2 Aprile 2025 - Ricorrono oggi i 20 anni dalla morte di Karol Wojtyla, san Giovanni Paolo II. Nei suoi 27 anni di pontificato, come scrivevamo nel 2020, papa Wojtyla "non ha mancato di portare l’attenzione sul mondo della mobilità umana: dai migranti, ai fieranti, agli immigrati, etc. Ma anche al mondo dell’emigrazione italiana come ha fatto visitando Canale d’Agordo, il paese natale del suo predecessore, Giovanni Paolo I. In quell’occasione, era il 26 agosto 1979, parlò di una terra che dopo la prima guerra mondiale fu di 'perdurante e sempre triste necessità dell’emigrazione, sia essa permanente o stagionale'".
Sono molti i riferimenti ai temi cari alla Fondazione Migrantes nel suo magistero pontificio. Così li ricordava mons. Giancarlo Perego nei giorni della canonizzazione di Giovanni Paolo II:
Le parole più ripetute risultano essere: accoglienza, tutela della dignità di ogni persona nel lavoro, nella famiglia, rispetto, integrazione. Fin dal suo primo discorso all’ONU, il 2 ottobre 1979, ribadirà tra i diritti fondamentali della persona, "il diritto alla libertà di movimento e alla migrazione interna ed esterna". Nella prima enciclica, la Laborem exercens, nel novantesimo della pubblicazione della Rerum Novarum di Leone XIII (1981), Giovanni Paolo II ribadirà, al n. 23, come "l’uomo ha il diritto di lasciare il proprio paese d’origine per vari motivi – come anche di ritornarvi – e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese". Nella stessa enciclica sottolineerà che "nel rapporto di lavoro con il lavoratore immigrato devono valere gli stessi criteri che valgono per ogni altro lavoratore in quella società. Il valore del lavoro deve essere misurato con lo stesso metro, e non con riguardo alla diversa nazionalità, religione o razza". Sempre nel 1981, nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, il Papa ricordava il necessario impegno che si deve avere verso diverse categorie "di famiglie di migranti per motivi di lavoro; di famiglie di quanti sono costretti a lunghe assenze, quali ad esempio i militari, i naviganti, gli itineranti d’ogni tipo; delle famiglie dei carcerati, dei profughi e degli esiliati" (n.77). E concludeva: "Le famiglie dei migranti… devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa la loro patria. E’ questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità". Quello della famiglia emigrata è il tema anche del Messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni del 1986, dove il Papa ha un ricordo particolare – e di grande attualità – per "le drammatiche condizioni di vita delle famiglie relegate nei campi profughi, dove è impossibile progettare il futuro per tutti i membri della famiglia". Nella lettera enciclica Redemptoris missio, al n. 37, Giovanni Paolo II rileva come le migrazioni sono "fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo” e producono un fatto nuovo: “i non cristiani aggiungono assai numerosi nei paesi di antica cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali, sollecitando la Chiesa all’accoglienza, al dialogo, all’aiuto e, in una parola, alla fraternità”. Una cura per i migranti, una accoglienza aperta, soprattutto per i più disperati, che è molto presente nell’omelia della beatificazione del vescovo Giovanni Battista Scalabrini (1997) e nei discorsi e nel messaggio del Giubileo del 2000, fino ad arrivare al suo ultimo Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2005, quasi un testamento sulle migrazioni, dedicato al tema dell’integrazione interculturale.Scriveva, infatti in quel Messaggio, Giovanni Paolo II: "Nelle nostre società investite dal fenomeno globale della migrazione è necessario cercare un giusto equilibrio tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui. E’ infatti necessario riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente con la tutela dell’ordine da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini. Si devono infatti escludere sia i modelli assimilazionisti, che tendono a fare del diverso una copia di sé, sia i modelli di marginalizzazione degli immigrati, con atteggiamenti che possono giungere fino alle scelte dell’apartheid. La via da percorrere è quella della genuina integrazione, in una prospettiva aperta, che rifiuti di considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoni".