ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina.

Delle persone migranti arrivate in Italia in questo 2020, la maggioranza sono di origine bengalese seguiti da Costa d’Avorio, Tunisia, Sudan, Algeria, Marocco, Somalia,  Guinea,  Mali e Egitto.

Papa Francesco: “è un momento delicato per il diritto d’asilo”

29 Maggio 2020 - Città del Vaticano - Un apprezzamento al Centro Astalli “per il coraggio con cui affrontate la ‘sfida’ delle migrazioni, soprattutto in questo delicato momento per il diritto d’asilo, poiché migliaia di persone fuggono dalla guerra, dalle persecuzioni e da gravi crisi umanitarie”. Lo ha rivolto Papa Francesco nella lettera indirizzata a padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli. “Il vostro esempio – ha scritto il Papa nella lettera autografa, datata 23 maggio e riferita alla recente presentazione del Rapporto annuale 2020 del Centro Astalli – possa suscitare nella società un rinnovato impegno per una autentica cultura dell’accoglienza e della solidarietà”. Il Papa rivolge un pensiero “ai rifugiati che voi accogliete con amore fraterno: a tutti sono spiritualmente vicino con la preghiera e l’affetto e li esorto ad avere fiducia e speranza in un mondo di pace, di giustizia e di fraternità tra i popoli”.

