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Pandemia e stato sociale

13 Maggio 2020 - Andria - Nell’ultimo decennio e soprattutto negli anni più vicini a noi, lo “stato sociale” delle nostre Città è stato ridotto a “modello di sopravvivenza” ed oggi è imploso del tutto. Senza che siano diminuite le povertà tradizionali arginate con forme di assistenzialismo, (bonus alimentare, utenze, fitto casa ecc...) oggi sono emerse nuove povertà che riguardano coppie di giovani senza futuro, piccoli imprenditori, commercianti indebitati e lavoratori a nero, diversi costretti pur di portare il pane in tavola, non tutelati. Dobbiamo arginare la crisi sociale, economica, relazionale, lavorativa provocata dall’emergenza corona virus. Certamente non basterà. Una crisi che potrebbe durare anni. Questa emergenza ci costringerà a modificare la nostra società, ma anche l’attuale sistema economico, che genera precarietà, fragilità e nuove e antiche emarginazioni. È una sfida. Non possiamo permettere che in tanti debbano accontentarsi delle briciole, del pacco viveri o bussare continuamente alla porta della solidarietà e carità. Dobbiamo in primis ridare dignità a tutti, dobbiamo, oltre a sconfiggere il virus, debellare le ingiustizie e gli squilibri. In tanti forse non riusciranno a beneficiare degli sperati aiuti e sostegni: lavoratori con scarse tutele; famiglie numerose; famiglie giovani, con bimbi piccoli; senza fissa dimora; lavoratori stagionali. Aver deciso di tenere aperto il Centro di Ascolto della Casa Accoglienza “S. M. Goretti” della diocesi di Andria ha dato una possibilità di non lasciare isolati chi è solo ed è più fragile in queste ore non del tutto luminose. Infatti con l’inasprirsi della crisi economica e sociale da Covid 19, il Centro di Ascolto ha visto un forte aumento di nuove presenze, quelli della “prima volta”, in situazioni di impoverimento o dalla necessità di far fronte ad emergenze economiche di ogni genere. Un allargamento e una diversificazione della povertà che complicano e preoccupano il presente e il futuro di tanti Comuni Italiani. Tale situazione, non solo può accrescere il divario tra inclusi ed esclusi ma può anche allargare aree di conflitto sociale, generando odio e disprezzo nei confronti dell’altro e delle Istituzioni compresa la Chiesa. Ecco perché oggi lo “stato sociale” delle nostre comunità cittadine deve dare risposte concrete a tutti quei cittadini caduti in povertà. È necessario individuare linee strategiche di indirizzo comunale, come hanno fatto diversi Comuni, attraverso la partecipazione attiva di organizzazioni sociali, imprenditori, enti no profit ecc ... e ripensare una visione cittadina, che tenga insieme salvaguardia di diritti, di legalità, di ambiente, di salute e di impresa. Il coinvolgimento della base sociale sarà vitale per il post emergenza, altrimenti si rischia di nebulizzare risorse, competenze e attività e accentuare per di più il fenomeno delle diseguaglianze economiche e sociali della Polis.   Don Geremia Acri – direttore Migrantes Andria - e i volontari

Cei: aiuto ai Paesi africani e altri Paesi poveri nell’emergenza coronavirus

13 Maggio 2020 -
Roma - La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, dopo il primo intervento pari a 6 milioni di euro, ha deciso lo stanziamento di ulteriori 3 milioni di euro, provenienti dai fondi dell’otto per mille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, per aiutare i Paesi africani e altri Paesi poveri nell’attuale situazione di crisi mondiale.
Nella consapevolezza che, a causa della pandemia, la situazione già drammatica di tali Paesi può divenire devastante, la Presidenza Cei ha incaricato il Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo e la Caritas Italiana di elaborare una strategia d’azione che permetta di incrementare il numero dei progetti, selezionandoli tra quelli presentati dagli ospedali e dalle istituzioni cattoliche operanti sul territorio e ritenuti validi dopo la prima manifestazione di interesse.
Gli ambiti di intervento restano quelli sanitario e formativo. Considerata la gravità della circostanza, i progetti finanziati dovranno essere finalizzati entro tre mesi dall’erogazione del contributo richiesto.

