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Cina-Roma: il filo diretto della solidarietà

25 Maggio 2020 - Roma - «Abbiamo sentito forte il vostro sostegno con la testimonianza evangelica di vicinanza. Anche in questo tempo di grande difficoltà per il mondo abbiamo sperimentato il desiderio di vicinanza. Ci auguriamo che tutto questo possa continuare, che finita l’emergenza sanitaria la Chiesa e l’umanità possano risplendere per la carità concreta e il desiderio di fraternità e di attenzione verso gli altri testimoniati durante la pandemia». Con queste parole il vescovo Paolo Ricciardi, delegato per la pastorale sanitaria nella diocesi di Roma, ha ringraziato attraverso un video la diocesi di Fuzhou (Fujian, Cina) per il dono dei dispositivi di sicurezza inviati all’Italia. Molti sacerdoti cinesi che negli anni scorsi sono stati nel nostro Paese anche per motivi di studio sono rimasti in contatto con le comunità che li hanno ospitati e in questo momento di emergenza sanitaria hanno fatto sentire la loro tangibile vicinanza inviando mascherine, guanti, camici e tute protettive che sono stati donati, attraverso l’Ufficio diocesano per la pastorale sanitaria, alle aziende ospedaliere e alle congregazioni religiose, due realtà che hanno pagato un prezzo altissimo in numero di vittime. Oltre alla vicinanza spirituale, alle preghiere di intercessione e alle novene, i presbiteri cinesi hanno avviato anche raccolte fondi nelle diocesi di appartenenza per acquistare dispositivi di sicurezza per sopperire ai bisogni venutisi a creare con la pandemia. Tra i primi ad attivarsi per far recapitare mascherine anche negli istituti religiosi italiani c’è stato don Pietro Cui Xingang della diocesi di Baoding, già coordinatore italiano della pastorale per gli immigrati cinesi di religione cattolica per conto della Fondazione Migrantes. Don Gregorio Chen Wu e don Pietro Shao hanno lasciato l’Italia da circa sei anni ma non hanno mai interrotto il filo di amicizia con la comunità della parrocchia San Cleto, nel quartiere San Basilio, che li ha ospitati durante il loro soggiorno di studio nella Capitale. «Anche se in modo saltuario hanno sempre mantenuto i contatti con noi – racconta il parroco, padre Giovanni Ferraresso -. Per dimostrare la loro gratitudine e fraternità, oltre a inviarci messaggi di conforto, hanno fatto recapitare cinquecento mascherine che abbiamo subito distribuito a chi ne aveva bisogno». In piena emergenza sanitaria anche la comunità cinese cattolica di Roma si è attivata per far sentire la propria vicinanza. Attraverso il cappellano padre Michael Lye Heng Goh i fedeli, circa 150, hanno donato tremila mascherine, molte delle quali sono state destinate al Centro di riabilitazione Casa Santa Maria della Provvidenza-Opera femminile don Guanella. «Con questo piccolo pensiero abbiamo voluto dare segno della nostra solidarietà ai fratelli italiani – spiega il cappellano -. Si è parlato tanto della carenza dei dispositivi di sicurezza e ci siamo adoperati per aiutare». Conosciuto da tutti come padre Michele Wu, con la pronuncia mandarina, il sacerdote è rettore della chiesa San Bernardino in Panisperna. In queste settimane ha mantenuto i contatti con la sua comunità attraverso messaggi e telefonate offrendosi anche di tradurre in cinese i moduli da compilare per accedere ai contributi governativi. Pone anche l’accento sull’«ottimo» rapporto che si è instaurato con i residenti di piazza Vittorio e del rione Monti. «Spesso gli italiani ci chiedono di partecipare alle nostre celebrazioni – conclude -, soprattutto quelle del Capodanno cinese». (Roberta Pumpo – RomaSette)

Nada Te turbe: un video del coro della Mci di Barcellona per “essere insieme”

25 Maggio 2020 - Barcellona - Tanti sono i pensieri che Ezio Bosso, anima bella, ha condiviso, frasi semplici ma che dicono molto. Una in particolare sembra adatta per iniziare la storia che vogliamo raccontare. La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme. Insieme! Quanto significato ha assunto questa parola durante le lunghe settimane di isolamento. Quanta nostalgia ha suscitato pensare a quello “stare insieme” partecipando alle tante attività che la comunità della Missione Cattolica Italiana di Barcellona offre. E la voglia di riuscire a vivere qualcosa insieme, nonostante la distanza forzata, è quello che ha animato anche il coro della comunità. Così è nato il video “Nada Te turbe”. L’invito a cantare insieme è stato lanciato da Cinzia Monari, soprano professionista, che con generosità mette il suo talento a disposizione della comunità italiana. Ed è stato raccolto da molti. Tante singole voci, con le loro uniche tonalità e difetti sono diventate un coro. Eccoci di nuovo insieme, a vivere la musica ed il canto e a condividere una preghiera. Pochi versi di un poema di santa Teresa D’Avila che rassicurano, che fanno sentire protetti come un bimbo svezzato nelle braccia della mamma. Un mantra che don Luigi Usubelli, il cappellano della comunità, ci ha fatto conoscere proponendo di riunirci per pregare secondo lo stile di Taizé. Pregare attraverso il canto è da sempre il comune denominatore del coro della comunità. Nato in sordina con una chitarra e un repertorio con pochi canti è cresciuto con il contributo di tutti. Il maestro Andrea Catino, altro generoso professionista, adesso accompagna con il suo talento di pianista, un gruppo vario di amateur che canta canzoni di Marco Frisina o del movimento del Rinnovamento dello spirito con una certa bravura. Tutti i partecipanti condividono lo stesso entusiasmo per offrire un servizio che renda più belle e partecipate le celebrazioni comunitarie. Il coro ha molte delle caratteristiche di tutta la comunità. La mobilità per esempio. I suoi membri vivono in diverse zone di Barcellona e quindi le prove si organizzano in sedi diverse. La adattabilità: se non ci si riesce a incontrare per provare, si condividono le basi e i testi via WhatsApp e si studia a casa. L' accoglienza: nuovi cantori sono sempre benvenuti perché le voci sono tutte belle. Un certo coraggio: si canta anche solo in tre e a cappella ma la Messa è animata! E come il resto della comunità nemmeno il coro è stato fermato dal coronavirus. Già si sta montando un nuovo video e presto si tornerà a celebrare la Messa e a ritrovarsi Già ci si emoziona a pensare a quando torneremo in chiesa e torneremo ad intonare l’Alleluia, il Santo ed una delle tante canzoni che conosciamo. Anche se saremo sparsi per tutta la chiesa ci sentiremo uniti, riconoscenti e felici di poter di nuovo, insieme, “vivere” la musica e cantare al Signore…cantare inni e canti nuovi perché ha compiuto meraviglie.

