Tag: Immigrati e rifugiati

“Morire di speranza”: a Frosinone preghiera per i migranti

26 Aprile 2021 - Frosinone - Ancora una volta, nello stesso mare che bagna le nostre coste, delle vittime innocenti, in fuga dall'inferno della Libia e dalla miseria di un intero continente, hanno perso la vita su un gommone affondato in mezzo alle onde. Alcune Ong, le cui operazioni di soccorso sono state rallentate da rimpalli di responsabilità, stimano oltre cento morti. La diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino “si unisce al dolore delle famiglie di questi migranti, la cui morte arriva dopo innumerevoli sofferenze e violenze subite nel lungo viaggio che hanno dovuto affrontare. Come donne e uomini di fede, non possiamo rimanere indifferenti a queste grandi ingiustizie, che continuano a ripetersi come effetti devastanti di conflitti e disastri ambientali a lungo ignorati”. La preghiera, animata dalla Comunità di Sant'Egidio, sarà presieduta dal vescovo che il vescovo Ambrogio Spreafico questa sera alle ore 19.30, nella parrocchia di San Paolo Apostolo a Frosinone.

Mons. Lorefice: “ci perdonino tutti coloro che hanno perso la vita in questi anni e ci infondano il coraggio di cambiare, insieme!”

24 Aprile 2021 - Palermo - L’ennesima strage silenziosa consumatasi, che ha visto la morte di circa 130 migranti, inghiottiti dalle onde del Mediterraneo, ha provocato la reazione "indignata" e "accorata" dell’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice. «A ferire la coscienza umana e cristiana – ha detto   – non è solo l’assoluta indifferenza in cui tutto questo è avvenuto, non è solo l’assoluta indifferenza con cui gran parte dei principali organi di stampa nazionali ne hanno dato conto, trattando la tragica fine di queste vite come una notizia di second’ordine o peggio di ordinaria routine: è anche e soprattutto il grave rimpallo di responsabilità tra la Libia, Malta, l’Italia e l’Unione Europea a cui si assiste nelle ricostruzioni di queste ore. Il lungo temporeggiare sull’obbligo del soccorso e l’accavallarsi confuso delle giustificazioni sul perché non si sia fatto nulla per precipitarsi a salvare 130 persone innocenti in evidente pericolo – uomini, donne e bambini che avevano nel cuore solo la grande speranza di ricevere la nostra accoglienza e l’opportunità di un futuro – continuano purtroppo a dimostrarci che non è più possibile che si ritardi nella ricerca di una soluzione politica a livello europeo, una soluzione umanamente sostenibile che ponga fine una volta per tutte a questa straziante barbarie». A tal proposito l’arcivescovo di Palermo ribadisce il proprio pensiero sulla priorità di una sfida globale: «Ricordo a tutti, a tutti coloro che ancora sentono parte della famiglia umana, che le sorelle e i fratelli, le donne e gli uomini dell’Africa sono vittime, da parte dell’Occidente, di una spoliazione quotidiana e sistematica, che depreda della loro ricchezza miliardi di persone e le costringe a cercare vita e fortuna altrove. Basti guardare in questi mesi al Congo e al North Kiwu per capirlo. Ebbene, di fronte a questa ingiustizia sistematica, noi europei, invece di sentire l’obbligo di un risarcimento, chiudiamo le frontiere del nostro benessere grondante del sangue dei poveri, per impedire ad altri il diritto ad un’esistenza che non sia svuotata della sua stessa dignità. Tutto questo è scandaloso, lo dico senza mezze misure, così come lo è il fatto che l’Europa e l’Italia, la nostra Italia, esperta nel dolore del migrare, non sentano l’urgenza di adoperarsi per cambiare un tale stato di cose". Conclude mons. Lorefice: «Ci perdonino tutti coloro che hanno perso la vita in questi anni e ci infondano il coraggio di cambiare, insieme!».

Card. Bassetti: povertà italiana, vittime nel nostro mare. È l’ora di fare ciò che giusto

24 Aprile 2021 - Roma - La pandemia sta lasciando cicatrici profonde nel corpo della nostra società: al dolore per la morte dei nostri cari, alla preoccupazione per i malati in ospedale e all’inquietudine per i ragazzi a cui è stata tolto un pezzo della loro gioventù, si aggiunge adesso la sofferenza e, in alcuni casi, la disperazione per la mancanza di lavoro e il crescente stato di miseria di larghi settori della popolazione. Le stime preliminari dell’Istat sulla 'povertà assoluta' in Italia hanno delineato un quadro sociale su cui è doveroso riflettere a fondo: oltre 2 milioni di famiglie vivono in condizioni di miseria, con un incremento di ben 335mila nuclei familiari rispetto all’anno scorso. Si tratta del dato peggiore dal 2005 a oggi. E purtroppo le famiglie più colpite dall’aumento dell’indigenza sono quelle in cui sono presenti figli minorenni. È impossibile non rimanere sgomenti di fronte a questi dati che raccontano un Paese in difficoltà e che è stato colpito nel suo cuore pulsante: ovvero, nella famiglia. In quella famiglia che è, prima di tutto, il luogo della carità coniugale e dell’incontro tra generazioni diverse, ma è anche tradizionalmente una fonte di propensione al risparmio e di solidarietà sociale. E perciò mi chiedo: come non inserire questo tema tra i principali argomenti di discussione pubblica del nostro Paese? Nel 1954, di fronte allo stato di grave povertà in cui versavano moltissime famiglie fiorentine che non avevano più una casa dove vivere, Giorgio La Pira non esitò a ordinare, sulla base di una vecchia norma ottocentesca, la requisizione di centinaia di alloggi per motivi di 'necessità pubblica'. Alle violentissime polemiche che seguirono quella decisione, il sindaco di Firenze rispose con queste parole: «Ma che dovevo fare? Ho dato una mano di speranza a tante famiglie povere e disperate!». Anche oggi c’è bisogno di dare una «mano di speranza» alle tante famiglie sempre più povere e disperate. Il Reddito di cittadinanza è uno strumento certamente da perfezionare, ma di cui non si può più fare a meno. Ma ora c’è soprattutto da garantire un’adeguata dotazione finanziaria all’«assegno unico universale» che, dopo un’azione promossa dal Forum delle associazioni familiari, ha riscosso un amplissimo consenso politico. Si tratta di una svolta fondamentale, primo passo per porre finalmente la famiglia con figli al centro delle politiche sociali, mentre delinea una storica equità per le famiglie dei lavoratori autonomi e contribuisce a mettere l’Italia al passo di altri Paesi europei. In quest’ultimo tornante prima del traguardo definitivo occorre però sgombrare il campo da ogni paura, in modo che nessuna famiglia 'perda' qualcosa da questa riforma. Confido infatti che il Governo e anche il Parlamento, che si è mosso in modo compatto attorno questo provvedimento, sappiano aiutare concretamente le nostre famiglie così duramente provate dalla crisi prodotta dalla pandemia. Altri segni di speranza sono rappresentati da alcuni semi che sono stati appena gettati: il Sinodo per l’Italia e il secondo Incontro sul Mediterraneo. Il Sinodo, in particolare, è una grande opportunità per la comunità ecclesiale del nostro Paese e sarà necessario costruire un cammino inclusivo e aperto a tutti, a partire dalle famiglie. Mai come oggi, infatti, in questa società impoverita e sfilacciata, c’è bisogno di rammendare le fila di un tessuto sociale sempre più sfibrato attraverso l’esperienza e la sapienza della famiglia. Il Mediterraneo, invece, è ancora oggi una drammatica realtà che parla con forza alla Chiesa universale. Ciò che mi preoccupa di più, dinanzi all’immane tragedia dei numerosi fratelli e sorelle, più di cento, sepolti vivi, ancora una volta, nelle acque del Mare Nostrum, è il giudizio di Dio su noi tutti che assistiamo inermi a queste disgrazie. Al di là dei sentimenti di umana pietà nei confronti delle vittime, non dobbiamo e non possiamo dimenticare che Dio ha voluto fare dell’intera umanità un solo popolo, un’unica famiglia, «fratelli tutti». (card. Gualtiero Bassetti - Presidente della Conferenza episcopale italiana)  