Mons. Bellandi in visita al circo Togni: la testimonianza del presule

11 Maggio 2020 - Salerno - Ho avuto modo di fare visita due volte al Circo Lidia Togni, presente a Salerno per una tournée dal 14 febbraio e poi rimasto qui bloccato a causa dell’epidemia del Coronavirus. Domenica 16 febbraio, in tempi ancora “non sospetti”, sono passato per salutare quei bambini con disabilità e le loro famiglie, gentilmente invitati ad uno spettacolo di beneficenza dalla storica Famiglia Togni presieduta da Vinicio Togni Canestrelli. La seconda visita, in piena emergenza pandemia, ho ritenuto importante farla per far sentire la vicinanza della Chiesa e della città di Salerno a questa particolare realtà, composta da famiglie e animali, rimasta bloccata in quello spazio aperto adibito ai previsti spettacoli. (https://www.migrantesonline.it/2020/05/11/migrantes-salerno-campagna-acerno-mons-bellandi-in-visita-al-circo-togni/, ndr) Sono rimasto favorevolmente colpito dal clima sereno che vi ho trovato e dalla gratitudine mostrata dalla Direzione per l’attenzione con cui la comunità salernitana stava venendo incontro alle necessità del Circo, particolarmente offrendo aiuti alimentari sia per le persone ivi presenti, sia per gli animali al seguito. Ho potuto visitare gli ambienti e intrattenermi con il Direttore Vinicio Togni, dal quale sono uscite solo espressioni cordiali di ringraziamento e mai di lamento o di insofferenza. Mi auguro che presto, superata l’emergenza di questo periodo, l’attività del Circo possa riprendere, sia per garantire ai suoi addetti un atteso quanto necessario sostentamento economico, sia per offrire nuovamente momenti di serenità e spensieratezza ai tanti amanti di questa storica realtà, che ha accompagnato intere generazioni di bambini e giovani (ma non solo) con i propri spettacoli. Mons. Andrea Bellandi Arcivescovo Salerno-Campagna- Acerno    

Tv2000: torna “Today” con i racconti degli italiani all’estero

9 Maggio 2020 -
Roma - Tra l’emergenza sanitaria ancora in atto e i primi tentativi di ripresa, i Paesi alle prese con il Covid-19 attraversano fasi diverse. Sono però uniti dalla riscoperta della propria fragilità. Se ne parla a 'Today', l’approfondimento sull'attualità internazionale che torna su Tv2000 con una veste rinnovata e una nuova collocazione: oggi, sabato in seconda serata. 
Dalle aperture della Svezia al coprifuoco in Perù, passando per le decisioni nazionali sulle attività da riaprire e quelle da tenere chiuse, ogni Paese sta affrontando l’emergenza Covid -19 in modo diverso. Le testimonianze di molti italiani all'estero sono il filo rosso di 'Today', che cerca di raccontare la pandemia anche nelle parti del mondo più dimenticate e di analizzare i problemi aperti: il ruolo dell’Europa, le tensioni internazionali, l’impatto delle chiusure sull’economia e in particolare sulla vita quotidiana delle persone a varie latitudini, la fatica dei ceti più poveri.

