Marche: sorprendente finale per un migrante

22 Aprile 2021 – Jesi – Lamin: un ragazzone africano alto, massiccio, un metro e novanta, sguardo smarrito di bambino senza punti di riferimento. Fuorché due decreti di espulsione e un’impietosa diagnosi ospedaliera di fragilità psichiatrica. La riduzione dei centri di accoglienza, SPRAR in linguaggio burocratico, ha accentuato le difficoltà già latenti, lo ha messo nel numero degli invisibili. Gli ha fatto percorrere centinaia di chilometri su e giù per la Penisola, molte notti all’addiaccio e nei casi più fortunati ospitalità notturna presso qualche Centro d’accoglienza.

Da circa cinque anni in Italia ma a Jesi da quasi due, preso in cura, con alterni risultati, da Caritas a enti di sostegno di varia natura, tra cui Servizi Sociali del Comune, Dipartimento Salute Mentale, Asp e Asl, polizia e carabinieri. Questi ultimi, intervenuti quando Lamin, in un momento critico della sua fragilità, aggredisce una signora, che passava con il suo cane. Prima si scatena con il cane. Nella sua mente confusa, il ricordo di come in Gambia e in altri Paesi africani i cani siano cacciati via come potenziale fonte di rabbia. Là le priorità sono ben altre! La sua distorsione della realtà lo fa aggredire anche la signora che voleva difendere il cane. Messo in stato di fermo, portato al pronto soccorso, sedato e trattenuto in psichiatria è rimasta sospesa la patata bollente della domanda più immediata: e ora, di lui, che ne facciamo? Chi se ne prende cura in prima persona?

Infatti, questo straordinario Paese che è l’Italia ha una macchina burocratica che tende a complicare la vita. Dalla Prefettura alla Questura, passando per DPS, ASP, Comune, Polizia e Carabinieri, per finire con la Caritas, qualche decina di persone sono di competenza per un Lamin che rischia di essere come il cane dai sette padroni.  Quello che rischia più degli altri di morire di fame!

Qui entrano in gioco due persone a cui questo ping-pong (molto praticato in Italia) non piace affatto. Marco, prima di dirigere la Caritas di Jesi è stato un carabiniere che ne ha viste troppe! Non ama il “si è fatto sempre così” e pensa che se c’è un problema ci deve essere pure la soluzione. Manda una lettera ufficiale ai sette enti di pertinenza. Il tono è cortese ma chiaro e fermo. Almeno per sapere come farlo ritornare a casa sua, in Gambia, anche a costo di pagare…

Gabriele, d’altra parte, operatore Caritas, è spirito libero in continua ricerca. Gli piacciono molto i cani, ma il suo slogan è “prima gli esseri umani”! È stato stabilito che Lamin può tornare in Gambia, anzi, deve… Ma è necessario che qualcuno lo accompagni, date le sue condizioni. “Vado io – la pronta risposta – è da un pezzo che lo conosco!” Così da Ancona a Venezia in treno, fino ad Istanbul in aereo, non sarà passata inosservata la coppia: il gigante portato per mano da uno che a confronto sembra un bambino. Che ogni tanto lo stringe a sé e quasi lo abbraccia, gli parla all’orecchio, invitandolo a guardarlo negli occhi:  “Sono molto stanco anch’io, resisti, non ti lascio!”

Ad Istanbul saranno drastici. L’africano non è in condizione di viaggiare da solo: o si imbarca pure Gabriele, l’accompagnatore, o nessuno. Era previsto che ad Istanbul si sarebbero salutati. Con i  mezzi di oggi per fortuna un biglietto ci vuole poco a farlo: Istanbul-Banjul, capitale del Gambia, aeroporto. All’arrivo, il personale  si ferma e commenta: “Grazie per averci riportato un fratello! Se anche da noi vivesse di meno, almeno qui ha la sua famiglia!” Senza contare poi i ringraziamenti del padre e del cugino, venuti a prenderlo! Fa niente se a Roma Gabriele torna il giorno dopo, con trentasei ore di viaggio, sedicimila chilometri, se chi fa un’esperienza del genere torna diverso, cambiato, stanchissimo. E migliore.

Cinque anni di odissea di Lamin hanno avuto soluzione in una decina di giorni. Da quando uno ha detto: “E allora, come concludiamo?” E un altro : “Vado io!” Grande costo economico? Una notte in psichiatria costa, a conti fatti, millecento euro! Ma, per davvero, un immenso guadagno per quella famiglia, laggiù! (don Alberto Balducci – direttore Migrantes – Jesi)

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