Per un mondo più fraterno

29 Maggio 2020 - Mentre ancora si combatte contro il Coronavirus, di fronte a “tante incognite”, “ci farà bene ripartire col passo umile di chi cerca ciò che unisce e non ciò che divide”. Ne è convinto don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio nazionale per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo della Cei, per il quale “nello spirito con il quale abbiamo pregato il 14 maggio insieme a tutti gli uomini e donne di tutte le religioni” è necessario “impegnarci per un mondo più fraterno che metta al centro la vita umana e non l’economia che uccide, che quando parla degli altri si ricordi che parliamo di persone e non di numeri, che non scarti nessuno”. Il Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato si intitola “Come Gesù Cristo, costretti a fuggire. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni”. Quei quattro verbi – che sono alla base della Campagna “Liberi di partire, liberi di restare” – ritornano ancora una volta. Perché? Perché sono fondamentali. Ci aprono ad una visione umana dell’altro che bussa alla nostra porta – non sono numeri, sono persone – e ci stimolano ad atteggiamenti concreti sempre nuovi che non finiremo mai di cercare con la fantasia della carità, nella testimonianza di vita cristiana ed umana e nell’impegno personale, sociale e politico. Papa Francesco, con questo messaggio ci aiuta a attuare quei quattro verbi, indicandoci altre sei coppie di verbi che portano a modi di agire veri, capaci di incidere in questa sfida pastorale e sociale: conoscere per comprendere – farsi prossimo per servire – riconciliarsi ascoltando – crescere condividendo –coinvolgere per promuovere – collaborare per costruire. Leggere questi paragrafi con attenzione ci farà bene. “Se vogliamo davvero promuovere le persone alle quali offriamo assistenza, dobbiamo coinvolgerle e renderle protagoniste del proprio riscatto”, scrive Papa Francesco nel Messaggio per la 106° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Con la Campagna Cei, ma anche con gli interventi caritativi a favore dei Paesi poveri, l’opera della Chiesa non si ferma all’assistenzialismo… In questo passaggio Papa Francesco dice che anche la pandemia ci ricorda l’importanza della corresponsabilità. A me fa riflettere il fatto che dobbiamo portare la mascherina più per proteggere gli altri che non noi stessi. Ma non basta fare le cose per gli altri, bisogna imparare a farle con gli altri. Solo quando ci sarà vera reciprocità, riconoscendo a tutti la libertà di esistere e di avere una vita dignitosa, impareremo ad ammettere i più poveri ai tavoli delle negoziazioni e renderli protagonisti del loro riscatto. Nella mia esperienza di prete fidei donum ho potuto constatare che le migliori iniziative calate dall’alto vanno incontro al fallimento se non c’è questo coinvolgimento che promuove. La Campagna Cei “Liberi di partire, liberi di restare” ha preso le mosse proprio da questo atteggiamento, coinvolgendo in primis i Pastori delle Chiese locali e le Organizzazioni di volontariato operanti nei territori da cui partivano i minori non accompagnati. Anche nelle diocesi italiane dove tanti di essi sono stati accolti, si è cercato di realizzare progetti con loro e non soltanto per loro. La stessa attenzione cerchiamo di averla anche per quel che riguarda i finanziamenti ordinari del Servizio interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo. I progetti di formazione e di sviluppo delle persone e delle comunità, finanziati con fondi 8xmille, provengono dalle realtà locali e sono espressione dei bisogni delle popolazioni di quei territori spesso di periferia. La pandemia traccia una linea di separazione netta tra il prima e dopo. Quale eredità lascia la diffusione del Coronavirus a livello sociale ed ecclesiale? Cosa abbiamo imparato? Riallacciandomi a quanto ho già detto prima, spero abbiamo imparato a “sentire” l’altro, ad accorgerci dell’altro, e del Creato, tutto è collegato dice la Laudato Si’. Siamo tutti sulla stessa barca, abbiamo detto a Bari, anche se c’è chi viaggia in prima classe e chi sta in fondo alla stiva a spalare carboni, ma se affondiamo affondiamo tutti, se ci salviamo ci salviamo tutti. Il prima e il dopo, come pure il durante non è, e non sarà uguale per tutti, soprattutto economicamente e socialmente parlando. Ma spero saremo cresciuti nella consapevolezza della nostra vulnerabilità, per fare di questo nostro limite un punto di forza da cui partire, imparando sempre più a “collaborare per costruire”… “Per preservare la casa comune e farla somigliare sempre più al progetto originale di Dio, dobbiamo impegnarci a garantire la cooperazione internazionale, la solidarietà globale e l’impegno locale, senza lasciare fuori nessuno”. (Papa Francesco) I Paesi poveri si trovano anche loro a fare i conti con il Coronavirus, un dramma che si aggiunge alla fame, alle guerre, ai problemi ambientali. Quale è la situazione attuale? Purtroppo sì, alcuni lo sono in modo più forte altri meno, ma tutti subiranno le conseguenze dei blocchi e delle chiusure preventive, e dove non colpirà forte il Covid 19, colpiranno comunque le sue conseguenze, aggravando in particolare la pandemia della fame. La CEI, pur tempestata dalla grave situazione della pandemia in Italia, non ha voluto dimenticare i Paesi poveri, verso i quali è sempre molto attenta. Attraverso il Servizio interventi caritativi e la Caritas Italiana ha espresso due manifestazioni di interesse per l’Emergenza Covid 19 in Africa e nei Paesi poveri, stanziando 9 milioni di euro dai fondi 8xmille destinati al Terzo Mondo, per progetti sanitati e formativi finalizzati a proteggere e formare il personale sanitario e le popolazioni locali. Si sta per chiudere il mese di maggio dedicato alla Madonna (il primo maggio, i Vescovi italiani hanno affidato il Paese alla Vergine) e si apre una stagione estiva con mille incognite. Con quale passo bisogna ripartire?  Penso che ogni credente, in questo tempo sospeso, ed in particolare in questo mese dedicato a Lei, abbia cercato e vissuto la vicinanza materna di Maria, a Lei ci affidò Gesù stesso dall’alto della croce nel momento del dolore più alto. Sotto la sua protezione abbiamo cercato rifugio, affidando a Lei le nostre paure e insicurezze, le persone che ci hanno lasciato, quelle che lottano con la malattia e quelle che fanno fatica ad andare avanti. A Lei affidiamo ora le nostre speranze, come Giovanni prendiamo Maria nella nostra casa e con Lei attendiamo fiduciosi la risurrezione. Di fronte alle tante incognite che stanno davanti a noi, credo ci farà bene ripartire col passo umile di chi cerca ciò che unisce e non ciò che divide. E nello spirito con il quale abbiamo pregato il 14 maggio insieme a tutti gli uomini e donne di tutte le religioni, impegnarci per un mondo più fraterno che metta al centro la vita umana e non l’economia che uccide, che quando parla degli altri si ricordi che parliamo di persone e non di numeri, che non scarti nessuno.

Migrantes Milano: mons. Delpini celebra la Pentecoste con le comunità migranti

28 Maggio 2020 - Milano – Domenica 31 maggio, solennità di Pentecoste, nella chiesa di Santo Stefano Maggiore a Milano, “parrocchia personale per i migranti”, l’arcivescovo mons. Mario Delpini presiederà la messa di Pentecoste con le comunità cattoliche dei migranti presenti in città e nel territorio della diocesi. “Sono una trentina le comunità di migranti presenti sul territorio della Diocesi”, spiega don Alberto Vitali, responsabile diocesano Migrantes: “i gruppi più numerosi sono quelli dei filippini, composto da ben nove comunità, e dei latino-americani. Poi ci sono le comunità cinese, coreana, srilankese, eritrea, egiziana, albanese, polacca. I rumeni hanno due comunità, di rito latino e di rito bizantino, così come gli ucraini, che contano un gruppo a Milano e uno a Varese. C’è poi il gruppo dei francofoni, cioè la comunità francese e quella africana di lingua francese, e la comunità anglofona, che comprende inglesi, statunitensi e una delle nove comunità filippine”. “Nel corso dell’anno – aggiunge dn Vitali - i migranti hanno diverse ricorrenze tradizionali in cui incontrarsi e fare festa per gruppi omogenei. La Festa delle genti è una delle poche occasioni in cui il filippino e il coreano possono incontrarsi e conoscersi”. L’emergenza sanitaria in corso non consentirà il consueto clima di grande festa, alla presenza di tante persone: “la capienza massima della chiesa, con le norme di sicurezza anti Covid, è di 104 persone. Quindi parteciperanno solo i cappellani con una o due persone in rappresentanza di ognuna delle comunità”. La celebrazione potrà essere seguita attraverso i social.

R.I.

Mediterraneo …. Quanto resta della notte?

