Primo Piano
Arrivi via mare e via terra se i numeri non mentono
Cei: “dare non la morte ma la vita”
Roma - “Dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita”. È l’invito dei vescovi italiani, nel Messaggio per la prossima Giornata per la vita, in programma il 3 febbraio prossimo sul tema: “La morte non è mai una soluzione. ‘Dio ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte’ (Sap 1,14)”. Un imperativo, questo, che secondo la Cei “ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa”: “Ci aiuta ad accogliere la drammatica prepotenza della malattia e il lento venire della morte, schiudendo il mistero dell’origine e della fine. Ci insegna a condividere le stagioni difficili della sofferenza, della malattia devastante, delle gravidanze che mettono a soqquadro progetti ed equilibri… offrendo relazioni intrise di amore, rispetto, vicinanza, dialogo e servizio. Ci guida a lasciarsi sfidare dalla voglia di vivere dei bambini, dei disabili, degli anziani, dei malati, dei migranti e di tanti uomini e donne che chiedono soprattutto rispetto, dignità e accoglienza. Ci esorta a educare le nuove generazioni alla gratitudine per la vita ricevuta e all’impegno di custodirla con cura, in sé e negli altri”. Di qui l’omaggio ai “tanti uomini e le donne, credenti di tutte le fedi e non credenti, che affrontano i problemi producendo vita, a volte pagando duramente di persona il loro impegno. A queste persone e alle tante organizzazioni schierate su diversi fronti a difesa della vita va la nostra riconoscenza e il nostro incoraggiamento”.
Corridoi umanitari: Unhcr, arrivati a Fiumicino 51 rifugiati vincitori di borse di studio in 33 università

Mons. Perego: “gli egoismi e le ideologie non affoghino la solidarietà dell’Europa”
Migrantes Bologna: il progetto “Diffusamente” nella diocesi emiliana
Medico di colore insultato sui social
Cei: domani sessione straordinaria del Consiglio Permanente
Migrantes Foligno: opitalità con il progetto “Diffusamente” di Acri e Migrantes
Scalabriniane: sr. Bosini nuova superiora provinciale
15 Novembre 2022 - Piacenza - Le Suore Missionarie Scalabriniane della Provincia San Giuseppe -Europa-, hanno appena finito il XXI Capitolo Provinciale ed è stato eletto un nuovo Governo Provinciale: Suor Giuliana Bosini come Superiora Provinciale; Suor Eleia Scariot come Prima Consigliera, Suor Janete Santos Ribeiro, Suor Etra Modica, Suor Stella Jonh Joseph. Giorni di lavoro, di riflessioni sui "passi compiuti ed uno sguardo rivolto al futuro hanno dato luogo al discernimento, all’azione dello Spirito Santo e al SÍ di ogni suora che è stata votata", spiega una nota. “Mi metto a servizio con molto amore ad esempio di Maria. Lo Spirito farà cose nuove, Lui ci aiuterà con certezza a mettere in atto quello che ci siamo detti in questi giorni. Dobbiamo salire sul monte con Gesù, ma Lui ci darà la forza e la Madonna non ci lascerà” ha detto la nuova superiora Sr. Bosini che sostituisce sr. Milva Caro. Tra l’altro il governo appena eletto rispecchia l’internazionalità che caratterizza la Provincia San Giuseppe, e questo "lo rende fedele al carisma Scalabriniano, sicure che la diversità unisce e fortifica".