Sant’Egidio: cordoglio per le vittime del naufragio

23 Aprile 2021 -

Roma Al largo della Libia si è consumato l’ennesimo dramma dell’immigrazione con un bilancio di vittime che alcune Ong stimano ad oltre cento. La Comunità di Sant’Egidio esprime innanzitutto il suo "cordoglio alle famiglie dei migranti, che nel loro viaggio hanno patito sofferenze e soprusi dalla partenza dal loro paese fino alla tragica sorte nelle acque del Mediterraneo. Un sentimento di pietà che occorre riaffermare di fronte ad una notizia che rischia di passare in secondo piano in questo amaro tempo di pandemia". Sant’Egidio lancia un appello alle autorità che "avrebbero potuto provare - si legge in una nota - a soccorrere il battello di fortuna andato alla deriva, a fronte di segnalazioni già arrivate nella giornata di mercoledì, perché vengano garantiti i salvataggi in mare di chi è in pericolo di vita". Per questo è "urgente rispondere al più presto alla domanda di aiuto proveniente dai migranti in transito verso l’Europa, in particolare di quelli attualmente in Libia, con progetti a lungo respiro che puntino a svuotare i luoghi di detenzione, a esaminare le situazioni delle singole persone e a consentire vie di salvezza legali come i corridoi umanitari. Al tempo stesso occorre costruire un futuro vivibile nei paesi di origine, soprattutto per i giovani, con il sostegno dell’Unione europea".

“Pasqua africana” con mons. Corazza a Forlì

23 Aprile 2021 - Forlì - Domenica scorsa, nella Chiesa Basilica-Abbazia di San Mercuriale di Forlì, mons. Livio Corazza,  Vescovo di Forlì-Bertinoro, ha celebrato con tutti gli africani di lingua francese la "Pasqua Africana", una celebrazione divenuta ormai un'istituzione. E' tradizione per la comunità africana cattolica francofona celebrare ogni anno nella seconda o terza domenica del Tempo di Pasqua la sua festa pasquale chiamata "Pasqua Africana - Pasqua di tutti i popoli". L'Assistente Spirituale della comunita, don Francesco Diri K.  (inoltre Coordinatore della Cappellania per la pastorale francofona diocesana, costituita dai 6 sacerdoti fidei donum provenienti da paesi francofoni dell'Africa, in servizio nella diocesi di Forlì), cinque  anni fa - dice il sacerdote - ha istituito questa celebrazione per permettere a tutti gli africani francofoni e amici di ritrovarsi per festeggiare insieme l'evento principale e fondamentale della nostra fede: la Pasqua. "È stato - aggiunge - uno stupendo momento di festa, una esperienza commuovente di gioia condivisa per i circa 200 fedeli presenti e il Vescovo Livio Corazza che per la prima volta ha celebrato la S. Messa con i fratelli emigrati africani di lingua francese della sua diocesi", alla presenza anche del coordinatore nazionale delle Comunità Africane Francofone,  don Matteo Faye, che "ci ha gratificato della sua presenza insieme con tutti i sacerdoti fidei donum francofoni della diocesi". Al termine della Messa è stato donato al vescovo una casula "kentè-kita", (cucita con una pregiata stoffa reale africana che indossano molti Re e Principi di vari paesi dell'Africa d'ovest). Teleromagna, la tv Regionale che "ringraziamo" ha ripreso tutta la celebrazione. I cristiani francofoni di Forlì - spiega il cappellano, don Diri - si ritrovano ogni terza domenica del mese alle ore 15,00 nella Basilica San Mercuriale per la loro mensile celebrazione eucaristica. "Ci auguriamo - dice - che questa Messa con il suo primo Pastore possa ridare nuovi fervori, e favorire la rinascita di questa comunità provata dalla pandemia come molte altre in Italia".

Migrantes: cordoglio per l’ennesima strage nel Mediterraneo

23 Aprile 2021 - Roma - La Fondazione Migrantes "esprime dolore e sdegno per l’ennesima strage – circa 130 persone, fra cui donne e bambini -  avvenuta nel Mediterraneo, nel canale di Sicilia. Che questa ennesima tragedia - si legge in una nota - provochi in noi un sussulto di umanità e d’impegno a creare canali legali e sicuri di ingresso, come già auspicato dal Global Compact del dicembre 2019 voluto dalle Nazioni Unite".