Italiani ad Annecy nell’epoca del Coronavirus

8 Maggio 2020 - Annecy - La vita spesso ci tempra con esperienze che sono al limite della nostra sopportazione fisica e psicologica. E’ un attimo lasciarci sprofondare nelle sabbie mobili dello sconforto, dell’ansia, della paura e delle preoccupazioni. Prima del Confinamento dovuto al Coronavirus, qui ad Annecy, cittadina situata in Alta Savoia (Francia), la vita sociale era molto vivace ed intensa. Nell’agglomerato esiste una grande comunità di emigrati italiani: tutti più o meno integrati con la comunità francese, ma le cui origini italiane rivestono una grande importanza anche nella vita sociale. Prima dell’11 marzo di questo funesto 2020 miriadi di avvenimenti culturali ed associativi portavano nella nostra vita quotidiana la nostra Bella Italia: nel mese di ottobre di ogni anno, ad esempio, uno degli avvenimenti culturali più importanti è il Festival del Cinema Italiano, manifestazione che ogni anno presenta un ampio panorama della produzione cinematografica italiana ed offre ad un vasto pubblico anteprime di film di registi italiani e la presenza ad Annecy di attori italiani di fama internazionale, come Pierfrancesco Favino nel 2019. Varie associazioni di Annecy organizzano durante tutto l’anno incontri per la visione di Film Cult Italiani, o serate gastronomiche con la degustazione di prodotti o piatti tipici italiani e non mancano le innumerevoli conversazioni, rigorosamente in lingua italiana, concernenti le città, gli artisti e gli autori italiani. Ci si trova la Domenica mattina in Chiesa per partecipare alla Messa in lingua italiana, pregare insieme, sentire il calore dell’amicizia, scambiarci le ultime notizie e progettare gli avvenimenti della comunità della Missione Cattolica. Dall’11 marzo più nulla: tutto si è fermato. Anche qui le strade sono deserte, si esce da soli, a piedi, per poco tempo, con la bocca che, coperta da una mascherina, non può donare nemmeno un sorriso. Ma…siamo italiani…e non possiamo rinunciare a vederci, a parlare, a pregare…Così, tramite i social la nostra vita, seppur cambiata nelle modalità, non è variata nella sostanza. La domenica mattina, alle 11, ci si collega, via internet, alla Missione Cattolica Italiana e si partecipa alla Santa Messa officiata da don Pasquale Avena, il responsabile della Mci: preghiamo insieme, insieme facciamo la Comunione Spirituale, insieme riceviamo la benedizione dal nostro sacerdote che, ogni domenica, ci invia anche sul cellulare la sua omelia sul Vangelo della Domenica. E ci aiuta a riflettere sul nostro cammino di cristiani. E tramite il cellulare o altre piattaforme parliamo con gli anziani, magari soli a casa, o con i nostri famigliari o gli amici, siano essi qui ad Annecy o in Italia o con i parenti che abitano ancora nei nostri luoghi di origine, dove vorremmo tornare, come ogni anno, per le vacanze estive. E siamo consapevoli che ognuno di noi può, con un comportamento responsabile, far sì che la vita riprenda nella sua normalità e che potremo riabbracciare le persone amate, magari con un nuovo modo di vivere, con più attenzione e sensibilità, con un cuore nuovo.

                                                                                                                              Gabriella Rasi

Modena: Richiedenti asilo realizzano mascherine per bambini e non udenti

8 Maggio 2020 - Modena – Tante le iniziative di solidarietà in questo periodo di pandemia come la confezione di dispositivi di protezione individuale per i bambini più piccoli o per i non udenti. A realizzarle a Modena i richiedenti asilo e volontari di diverse associazioni di volontariato del territorio. Il progetto, riferisce l’agenzia Dire, vede collaborare fra loro richiedenti asilo ospiti dei Cas di Modena, alcune comunita' straniere, come quella bengalese, quella filippina e la comunità turca tramite l'associazione Milad, il Csv Terre Estensi, Arci Solidarietà di Castelfranco Emilia, il gruppo anziani degli orti di Sant'Agnese e San Damaso e Croce Blu di Modena. Il progetto promosso dall'assessorato alle Politiche sociali del Comune di Modena attraverso il centro stranieri, e l'attività è inserita tra quelle finalizzate a promuovere l'integrazione.

Mci Roubaix: la testimonianza di Leonardo guarito da Covid19

8 Maggio 2020 - Roubaix - Sono Leonardo, 55 anni, figlio di emigrati italiani, cresciuto fin da piccolo nell’ambito della Missione Cattolica italiana di Roubaix dove nella mia giovinezza ho avuto il missionario don Ferruccio Sant come guida e ora sono medico specialista in ematologia, e curo i pazienti affetti da leucemia. Da 22 anni lavoro al Centro Ospedaliero Universitario di Lilla. Nel mio lavoro mi occupo prevalentemente di trapianti di midollo osseo e nel mio reparto ne eseguiamo più di cento all'anno. I nostri pazienti colpiti da questa malattia richiedono cure mediche molto approfondite che riempiono le mie lunghe giornate in ospedale. Lo scoppio della pandemia di Covid-19 mi ha provocato sofferenza perché ha colpito fortemente prima di tutto il paese di origine dei miei genitori ancora viventi qui in Francia e anche perché anche io sono italiano. Quando questa pandemia ha colpito la Francia, mi sono subito offerto volontario per curare i pazienti infetti ricoverati nell'ospedale dove lavoro. E cosi mi sono trasferito all'unità COVID per adempiere quello che considero un dovere e per aiutate i medici. Qualche settimana dopo mi sono ammalato anch'io di questa infezione virale e ho dovuto assentarmi dal lavoro per tre settimane e vivere in quarantena in famiglia:  ho tre figli, due femmine e un maschio. Per fortuna non sono stato ricoverato perché non ho avuto complicazioni respiratorie. Questo periodo mi ha permesso di rileggere la mia vita quotidiana, una vita che assomiglia a molte persone di oggi. Ho misurato quanto siamo prigionieri di questa società consumista e individualista e quanto abbiamo dimenticato di guardarci attorno e di “andare” verso gli altri. Ora sto bene e non esiterò a tornare di nuovo in questa unità di malattia per continuare la mia missione e cioè quella di curare. (Leonardo)  