A sr. Bosini e al nuovo governo della Provincia San Giuseppe gli auguri del Presidente e del Direttore generale della Fondazione Migrantes - l'arcivescovo mons. Gian Carlo Perego e mons. Pierpaolo Felicolo - di un proficuo lavoro sempre a servizio dei migranti. La Migrantes ringrazia anche sr. Milva caro per la collaborazione in questi anni. Migrantes Taranto: oggi convegno diocesano
Guardare da vicino, vedere lontano: una mostra fotografica dà luce ai volti e ai luoghi dell’immigrazione in Italia
Papa Francesco: “Migrazioni forzate sono tra i grandi mali della nostra epoca”
Card. Zuppi: “che muoia un bambino e una donna di freddo mi fa star molto male”
Migrantes: anche a Reggio Calabria il progetto “Diffusamente” sull’accoglienza degli Ucraini
Foyer Catholique: inaugurato a Bruxelles il “focolare” culturale e spirituale nel cuore del quartiere europeo
Perseveranti, severi e decisi
Il neonato senza vita sul barchino
Lampedusa - Una donna uccisa dal freddo. Un neonato trovato morto su un barchino, perché non ha retto la traversata. Il dolore di Lampedusa non finisce mai. Gli sbarchi si susseguono sul molo di quello che, nonostante tutto, rimane un avamposto di speranza e solidarietà. E la cronaca somma, in abbondanza, le storie delle persone migranti, in cerca di un approdo. In trentasei ore, questo il bollettino del pomeriggio di ieri, si sono registrati circa settecento arrivi. L’hotspot conta più di milletrecento ospiti. Mercoledì scorso, una giovane donna è morta al poliambulatorio dell’isola, per ipotermia. I medici hanno cercato di salvarla, senza riuscirci. Successivamente, si è consumata la tragedia di un neonato della Costa d’Avorio. La sua mamma era partita dalla Tunisia, con l’idea di curare quel bambino fragile, di appena venti giorni, e di assicurargli un futuro migliore. «Sono qui da un anno e un mese – dice don Carmelo Rizzo, parroco di Lampedusa -. Sapevo delle tante difficoltà, ma qui si incontra la morte ogni giorno. Ed è terribile quando vedi arrivare un bambino senza vita, con i parenti che gridano per la disperazione». Lancia un appello, don Carmelo: «Si garantiscano viaggi in sicurezza. Non si può continuare così». Il presidio di soccorso dell’isola è guidato dal dottore Francesco D’Arca che è a Lampedusa da due mesi. E’ lui che racconta, da vicino, i drammi a ripetizione. « La situazione è molto pesante – dice il dottore –. Il nostro impegno è massimo, ogni giorno. Con la ragazza abbiamo tentato il tutto per tutto, purtroppo non c’è stato niente da fare». Poi, quell’altra pagina tremenda. « L’allarme lo abbiamo ricevuto intorno alle 23 di mercoledì – spiega il dottore D’Arca –. Abbiamo appreso che c’era un neonato morto. La mamma è una ragazza di diciannove anni. A quanto pare, il bambino soffriva di problemi respiratori e si erano imbarcati anche per farlo curare». Francesco D’Arca è un medico di lungo corso. Ha lavorato nelle corsie della chirurgia d’urgenza, nell’ospedale Villa Sofia, prima che l’Asp di Palermo lo mandasse dentro la più estrema delle trincee. Ma perfino un camice bianco con anni di curriculum non può che rimanere scosso. «La mamma del neonato – racconta – ha chiesto di guardare per l’ultima volta suo figlio e la zia ha scattato una foto da inviare al papà, rimasto in Costa d’Avorio. Noi non dimenticheremo mai quello che abbiamo visto». La politica, ovviamente, è in fibrillazione. «È un continuo ricevere chiamate da parte delle forze dell’ordine per informarmi che ci sono cadaveri. Mi sembra di assistere a un bollettino di guerra e ciò che mi preoccupa è che stia diventando una quotidianità, nell’indifferenza dell’Europa. È duro lavorare in queste condizioni, innanzitutto umanamente e poi perché il nostro Comune non può sopportare questo peso, anche per l’insufficienza di risorse umane, strumentali e finanziarie». Sono parole del sindaco di Lampedusa e Linosa, Filippo Mannino, che ha scritto al premier Giorgia Meloni e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per un incontro urgente. «Vanno cercate soluzioni durature e fattibili alle problematiche che hanno ricaduta diretta su questo territorio – aggiunge Mannino – . (Roberto Pugliesi - Avvenire)
Migrantes: in Italia il primo corridoio umanitario per minori migranti soli
In Niger (foto Martina Martelloni per Intersos).
Tra i ragazzi arrivati in Italia c’è Omar (è un nome di fantasia), 17 anni, sudanese. Il suo sogno è fare il medico. Aveva solo 13 anni quando le milizie janjaweed, il terrore della gente che vive in Darfur, hanno attaccato il campo profughi in cui viveva, torturando e uccidendo alcuni membri della sua famiglia. Omar ha vissuto la terribile esperienza dei campi di detenzione in Libia e poi nel 2020 è riuscito a fuggire in Niger, e ha chiesto asilo in un campo per rifugiati ad Agadez. Grazie all’incontro con gli operatori di Intersos è riuscito ad arrivare a Torino, dove è stato accolto da una famiglia affidataria. Ha già imparato l’italiano, si trova benissimo in famiglia e si impegna strenuamente nello studio.