Centro Astalli: “profondo dolore” per la morte di 130 persone in mare

23 Aprile 2021 - Roma - Il Centro Astalli esprime profondo cordoglio e dolore per la morte 130 persone in mare nel tentativo di arrivare salve in Europa. A loro si aggiungono una donna e un bimbo trovati, poche ore prima, senza vita su una barca con altre 100 persone riportate indietro in Libia. "Siamo sgomenti davanti all'orrore e all'indifferenza dei governi nazionali e dell'UE", sottolinea p. Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli: "ci si ostina a definire politiche migratorie, quelli che sono accordi stipulati con governi antidemocratici, spendendo capitali che potrebbero essere utilizzati per gestire le migrazioni in maniera sicura, legale e a beneficio di tutta la comunità. Non possiamo tollerare che vite perse in mare non suscitino reazioni e risposte umanitarie. La politica democratica e le istituzioni che la decidono - conclude p. Ripamonti - hanno come compito principale di garantire una vita degna e libera a ogni essere umano sulla terra".  

Save the Children: 70 minori siriani rifugiati e le loro famiglie rischiano di essere rimpatriati dalla Danimarca

23 Aprile 2021 - Roma - Centinaia di rifugiati siriani provenienti dalla regione di Damasco, tra cui anche 70 minori, rischiano di perdere i permessi di soggiorno in Danimarca e di essere rimandati in Siria, un Paese in conflitto da dieci anni. Lo denuncia Save the Children che in un comunicato esprime “profonda preoccupazione” e conferma che “a circa 70 minori è stato rifiutato il permesso di soggiorno nella prima fase del processo e ora stanno aspettando la decisione finale”. Se tale decisione dovesse essere confermata, sottolinea l’agenzia umanitaria, “i bambini e le loro famiglie dovranno collaborare con le autorità danesi per il rimpatrio volontario in Siria o essere collocati nei centri per il rimpatrio a tempo indeterminato”. In una recente consultazione di Save the Children che ha coinvolto oltre 1.900 minori e operatori sanitari in Siria, Libano, Giordania, Turchia e Paesi Bassi, è emerso che la stragrande maggioranza di bambini e adolescenti non vede un futuro in Siria dopo dieci anni di guerra. Anche l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha recentemente affermato che, sebbene i combattimenti siano cessati in alcune aree, il Paese rimane ancora troppo pericoloso per il ritorno dei rifugiati. “I minori rischiano di dover tornare in un Paese che a malapena ricordano, un Paese che non è ancora sicuro. I bambini, che non hanno alcuna responsabilità per il devastante conflitto in Siria, sono ancora una volta vittime di una crisi creata dagli adulti. Molti di loro non hanno mai conosciuto una Siria in pace. Ogni rimpatrio in Siria deve essere dignitoso, informato, volontario e sicuro, tenendo conto della situazione individuale dei minori e dei loro genitori. I bambini siriani hanno il diritto di sentirsi al sicuro e non dovrebbero vivere nel timore di essere costretti a fuggire di nuovo” dichiara Anne Margrethe Rasmussen, rappresentante della regione del Medio Oriente e del Nord Africa (Mena) presso Save the Children in Danimarca. Per Sonia Khush, direttore della risposta di Save the Children per la Siria, “La Danimarca, che è stato il primo Paese a firmare la Convenzione sui rifugiati nel 1951, ora sta creando un pericoloso precedente facendo effettivamente il primo passo in direzione del rimpatrio in un luogo tutt’altro che sicuro. La Siria non è pronta per il ritorno dei rifugiati e la maggior parte dei bambini non vorrebbe starci. Le autorità danesi dovrebbero ascoltarli”.  

Lamine e l’integrazione che crea valore: un percorso concreto fatto insieme. 

22 Aprile 2021 - “Perchè non vieni da me a Roma? C’è un progetto che puoi fare con me”.  Questo è il punto di svolta della storia di Lamine, giovane senegalese venuto in Italia con la speranza di un futuro migliore. Eppure i suoi sogni si erano arenati nelle difficoltà della dura realtà di un migrante nelle periferie di Napoli, fatta di lavoro in nero, sfruttamento e alloggi fatiscenti. E’ da un amico che Lamine sente parlare per la prima volta di Creare Valore, il progetto di Sophia Impresa Sociale, finanziato attraverso la campagna della CEI “Liberi di partire, liberi di restare”, che offre la possibilità ai giovani migranti in condizione di vulnerabilità di formarsi ed essere accompagnati in un percorso di integrazione professionale e crescita personale. Il giovane è titubante, ma parte lo stesso in direzione della capitale. Si fa convincere dalle parole del suo caro amico Amadou che riaccende in lui un barlume di speranza raccontandogli la sua esperienza con Sophia: il lavoro e la casa sicura trovati insieme ai tutor, l’accoglienza e l’ascolto di un team giovane che con lui ha valutato, passo dopo passo, la strada migliore per crescere. Lo spirito di accoglienza di Sophia è contagioso…  Amadou, offre un alloggio a Roma al suo connazionale ed amico che aderisce al progetto. Lamine comincia così il percorso di accompagnamento fatto di insegnamenti di lingua italiana, assistenza legale e sanitaria e corsi professionali riconosciuti a livello nazionale. Dei suoi tutor dice: “Posso chiamare Marco, Erik, Mor e Carlo - i tutor del progetto, ndr - quando voglio, sempre mi aiutano e li chiamo anche solo per dire come stai.” Ed è proprio in questo che risiede lo spirito di Sophia: la voglia di fare gruppo tra giovani che nell’ascolto e nel sostegno reciproco, si assume la responsabilità di crescere insieme. Questo è uno stile di assistenza che parte dal presupposto controintuitivo che invece di ricevere, un migrante, ha bisogno di dare. Nell’anno e mezzo di durata del progetto Lamine, come gli altri suoi compagni, ha compiuto dei passi concreti nel suo percorso di integrazione: ha preso la certificazione A2 di lingua italiana, ha ottenuto l’attestato di qualifica rilasciato dal Cefme di operatore in strutture edili e ha cominciato a lavorare in un team di lavori artigianali creato da Sophia. In poco tempo Lamine ha maturato un grande affiatamento con gli altri membri della squadra che ora considera come suoi fratelli. “Siamo una famiglia”, rivela emozionato il giovane. Lamine abita ancora con Amadou, ma la prospettiva è completamente diversa da quella di un anno e mezzo fa. Il suo percorso non è ancora giunto al termine, ma Sophia continua ad accompagnarlo e affiancarlo nelle sue scelte in vista di una sua prossima completa indipendenza ed integrazione. “La soddisfazione più grande è proprio vedere i loro progressi. Sono orgoglioso di loro, come può esserlo un fratello che guarda ai successi dell’altro” - rivela Carlo, responsabile del team di lavori artigianali. Lamine è solo uno dei tanti volti che hanno fatto parte di Creare Valore Attraverso l’Integrazione: un percorso di integrazione che valorizza la persona in quanto tale, sollevandola dai pregiudizi su di sé e sulla propria condizione e permettendole di riappropriarsi della propria libertà di scegliere. (A.C.)    