Cristina Quaranta

Migrantes Carpi: Messa per le famiglie del Luna Park con mons. Castellucci

22 Maggio 2020 -
Carpi - Sabato 23 maggio, alle ore 11, in Cattedrale a Carpi, mons.  Erio Castellucci, Amministratore apostolico, celebrerà la Santa Messa per le famiglie e gli operatori dello spettacolo viaggiante.
Sarà un momento di festa, frutto di un percorso che da anni vede impegnati insieme le famiglie delle giostre, la Diocesi e diversi operatori pastorali della Migrantes Diocesana Carpi. Quest’anno, in cui a causa del coronavirus il Luna Park - si legge in una nota - non può essere aperto in occasione della Festa del Patrono, a maggior ragione è "importante farsi prossimi e compagni di viaggio delle famiglie del Luna Park, tra le più provate dalle conseguenze economiche della pandemia", spiega una nota. Per questo motivo, in attesa di tornare, il prossimo anno, nuovamente sotto la volta dell’Autoscontro, sarà la  Cattedrale – dove sono appena riprese le Messe alla presenza del popolo dopo il lockdown – ad accogliere la celebrazione eucaristica.

Ungheresi in Italia: la vita della comunità in tempo di pandemia

22 Maggio 2020 - Roma - La pandemia all’inizio di marzo ha impedito i viaggi per andare a trovare le comunità ungheresi in Italia. Ho pensato: come faccio senza lavoro?”. Ma piano piano ho ritrovato nuovi metodi per continuare il mio servizio con e per loro. Ho cominciato a trasmettere la celebrazione della Santa Messa tramite nel facebook e poi utilizzando la diffusione delle celebrazioni su un canale youtube. Ho dovuto imparare molte cose tecniche…Durante la Settimana Santa ho tenuto una catechesi per la preparazione al Triduo pasquale e alla Pasqua. Avendo ricontri positivi anche dopo Pasqua ogni settimana invitavo a leggere  insieme le Sacre Scritture. É una cosa nuova che fino adesso non c’era. All’inizio di Maggio come comunità celebravamo l’anniversario della morte del Venerabile card. József Mindszenty. Quest’anno non abbiamo potuto commemorare la sua morte nella Sua Chiesa titolare di Santo Stefano Rotondo. Ho utilizzato i canali social per permettere a tutti di poter partecipare. Dal 2012 una volta l’anno ho convocato i responsabile laici delle comunità per un incontro annuale a settembre. Adesso in videoconferenza ci troviamo ogni settimana. Ora stiamo preparando le prime celebrazioni, contattando i parroci che ci ospitano, ed invitando i fedeli a partecipare  (Németh László - Coordinatore nazionale degli ungheresi in Italia)  

Sviluppo Umano Integrale al tempo del Coronavirus: un dossier di Caritas Italiana

22 Maggio 2020 - Roma - Cinque anni fa, il 24 maggio del 2015, papa Francesco firmava la Laudato si’. Questa lettera enciclica, nella tradizione della Dottrina Sociale della Chiesa, fissa un nuovo paradigma per lo sviluppo umano integrale, dove sono riconosciuti i diritti di ogni persona umana nel pianeta che è la nostra casa comune. La ricorrenza, che stiamo ricordando all'interno di una settimana di riflessione, cade quest'anno in piena emergenza da pandemia per la diffusione del COVID-19, fonte di terribili sofferenze, che hanno avuto una ripercussione in misura maggiore soprattutto sulle persone più fragili e vulnerabili. Questa enciclica si è dimostrata capace di grande vitalità, e ci suggerisce degli spunti fondamentali per leggere i ‘segni dei tempi’ e per aiutarci a trovare una dimensione di impegno diretto per il cambiamento. A questi due temi Caritas Italiana dedica il suo 55° Dossier con Dati e Testimonianze (DDT), dal titolo "Sviluppo umano integrale al tempo del Coronavirus. Ipotesi di futuro a partire dalla Laudato si’". La riflessione parte dall'esperienza vissuta da tutti noi e da una grande parte dell'umanità - alcune storie raccolte nel dossier ci parlano di quanto sta avvenendo in paesi come lo Sri Lanka, Filippine e Nepal; ma le sue implicazioni sono globali. Si tratta di una situazione imprevista, ma non imprevedibile. Da molti anni ormai gli scienziati avevano messo in guardia sulla possibilità di passaggio di agenti infettivi da varie specie animali all’uomo. È una situazione che può ripresentarsi anche in futuro, e la cui probabilità aumenta in ragione della pressione esercitata dal genere umano sull’ambiente. Nella risposta all’emergenza della pandemia, così come in tutta la lunga fase del lockdown e del riavvio delle attività, è critico il ruolo del settore pubblico. È importante riflettere sull’equilibrio tra il controllo della pandemia (spesso attraverso un irrigidimento delle tecniche di controllo), e necessari contrappesi, sia sul piano della trasparenza informativa che sul piano delle iniziative della società civile, che hanno svolto un ruolo di sussidiarietà nella fase più acuta dell’emergenza; ma che devono poter esprimere una lettura della situazione anche in termini più ampi. Molti aspetti della nostra vita sono stati toccati: è dal riconoscere cosa sta cambiando nella nostra vita con riferimento alle modalità di lavoro, all’uso della tecnologia, ai modelli di sviluppo economico, alla politica, la società, allo spazio globale. Scritta ben prima della pandemia, la Laudato si’ dice parole profetiche sul rischio delle crescenti diseguaglianze e conflittualità, sulla necessità di stabilire una nuova alleanza tra umanità e natura, sull’urgenza di riformare profondamente i principi alla base di una economia e una società che sembrano avere l’esclusione e lo scarto come conseguenza necessaria. “Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, – ha sottolineato papa Francesco nel momento straordinario di preghiera del 27 marzo sul sagrato di San Pietro -  non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”. Il Dossier ha dunque - spiega la Caritas Italiana in una nota - l’obiettivo di segnalare alcune piste di riflessione su come la visione delineata dalla Dottrina Sociale, in particolare a partire dalla Laudato si’, ci può aiutare a riprendere il cammino invertendo la rotta e dando un contributo attivo e responsabile per costruire un futuro più giusto e rispettoso della dignità di tutti nel tempo del “dopo Covid-19”.

