Giorno: 18 Maggio 2020

Migrantes Toscana: la situazione in questo tempo di pandemia

18 Maggio 2020 - Firenze – Con i decreti del governo e in attesa dell’evolversi della situazione alcuni migranti presenti in Toscana hanno ripreso le attività lavorative, in modo particolare le badanti. Prevale un senso di paura e attenzione a non esporsi. Molti preferiscono rimanere in casa e aspettare eventuali chiamate di servizio. La possibilità di celebrare la Santa Messa ha permesso alle comunità di organizzare e preparare i luoghi per la prossima celebrazione della Pentecoste. Le comunità non prevedono celebrazioni liturgiche nelle prossime settimane e invitano i loro fedeli a partecipare alle celebrazioni nella parrocchia più vicina, spiega il delegato regionale Migrantes della Toscana, p. Alessandro Bedin che in questi giorni ha avuto, in video conferenza, alcuni incontri con i direttori Migrantes della regione e con i rappresentanti delle varie comunità etniche. Le piattaforme web sono diventate in questo periodo “il mezzo più importante per le comunità di vedersi, condividere le esperienze, organizzare momenti di riflessione e preghiera”. In tutte “c’è un senso di solidarietà e vicinanza reciproca”. In questo periodo molte famiglie hanno beneficiato degli aiuti e della vicinanza a situazioni di disagio, grazie alle Caritas parrocchiali. Molte famiglie, a causa della situazione irregolare in cui si trovano, “non hanno potuto ricevere gli aiuti dal Comune perché non residenti o non in regola con i documenti” Le Caritas parrocchiali hanno sopperito al disagio di queste famiglie”. Nei variincontri tutti hanno espresso un “grazie sincero a tutti i volontari e alla buona collaborazione tra gli uffici Caritas e Migrantes”. La comunità Ucraina in Toscana vive con preoccupazione questa pandemia perché le famiglie sono in contatto con i loro congiunti in Ucraina dove la realtà è “complessa, il governo non da informazioni precise sulla epidemia. A questo si aggiunge la crisi economica e la mancanza di lavoro”. Viene sottolineata – spiega ancora p. Bedin - con la possibilità di celebrare l’Eucaristia con la gente, la necessità “di riscoprire il senso della comunità, dell’incontro e di leggere con fede questo momento particolare. Il rischio è che tutto ritorni come prima quando di fatto la realtà è cambiata”. La Migrantes Toscana evidenzia anche che famiglie dello spettacolo viaggiante presenti a Borgo S. Lorenzo ringraziano la Fondazione Migrantes per gli aiuti ricevuti in queste settimana difficili.  

La doppia prigione dei profughi: lontani da casa e in “lockdown”