28 Maggio 2020 - In questi mesi segnati dalla crisi sanitaria causata dalla pandemia COVID-19, tanti altri drammi, che pure continuano a consumarsi su questa nostra terra, sono rimasti ancora più invisibili. Come Fondazione Migrantes, insieme all’accompagnamento di alcune fra le categorie più colpite da questa crisi perché già in condizioni di lavoro ed economiche precarie (le colf, i giostrai e i circensi, i Rom), abbiamo cercato di mantenere viva l’attenzione su almeno due di questi drammi, firmando anche un documento insieme alle altre associazioni che fanno parte del tavolo asilo.
  1. La condizione dei tanti stranieri senza titolo di soggiorno (si stima siano almeno 600.000) presenti nel nostro paese, persone senza diritti, condannati all’invisibilità, esposti allo sfruttamento lavorativo e di altro genere, e ora anche al contagio. Papa Francesco li ha ricordati più volte in questi mesi, e anche il Cardinal Bassetti si è pronunciato, proprio nei giorni in cui si discuteva in parlamento della norma per consentire l’emersione dal lavoro nero e dalla irregolarità. La legge approvata non corrisponde a quanto avevamo chiesto, e cioè la regolarizzazione di tutti gli “invisibili” presenti sul nostro territorio, indipendentemente dal contratto di lavoro, come condizione indispensabile per il riconoscimento della loro dignità e la tutela della salute loro e di tutti. Tuttavia è un passo in questa direzione e permetterà a molte migliaia di persone una vita più giusta.
  2. La condizione di tante persone che fuggono dalla guerra e dalla miseria e che continuano ad essere costrette ad affidarsi a trafficanti senza scrupoli perché non ci sono vie di fuga legali e sicure. Ad essere torturati e violentati nei campi di detenzione libici e a morire lungo il viaggio: “La catastrofe umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale” (Papa Francesco). E questo ormai come se fosse una cosa normale, inevitabile, senza un sussulto di umanità.
Nella sua visita a Lesbo del 16 aprile 2016 Papa Francesco diceva: Oggi vorrei rinnovare un accorato appello alla responsabilità e alla solidarietà di fronte a una situazione tanto drammatica. Molti profughi che si trovano su quest’isola e in diverse parti della Grecia stanno vivendo in condizioni critiche, in un clima di ansia e di paura, a volte di disperazione per i disagi materiali e per l’incertezza del futuro. Le preoccupazioni delle istituzioni e della gente, qui in Grecia come in altri Paesi d’Europa, sono comprensibili e legittime. E tuttavia non bisogna mai dimenticare che i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie. L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere. Purtroppo alcuni, tra cui molti bambini, non sono riusciti nemmeno ad arrivare: hanno perso la vita in mare, vittime di viaggi disumani e sottoposti alle angherie di vili aguzzini. E ancora: Per essere veramente solidali con chi è costretto a fuggire dalla propria terra, bisogna lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà: non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali. Prima di tutto è necessario costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove. Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza Colgo qui l’occasione per ringraziarvi e per incoraggiarvi a continuare a denunciare l’orrore della guerra, fino a quando non forgeremo le nostre spade in vomeri e le nostre lance in falci. Questa è la meta che dobbiamo avere sempre davanti, ma poi vanno individuati i passi possibili oggi e su cui cercare le convergenze più ampie possibili:
  • Occorre moltiplicare le occasioni di ascolto e di incontro, perché impariamo a riconoscerci parte di una stessa umanità. Giustamente qualcuno ha notato che fra il lasciar morire nel Mediterraneo i profughi e il lasciar morire i vecchi, come cinicamente si è fatto in alcuni paesi, il passo è breve. Si tratta di esercitarci in quelle sei coppie di verbi che ci ha suggerito il Papa nel suo messaggio per la prossima GMMR.
  • Il prossimo 3 giugno saranno tolti i limiti agli spostamenti fra le regioni e con gli stati esteri, per favorire l’afflusso dei turisti. I nostri porti resteranno vietati solo a quanti fuggono dalla morte?
  • Basta con la criminalizzazione delle navi delle ONG accusate di essere complici dei trafficanti e di attentare alla sicurezza del paese. Esse fanno quello che l’Europa dovrebbe fare, garantire l’accesso a un porto sicuro ai richiedenti asilo.
Perché il Mediterraneo finalmente non sia più un grande cimitero ma frontiera di pace, come recitava il titolo dell’incontro di Bari del febbraio scorso.

Don Gianni De Robertis

direttore generale Fondazione Migrantes

 