Aprirsi all’altro: una lezione continua…  

22 Maggio 2020 - Ancona - “A cosa serve il Vangelo, se perde il suo sapore?”. Ho imparato dalla vita, grande maestra in questo, che oltre l’emergenza c’è la quotidianità. Ed è lì che ci giochiamo la nostra credibilità. Se il COVID19 non ci ha fatto entrare nella stessa barca, se non abbiamo capito che solo insieme ci salveremo o periremo, allora forse non abbiamo ancora toccato il fondo… Nel tempo della lockdown ho potuto continuare ad insegnare italiano col metodo Penny Wirton a Katarina, giovane russa, laureata in lingue, emigrata da gennaio in provincia di Ancona. Le nostre lezioni quotidiane online ci hanno permesso di entrare nelle rispettive e differenti culture, di far crescere la nostra relazione. Quando potrà riaprire la scuola, anche lei verrà ad insegnare ai migranti. Promessa ammirevole di reciprocità. Da Domenica delle Palme, invece, ho potuto animare l’intima eucarestia domenicale: il parroco e altre tre persone, in tutto. Così, ho ritrovato Ubaldo, una persona senza fissa dimora, che conosco da almeno vent’ anni. Sempre su e giù per le strutture di accoglienza con lo zaino in spalla. L’ho trovato fisicamente migliorato, ma quando gli ho chiesto se stava pensando di fermarsi, di vivere in una casa, avere degli amici: “Io sono un uccello libero, - mi ha risposto deciso - quando tutto tornerà come prima, riprenderò il mio viaggio.” Riflettevo, così, tra me e me. Non ci è permesso sapere quale è il bene degli altri. Possiamo solo camminare insieme, per alcuni tratti di strada, senza voler capire o cambiare ad ogni costo le situazioni. Come sempre, il mistero ci accompagna… Una cosa, però, mi sembra certa: “Quello che è buono per me, lo è anche per ogni uomo della terra.” Su questo bisogna continuare a lavorare anche a livello culturale, per trasformare le mentalità. Mi colpiva recentemente l’affermazione dello psichiatra Andreoli : “Abbiamo delirato sull’Io. Dobbiamo ora delirare sul noi”.  Questo processo culturale si rivela urgente anche dentro la Chiesa. Penso a due famiglie di migranti che ho seguito per vari anni, partite di recente in Germania: una della Georgia, Asoev, l’altra del Camerun, Leumere Leumegni. Fin dall’inizio della pandemia ci chiamavano continuamente per informarsi della nostra salute e invitarci a restare in casa. Poi anche loro hanno dovuto fare i conti con questo, e ringrazio il cielo che oggi vivono in Germania. In queste relazioni, in questi collegamenti whatsapp si dimostra uno strumento formidabile. In tempo reale si hanno informazioni fresche da ogni parte del mondo e spesso i racconti degli amici sono diversi da quelli delle TV ufficiali. Questa interconnessione ci dimostra ogni giorno la bellezza e la ricchezza dei legami che abbiamo costruito. Sì, nel mondo dell’emigrazione. Di questo ho spesso ringraziato il Signore, in questo tempo di coronavirus.  

Annapia Saccomandi

Migrantes Ancona

Vescovi Calabria: regolarizzazione “segna un passo avanti”

22 Maggio 2020 - Catanzaro - La crisi dovuta alla pandemia, colpendo l’economia reale del Paese, ha fatto “riesplodere nodi cruciali e problematiche che si trascinano da anni”. Lo scrivono oggi, in una nota i vescovi calabresi evidenziando tra le problematiche quella della situazione dei braccianti agricoli, tra cui molti migranti, “sfruttati, calpestati nella loro dignità, vittime soprattutto del fenomeno del caporalato”. I vescovi calabresi intendono ancora una volta “alzare” la voce ed esprimere la “ferma condanna di tutte le situazioni di sfruttamento nella filiera agroalimentare e soprattutto del fenomeno del caporalato. Un male antico e sempre presente, magari sotto forme diverse nel tempo e – si legge nella nota -  spesso ignorato pur di non prendere la giusta posizione, la corretta scelta tra il bene e il male. Oltretutto il caporalato è nelle mani delle organizzazioni criminali, le quali utilizzano metodi mafiosi per il controllo del territorio. La nostra condanna del fenomeno è forte e netta”. In diverse circostanze i presuli hanno definito la mafia “l’antivangelo”, perché “nega la libertà e la verità che ci sono state consegnate dal mistero pasquale della risurrezione di Cristo Gesù. Un’autentica opera di conversione e di liberazione dei territori dalle mafie passa, quindi, pure dal superamento della piaga del caporalato, che rappresenta senza dubbio una delle vie di adorazione del male”, di cui ha parlato papa Francesco durante la sua visita a a Cassano all’Jonio nel 2014. Aver dato spazio ai migranti nel recente Decreto Rilancio, adottato dal Governo pochi giorni fa, per i vescovi della Calabria – “segna un passo avanti nella definizione della problematica, sotto il profilo della tutela della salute e della lotta all’illegalità. Limitazioni delle misure a determinate categorie, procedure non sempre semplificate e la breve durata dei permessi rendono evidenti la necessità di una svolta ancor più radicale, come testimonia del resto anche lo sciopero degli invisibili, indetto proprio per la giornata di oggi nei campi della Piana di Gioia Tauro”. “Resta – conclude la nota -  la fiduciosa speranza che il cammino intrapreso possa essere irreversibile, sostenuto in chiave locale dai segnali di attenzione lanciati anche dalla Regione, attraverso l’attivazione di progetti dedicati alla definizione dell’emergenza sanitaria e di quella abitativa”. Nella “consapevolezza inscalfibile che molto vi sia da fare per giungere ad una piena tutela dei diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori”, la Chiesa di Calabria ribadisce “la necessità dell’affermazione dei principi della dignità della persona umana e della sacralità del lavoro per liberare tanti uomini e donne dalla loro condizione di sostanziale schiavitù, condannando ogni forma di sfruttamento come attentato alla dignità dell’uomo, che, in quanto peccato sociale, grida vendetta al Cielo”.

R.Iaria

Lucchesi nel mondo: continua la solidarietà dei nostri concittadini all’estero

21 Maggio 2020 - Lucca - La sede di Lucca dell’associazione Lucchesi nel Mondo in questi giorni resta chiusa al pubblico. Eppure le attività non solo vanno avanti ma non sono mai venute meno nemmeno durante il lockdown. Non solo perché tramite questa rubrica (pubblicata sul settimanale della diocesi “In Cammino-ToscanaOggi, ndr) si è facilitato un collegamento con i lucchesi all’estero, raccontando storie, ma perchè grazie alle nuove tecnologie l’impegno anche nella promozione del territorio è andato avanti. Intanto grazie a Zoom si sono svolte riunioni dell’associazione a distanza per riprogrammare attività e iniziative, rinforzare la vicinanza verso le sedi ed i conterranei all’estero. Poi è stato dato il via anche ad una newletter interna all’associazione. “Ma soprattutto”, racconta Ilaria Del Bianco, la presidente dell’associazione, “grazie ai nostri contatti all’estero abbiamo ricevuto ancora delle donazioni con le quali abbiamo dato un sostegno alla comunità lucchese: prima donando due monitor al san Luca e poi abbiamo dato sostegni economici a associazioni del territorio che si occupano di persone in difficoltà a reperire generi alimentari. In particolare al momento abbiamo sostenuto la parrocchia del Centro storico di Lucca e le Misericordie di Lucca e Borgo a Mozzano. Ma, conclude Del Bianco, potremo dare altri sostegni, perchè continuano ad arrivare aiuti economici. L’ultimo dal Queensland in Australia dove Paul Amabile ha fatto altra donazione per questi progetti. Continua quindi la solidarietà dei nostri concittadini all’estero”.  

I “piccoli” aiuti cinesi all’Italia: una lettera ad “Avvenire” di don Cui, già coordinatore comunità cattolica cinese in Italia

21 Maggio 2020 -

Milano - Caro direttore, alla vigilia del capodanno cinese improvvisamente mi è giunta la notizia che un nuovo coronavirus stava provocando l’insorgere di un’epidemia. Senza aver ancora ricevuto disposizioni da parte di alcuno, ho immediatamente deciso di avvisare tutti i membri della mia famiglia e la mia cerchia di amici sui diversi social di interrompere i contatti interpersonali. Pochi giorni dopo le notizie hanno cominciato a susseguirsi in modo travolgente, una dopo l’altra, e ci hanno fatto comprendere la spaventosa gravità della diffusione del virus a Wuhan. Ma, come dice un nostro proverbio, «se in un luogo ci sono difficoltà, l’aiuto arriva da 8 direzioni», così sia gruppi e associazioni in Cina sia i cinesi in diaspora da tutto il mondo, alcuni Stati amici e persino il Vaticano, centro del cattolicesimo, hanno acquistato e inviato mascherine e indumenti protettivi per fornire assistenza di emergenza all’area più colpita di Wuhan.

Da parte mia, ho inviato un messaggio urgente a tutta la mia cerchia di amici e ai miei contatti tramite internet e solo con questo piccolo gruppo di persone ho raccolto in un giorno 12.633 yuan, che attraverso la diocesi di Baoding ho trasmesso alla Jinde Charities Foundation dello Hebei e donato all’area colpita di Wuhan: questo era tutto quello che potevamo fare con le nostre minime forze. L’Italia è per me come una seconda patria. Ho immediatamente preso contatto diretto con le tante comunità religiose che conosco in Italia e anche con persone singole, cercando di promuovere attivamente tra di loro le stesse efficaci misure adottate dal governo cinese. Purtroppo però era già tardi. Anche alcuni preti italiani che conosco erano già stati infettati e qualcuno è addirittura morto. Poi è arrivata la brutta notizia: anche in una comunità religiosa con cui ero molto familiare in Italia era stato riscontrato che alcuni membri avevano contratto il virus.

Non potendo occuparmi di così tante situazioni di emergenza, ho pensato di concentrarmi inizialmente ad aiutare questa comunità religiosa del Nord Italia, per procurare le mascherine protettive che erano loro urgentemente necessarie. Non si faceva in tempo a spedirle dalla Cina, così ho pensato di cercare l’aiuto di qualche amico imprenditore in Italia. Non appena ho scritto alla mia cerchia di contatti italiani, immediatamente ho cominciato a ricevere tante risposte e una donna cattolica cinese che vive a Roma mi disse che aveva lì più di 100 mascherine della migliore qualità. Ho poi chiesto ad alcune piccole imprese e a singole persone di spedire le mascherine suddivise in piccolo pacchi. Contemporaneamente avevo saputo che la Jinde Charities dello Hebei, attraverso la Croce Rossa italiana, stava preparando una grande quantità di forniture di soccorso per l’Italia e il Vaticano, e che le avrebbe spedite con voli charter, praticamente gli unici rimasti. Così ho cominciato a promuovere attivamente e incoraggiare i fedeli cattolici a fare donazioni alla Jinde Charities e in tanti hanno donato direttamente attraverso internet, spinti da spirito di solidarietà e carità cristiana.

Successivamente, una grande quantità di materiale spedito dal governo cinese, dalla Croce Rossa e dalla Jinde Charities è arrivato in Italia e molto di questo è stato portato in Vaticano e distribuito a diverse comunità religiose.Dopo aver ricevuto assistenza dalla Cina, anche il Vaticano ha ringraziato il governo e i diversi gruppi ecclesiali cinesi per il loro sostegno. Molte comunità religiose hanno inviato lettere di ringraziamento. Questa tipo di cooperazione internazionale di emergenza, sebbene sia avvenuta ora per la prima volta, ha accresciuto nell’avversità e nella sofferenza la nostra amicizia con l’Italia. Io sono solo uno tra i tanti che ha preso parte a quest’opera e ho fatto tutto il poco che mi era possibile fare, con le mie deboli forze.

don Pietro Cui Xingang

Fondazione Migrantes: anche nella pandemia sempre vicini agli ultimi

20 Maggio 2020 - Roma - Da alcuni mesi pagine intere dei principali quotidiani e periodici sono dedicate alla pandemia che ha coinvolto il mondo intero. A farne le spese tanti cittadini ma anche, e soprattutto, i più deboli. Tra questi coloro che vivono in “mobilità”. La Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana, anche in questo caso attraverso iniziative e con i suoi organi di informazione non ha lasciato da solo nessuno di queste persone. Il sito istituzionale www.migrantes.it ha dato notizie di incontri dei responsabili dei settori e ha riportato i principali documenti sul tema ai quali la Fondazione ha aderito mentre il periodico www.migrantesonline.it ogni giorno, dall’inizio della pandemia, ha riportato notizie, avvenimenti, interventi legati all’epidemia da Covid-19 per tutto il mondo della mobilità:immigrati in Italia, rifugiati, italiani residenti all’estero, circensi e lunaparkisti, rom e sinti.Molte le iniziative promosse dalla Migrantes per venire incontro a questo mondo: il periodico online ha dato tutte queste notizie che arrivavano dagli uffici diocesani e regionali Migrantes, dalle Missioni cattoliche italiane in Europa e dagli operatori impegnati sul territorio. Tante le questione affrontate che hanno interessato i migranti e rifugiati, perché è emerso fin da subito chequesta epidemia avrebbe colpito di più chi già viveva in situazioni di precarietà, provocando nuove povertà.Così sono stati riportati i tanti appelli fatti dai vescovi italiani, e non solo, affinché non venisse a mancare l’aiuto ai migranti e alle loro famiglie, a chi non rientrava nei percorsi di accoglienza, alle vittime della tratta e dello sfruttamento. Sono stati riportati i tanti appelli di papa Francesco affinché non fossero dimenticati gli ‘ultimi’, gli invisibili. Per giungere alle recenti notizie dell’intervento del Governo sulla questione di regolarizzare i tanti lavoratori stranieri in Italia che lavoravano senza contratto. Una forza lavoro che in questi mesi di loockdown ha fatto riflettere sulla sua importanza soprattutto per le produzioni agricole, etc.Il sito Migrantesonline ha dato voce alle tante comunità di stranieri presenti sul territorio italiano che si sono attivate con gesti di solidarietà per essere grati al Paese che li ha accolti.Come la comunità bengalese di Firenze che ha raccolto 5mila euro donandoli alla Fondazione Santa Maria Nuova Onlus per l’acquisto di strumenti e dispositivi per la protezione da Covid-19 per l’azienda Usl Toscana-Centro o l’iniziativa di un giovane rifugiato che ha deciso di produrre mascherine per la cittadinanza. E ancora di tante comunità ma anche di stranieri, come Amrita, originaria di Calcutta, che lavora in un ospedale italiano che ogni giorno incontra pazienti indiani, pachistani e bengalesi e li aiuta, nel suo lavoro di mediatrice culurale, a comunicare con i medici e il personale sanitario (sul numero del mensile della Fondazione Migrantes, “MigrantiPress” una intervista pubblicata su un quotidiano indiano). E poi la storia di suor Angel Bipendu, originaria del Congo a fianco dei malati di Covid19 dopo l’esperienza con i migranti. Ma anche le iniziative promosse a favore delle comunità di rom e sinti che vivono ai bordi delle nostre città.Rispettando le regole per evitare la diffusione del virus tanti i volontari e sacerdoti sono rimasti vicini a queste comunitàe sono tante le associazioni che hanno continuato ad assisterli operare in loro favore. E l’intervista al vescovo ausiliare di Roma, mons. Gianpiero Palmieri che ha coordinato un “Progetto per la fornitura straordinaria di generi di prima necessità per le famiglie dei campi e degli insediamenti rom” che ha coinvolto circa 500 famiglie che in questo periodo di pandemia stanno vivendo grossi difficoltà in collaborazione con gli uffici Migrantes e Caritas della diocesi, alcune parrocchie ed associazioni di volontariato. La pandemia che stiamo vivendo non ha solo conseguenze sanitarie ma anche economiche per tante realtà fragili che spesso vengono dimenticate e che “non potranno lavorare per diversi mesi ancora”, ha denunciato la Fondazione Migrantes citandoil mondo delle giostre e dei circhi, che stanno vivendo una grave condizione dal punto di vista economico.Un mondo che “fa fatica a chiedere visto che sono sempre andati avanti con il proprio lavoro”, ha detto il direttore generale della Migrantes, don Gianni De Robertis. La sospensione delle attività pubbliche a carattere culturale e ricreativo ha significato l’impossibilità per queste categorie di soddisfare i bisogni più elementari delle proprie famiglie. Alcuni complessi dello spettacolo viaggiante si sono ritrovati distanti dalle loro città con l’inizio della pandemia e quindi soggetti alle misure restrittive attivate. Ma anche gli italiani residenti nel mondo sono preoccupati della situazione che stanno vivendo nei Paesi che li ospitano, ma con uno sguardo rivolto all’Italia dove abitano i familiari più cari. Per loro giocano un ruolo fondamentale le Missioni cattoliche italiane, con i missionari, come ha raccontato www.migrantesonline.it, che, per tenere unita la comunità, si sono attivati per mantenere i contatti telefonici e per organizzare iniziative sui social network o su siti appositi. Tanti anche i servizi nel numero di maggio della rivista “MigrantiPress”. (Sir)