18 Maggio 2020 - Milano - Bombe a orologeria. Sanitarie, sociali, umane. Con l’emergenza coronavirus che rischia di travolgere equilibri già esili e compromessi, frutto di convivenze forzate, condizioni igieniche disastrose, impossibilità di muoversi. I campi sono ormai una doppia prigione, dove il distanziamento fisico è poco più che una chimera. L’ultimo “fronte” è il campo profughi dei Rohingya della regione di Cox’s Bazar, al confine con il Myanmar, in Bangladesh. Ma i campi disseminati in Siria, in Sud Sudan, in Kenya, in Grecia, rischiano tutti di essere travolti. E diventare luoghi di contagio e morte. Nel mondo ci sono quasi 71 milioni di rifugiati e sfollati, il doppio rispetto al 2000. L’allarme arriva dall’organizzazione International Rescue Committee: «La rapida diffusione dell’infezione sulla nave da crociera Diamond Princess, all’inizio della pandemia, ha mostrato come il virus prosperi in spazi ristretti. Basta considerare che milioni di sfollati vivano in condizioni ben peggiori per capire quanto è alto il rischio a cui sono esposti». Un dato su tutti conferma il rischio. La popolazione ammassata in un spazi ridottissimi. Il campo Cox’s Bazar: 40mila persone per due chilometri quadrati. Moria in Grecia: 203.800 persone per due chilometri quadrati. Al-Hol in Siria: 37.570 in due chilometri quadrati. In Bangladesh il Covid-19 è destinato a rendere ancora più tragiche le condizioni di vita della minoranza musulmana. Il campo è un’immensa baraccopoli con fogne a cielo aperto ed è uno dei 34 che ospitano in tutto oltre 750mila persone fuggite nell’agosto 2017 dal Myanmar. Due giorni fa il coordinatore sanitario Abu Toha Bhuiyan aveva annunciato la positività di almeno due profughi. L’Oms ha mandato subito «squadre rapide di ricercatori » per tracciare i contatti, testarli e metterli in quarantena. L’intera struttura è stato chiusa. «Nonostante i migliori sforzi delle agenzie internazionali e del governo del Bangladesh, la capacità di assistenza sanitaria nei campi profughi è limitata e in tutto il Paese è sopraffatta a causa del Covid. Ci sono solo circa 2mila ventilatori in tutto il Bangladesh su una popolazione di 160 milioni di persone. Nel campo profughi dei Rohingya al momento non ci sono letti di terapia intensiva», è l’allarme lanciato da Athena Rayburn di Save the Children. Preoc-cupa la situazione nel campo di Dadaab, in Kenya, tra i più grandi campi profughi al mondo: da fine aprile sono in vigore rigide misure di ingresso e uscita nella struttura. Per Philippa Crosland-Taylor, direttore di Care «in Kenya una epidemia sarebbe un disastro: 270mila persone vivono a Dadaab, ma il campo ha una capacità di quarantena al massimo per duemila persone e un unico centro sanitario dedicato a coronavirus con soli 110 posti letto». Non solo: a peggiorare un quadro già drammatico «si aggiungono piogge molto forti che tagliano l’unica strada che porta al campo, ritardando la consegna di aiuti umanitari su cui molti si affidano per sopravvivere ». Allarme anche in Sud Sudan. Due contagi si sono registrati in un campo nella capitale, Juba, e uno a Bentiu, nel nord del Paese. Gli esperti hanno avvertito del pericolo rappresentato da un’eventuale diffusione del virus nei campi sovraffollati che ospitano circa 200mila persone in tutto il Paese. Anni di guerra hanno lasciato il Sud Sudan con uno dei sistemi sanitari meno attrezzati del continente africano. La nazione conferma 194 casi di contagio. Esplosiva anche la situazione in Grecia. Le autorità sanitarie di Atene hanno fatto test a campione tra i migranti e rifugiati che sono arrivati sull’isola di Lesbo, la settimana scorsa, dalle coste della Turchia e hanno trovato i primi due casi di contagio. Le due persone si trovano nel campo provvisorio di Megala Therma, affittato dal ministero delle Migrazioni come centro per mettere in quarantena le persone che arrivano a Lesbo. Le autorità greche hanno prorogato fino al 21 maggio il “lockdown” imposto da marzo. Nella Siria flagellata da un conflitto interminabile, 68mila persone vivono nel campo di al-Hol, sopportando condizioni climatiche rigide, a rischio alluvioni, rendendole più sensibili alle malattie. Le condizioni di vita all’interno sono inumane. Ogni persona è costretta a vivere in un piccolo spazio di 27 metri quadrati. L’equivalente di un posto auto. (Luca Miele - Avvenire)      

Giovanni Paolo II e il mondo della mobilità umana

18 Maggio 2020 - Città del Vaticano - Un pontificato ricco e fecondo quello di Papa Wojtyla. La data della sua elezione sul soglio di Pietro, 16 ottobre 1978, e quella della sua morte, le 21.37 del 2 aprile 2005, sono entrate nella storia non solo della Chiesa cattolica. Tutti ricordano quel grido “Santo Subito” che si levò in Piazza San Pietro in occasione dei suoi funerali. Un grido diventato realtà domenica 27 aprile del 2014 con la canonizzazione in piazza San Pietro presieduta da papa Francesco. Oggi papa Wojtyla avrebbe compiuto un secolo di vita da quel 18 maggio 1920: per 27 anni ha guidato la Chiesa. Anni durante i quali non ha mancato di portare l’attenzione sul mondo della mobilità umana: dai migranti, ai fieranti, agli immigrati, etc.  Ma anche al mondo dell’emigrazione italiana come ha fatto visitando Canale d’Agordo, il paese natale del suo predecessore, Giovanni Paolo I. In quell’occasione, era il 26 agosto 1979, parlò di una terra  che dopo la prima guerra mondiale fu di “perdurante e sempre triste necessità dell’emigrazione, sia essa permanente o stagionale”. Siamo a circa un anno dalla sua elezione sul soglio di Pietro. Dopo  qualche mese, all’ONU ricorda, tra i diritti fondamentali della persona, “il diritto alla libertà di movimento e alla migrazione interna ed esterna”. Un tema ripreso anche nella sua prima  enciclica Laborem exercens dove scrive che “l’uomo ha il diritto di lasciare il proprio paese d’origine per vari motivi – come anche di ritornarvi – e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese”. E nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, sottolinea il necessario impegno che si deve dare a diverse categorie “di famiglie di migranti per motivi di lavoro; di famiglie di quanti sono costretti a lunghe assenze, quali ad esempio i militari, i naviganti, gli itineranti d’ogni tipo; delle famiglie dei carcerati, dei profughi e degli esiliati”. E sottolineava che le famiglie dei migranti “devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità”. E poi tanti i riferimenti al tema nei messaggi per le Giornate Mondiali del Migrante e del rifugiato. Tanti anche gli incontri con il mondo dello spettacolo viaggiante. Alle sue udienze non sono mancati lunaparkisti, circensi, etc che rappresentano “uno spazio di festa e di amicizia”. E poi i rom e sinti a partire dal suo viaggio al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove si inginocchiò davanti alle lapidi e disse: “Mi inginocchio davanti a tutte le lapidi che si susseguono e sulle quali è incisa la commemorazione delle vittime di Oswiwcim nelle seguenti lingue: polacco, inglese, bulgaro, zingaro, ceco, danese, francese, greco, ebraico, yddish, spagnolo, fiammingo, serbo-croato, tedesco, norvegese, russo, rumeno, ungherese e italiano”, quasi a ricordare e riconoscere il popolo rom tra i popoli d’Europa. Un papa, come ha detto questa mattina papa Francesco, uomo di preghiera, di vicinanza e giustizia anche per il mondo della mobilità umana. ​

Raffaele Iaria

   

Migrantes Catania: emergenza sanitaria e mobilità umana

18 Maggio 2020 -

Catania - L’Ufficio diocesano Migrante della diocesi di Catania in questo tempo così difficile di emergenza del Covid-19, sta svolgendo il compito di coordinamento con la Caritas diocesana e con  le varie associazioni di assistenza, nonché di sostegno alle persone migranti particolarmente delle comunità mauriziana e srilankese.

Molti immigrati  regolari e non  perdendo il lavoro si sono ritrovati, in questi due mesi di emergenza nell’emergenza, senza alcun mezzo di sussistenza, pertanto  la loro richiesta è stata specificamente la fornitura di prodotti alimentari e di necessità. Anche qualche famiglia circense e  lunaparkista, del territorio catanese ha avuto qualche difficoltà.

In questo tempo di pandemia  si sono aggravate ancora di più le condizioni dei rom in molte città italiane, come anche a Catania. La Migrantes diocesana è molto vicina alle esigenze di queste persone con la visita mensile ai loro campi attraverso atti di solidarietà ed evangelizzazione.  Ai bambini ed ai ragazzi rom che frequentavano la scuola, abitanti nei due campi più grandi ubicati alla periferia della città, viene garantito il supporto scolastico attraverso un operatore del Comune che porta loro i compiti assegnati dagli insegnanti, in collaborazione con l’Ufficio Migrantes che fornisce i quaderni e altro materiale didattico che ogni anno provvede a raccogliere. (G. Cannizzo - Direttore Migrantes diocesi Catania)

Minori immigrati ora “divulgatori”