Avezzano:il dialogo interreligioso e interculturale con mondo migrante

28 Maggio 2020 - Avezzano – “In questo momento di universale difficoltà occorre non disperdere i vincoli della fraternità e della condivisione”. Con questa frase comincia il messaggio del Vescovo di Avezzano, mons. Pietro Santoro, alle Comunità musulmane, riunite in tre associazioni che reggono altrettante moschee, presenti nel territorio della Diocesi dei Marsi. Il messaggio ha accompagnato il dono di datteri, olio e riso che il Vescovo  ha voluto rendere alle famiglie più bisognose della comunità, segno di partecipazione - non solo spirituale - all’inizio del Ramadan. La Chiesa dei Marsi nella quotidianità, così come pure nell’eccezionalità del lockdown, coltiva il dialogo interreligioso e interculturale con le sorelle e i fratelli musulmani che nel territorio rappresentano il 44% dei cittadini stranieri. La nazionalità primariamente rappresentata è quella marocchina, che costituisce da sola il 50% dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti (dati Istat, 2019). Una presenza tradizionalmente legata alla richiesta di manodopera in agricoltura per la Piana del Fucino, che occupa la posizione baricentrica della Diocesi. Come nel trend nazionale, dall’inizio della crisi sanitaria e dunque economica, un numero crescente di famiglie è stato colpito dalla perdita del lavoro, da cui si teme lo sviluppo di ulteriori fenomeni e situazioni di fragilità sociale. La particolare vulnerabilità delle famiglie straniere è confermata dai dati del Centro d’Ascolto della Caritas Diocesana e delle diverse Caritas parrocchiali. Per questo motivo quest’anno, oltre al consolidato messaggio di amicizia per l’inizio del Ramadan, sono stati offerti alimenti tipici che potessero consolare le famiglie più colpite dalla crisi. Ovviamente continuando l’accompagnamento economico a situazioni di particolare fragilità. Ma l’inizio del Ramadan ha portato anche un ulteriore rafforzamento della relazione di rispetto, amicizia. La Mensa non ha mai chiuso durante questa emergenza. Ha piuttosto adeguato il servizio con doppi turni che potessero e garantire la consumazione dei tre pasti principali all’interno della struttura e il rispetto delle adeguate distanze di sicurezza imposte dal distanziamento sociale. Tradizionalmente nella Moschea della città di Avezzano, durante il Ramadan, all’ora di rottura del digiuno, ogni giorno, una famiglia diversa garantiva l’allestimento della tavola per i senza dimora di fede islamica. Quest’anno, a causa della chiusura dei luoghi di culto, questo servizio per i senza dimora musulmani non è stato possibile. Da qui la facile comunione in un cammino di solidarietà e di condivisione. Ogni giorno, un rappresentante della Comunità islamica si unisce ai volontari della Mensa e prepara, con loro, la cena della rottura del digiuno, consegnandola, per l’asporto, a coloro che lo richiedono e che non possono consumarla in Mensa per incompatibilità dell’orario. L’esperienza, seppur appena iniziata, è solo positiva e ci educa vicendevolmente al sogno profetico di Papa Francesco: essere credenti assetati di pace, fratelli in cerca di pace con i fratelli. Promotori di pace, strumenti di pace. Lidia Di Pietro

Verso Tokyo 2021: quei rifugiati che sognano le Olimpiadi

28 Maggio 2020 -

Milano - Cinquanta atleti, uomini e donne. Sono tutti rifugiati e in comune hanno un sogno: quello di far parte dell’Olympic Refugee Team, che parteciperà ai Giochi estivi di Tokyo nel 2021, quando si spera che il Coronavirus sia solo un ricordo o quasi. La squadra, la cui composizione ovviamente non è ancora definitiva a causa di tutto ciò che è accaduto recentemente, segue le orme della delegazione che nel 2016 ha preso parte alle Olimpiadi di Rio ed è sostenuta dal CIO attraverso il Programma di Solidarietà Olimpico. Una miriade di atleti, in cui si distinguono tre provenienze. La prima è quella costituita dai dieci membri della squadra di Rio 2016. A loro, tra cui Yusra Mardini, nuotatrice di origine siriana fuggita via mare e poi stabilitasi in Germania, l’Olympic Solidarity Programme garantisce supporto per continuare l’allenamento e gli studi. Il secondo gruppo è formato dagli atleti e dalle atlete, specializzati nell’atletica (fondo e mezzofondo), che si allenano a Ngong, nel Kenya meridionale al Tegla Loroupe Refugee Training Centre. Provengono dai campi profughi dell’Africa centrale e li segue Tegla Loroupe, tre volte campionessa del mondo della mezza maratona, che a settembre 2015 ha stretto un accordo con il Programma di Solidarietà Olimpica. Il terzo gruppo, invece, è composto da 26 atleti individuati dai Comitati olimpici dei Paesi in cui hanno ottenuto asilo e dove si allenano, grazie al Refugee Athlete Support Programme, creato dopo Rio 2016, che li supporta con una borsa di studio: di questo gruppo fanno parte anche i ragazzi che Niccolò Campriani sta allenando a Losanna nel tiro a segno.