Migrantes Verona: festa dei popoli in diretta facebook

19 Maggio 2020 - Verona – Era prevista per il 24 maggio prossimo la Festa dei Popoli promossa dall’Ufficio Migrantes della diocesi di Verona. “Purtroppo, come sapete, non si potrà realizzare”, dice il direttore dell’Ufficio Migrantes, don Giuseppe Mirandola. Ma l’ufficio ha pensato ugualmente di essere presente organizzando due momenti per “ricordare e in qualche modo vivere anche quest'anno la Festa”. Sono previste due dirette via Facebook, il 24 maggio, dal prato di Villa Buri: alle ore 10.00 celebrazione della Messa presieduta da don Giuseppe Mirandola con alcuni cappellani delle comunità cattoliche di immigrati e alle 15.30 un  momento di festa con testimonianze in diretta intervallate dal contributo di alcuni Musicisti e dalla messa in onda di videomessaggi assieme a video e foto delle passate edizioni della Festa. Lo slogan è “Tutti uguali, tutti diversi”.

Migrantes Toscana: la situazione in questo tempo di pandemia

18 Maggio 2020 - Firenze – Con i decreti del governo e in attesa dell’evolversi della situazione alcuni migranti presenti in Toscana hanno ripreso le attività lavorative, in modo particolare le badanti. Prevale un senso di paura e attenzione a non esporsi. Molti preferiscono rimanere in casa e aspettare eventuali chiamate di servizio. La possibilità di celebrare la Santa Messa ha permesso alle comunità di organizzare e preparare i luoghi per la prossima celebrazione della Pentecoste. Le comunità non prevedono celebrazioni liturgiche nelle prossime settimane e invitano i loro fedeli a partecipare alle celebrazioni nella parrocchia più vicina, spiega il delegato regionale Migrantes della Toscana, p. Alessandro Bedin che in questi giorni ha avuto, in video conferenza, alcuni incontri con i direttori Migrantes della regione e con i rappresentanti delle varie comunità etniche. Le piattaforme web sono diventate in questo periodo “il mezzo più importante per le comunità di vedersi, condividere le esperienze, organizzare momenti di riflessione e preghiera”. In tutte “c’è un senso di solidarietà e vicinanza reciproca”. In questo periodo molte famiglie hanno beneficiato degli aiuti e della vicinanza a situazioni di disagio, grazie alle Caritas parrocchiali. Molte famiglie, a causa della situazione irregolare in cui si trovano, “non hanno potuto ricevere gli aiuti dal Comune perché non residenti o non in regola con i documenti” Le Caritas parrocchiali hanno sopperito al disagio di queste famiglie”. Nei variincontri tutti hanno espresso un “grazie sincero a tutti i volontari e alla buona collaborazione tra gli uffici Caritas e Migrantes”. La comunità Ucraina in Toscana vive con preoccupazione questa pandemia perché le famiglie sono in contatto con i loro congiunti in Ucraina dove la realtà è “complessa, il governo non da informazioni precise sulla epidemia. A questo si aggiunge la crisi economica e la mancanza di lavoro”. Viene sottolineata – spiega ancora p. Bedin - con la possibilità di celebrare l’Eucaristia con la gente, la necessità “di riscoprire il senso della comunità, dell’incontro e di leggere con fede questo momento particolare. Il rischio è che tutto ritorni come prima quando di fatto la realtà è cambiata”. La Migrantes Toscana evidenzia anche che famiglie dello spettacolo viaggiante presenti a Borgo S. Lorenzo ringraziano la Fondazione Migrantes per gli aiuti ricevuti in queste settimana difficili.  

La doppia prigione dei profughi: lontani da casa e in “lockdown”