18 Maggio 2020 - Cosenza - Il bisogno aguzza l’ingegno, le buone idee aiutano e il cuore fa il resto. Lo conferma il progetto dell’associazione PartecipAzione di Cosenza che ha trasformato i migranti minori non accompagnati in divulgatori scientifici. Prima li ha aiutati a prendere coscienza delle buone pratiche anti contagio fornendo informazioni in varie lingue, e poi li ha invitati a diventare a loro volta testimonial delle regole da seguire per limitare la diffusione del Coronavirus. “Non abbiamo lasciato da soli i ragazzi nella delicata fase 1 della pandemia e continueremo a far sentire la nostra vicinanza nella fase 2”, sottolinea la presidente della realtà sociale, Vittoria Paradiso, che assieme a Davila Scarpelli e Gianpaolo Rosa hanno portato avanti il progetto 'L’arte di Conoscersi in Cantiere' finanziato dal Ministero dell’Interno, con risorse del fondo Asilo Migrazione e Integrazione Fami, realizzato in partnership col comune di Mendicino e l’associazione PortaCenere. La lunga quarantena, seppur vissuta in gruppo nei centri di accoglienza, avrebbe potuto compromettere i risultati conseguiti nei laboratori di pittura, teatro e musica. Ecco perché PartecipAzione ha coinvolto i ragazzi in attività anche con le tecnologie digitali. Tra i frutti, il video in cui i minori, ciascuno nella propria lingua madre, spiegano come difendersi dal nemico senza volto. (Domenico Marino)  

Lucchesi nel mondo: da Pechino è tornata a Montecarlo

18 Maggio 2020 - Lucca - In valigia una laurea in “Lingue, culture e società dell’Asia e dell’Africa mediterranea, curriculum Cina” all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Poi la voglia di conoscere e tanti progetti sempre in mente: è la storia di Elena Anichini, di Montecarlo (Lu). Ventitrè candeline la aspettano sulla torta il prossimo dicembre. Ha già vissuto due anni nel capoluogo veneto, ha passato un semestre alla Nanjing University di Nanchino (vicino a Shanghai) per poi tornare a Venezia gli ultimi mesi della triennale. Infine è di nuovo ripartita, ad inizio ottobre 2019. Questa volta per Pechino da dove, nello stesso mese, a distanza, ha conseguito il titolo. “Mi sembrava di aver appena grattato la superficie della complessità di quel paese, così ho deciso di tornarci”. Inizia a raccontare così. Le chiediamo: com’è stato iniziare una nuova vita lì? “Difficile. Vivevo con una famiglia cinese che mi offriva vitto, alloggio e copertura delle spese di sanità e università, in cambio dovevo occuparmi delle tre figlie, insegnargli l’inglese e aiutarle con i compiti. Al mattino avevo l’università, il pomeriggio e la sera il lavoro. Nei corsi ero l’unica italiana, all’inizio si sentiva la solitudine ma lì ho trovato persone meravigliose, anche gli insegnanti. A casa, invece, si sentiva la differenza culturale”. Hai vissuto l’esplosione del Covid-19 proprio in Cina. “La prima volta che ho sentito parlare del virus era circa metà gennaio, su un articolo di giornale italiano inviato da un’amica, non seguivo ancora bene i media cinesi, è probabile che la notizia mi fosse sfuggita. Io mi spostavo con la mascherina, ma la percezione generale del virus non era ancora fortissima. Per il Capodanno cinese viaggiano milioni di persone, io sono partita il 21 gennaio per andare a Nanchino, da un’amica italiana. Ho capito che la situazione era grave due giorni più tardi, il 23: il governo avvertiva di tornare a casa e restarci, poi il lockdown per undici milioni di persone a Wuhan. Notifiche su notifiche dei media cinesi sul mio telefono: contagiati, morti, numeri e statistiche. Sono rimasta in casa dalla mia amica una settimana, uscivamo solo per andare a caccia di mascherine perché a Pechino erano finite tutte, conveniva cercarle dov’ero. Trovavo strade deserte, mezzi vuoti, a Nanchino prima e poi a Pechino quando sono tornata lì. Era surreale, non avevo mai visto nulla del genere. C’è da dire che i cinesi sono stati molto disciplinati e la pragmaticità con cui hanno gestito la situazione è riuscita a non mandarmi nel panico. Ricordo di aver detto a mia madre: "se una cosa del genere fosse successa in Italia sarebbe stato un macello!". Avevo un biglietto per l’Italia che mi aspettava il 30 gennaio, comprato prima che si sapesse del virus, per dieci giorni di ferie. Poco prima ho ricevuto via telefono la notizia di un lutto familiare ed è stato infine per la sensazione d’impotenza, mista alla paura di un virus sconosciuto, che ho deciso che una volta rientrata in Italia non sarei tornata indietro. Due settimane di quarantena volontaria a Lucca e dopo poco lockdown anche qui. Frustrante ma necessario”. Cosa insegna vivere per lunghi periodi dall’altra parte del mondo? “A convivere con te stessa: scopri nuove capacità, ti spingi oltre i limiti e forse cominci anche a capire che persona vorresti e potresti essere. Una crescita inevitabile, a prescindere dalla positività o negatività dell’esperienza. Mi sono tolta diversi pregiudizi, ho imparato ad ascoltare di più e ho cominciato ad apprezzare cose che prima davo per scontate. Ripartirò, ma al momento non per la Cina”. (Giulia Colombini – In Cammino – Toscana Oggi)