Tutti i diversi colori essenziali

8 Maggio 2020 -

Milano - Aprendo la porta di casa una volta la settimana trovo una cassetta di frutta e una di verdura, provenienti da un produttore ecologico del territorio e depositate prima dell’alba da un trasportatore di cui conosco solo il nome: Marcos. Chiara l’origine, ispanica.

È passato il 1° maggio, e in vari commenti sono stati ricordati i lavoratori oggi giustamente definiti 'essenziali' che stanno assicurando servizi di vitale importanza per la nostra sopravvivenza in questo tempo sospeso. Lavoratori spesso umili, malpagati, dall’occupazione precaria se non addirittura irregolare. I riflettori però non si sono accesi compiutamente sulle origini di questi lavoratori: su quanto cioè tra i lavoratori essenziali incida la componente di origine straniera.

Se complessivamente gli immigrati rappresentano il 10,6% dell’occupazione regolare del nostro Paese (in cifre, 2,45 milioni), proprio nei settori cruciali per il funzionamento quotidiano della società e nei lavori manuali che li sostengono il loro lavoro è ancora più determinante. L’agricoltura è il caso più noto: 17,9%, senza contare l’occupazione non dichiarata. Allo stesso livello i servizi alberghieri. Ma il dato s’impenna in quelli che l’Istat definisce 'servizi collettivi e personali': 36,6%. Troviamo qui il fenomeno delle assistenti familiari, dette riduttivamente badanti, ma anche altre categorie non adeguatamente riconosciute: in molte regioni, per esempio, gli addetti alle mansioni ausiliarie della sanità e dell’assistenza residenziale. Ricordiamo giustamente i medici in prima linea, spesso gli infermieri (in Lombardia, anche fra di loro uno su tre è immigrato), ma se gli ospedali e le Rsa funzionano è anche grazie al lavoro semi-nascosto di questi operatori di base, che pure si sono esposti al rischio di contagio per attendere ai loro compiti. Pulizie, magazzini, servizi di recapito sono altri settori a elevata incidenza di lavoro immigrato: di tutti stiamo scoprendo la necessità, la scarsa visibilità pubblica, le modeste ricompense. Non sempre l’origine di chi li svolge: se si vuole, il colore.

Negli Stati Uniti, un rapporto del Center for Migration Studies di New York uscito proprio il 1° maggio ha reso noto che gli immigrati stranieri forniscono 19,8 milioni di lavoratori ai settori strutturalmente essenziali, concentrati proprio negli Stati più colpiti dalla pandemia. Sono per esempio il 33% dei lavoratori della sanità dello Stato di New York e il 32% in California. «Nel mezzo della pandemia e nei luoghi in cui sono più necessari, gli immigrati stanno lavorando per fermare la diffusione del Covid-19 e per sostenere i loro concittadini statunitensi, spesso con grande rischio personale – ha dichiarato Donald Kerwin, direttore esecutivo del Centro. Questi stessi lavoratori saranno essenziali per la ripresa economica. Meritano il nostro sostegno e la nostra gratitudine».

Impegniamoci anche noi: prima di tutto, a riconoscere ora il loro apporto più di quanto non sia fin qui avvenuto; poi, a non dimenticarcene quando usciremo dall’emergenza; e infine, a rimuovere ingiustizie e discriminazioni. Per esempio nelle norme sulla cittadinanza. La società sta insieme e funziona se le sue diverse componenti collaborano e si sostengono a vicenda. (Maurizio Ambrosini - Avvenire)

 

Mons. Russo: “con governo dialogo continuo”