Marche: sorprendente finale per un migrante

22 Aprile 2021 - Jesi - Lamin: un ragazzone africano alto, massiccio, un metro e novanta, sguardo smarrito di bambino senza punti di riferimento. Fuorché due decreti di espulsione e un’impietosa diagnosi ospedaliera di fragilità psichiatrica. La riduzione dei centri di accoglienza, SPRAR in linguaggio burocratico, ha accentuato le difficoltà già latenti, lo ha messo nel numero degli invisibili. Gli ha fatto percorrere centinaia di chilometri su e giù per la Penisola, molte notti all’addiaccio e nei casi più fortunati ospitalità notturna presso qualche Centro d’accoglienza. Da circa cinque anni in Italia ma a Jesi da quasi due, preso in cura, con alterni risultati, da Caritas a enti di sostegno di varia natura, tra cui Servizi Sociali del Comune, Dipartimento Salute Mentale, Asp e Asl, polizia e carabinieri. Questi ultimi, intervenuti quando Lamin, in un momento critico della sua fragilità, aggredisce una signora, che passava con il suo cane. Prima si scatena con il cane. Nella sua mente confusa, il ricordo di come in Gambia e in altri Paesi africani i cani siano cacciati via come potenziale fonte di rabbia. Là le priorità sono ben altre! La sua distorsione della realtà lo fa aggredire anche la signora che voleva difendere il cane. Messo in stato di fermo, portato al pronto soccorso, sedato e trattenuto in psichiatria è rimasta sospesa la patata bollente della domanda più immediata: e ora, di lui, che ne facciamo? Chi se ne prende cura in prima persona? Infatti, questo straordinario Paese che è l’Italia ha una macchina burocratica che tende a complicare la vita. Dalla Prefettura alla Questura, passando per DPS, ASP, Comune, Polizia e Carabinieri, per finire con la Caritas, qualche decina di persone sono di competenza per un Lamin che rischia di essere come il cane dai sette padroni.  Quello che rischia più degli altri di morire di fame! Qui entrano in gioco due persone a cui questo ping-pong (molto praticato in Italia) non piace affatto. Marco, prima di dirigere la Caritas di Jesi è stato un carabiniere che ne ha viste troppe! Non ama il “si è fatto sempre così” e pensa che se c’è un problema ci deve essere pure la soluzione. Manda una lettera ufficiale ai sette enti di pertinenza. Il tono è cortese ma chiaro e fermo. Almeno per sapere come farlo ritornare a casa sua, in Gambia, anche a costo di pagare… Gabriele, d’altra parte, operatore Caritas, è spirito libero in continua ricerca. Gli piacciono molto i cani, ma il suo slogan è “prima gli esseri umani”! È stato stabilito che Lamin può tornare in Gambia, anzi, deve… Ma è necessario che qualcuno lo accompagni, date le sue condizioni. “Vado io - la pronta risposta - è da un pezzo che lo conosco!” Così da Ancona a Venezia in treno, fino ad Istanbul in aereo, non sarà passata inosservata la coppia: il gigante portato per mano da uno che a confronto sembra un bambino. Che ogni tanto lo stringe a sé e quasi lo abbraccia, gli parla all’orecchio, invitandolo a guardarlo negli occhi:  “Sono molto stanco anch’io, resisti, non ti lascio!” Ad Istanbul saranno drastici. L’africano non è in condizione di viaggiare da solo: o si imbarca pure Gabriele, l’accompagnatore, o nessuno. Era previsto che ad Istanbul si sarebbero salutati. Con i  mezzi di oggi per fortuna un biglietto ci vuole poco a farlo: Istanbul-Banjul, capitale del Gambia, aeroporto. All’arrivo, il personale  si ferma e commenta: “Grazie per averci riportato un fratello! Se anche da noi vivesse di meno, almeno qui ha la sua famiglia!” Senza contare poi i ringraziamenti del padre e del cugino, venuti a prenderlo! Fa niente se a Roma Gabriele torna il giorno dopo, con trentasei ore di viaggio, sedicimila chilometri, se chi fa un’esperienza del genere torna diverso, cambiato, stanchissimo. E migliore. Cinque anni di odissea di Lamin hanno avuto soluzione in una decina di giorni. Da quando uno ha detto: “E allora, come concludiamo?” E un altro : “Vado io!” Grande costo economico? Una notte in psichiatria costa, a conti fatti, millecento euro! Ma, per davvero, un immenso guadagno per quella famiglia, laggiù! (don Alberto Balducci - direttore Migrantes – Jesi)