18 Maggio 2020 - Milano - Bombe a orologeria. Sanitarie, sociali, umane. Con l’emergenza coronavirus che rischia di travolgere equilibri già esili e compromessi, frutto di convivenze forzate, condizioni igieniche disastrose, impossibilità di muoversi. I campi sono ormai una doppia prigione, dove il distanziamento fisico è poco più che una chimera. L’ultimo “fronte” è il campo profughi dei Rohingya della regione di Cox’s Bazar, al confine con il Myanmar, in Bangladesh. Ma i campi disseminati in Siria, in Sud Sudan, in Kenya, in Grecia, rischiano tutti di essere travolti. E diventare luoghi di contagio e morte. Nel mondo ci sono quasi 71 milioni di rifugiati e sfollati, il doppio rispetto al 2000. L’allarme arriva dall’organizzazione International Rescue Committee: «La rapida diffusione dell’infezione sulla nave da crociera Diamond Princess, all’inizio della pandemia, ha mostrato come il virus prosperi in spazi ristretti. Basta considerare che milioni di sfollati vivano in condizioni ben peggiori per capire quanto è alto il rischio a cui sono esposti». Un dato su tutti conferma il rischio. La popolazione ammassata in un spazi ridottissimi. Il campo Cox’s Bazar: 40mila persone per due chilometri quadrati. Moria in Grecia: 203.800 persone per due chilometri quadrati. Al-Hol in Siria: 37.570 in due chilometri quadrati. In Bangladesh il Covid-19 è destinato a rendere ancora più tragiche le condizioni di vita della minoranza musulmana. Il campo è un’immensa baraccopoli con fogne a cielo aperto ed è uno dei 34 che ospitano in tutto oltre 750mila persone fuggite nell’agosto 2017 dal Myanmar. Due giorni fa il coordinatore sanitario Abu Toha Bhuiyan aveva annunciato la positività di almeno due profughi. L’Oms ha mandato subito «squadre rapide di ricercatori » per tracciare i contatti, testarli e metterli in quarantena. L’intera struttura è stato chiusa. «Nonostante i migliori sforzi delle agenzie internazionali e del governo del Bangladesh, la capacità di assistenza sanitaria nei campi profughi è limitata e in tutto il Paese è sopraffatta a causa del Covid. Ci sono solo circa 2mila ventilatori in tutto il Bangladesh su una popolazione di 160 milioni di persone. Nel campo profughi dei Rohingya al momento non ci sono letti di terapia intensiva», è l’allarme lanciato da Athena Rayburn di Save the Children. Preoc-cupa la situazione nel campo di Dadaab, in Kenya, tra i più grandi campi profughi al mondo: da fine aprile sono in vigore rigide misure di ingresso e uscita nella struttura. Per Philippa Crosland-Taylor, direttore di Care «in Kenya una epidemia sarebbe un disastro: 270mila persone vivono a Dadaab, ma il campo ha una capacità di quarantena al massimo per duemila persone e un unico centro sanitario dedicato a coronavirus con soli 110 posti letto». Non solo: a peggiorare un quadro già drammatico «si aggiungono piogge molto forti che tagliano l’unica strada che porta al campo, ritardando la consegna di aiuti umanitari su cui molti si affidano per sopravvivere ». Allarme anche in Sud Sudan. Due contagi si sono registrati in un campo nella capitale, Juba, e uno a Bentiu, nel nord del Paese. Gli esperti hanno avvertito del pericolo rappresentato da un’eventuale diffusione del virus nei campi sovraffollati che ospitano circa 200mila persone in tutto il Paese. Anni di guerra hanno lasciato il Sud Sudan con uno dei sistemi sanitari meno attrezzati del continente africano. La nazione conferma 194 casi di contagio. Esplosiva anche la situazione in Grecia. Le autorità sanitarie di Atene hanno fatto test a campione tra i migranti e rifugiati che sono arrivati sull’isola di Lesbo, la settimana scorsa, dalle coste della Turchia e hanno trovato i primi due casi di contagio. Le due persone si trovano nel campo provvisorio di Megala Therma, affittato dal ministero delle Migrazioni come centro per mettere in quarantena le persone che arrivano a Lesbo. Le autorità greche hanno prorogato fino al 21 maggio il “lockdown” imposto da marzo. Nella Siria flagellata da un conflitto interminabile, 68mila persone vivono nel campo di al-Hol, sopportando condizioni climatiche rigide, a rischio alluvioni, rendendole più sensibili alle malattie. Le condizioni di vita all’interno sono inumane. Ogni persona è costretta a vivere in un piccolo spazio di 27 metri quadrati. L’equivalente di un posto auto. (Luca Miele - Avvenire)      

Minori immigrati ora “divulgatori”

18 Maggio 2020 - Cosenza - Il bisogno aguzza l’ingegno, le buone idee aiutano e il cuore fa il resto. Lo conferma il progetto dell’associazione PartecipAzione di Cosenza che ha trasformato i migranti minori non accompagnati in divulgatori scientifici. Prima li ha aiutati a prendere coscienza delle buone pratiche anti contagio fornendo informazioni in varie lingue, e poi li ha invitati a diventare a loro volta testimonial delle regole da seguire per limitare la diffusione del Coronavirus. “Non abbiamo lasciato da soli i ragazzi nella delicata fase 1 della pandemia e continueremo a far sentire la nostra vicinanza nella fase 2”, sottolinea la presidente della realtà sociale, Vittoria Paradiso, che assieme a Davila Scarpelli e Gianpaolo Rosa hanno portato avanti il progetto 'L’arte di Conoscersi in Cantiere' finanziato dal Ministero dell’Interno, con risorse del fondo Asilo Migrazione e Integrazione Fami, realizzato in partnership col comune di Mendicino e l’associazione PortaCenere. La lunga quarantena, seppur vissuta in gruppo nei centri di accoglienza, avrebbe potuto compromettere i risultati conseguiti nei laboratori di pittura, teatro e musica. Ecco perché PartecipAzione ha coinvolto i ragazzi in attività anche con le tecnologie digitali. Tra i frutti, il video in cui i minori, ciascuno nella propria lingua madre, spiegano come difendersi dal nemico senza volto. (Domenico Marino)  

Lucchesi nel mondo: da Pechino è tornata a Montecarlo

18 Maggio 2020 - Lucca - In valigia una laurea in “Lingue, culture e società dell’Asia e dell’Africa mediterranea, curriculum Cina” all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Poi la voglia di conoscere e tanti progetti sempre in mente: è la storia di Elena Anichini, di Montecarlo (Lu). Ventitrè candeline la aspettano sulla torta il prossimo dicembre. Ha già vissuto due anni nel capoluogo veneto, ha passato un semestre alla Nanjing University di Nanchino (vicino a Shanghai) per poi tornare a Venezia gli ultimi mesi della triennale. Infine è di nuovo ripartita, ad inizio ottobre 2019. Questa volta per Pechino da dove, nello stesso mese, a distanza, ha conseguito il titolo. “Mi sembrava di aver appena grattato la superficie della complessità di quel paese, così ho deciso di tornarci”. Inizia a raccontare così. Le chiediamo: com’è stato iniziare una nuova vita lì? “Difficile. Vivevo con una famiglia cinese che mi offriva vitto, alloggio e copertura delle spese di sanità e università, in cambio dovevo occuparmi delle tre figlie, insegnargli l’inglese e aiutarle con i compiti. Al mattino avevo l’università, il pomeriggio e la sera il lavoro. Nei corsi ero l’unica italiana, all’inizio si sentiva la solitudine ma lì ho trovato persone meravigliose, anche gli insegnanti. A casa, invece, si sentiva la differenza culturale”. Hai vissuto l’esplosione del Covid-19 proprio in Cina. “La prima volta che ho sentito parlare del virus era circa metà gennaio, su un articolo di giornale italiano inviato da un’amica, non seguivo ancora bene i media cinesi, è probabile che la notizia mi fosse sfuggita. Io mi spostavo con la mascherina, ma la percezione generale del virus non era ancora fortissima. Per il Capodanno cinese viaggiano milioni di persone, io sono partita il 21 gennaio per andare a Nanchino, da un’amica italiana. Ho capito che la situazione era grave due giorni più tardi, il 23: il governo avvertiva di tornare a casa e restarci, poi il lockdown per undici milioni di persone a Wuhan. Notifiche su notifiche dei media cinesi sul mio telefono: contagiati, morti, numeri e statistiche. Sono rimasta in casa dalla mia amica una settimana, uscivamo solo per andare a caccia di mascherine perché a Pechino erano finite tutte, conveniva cercarle dov’ero. Trovavo strade deserte, mezzi vuoti, a Nanchino prima e poi a Pechino quando sono tornata lì. Era surreale, non avevo mai visto nulla del genere. C’è da dire che i cinesi sono stati molto disciplinati e la pragmaticità con cui hanno gestito la situazione è riuscita a non mandarmi nel panico. Ricordo di aver detto a mia madre: "se una cosa del genere fosse successa in Italia sarebbe stato un macello!". Avevo un biglietto per l’Italia che mi aspettava il 30 gennaio, comprato prima che si sapesse del virus, per dieci giorni di ferie. Poco prima ho ricevuto via telefono la notizia di un lutto familiare ed è stato infine per la sensazione d’impotenza, mista alla paura di un virus sconosciuto, che ho deciso che una volta rientrata in Italia non sarei tornata indietro. Due settimane di quarantena volontaria a Lucca e dopo poco lockdown anche qui. Frustrante ma necessario”. Cosa insegna vivere per lunghi periodi dall’altra parte del mondo? “A convivere con te stessa: scopri nuove capacità, ti spingi oltre i limiti e forse cominci anche a capire che persona vorresti e potresti essere. Una crescita inevitabile, a prescindere dalla positività o negatività dell’esperienza. Mi sono tolta diversi pregiudizi, ho imparato ad ascoltare di più e ho cominciato ad apprezzare cose che prima davo per scontate. Ripartirò, ma al momento non per la Cina”. (Giulia Colombini – In Cammino – Toscana Oggi)