7 Maggio 2020 - Roma - “Con la presidenza del Consiglio dei ministri c'è stato un dialogo continuo. Anche con il Comitato tecnico-scientifico è stato fatto un lavoro molto importante che ci ha permesso di arrivare a questo protocollo condiviso che contiene degli elementi che permettono di tornare a celebrare le messe”. Lo ha detto il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, in un'intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei, commentando la firma di stamane a Palazzo Chigi del protocollo che permetterà la ripresa delle messe con il popolo dal 18 maggio. “È stato importante – ha aggiunto mons. Russo - aver definito adesso questo protocollo con un certo anticipo. Questo permette alle comunità di prepararsi e di verificare la propria situazione. E' stato importante anche aver dato come data d'inizio un giorno feriale in modo tale da permettere alle comunità di fare una verifica”. “L'attenzione alla salute delle persone – ha spiegato mons. Russo a InBlu Radio - non deve mai venire meno perché stiamo ancora vivendo un'emergenza planetaria che richiede a tutti l'attenzione all'altro. E siccome la Chiesa è esperta in questo con senso di responsabilità anche le comunità cristiane possono tornare a celebrare l'eucarestia. Penso sia un segno bello il fatto di essere arrivati a questo protocollo”. “In questo tempo – ha concluso mons. Russo a InBlu Radio - abbiamo visto una Chiesa che è scesa in campo sul fronte della prossimità in tante dimensioni: quello della carità, dell'attenzione all'altro e all'ultimo. Ma anche una prossimità che si è concretizzata in modo significativo attraverso le possibilità offerte dai media e dai social. In un tempo in cui siamo stati costretti all'isolamento lo scendere in campo della Chiesa ha messo in evidenza una valenza straordinaria che questi mezzi hanno di poter mettere in dialogo tantissime persone”.

Rischio povertà per circensi e lavoratori delle giostre: l’appello di Migrantes

7 Maggio 2020 - Roma – Circensi e lunaparkisti “già vivono ai margini della nostra società, dei nostri Paesi, molte volte accompagnati anche da forti pregiudizi. Sono persone, famiglie, in questo momento, ancora più vulnerabili, perché non possono lavorare in quello che è il periodo più proficuo per loro, tra l’altro vengono da un Natale che non è andato molto bene”. A dirlo a VaticanNews don Mirko Dalla Torre, membro della Consulta nazionale per la pastorale dello Spettacolo Viaggiante della Fondazione Migrantes che in questo periodo, insieme a Caritas Italiana, è stata a loro fianco per aiutarli nei bisogni più urgenti. Circensi e lunaparkisti oggi dicono di “essere carichi”, una frase che ha un significato negativo: significa, spiega il sacerdote, avere i camion con la merce a bordo, nessuna giostra montata, nessun tendone del circo alzato perché, per il Covid-19, ogni è attività ferma. Si tratta di circhi e giostre che oggi si trovano in varie città italiane e anche all’estero con le loro carovane e spesso con difficoltà a chiedere il contributo dei “buoni spesa” ai comuni di residenza, considerata la distanza dal luogo dove ora sostano. Le conseguenze economiche, per tutte queste realtà fragili, sono drammatiche, spesso si tratta di lavoratori che vengono dimenticati e che potranno ritornare a lavoro soltanto tra molti mesi. Una situazione , dicono la Fondazione Migrantes e la Caritas, grave dal punto di vita economico, privo come è di qualunque forma di reddito e, tuttavia, con spese rilevanti.  Nell’intervista il sacerdote ricorda come “da Giovanni XXIII fino a Papa Francesco, nel pensiero dei Papi gli esercenti dello spettacolo viaggiante ci siano sempre stati”, e ricorda quando, nel 2017, Bergoglio, ricevendoli in udienza, li definì “gli artigiani della gioia e della festa”. “Lui ha un occhio di riguardo per i poveri, in questo momento mettiamoci dentro anche loro, non lavorano, sono fermi da tanti mesi”, afferma don Dalla Torre. Migrantes e Caritas stanno guardando a questa gente, alla gente del viaggio, gente buona e accogliente, che porta gioia e festa nelle nostre piazze”.

Cei: dal 18 maggio celebrazioni con il popolo. Firmato a Palazzo Chigi il Protocollo

7 Maggio 2020 -

Roma - È stato firmato questa mattina, a Palazzo Chigi, il Protocollo che permetterà la ripresa delle celebrazioni con il popolo.