Ucraina, in un mese +72% domande di asilo per Europa

21 Aprile 2021 -

Bruxelles - A febbraio 2021 gli Ucraini hanno presentato il 72% in più delle richieste di asilo nell'Ue+ (ossia i Paesi Ue più Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) rispetto al mese di gennaio, rendendoli una delle prime dieci nazionalità dei richiedenti. Sono i dati pubblicati in un'analisi dell’Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (Easo) che mira a studiare le tendenze delle richieste di asilo in Europa. I dati riportati nello studio indicano che a febbraio 2021 sono state presentate complessivamente circa 38.300 richieste di protezione internazionale nell'Ue+. Tra queste si è registrato un incremento significativo delle domande d'asilo depositate da parte di cittadini ucraini (il 72% in più, quasi mille) rispetto ai mesi precedenti, il dato più alto in quattro anni. Questo aumento improvviso non solo è in netto contrasto con le tendenze di altre nazionalità che presentano ancora molte meno domande di asilo nell'Ue+ rispetto ai livelli pre-Covid-19, ma pone anche l'Ucraina tra i primi dieci Paesi di origine per la prima volta dal 2016. Gli altri principali Paesi di origine a febbraio sono stati Siria, Afghanistan, Pakistan, Iraq e Nigeria. Il numero di domande da parte dei siriani si è stabilizzato sopra i 10.000, più di quello degli altri sei paesi di origine messi insieme. I siriani da soli rappresentano un quarto di tutte le domande di asilo presentate nell'Ue+. (Pis/Dire)

Campagna Ero straniero, “regolarizzazioni in stallo, si intervenga subito”

21 Aprile 2021 - Roma - Decine di associazioni, sindacati e realtà del Terzo settore hanno scritto una lettera a governo e parlamento “affinché si intervenga subito sui ritardi e vengano superate le sanatorie e riformato l’intero sistema”. “La regolarizzazione straordinaria del 2020 è in una situazione di stallo – affermano -, con pesanti conseguenze in termini di sicurezza sociale e sanitaria e di legalità per il nostro Paese”. Così si legge nella lettera aperta – qui la versione integrale – inviata ieri 20 aprile ai ministri dell’interno, della salute, del lavoro e delle politiche agricole, al presidente della Camera e al presidente della Commissione affari costituzionali della stessa Camera, per chiedere al governo “di intervenire e portare a termine quanto prima l’iter delle oltre 200.000 domande presentate; al parlamento, di riprendere l’esame della proposta di legge popolare di riforma della normativa sull’immigrazione, fermo da più di un anno”. La lettera, promossa dalla campagna Ero straniero, è stata sottoscritta dalle principali realtà impegnate sui temi dell’asilo e dell’immigrazione (tra le quali Tavolo salute e immigrazione, Tavolo asilo nazionale), da sindacati nazionali, dal mondo cooperativo  e da alcune associazioni di categoria e realtà operanti nei settori interessati dal provvedimento straordinario di emersione approvato quasi un anno fa (lavoro domestico e di cura, agricoltura). Il ritardo enorme “si sta traducendo nell’impossibilità, di fatto, per decine di migliaia di persone di accedere pienamente ai servizi, alle prestazioni sociali, alle tutele e ai diritti previsti per chi lavora nel nostro Paese”. Ad esempio l’impossibilità di accedere al sistema sanitario nazionale: senza il permesso di soggiorno non viene rilasciata la tessera sanitaria, quindi “è estremamente difficile rientrare nella campagna vaccinale anti-Covid”. “Tale situazione di stallo ha, dunque, inevitabilmente un impatto anche a livello di salute pubblica nel contesto di emergenza sanitaria che stiamo vivendo”, si sottolinea nella lettera. Senza permesso di soggiorno, inoltre, diventa complicato anche aprire un conto corrente, necessario per l’accredito dello stipendio, o avere l’Isee per usufruire delle agevolazioni economiche per le mense scolastiche. (P.C.)    

Migrantes Forlì-Bertinoro: mons. Corazza visita la Comunità Africana Anglofona

21 Aprile 2021 - Forlì - Domenica prossima, 25 aprile 2021, il Vescovo di Forlì-Bertinoro, mons. Livio Corazza, farà visita alla comunità africana di lingua inglese di Forlì. Alle ore 12,00, in Duomo, presiederà la S. Messa solenne, concelebrata con alcuni sacerdoti africani attualmente in servizio nel territorio della diocesi. La liturgia sarà preceduta dal battesimo di 5 bambini di famiglie africane residenti da tempo in Forlì, da "intendersi come gesto di viva accoglienza nella Comunità cristiana generato dalla Resurrezione del nostro Signore nella gioia della S. Pasqua", spiega il direttore Migrantes Walter Neri. Al termine della liturgia la Comunità si presenterà al Vescovo e la giornata di festa si concluderà con uno scambio di auguri e di convivialità. Trenta anni fa don Carlo Gatti accoglieva presso la sua parrocchia di San Giovanni Evangelista, in Via Angeloni a Forlì, i primi cattolici africani. Negli anni successivi - ricorda il direttore Migrantes - veniva a costituirsi una Comunità di famiglie provenienti dai paesi africani di lingua inglese (per lo più dalla Nigeria) che ha continuato ad incontrarsi e a celebrare la S. Messa domenicale presso la stessa parrocchia. Oggi la Comunità cattolica africana anglofona conta circa 80 persone residenti in Forlì, Meldola, Castrocaro e Dovadola ed ha per guida spirituale il sacerdote don Matthew Udoh, vice parroco di Coriano in Forlì. La Comunità è da sempre impegnata nel lavoro di accoglienza dei nuovi arrivati in Forlì, occupandosi in primo luogo del loro cammino spirituale nella fede cristiana e del loro inserimento nella Comunità diocesana nonché all’interno delle parrocchie di riferimento per residenza. In secondo luogo è impegnata ad aiutare le famiglie africane ad inserirsi ed integrarsi nella nostra città fornendo loro assistenza nella ricerca di un’abitazione, del lavoro e nella conoscenza dei percorsi di educazione e formazione scolastica dei più piccoli. Con questo spirito di servizio la Comunità Africana "ci vuole ricordare che ogni uomo ovunque sia nato, qualunque sia il colore della sua pelle, qualunque sia la sua posizione sociale, ad ogni uomo nostro Signore ha prima di tutto donato una dignità di uomini creati dal nostro Signore che tutti dobbiamo riconoscere e rispettare". (Raffaele Iaria)    