Atlete e atleti che praticano sport diversi, dal taekwondo al badminton, passando per ciclismo e pugilato, le cui storie raccontano la globalità del dramma dei rifugiati. Per esempio la ciclista Masomah Ali Zada: viene dall’Afghanistan, ha coltivato la sua passione a Kabul, insieme alla sorella Zahra, tra difficoltà e pregiudizi. Una storia scovata dai media francesi e che colpisce la famiglia Communal la quale, dopo avere contattato le due sorelle su Facebooke averle conosciute in una gara in Francia, riesce a far loro ottenere i documenti per farle trasferire con la famiglia in Bretagna dove oggi le allena Thierry Communal. Una vicenda da romanzo che ha ispirato anche un libro: Le piccole regine di Kabul.Masomah sogna Tokyo, lo stesso obiettivo che, dalla Svizzera, insegue Habtom Amaniel, specialista dei 10mila metri, nato e cresciuto in Eritrea. Durante il servizio militare, essendogli negato il permesso di vedere i suoi parenti, viene imprigionato e fugge. Arriva in Libia dopo aver attraversato il deserto e si imbarca per l’Italia, riuscendo a raggiungere un centro d’accoglienza vicino a Ginevra. Lì, la svolta. Un’allenatrice mette a disposizione dei profughi un campo d’allenamento. Iniziano in quattordici, lui è l’unico che ha continuato. Non ha più rivisto l’Africa, come il berbero di nazionalità marocchina Otmane Nait Hammou, primo rifugiato ad aver partecipato a un Mondiale di cross, emigrato in Francia per studiare e poi, impossibilitato a tornare, in Svezia, o come Dorian Keletela, orfano e nipote di una oppositrice del regime della Repubblica del Congo, arrivato adolescente in Portogallo dove si è fatto notare come speranza dello sprint.

A volte però non è l’Europa il luogo dove coltivare il sogno olimpico. È il caso di Wael Fawaz Al-Farraj, classe 2002, scappato da Homs in Siria e rifugiatosi insieme alla famiglia nel campo profughi di Al Azraq in Giordania, lì dove la Taekwondo Humanitarian Foundation e la ong Care proponevano un programma dell’arte marziale coreana. Per Wael è amore a prima vista. Dopo pochi anni è già cintura nera e partecipa alle gare, con buoni risultati. E ora l’orizzonte è Tokyo. (Roberto Brambilla - Avvenire)

Si riparte, ma come?: l’esperienza della comunità greco cattolica romena di Livorno