Papa Francesco: Giovanni Paolo II, uomo di preghiera, vicinanza e giustizia

18 Maggio 2020 - Città del Vaticano – Papa Francesco ha celebrato questa mattina nella cappella della Basilica di San Pietro dove è custodita la toma di papa Giovanni Paolo II. Oggi il papa polacco, che papa Francesco ha camonizzato nel 1014. E’ stata l’ultima delle Messe del mattino celebrate in diretta streaming dal pontefice dal 9 marzo scorso in seguito alla sospensione delle celebrazioni con la partecipazione del popolo a causa della pandemia del Covid-19. Con la ripresa in Italia e in altri Paesi delle celebrazioni con i fedeli da domani cessala trasmissione in diretta della Messa delle 7.00 da Casa Santa Marta. Nell’omelia il pontefice ha detto che cento anni fa “il Signore ha visitato il suo popolo, ha inviato un uomo, lo ha preparato per fare il vescovo e guidare la Chiesa” ed ha indicato tre tracce del buon pastore che sono in San Giovanni Paolo II: “La preghiera, la vicinanza al popolo, e l’amore alla giustizia”. San Giovanni Paolo II – ha detto Papa Francesco - era “un uomo di Dio perché pregava e pregava tanto” nonostante il tanto lavoro che aveva per guidare la Chiesa. “Lui sapeva bene che il primo compito di un vescovo è pregare” e “lui lo sapeva, lui lo faceva.  Modello di vescovo che prega”. Poi un “uomo di vicinanza. Non era un uomo distaccato dal popolo, anzi – ha detto il pontefice - andava a trovare il popolo e girò il mondo intero, trovando il suo popolo, cercando il suo popolo, facendosi vicino. E la vicinanza è uno dei tratti di Dio con il suo popolo”. E san Giovanni Paolo II è stato “vicino ai grandi e ai piccoli, ai vicini e ai lontani, sempre vicino, si faceva vicino”. E poi l’amore alla giustizia di Giovanni Paolo II ma “la giustizia piena! Un uomo – ha detto -che voleva la giustizia, la giustizia sociale la giustizia dei popoli, la giustizia che caccia vie le guerre. Ma la giustizia piena! Per questo san Giovanni Paolo II era l’uomo della misericordia perché giustizia e misericordia vanno insieme, non si possono distinguere, sono insieme: giustizia è giustizia, misericordia è misericordia, ma l’una senza l’altra non si trova. E parlando dell’uomo della giustizia e della misericordia, pensiamo quanto ha fatto san Giovanni Paolo II perché la gente capisse la misericordia di Dio. Pensiamo come lui ha portato avanti la devozione a santa Faustina”, la cui memoria liturgica ora è estesa a tutta la Chiesa. Con il papa hanno concelebrato il card. Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano e arciprete della Basilica vaticana, il card. Konrad Krajewski, elemosiniere apostolico, mons. Piero Marini, per 18 anni maestro delle celebrazioni liturgiche durante il pontificato di Giovanni Paolo II, e l’arcivescovo mons. Jan Romeo Pawłowski, capo della terza Sezione della Segreteria di Stato che si occupa del personale diplomatico della Santa Sede. R.I.