Un premio su informazione e migranti

21 Aprile 2021 - Roma - È stato istituito il Premio “Informazione e migranti” per trattare temi legati ad una realtà centrale nell’attuale panorama internazionale, come ad esempio il superamento dei pregiudizi sui migranti; il ruolo e il rispetto delle minoranze; l’importanza della convivenza e della integrazione; la rappresentazione mediatica della sofferenza e dell’emergenza; la deontologia nel racconto del fenomeno migratorio; e la percezione del fenomeno della migrazione e politiche di accoglienza. Al Premio possono partecipare i giornalisti nei settori della carta stampata, dell’emittenza radiofonica, televisiva e dei nuovi media, in testate sia nazionali che estere. I lavori partecipanti al Premio dovranno essere prodotti dal 1° marzo 2020 al 31 marzo 2021 e dovranno essere presentati entro il 30 giugno 2021. Questo appuntamento giornalistico è frutto della iniziativa del Comitato “Informazione, migranti e rifugiati”, coordinato dalla Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce, dall’Associazione Iscom, da Harambee Africa International, dallo Scalabrini International Migration Institute, dal Centro Astalli e dalla Fondazione Migrantes.  

Centro Astalli: l’accoglienza dei rifugiati: i tempi si allungano le risposte si fanno più complesse

20 Aprile 2021 - Roma - Accompagnare i migranti forzati in un contesto di per sé già non facile e aggravato dalla pandemia ha rappresentato una sfida che nel 2020 si è fatta più complessa. A partire dal permesso di soggiorno, molte delle persone che abbiamo incontrato ci hanno manifestato la difficoltà di ottenerlo o rinnovarlo (per mancanza di requisiti tra i quali spicca l’iscrizione anagrafica). L’abolizione della protezione umanitaria (che veniva riconosciuta a molti richiedenti con vulnerabilità sanitarie o sociali), si aggiunge a criticità e difficoltà pregresse. Più in generale - sottolinea oggi il Centro Astalli presentando il Rapporto 2021 - il moltiplicarsi di ostacoli burocratici, uniti alla situazione di emergenza ingenerata dalla pandemia con molti uffici chiusi al pubblico, il rallentamento dell’attività delle commissioni territoriali e delle procedure di ricorso, la digitalizzazione di molti servizi, hanno finito per escludere un numero crescente di migranti dall’accoglienza e dai servizi territoriali aumentandone incertezza e disorientamento. Quanto all’accoglienza le realtà della Rete territoriale nel 2020 hanno dato ospitalità complessivamente a 882 persone (soprattutto in convenzione Siproimi/SAI), secondo un modello di intervento che mette al centro la promozione della persona e che costruisce integrazione da subito. Il nuovo decreto immigrazione convertito in legge a dicembre 2020 pur allontanando la logica di un sistema di accoglienza pubblico che rimanda le opportunità di inclusione a una “seconda fase” accessibile a pochi rimane ancora largamente insoddisfacente per numeri di posti messi a disposizione sul territorio nazionale e di Comuni che aderiscono alla rete di accoglienza del Ministero dell’Interno. Le conseguenze dei decreti sicurezza sono ancora ben visibili. Il 36% delle persone che si sono rivolte all’ambulatorio del Centro Astalli Palermo non risultava iscritta al Servizio Sanitario Nazionale: nella maggior parte dei casi si tratta di migranti che vivono in Italia da tempo, ma che per difficoltà relative alla residenza o al titolo di soggiorno non sono riusciti ad accedere o hanno perso l’accesso all’assistenza sanitaria pubblica. In tale contesto diventa più difficile motivare le persone a investire tempo in percorsi di integrazione: molte hanno fretta di trovare un’occupazione qualsiasi (anche in nero o sottopagata), per non rischiare di perdere il permesso di soggiorno. Questa situazione andrà rapidamente a scapito della qualità del loro futuro in Italia e priverà la società italiana del contributo che persone giovani e motivate potrebbero dare alla società.  

Centro Astalli: l’emergenza sanitaria si abbatte sulle vite precarie dei rifugiati

20 Aprile 2021 - Roma - Il 2020, l'anno segnato dallo scoppio della pandemia da Covid-19, dal lockdown e dalle misure restrittive per arginare la diffusione dei contagi, ha registrato un aumento degli arrivi via mare di migranti in Italia (34mila), dopo due anni di diminuzione (23mila nel 2018 e 11mila nel 2019). Per molti migranti forzati la pandemia “non è quindi il peggiore dei mali da affrontare. Violenze, dittature, profonde ingiustizie sociali ed economiche costringono quasi 80 milioni di persone nel mondo a mettersi in cammino verso un paese sicuro”. E’ quanto sottolinea il Centro Astalli nel Rapporto Annuale presentato questa mattina.  Allo stesso tempo – scrive il centro per i rifugiati dei Gesuiti - però sono diminuite le richieste d'asilo in Italia: 28mila (contro le 43.783 del 2019). “Nonostante numeri decisamente bassi di arrivi rispetto al recente passato, il sistema di protezione fatica a rispondere efficacemente ai bisogni delle persone approdate nel 2020 o già presenti sul territorio”, evidenzia il Rapporto: in un anno di accompagnamento dei migranti forzati, complice la pandemia, il Centro Astalli ha registrato “un aumento degli ostacoli frapposti all’ottenimento di una protezione effettiva, un intensificarsi del disagio sociale e della marginalizzazione dei rifugiati”. Molte situazioni, già in equilibrio instabile, si sono trasformate in condizioni di grave povertà. Persone rese fragili da viaggi spesso drammatici che durano mesi o anni, si scontrano con normative e prassi dei singoli uffici non di rado discriminatorie, rendendo spesso le questioni burocratica un potenziale vicolo cieco. Non pochi davanti all’ennesima difficoltà rinunciano a far valere i loro diritti, convinti di non avere alcuna possibilità di vederli riconosciuti. La richiesta di servizi di bassa soglia (mensa, docce, pacchi alimentari, medicine) è forte su tutti i territori: si calcolano 3.500 utenti alla mensa  del Centro Astalli di Roma (tra cui 2.198 richiedenti o titolari di protezione) di questi più del 30% è senza dimora, in stato di grave bisogno e tra loro, per la prima volta dopo molti anni, hanno chiesto aiuto anche italiani. Più di 2.600 utenti si sono rivolti al centro diurno a Palermo. A Trento si è avuta la necessità di trasformare un dormitorio notturno per l’emergenza freddo in un servizio di accoglienza di bassa soglia con uno sportello di assistenza dedicato ai richiedenti asilo senza dimora. A Bologna è stato dato in gestione al Centro Astalli uno spazio in cui realizzare un dormitorio per richiedenti e rifugiati.  