27 Maggio 2020 - Livorno - Sono parroco della comunità greco cattolica romena a Livorno. Questo periodo della pandemia è stato per me e per la nostra comunità parrocchiale un tempo buio ed una esperienza di preoccupazione, di disorientamento e di smarrimento, specie nella prima fase. Come sacerdote e padre della parrocchia fin da quando sono state decise le chiusure delle celebrazioni liturgiche nelle chiese, il trovarmi da solo, in una Chiesa vuota, mi ha procurato un profondo dolore e tristezza perché veniva meno l’essere pastore di una comunità che sapevo essere “chiusa” con ciascun membro che viveva questi giorni nella solitudine e anche nella preoccupazione e angoscia per un futuro di cui non si conosceva l’esito. L’aspetto visto positivo di quest'esperienza di solitudine nella celebrazione eucaristica è stato il riscoprire in noi tutti i sacerdoti il nuovo volto di Cristo e della Chiesa, che attraversando il periodo Quaresimale si è fatta più vicina alla morte di croce e ha condiviso con Cristo la solitudine nella sofferenza. La via della croce è la strada indicata da Cristo se vogliamo con Lui per prendere parte alla Risurrezione che ci assicura la vita eterna con Lui. Tenendo quindi presente questa visione e prospettiva, la nostra pastorale si può riaprire una nuova primavera missionaria. Infatti il nostro compito sacerdotale è la missione, uscire, cercare, incontrare...curare il gregge, amarlo e salvarlo. Fare quindi dalla propria comunità, una comunione di persone unite nell’amore di Cristo con al centro il primato della carità. In questo periodo pur non essendo molto esperto dei mezzi della comunicazione sociale, ho cercato di migliorare nell’uso, preparando e trasmettendo messaggi di incoraggiamento, così pure le meditazioni quotidiani, via telefono, Whatsapp, messenger e Facebook. A partire dalla Settimana Santa, mi sono organizzato quotidianamente per celebrare la santa messa online su Facebook, ogni sera. Cosi la maggioranza dei membri della nostra Comunità hanno potuto “partecipare” e sentirsi meno soli. Inoltre siamo riusciti ad offrire aiuto alle persone povere e senza lavoro, offrendo loro sostegno spirituale ed economico. Inoltre, facendo parte dalla Unità pastorale della Cattedrale sono stato in tutto questo tempo disponibile per le confessioni nella chiesa di san Sebastiano. Ora finalmente siamo entrati nella seconda fasi della pandemia, ed è il tempo di ripartire. Ma mi sono domandato: come dobbiamo ripartire? Con che stile pastorale? Assolutamente è importante agire con lo stile della missione. Dobbiamo ripartire con un cuore aperto, con il cuore di Cristo e imitarlo quando in croce ha le braccia aperte per tutti. Siamo pronti ad aprirle per accogliere e per abbracciare, pur nelle debita distanza, certi che non siamo soli ma uniti da quell’amore che ha portato salvezza a tutti. Padre Vasile Orghici Parroco dalla Comunità greco cattolica romena -Livorno  

Post pandemia

27 Maggio 2020 - Roma - Nel silenzio assordante di una piazza san Pietro completamente vuota e bagnata dalla pioggia incessante, le parole di papa Francesco erano risuonate forti e chiare: “ci siamo resi conto – aveva detto - di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”. Tutti, nessuno escluso, uniti dalla sofferenza, dalla paura e dalla speranza. Ora che la tempesta si sta lentamente placando e che si comincia a guardare al futuro, ancora carico di incertezze, abbiamo voluto riflettere su quanto è accaduto, sull’eredità che la pandemia ci lascia e sulle prospettive che si aprono. Con la consapevolezza, forse più forte di prima, che “siamo tutti sulla stessa barca” e che, come ha ricordato il Papa nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, “ritrovarci ad avere preoccupazioni e timori comuni ci ha dimostrato ancora una volta che nessuno si salva da solo”.  (don Leonardo Di Mauro, don Francesco Soddu, don Giuseppe Pizzoli,  don Gianni De Robertis e don Bruno Bignami)

Viminale: 4.777 i migranti arrivate in Italia nel 2020

26 Maggio 2020 - Roma - Sono finora 4.777 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno. Il dato è del ministero degli Interni aggiornato a questa mattina. Degli oltre 4.700 migranti sbarcati in Italia nel 2020, 830 sono di nazionalità bengalese (17%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Costa d’Avorio (663, 14%), Tunisia (439, 9%), Sudan (390, 8%), Algeria (342, 7%), Marocco (309, 7%), Guinea (212, 4%), Somalia (211, 4%), Mali (165, 4%), Egitto (88, 2%) a cui si aggiungono 1.128 persone (24%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. 770 sono i minori stranieri non accompagnati ad aver raggiunto il nostro Paese via mare.  