Diocesi Aversa: da oggi la IX edizione della “Festa dei Popoli”

16 Maggio 2020 - Aversa - “Ogni uomo è mio fratello”: un tema quanto mai attuale, quello che quest’anno la diocesi di Aversa ha deciso di porre al centro della nona edizione della “Festa dei Popoli”: anche se non nelle forme consuete, l’evento seguirà modalità e tempistiche diverse. L’emergenza socio-sanitaria scatenata dal Covid-19 ha spinto gli uffici coinvolti a ridisegnare il programma della manifestazione, sfruttando le straordinarie risorse offerte oggi dalla tecnologia e dalla rete. Don Carlo Villano, vicario episcopale per il settore “Carità e Società degli uomini”, introduce così questa edizione “multimediale” e, a suo modo, storica: “Vivere l’incontro tra i popoli, anche se a distanza, è la riprova della grande attenzione che la nostra diocesi continua a nutrire non solo verso l’accoglienza, ma anche verso la corretta integrazione dello straniero nel nostro territorio. Questo impegno necessita della costante attenzione da parte di tutti”. Don Giuseppe Esposito ricorda come quest’anno la tappa conclusiva della “Festa dei Popoli” avrebbe dovuto tenersi a Sant’Antimo, importante crocevia di molteplici comunità multietniche che abitano il complesso contesto socio-culturale della diocesi campana: “Un particolare segno di affetto vorrei rivolgerlo proprio alla forania di Sant’Antimo, che aveva accolto con straordinario entusiasmo l’organizzazione dell’evento finale: ci rifaremo l’anno prossimo”. Il direttore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo ha voluto ringraziare anche tutti coloro che, “in questo periodo non facile, si sono spesi con grande energia nell’ideazione in extremis di un programma alternativo. Offriremo un’interessante mix di contenuti video e in streaming, grazie all’ingegno e alla straordinaria disponibilità dimostrata da scuole, uffici diocesani, comunità religiose, gruppi culturali ed enti sociali.” Il programma, dunque, parte ufficialmente oggi, sabato 16 maggio, con un video messaggio introduttivo; mercoledì 20 maggio sarà diffuso un video realizzato in collaborazione con le scuole del territorio, invitate a riflettere sul tema “R’ Accogliamoci”, le parole dell’accoglienza”; sabato 23 maggio sarà la volta della preghiera interreligiosa con i rappresentanti delle varie confessioni; martedì 26 maggio alle ore 17.00, spazio all’approfondimento con il convegno in streaming  “Ogni uomo è mio fratello?”, che vedrà la partecipazione a distanza di vari responsabili delle politiche migratorie; domenica 31 maggio, la conclusione della “Festa dei Popoli Aversa XI Edizione” sarà affidata ad un video con il messaggio finale del vescovo, mons. Angelo Spinillo, e con un inno alla multiculturalità intitolato “Festa dei Continenti”. I video saranno trasmessi e pubblicati sulla pagina facebook e sul canale Youtube, “Chiesa di Aversa”, e sul sito ufficiale www.diocesiaversa.it.

Card. Bassetti: ritorniamo a manifestare il nostro essere comunità

16 Maggio 2020 - Roma - Lunedì 18 maggio inizieranno le celebrazione con "il concorso del popolo" seguendo un protocollo firmato tra la Cei e il governo italiano. Pubblichiamo integralmente il testo di un video del card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana:
Carissimi confratelli nell’episcopato e nel presbiterato, parroci, consacrati e consacrate, catechisti e fedeli, in particolare le famiglie con i più piccoli e i più grandi, i nostri nonni, con tanta gioia vorrei condividere con voi questo momento in cui ci apprestiamo nuovamente a celebrare l’Eucaristia e a convocare, per questo, il Santo Popolo di Dio.
È un evento importante, è un evento di grazia, è un evento che vorrei che voi coglieste: non si tratta, infatti, semplicemente della riapertura di un luogo sacro, delle nostre chiese che sono sempre rimaste aperte. Si tratta piuttosto di ritornare a manifestare il nostro essere comunità, il nostro essere famiglia. Del resto, è l’Eucaristia che fa di noi una comunità, una famiglia, perché, come dice san Paolo, noi che ci nutriamo di un unico pane siamo chiamati a formare un solo corpo.
Credo di poter dire, anche a nome vostro, quello che il nostro Maestro ebbe a dire un giorno, il Giovedì Santo, ai suoi discepoli: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi» (Lc 22,15). È il desiderio che Lui ha e che noi abbiamo di incontrare Lui e di incontrarci nel segno dell’Eucaristia, perché l’Eucaristia è il «pane di vita» (Gv 6,51), è il «farmaco di immortalità» (sant’Ignazio di Antiochia), perché chi mangia di quel pane vive in Lui e ha la vita eterna (Gv 6,54), perché Lui è la nostra «risurrezione e vita» (Gv 11,25). Tutto questo è per noi l’Eucaristia e nell’Eucaristia possiamo fare esperienza di questa forza immensa che ci viene da Lui Risorto, dal Suo Spirito, perché possiamo continuare il nostro cammino.
Il periodo che abbiamo vissuto, certo, non è privo di significato: la nostra sofferenza, il dover restare chiusi a casa, e qui penso in particolare alle famiglie numerose, con tanti bambini. Ma, come ho potuto sperimentare, in tante nostre famiglie non sono mancati la preghiera, l’ascolto attento della Parola di Dio e quel servizio, soprattutto alle persone più anziane, che diventa autentica carità.
Dobbiamo chiedere al Signore la grazia di poter tornare ad essere la grande famiglia di Dio, anche se abbiamo sperimentato il nostro essere Chiesa nella piccola famiglia domestica, dove abbiamo vissuto tanti valori stando gli uni accanto agli altri. Adesso però è il momento di tornare nella grande famiglia.
«L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (EG 47), come diceva con molta chiarezza già sant’Ambrogio.
Però, per la salute della nostra anima - l’Eucaristia è innanzitutto salvezza dell’anima - ma anche per quella del nostro corpo, dovremo usare tutti quegli accorgimenti che diventano una forma di amore e di rispetto per gli altri.
Le mascherine, i contatti ridotti possono essere letti simbolicamente, come un invito a riscoprire la forza dello sguardo. Se avete notato, durante la Messa delle 7, il Santo Padre non ha mai mancato di dire: «Scambiatevi un segno della pace». Qualcuno gli ha detto che non ci si può scambiare il segno della pace, ma il Papa ha risposto che non ci si può scambiare la pace avvicinandosi e dandosi la mano, ma lo si può fare anche a distanza con un sorriso, uno sguardo dolce e benevolo, che diventano un modo di comunicare pace, gioia e amore. E così, pur restando a debita distanza, cercheremo di scambiarci la pace.
Lodiamo e ringraziamo il Signore perché siamo di fronte ad un evento grande e importante: la prima Domenica che ci ritroveremo insieme, cantiamo – io lo farò e lo propongo a tutti – il Te Deum che diventa il nostro inno, la nostra lode perfetta alla Santissima Trinità perché tutto ci viene dal cuore di Dio. Grazie, buona festa.
Gualtiero Card. Bassetti
Presidente Conferenza Episcopale Italiana
Per scaricare il video: https://we.tl/t-PVJWR6oiBS