Centro Astalli: oggi la presentazione del Rapporto 2021

20 Aprile 2021 - Roma - Il Centro Astalli presenterà oggi il Rapporto annuale 2021, un anno di attività e servizi in favore di richiedenti asilo e rifugiati. Presenta i dati del rapporto P. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, con David Sassoli, presidente Parlamento Europeo, il card. Luis Antonio Tagle, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Seguiranno testimonianze di p. Stanko Perica, direttore JRS Europa Sud Est, e di Umba Mpemba, rifugiata congolese in Italia. Il Rapporto annuale del Centro Astalli, il secondo che esce nella pandemia, descrive un anno, il 2020, al fianco di oltre 17mila rifugiati e richiedenti asilo, con dati su servizi offerti, nazionalità e status. Ne emerge un quadro in cui l’onda lunga dei decreti sicurezza e le politiche migratorie, di chiusura – se non addirittura discriminatorie – che hanno caratterizzato la normativa su immigrazione e asilo fino a fine 2020, acuiscono precarietà di vita, esclusione e irregolarità. Il Rapporto si presenta come uno strumento per capire quali sono le principali nazionalità dei rifugiati che giungono in Italia per chiedere asilo; quali le principali difficoltà che incontrano nel percorso per il riconoscimento della protezione e per l’accesso all’accoglienza o a percorsi di integrazione. Ne emerge una fotografia in cui la pandemia ha messo in evidenza le lacune del sistema sanitario e del welfare territoriale, su cui per troppi anni non si è investito e si è continuato a tagliare risorse, indebolendo tutele e misure di sostegno alla popolazione più fragile di cui i rifugiati fanno parte. Il Rapporto annuale 2021 descrive il Centro Astalli come una realtà che, grazie agli oltre 400 volontari che operano nelle sue 8 sedi territoriali (Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Palermo, Trento, Vicenza, Padova), si adegua e si adatta ai mutamenti sociali e legislativi di un Paese che fa fatica a dare la dovuta assistenza a chi, in fuga da guerre e persecuzioni, cerca di giungere in Italia. Ad arricchire la pubblicazione un inserto fotografico dedicato ai 40 anni del Jesuit Refugee Service. Un racconto di come si sia continuato ad accompagnare i rifugiati in 56 paesi nel mondo durante la pandemia: nelle aree urbane, nei campi profughi, in zone di guerra, investendo sull’educazione e sulla formazione dei giovani e delle donne rifugiate. Ad introdurre le foto i testi inviati al Centro Astalli nel corso del 2020 da Papa Francesco, Filippo Grandi e S.Em. Cardinal Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria. In appendice al rapporto il colloquio sulle migrazioni “In ognuno la traccia di ognuno” tra il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il Prefetto della Comunicazione della Santa Sede Paolo Ruffini, il card. Matteo Zuppi e la filosofa Donatella di Cesare.  

Viminale: da inizio anno sbarcate 8.559 persone sulle coste italiane

19 Aprile 2021 - Roma - Sono 8.559 le persone migranti sbarcate sulle coste da inizio anno. Di questi 1.240 sono di nazionalità tunisina (14%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Costa d’Avorio (1.207, 14%), Bangladesh (931, 11%), Guinea (814, 10%), Sudan (559, 7%), Egitto (452, 5%), Mali (447, 5%), Eritrea (436, 5%), Marocco (336, 4%), Algeria (320, 4%) a cui si aggiungono 1.817 persone (21%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Il dato è stato diffuso dal Ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina.

Migrantes Palermo: un webinar sui rifugiati

19 Aprile 2021 - Palermo - La Fondazione Migrantes per il quarto anno consecutivo ha dedicato un rapporto al mondo dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Il diritto d’asilo, nell’Unione Europea e nel nostro Paese, negli ultimi anni è sembrato “sotto attacco” a causa di circolari, norme e leggi che hanno mirato a renderne l’accesso e l’esigibilità sempre più difficile. Con la pandemia di Covid-19 le frontiere si sono chiuse ancora di più e per quanti cercano un “rifugio” ci sono stati maggiori ostacoli. A giugno del 2020 quando sono stati resi pubblici i dati dell’UNHCR su sfollati e rifugiati nel mondo, si ha avuta la conferma di quello che molti temevano: il numero dei migranti non era mai stato così alto dopo la Seconda guerra mondiale: quasi 80 milioni di persone, in fuga dalle loro case, di cui quasi 46 milioni sfollati interni. Papa Francesco, per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (GMMR), usa già nel titolo del suo Messaggio un’immagine estremante pregante: “Come Gesù Cristo costretti a fuggire”. Il Diritto d’asilo-Report 2020 prova a dare strumenti di riflessione non solo statistici ma anche etici, non rinunciando a far vedere anche le diverse storie che, nonostante il contesto attuale, crescono e fioriscono nel nostro Paese quando le persone e le istituzioni si attivano e si incontrano al di là delle norme e delle etichette. Cerca anche di offrire una mappatura di come e in quali forme i richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti siano diventati volontari e il vicino solidale di qualcun altro prima e durante la pandemia. L’auspicio, come negli anni precedenti, è che questo volume possa aiutare a costruire un sapere rispetto a chi è in fuga, a chi arriva a chiedere protezione nel nostro continente e nel nostro Paese, una conoscenza che ci aiuti a restare o ritornare “umani” capaci di affiancarci a chi è in difficoltà per non dover più dire come invece ci troviamo costretti a mettere nel titolo anche quest’anno: Costretti a fuggire… ancora respinti. La presentazione del rapporto 2020, organizzata dall’Ufficio Migrantes, dalla Caritas Diocesana e dall’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni sociali si svolgerà mercoledì 21 aprile dalle ore 18:00 alle ore 19:30 in modalità online. Parteciperanno Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo; Francesco Lo Piccolo, direttore del CIR-Migrare; Mariacristina Molfetta, redattrice del Report 2020; Giusto Picone, coordinatore scientifico CIR-Migrare; Aldo Schiavello, Università di Palermo: i corridoi universitari, UNICORE; Anna Cullotta, Caritas diocesana; Eliana Romano, ex dirigente, accoglienza dei rifugiati nella scuola; Mario Affronti direttore Migrantes di Palermo e della Sicilia che introduce i lavori moderati da Luigi Perollo, Direttore dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali di Palermo    