Fcei: “subito corridoi umanitari per i profughi bloccati tra Grecia e Turchia”

26 Maggio 2020 - Roma - Corridoi umanitari per i profughi bloccati nelle isole greche. “Si mettano subito in salvo almeno i minori, come chiedono decine di voci della società civile e della politica”. A chiederlo è la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) che oggi lancia un appello alla “coscienza dell’Europa”. “Quello che accade ai confini dell’Europa, in Grecia e Turchia, sfida la coscienza morale e giuridica dell’Europa e spinge la società europea e quindi anche le Chiese a un nuovo grande impegno nei confronti di profughi ogni giorno più vulnerabili”, dichiara Luca Maria Negro, presidente della Fcei. “Per questo, come protestanti e come cittadini europei, rivolgiamo un pressante appello alle istituzioni nazionali e sovranazionali perché elaborino un piano d’intervento che consenta almeno ai soggetti più vulnerabili oggi concentrati in Grecia di ricollocarsi in altri Paesi europei. L’Italia deve fare per la Grecia meglio e più di quello che l’Europa ha fatto per l’Italia e per questo, forti dell’esperienza dei corridoi umanitari già realizzati dal Libano dal 2016, come Chiese protestanti ci mettiamo a disposizione per partecipare a piani di accoglienza straordinaria coordinati dal Governo”. Secondo la Fcei – da anni impegnata insieme alla Tavola Valdese e alla Comunità di Sant’Egidio a promuovere e sostenere corridoi umanitari dal Libano in collaborazione con i ministeri dell’Interno e degli Esteri italiani – “l’urgenza di un intervento a favore dei profughi nelle isole greche non deve escludere un’azione per superare gli accordi con la Turchia che, come attestano anche fonti istituzionali, non garantiscono il rispetto dei diritti umani e costringono migliaia di profughi in una trappola che non consente loro né di andare avanti né di tornare indietro”. Infine, “occorre contenere al più presto gli effetti negativi dei Decreti sicurezza, superandoli con misure realistiche e costituzionalmente fondate che aprano vie di accesso in Italia sicure regolari, controllate e sostenibili. L’imminente rinnovo del protocollo che ha reso possibile la sperimentazione dei Corridoi umanitari verso l’Italia sia l’occasione per rilanciare anche in Europa questa buona pratica”.

Centro Astalli: riprende il corso di formazione sulla mobilità per i docenti

26 Maggio 2020 - Roma - Il Centro Astalli, in collaborazione con CeFAEGI – Centro di Formazione per l’Attività Educativa dei Gesuiti d’Italia, Fondazione Magis, Scalabrini International Migration Network, promuove la “La mobilità umana: tra passato, presente e futuro”. Riparte infatti il corso di formazione per i docenti degli istituti secondari di primo e secondo grado, sospeso a causa dell’emergenza da Covid-19 dopo il primo incontro ”Mobilità umana e giustizia globale”, tenuto da p. Lorenzo Prencipe, presidente CSER – Centro Studi Emigrazione Roma. Il secondo e terzo appuntamento si terranno in modalità online. Il primo è previsto oggi con p. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, e Andrea Pecoraro, protection associate UNHCR, che tratteranno il tema “Rifugiati e richiedenti asilo: accoglienza e integrazione in Italia”. "In un tempo in cui il mondo è attraversato da una gravissima crisi sanitaria che mette in discussione stili di vita, relazioni e visione del futuro, i migranti – si legge in una nota - ancora una volta pagano il prezzo più alto. La pandemia acuisce gli effetti dei decreti sicurezza, entrati in vigore alla fine del 2018: aumentano esclusione sociale e precarietà per tanti richiedenti asilo e titolari di protezione, a scapito di accoglienza e inclusione sociale. Il mondo della scuola è sollecitato oggi più che mai a rileggere la realtà con nuovi strumenti". Altro incontro venerdì 29 maggio con p. Renato Colizzi, presidente Magis, e Arnout Mertens, direttore programmi e innovazione del JRS International, che dialogheranno sul tema “Il futuro delle migrazioni tra ambiente e cittadinanza globale”. "I cambiamenti climatici - spiega la nota del Centro Astalli  - e le sue conseguenze sulla pace, la stabilità e la sicurezza riguardano l’interno pianeta: le Nazioni Unite considerano possibile l’esodo di 200 milioni di persone entro il 2050 per le sole cause ambientali".