Storie di immigrati e rifugiati in tempi di lockdown

14 Maggio 2020 - Roma - Quella che stiamo vivendo è un’epidemia passata alla lente di ingrandimento attraverso una comunicazione capillare grazie anche ai social, che non solo stanno unendo a ‘distanza’ le persone, ma sono interpreti e messaggeri di tante storie. Il sito internazionale ODI 60 years of impact (Overseas Development Institute) è il principale think tank globale indipendente del Regno Unito che si occupa già da qualche anno dello sviluppo internazionale e umanitario su scala globale, riportando storie, date e cifre. Al Covid-19 ha dedicato una sezione con avvenimenti che riguardano migranti e rifugiati dal titolo molto significativo “Lavoratori Chiave. Contributo dei migranti alla risposta COVID-19”. Infatti scorrendo le pagine si legge “I rifugiati e gli altri migranti fanno parte della forza lavoro globale dei lavoratori essenziali che rispondono alla pandemia di Covid-19: ogni giorno salvano vite e contribuiscono alle nostre economie e società. Con una grafica essenziale, ma molto esplicativa, un ramoscello stilizzato con alle estremità dei puntini rossi, che indicano le notizie o le storie riportate, cliccandoci sopra l’utente ha la possibilità di andare a leggere, attraverso altri 5 ramoscelli, le notizie sull’Europa, il Nord America, l’Asia-Oceania, l’America Latina e l’Africa. Per l’Europa sono 32 le storie suddivise tra: assistenza sanitaria – cibo e agricoltura – immigrazione – ospitalità. Se si clicca sul cerchietto ‘ospitalità’ ci sono due storie: una riguarda i migranti e rifugiati che nel Regno Unito consegnano pacchi alimentari per conto di una organizzazione benefica a persone senza rete di sostegno; l’altra racconta di un villaggio nei Paesi Bassi in cui alcuni richiedenti asilo disinfettano i carrelli della spesa nei supermercati. Cliccando sul cerchietto ‘cibo e agricoltura’ sono sei le storie che emergono, tra queste si legge che la Spagna ha autorizzato l’assunzione temporanea di migranti e disoccupati per sopperire alla mancanza di lavoratori agricoli. Per l’Italia si viene rimandati al link della pagina del theguardian.com, che ha dedicato un servizio alla cooperativa Barikama costituita nel 2011 da ragazzi immigrati africani. La cooperativa si trova a Martignano a poche decine di chilometri da Roma, oltre ai prodotti agricoli produce anche lo yogurt. Nel periodo di lockdown i ragazzi hanno raccontato di lavorare il doppio per non far mancare sulle tavole dei loro clienti la genuina produzione. Cheikh, uno dei soci, arrivato dal Senegal nel 2007, ex giocatore di football ed ex studente di biologia all’università, con orgoglio afferma “È una cosa meravigliosa che stiamo aiutando a nutrire la comunità in questi tempi terribili”.   Nicoletta Di Benedetto

Ismu: i tassi di infezione Covid 19 tra i migranti in Italia

14 Maggio 2020 - Milano - L'Istituto Superiore di Sanità ha reso noto che il 5,1% dei casi di Covid-19 con indicazione della nazionalità e notificati fino al 22 aprile 2020 riguarda cittadini stranieri, per un totale di 6.395. L'8 maggio poi il Ministero dell’Interno e l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) hanno reso pubbliche le principali 10 collettività per numero di casi di Covid-19 in Italia presenti all'interno dei tre sottogruppi individuati dall'Human Development Index (Indice di sviluppo umano) che classifica i paesi in base al reddito (alto, medio e basso). Tali dati mostrano che tra i paesi con più di cento casi di Covid-19 accertati con Hdi “alto” c'è soltanto la Romania, che occupa la prima posizione assoluta con 1.046 casi; tra i paesi con Hdi “medio” i casi accertati afferiscono in maggioranza a cittadini – nell'ordine – di Perù, Albania, Ecuador, Marocco, Ucraina, Egitto, Moldova e Filippine; tra i paesi con Hid “basso” il maggior numero di contagi riguarda India, Bangladesh, Nigeria e Pakistan. Passando ai tassi di contagio La Fondazione ISMU calcola che i collettivi con i valori più elevati sono quelli degli ecuadoriani e soprattutto dei peruviani, rispettivamente pari al 4,2 per mille e all’8,1 per mille delle proprie popolazioni, mentre tutti gli altri gruppi nazionali oscillano in un range molto più limitato e più basso compreso tra l’1,8 per mille dell’Egitto e lo 0,7 per mille del Marocco. L’Ismu segnala, invece, l’assenza fra i principali gruppi nazionali affetti da Covid-19 dei cinesi, che hanno un’incidenza di presenza in Lombardia superiore a quella media fra tutte le nazionalità straniere (23,1% contro 22,5%). Essi, con 299.823 residenti, rappresentano il quarto gruppo nazionale per presenze residenti in Italia, dietro solamente a Romania, Marocco e Albania, ma non risultano fra le principali nazionalità affette da Covid-19 e dunque hanno, al 22 aprile, un tasso sicuramente inferiore allo 0,3 per mille, più basso della metà di quello di qualsiasi altro gruppo nazionale in Italia. Ritornando alla classifica delle nazionalità con più casi di contagi, India, Bangladesh e Pakistan si collocano su livelli d’affezione da Covid-19 dell’1,1 per mille o dell’1,2 per mille, comunque non superiori alla media complessiva fra gli stranieri provenienti da ogni parte del mondo in Italia (pari all’1,2 per mille). Ma in generale le persone provenienti dal continente asiatico sono state fino al 22 aprile 2020 quelle meno colpite dal virus in Italia, quantomeno considerando i casi noti all’Iss.

Mazara del Vallo: donne mazaresi e tunisine donano mascherine al comune

13 Maggio 2020 - Mazara del Vallo - Le donne del “Progetto Donna”, il laboratorio di cucito della “Fondazione San Vito Onlus” di Mazara del Vallo -, hanno preparato 50 mascherine di protezione in stoffa che sono state donate al Comune di Mazara del Vallo. Le donne mazaresi e tunisine hanno voluto mettere al servizio della solidarietà la propria competenza acquisita durante le attività laboratoriali del progetto. L’idea è nata proprio nel momento in cui era difficile trovare mascherine. Così le donne, nonostante costrette rimanere a casa, si sono organizzate per fare le mascherine in stoffa da donare poi al Comune.