Don Luigi e l’avamposto di umanità per i migranti della rotta alpina

19 Aprile 2021 - Milano - In alta montagna, a metà aprile l’inverno non ha ancora allentato la sua morsa. Specialmente di notte, la temperatura resta vicina allo zero e spesso scende anche sotto. Quest’anno, poi, il freddo ha voluto dare un’ultima sferzata, prima di andarsene, con nevicate abbondanti e brusche gelate. È in queste condizioni che intere famiglie migranti cercano di attraversare il confine tra Italia e Francia. Si inerpicano sui valichi a duemila metri. Rischiano l’assideramento, di perdersi nei boschi o di venire intercettate dalla polizia e rispedite indietro. Però non desistono. Provano e riprovano. Tre, quattro, dieci volte. Oltre la frontiera (ammesso di arrivarci) li aspettano altre frontiere, altre settimane o mesi di cammini pericolosi, su strade inaccessibili. Altri mille espedienti per nascondersi. Tutto pur di raggiungere la loro terra promessa: la Germania o qualche altro Paese del Nord Europa. A Oulx, provincia di Torino, in alta Val di Susa, a una quindicina di chilometri dal confine francese, si trova il rifugio “Fraternità Massi”, attualmente l’unico punto di accoglienza per chi vuole tentare la traversata. O per chi, magari, l’ha già tentata senza successo. Inaugurato nel 2018, dopo le tragedie di alcuni migranti trovati morti lungo i sentieri alpini, oggi è aperto 24 ore su 24. «A chi passa, offriamo un letto, un pasto caldo, dei vestiti» ci racconta il referente, don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno, che si occupa della struttura insieme con una trentina di volontari. «In questo momento, i nostri ospiti sono in prevalenza famiglie afghane, iraniane e pakistane provenienti dalla rotta balcanica» spiega il sacerdote. «Famiglie numerose, con almeno tre figli ciascuna. Tanti i bambini, alcuni piccolissimi. A loro si aggiungono giovani nord e centroafricani che, sbarcati a Lampedusa, hanno attraversato l’Italia e ora cercano di passare il confine». Ogni notte, almeno una trentina di persone chiedono accoglienza al rifugio. E sono sempre di più, specialmente da quando, a marzo, la vicina casa cantoniera (che era stata occupata da anarchici italiani e francesi e che dava ospitalità ad alcuni migranti) è stata sgomberata, tra le polemiche. Il flusso è continuo. Giorno e notte, senza sosta. «Quando arrivano da noi», spiega don Chiampo, «spesso i migranti sono stremati e disorientati. Alcuni pensano di essere a Ventimiglia, un luogo di cui hanno sentito parlare perché per molto tempo è stato la sola porta d’accesso alla Francia. Pochi parlano inglese o altre lingue conosciute da noi, per questo non è sempre facile interagire. Fortunatamente possiamo contare su mediatori culturali, che ci aiutano, anche al telefono, nelle traduzioni». In una stanza del rifugio è stato allestito un ambulatorio medico, risorsa quanto mai preziosa, gestito dai volontari dell’associazione “Raimbow For Africa”, mentre la Croce Rossa sorveglia strade e sentieri alla ricerca di chi è in difficoltà. La “fraternità Massi” si sostiene con il contributo di diverse realtà, tra cui la Fondazione Magnetto e la diocesi di Susa. Per passare il confine i migranti cercano ogni strada. Qualcuno ci prova in bus, ma il più delle volte viene facilmente bloccato e rimandato indietro. Altri tentano con le piste da sci. I più temerari (di solito gli afghani, che conoscono di più la montagna) si avventurano lungo i sentieri d’alta quota, tra pericoli e insidie di ogni tipo. «Molte volte arrivano qui con indumenti totalmente inadeguati» racconta il sacerdote. «Recentemente abbiamo accolto una ragazza incinta, che aveva i piedi semicongelati. Ecco perché, nei limiti del possibile, cerchiamo di offrire anche scarpe e vestiti adatti alla vita d’alta quota. Le famiglie sono le più determinate. Spesso hanno venduto tutto ciò che avevano, per questo viaggio. Tentano e ritentano, pur tra mille difficoltà. Il loro obiettivo non è la Francia. Quasi tutti sperano di arrivare in Germania, dove le comunità afgane e iraniane sono molto presenti». Il flusso non si è fermato nemmeno nei mesi più duri della pandemia, ma solo di recente il viaggio degli invisibili è tornato sotto i riflettori, per un fatto di cronaca. Una bimba di otto anni, afghana, che stava cercando di passare il confine insieme alla sua famiglia, è stata bloccata dalla gendarmeria francese. Altolà, urla, armi spianate, in piena notte. La bimba (che già si portava addosso i traumi atroci di una guerra) è rimasta così terrorizzata che per lei è stato necessario un ricovero all’ospedale Regina Margherita di Torino. Un caso eclatante, ma di sicuro non l’unico. Alle controversie internazionali, agli scaricabarili, alle infinite diatribe politiche, don Chiampo e i suoi volontari rispondono con la concretezza di un gesto d’accoglienza. Un piatto caldo, una coperta sulle spalle, magari una carezza sulla guancia. «Crediamo nella legalità, che è fonte di ordine», dice il sacerdote, «ma quando la legalità diventa legalismo, si genera esclusione. Non può esserci legalità senza umanità. E per affrontare il problema in modo strutturale, non sempre e solo come emergenza, una strada percorribile, forse la sola, sarebbe quella dei corridoi umanitari». (Lorenzo Montanaro - Famiglia Cristiana)