Il testo giunge a conclusione di un percorso che ha visto la collaborazione tra la Conferenza Episcopale Italiana, il Presidente del Consiglio, il Ministro dell’Interno - nello specifico delle articolazioni, il Prefetto del Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione, Michele di Bari, e il Capo di Gabinetto, Alessandro Goracci - e il Comitato Tecnico-Scientifico. Nel rispetto della normativa sanitaria disposta per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, il Protocollo indica alcune misure da ottemperare con cura, concernenti l’accesso ai luoghi di culto in occasione di celebrazioni liturgiche; l’igienizzazione dei luoghi e degli oggetti; le attenzioni da osservare nelle celebrazioni liturgiche e nei sacramenti; la comunicazione da predisporre per i fedeli, nonché alcuni suggerimenti generali. Nel predisporre il testo si è puntato a tenere unite le esigenze di tutela della salute pubblica con indicazioni accessibili e fruibili da ogni comunità ecclesiale. Il Protocollo - firmato dal Presidente della CEI, Cardinale Gualtiero Bassetti, dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese - entrerà in vigore da lunedì 18 maggio 2020. “Il Protocollo è frutto di una profonda collaborazione e sinergia fra il Governo, il Comitato Tecnico-Scientifico e la CEI, dove ciascuno ha fatto la sua parte con responsabilità”, ha evidenziato il Cardinale Bassetti, ribadendo l’impegno della Chiesa a contribuire al superamento della crisi in atto. “Le misure di sicurezza previste nel testo – ha sottolineato il Presidente Conte – esprimono i contenuti e le modalità più idonee per assicurare che la ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo avvenga nella maniera più sicura. Ringrazio la CEI per il sostegno morale e materiale che sta dando all’intera collettività nazionale in questo momento difficile per il Paese”. “Fin dall’inizio abbiamo lavorato per giungere a questo Protocollo - ha concluso il Ministro Lamorgese -: il lavoro fatto insieme ha dato un ottimo risultato. Analogo impegno abbiamo assunto anche con le altre Confessioni religiose”.      

Don Acri: l’opera meravigliosa del servizio alla carità

7 Maggio 2020 - Andria - La liturgia, l'Eucarestia i sacramenti non possono essere rinchiusi in un luogo perché la liturgia è mistero di passione morte resurrezione è vita e oggi, in questo tempo di preoccupazione e tristezza, è celebrata e vissuta nei tanti ospedali sparsi sul nostro territorio come anche in tutti quei luoghi di carità e solidarietà. Il Corpo di Cristo, custodito nei tabernacoli delle nostre cattedrali delle nostre chiese, oggi più che mai è presente in tanti uomini e donne: tabernacoli viventi, presenza viva di un Dio amante della vita che è in mezzo a noi e con noi e continua a fasciare le nostre ferite con olio di consolazione e vino di speranza. In tutta questa tristezza e apprensione c'è un motivo di bellezza e gioia: i volontari della carità non hanno abbandonato. Continuano l'opera meravigliosa del servizio. Tutti i luoghi della Carità sono diventati luoghi di liturgia, di chiesa viva che, nonostante il fermo delle celebrazioni con la presenza del popolo di Dio, continua a celebrare. Infatti con i volontari e gli ospiti in questi giorni sto riscoprendo una rinnovata bellezza e una nuova modalità di essere prete, con loro e per loro.  In questo luogo della carità si celebra la grande liturgia: le mani alzate per offrire il pane quotidiano, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, il pane spezzato sulla tavola della mensa e condiviso, il corpo di Cristo dato per il nostro nutrimento, l’acqua che bagna corpo e piedi, l’unzione che rinfranca e ridona vita, la voce dei volontari, sacramento dell’accoglienza e dell’amore di Cristo che si china per lavarci i piedi. La speranza è virtù che ci conduce a scoprire un senso al vivere, che ci permette di rialzarci, comunque e nonostante tutto e anche quando pare smarrita va cercata, scoperta e alimentata perché germogli. La speranza ci dà la possibilità di accettare il morire di qualcosa e cambiare perché altro sia possibile. “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Ma questo sia fatto con dolcezza, rispetto e retta coscienza” (dalla prima Lettera di S. Pietro Apostolo 3,15-17).

Don Geremia Acri

Direttore Migrantes Andria

 

Migrantes Bergamo: coronavirus nella Bergamo multiculturale

7 Maggio 2020 - Bergamo - Lo scoppio dell’emergenza sanitaria e il suo protrarsi nel tempo hanno imposto alla società di riorganizzarsi e di attivarsi perché, prima durante e dopo l’emergenza, nessuno venisse lasciato indietro. Grazie allo specifico dell’Ufficio Migrantes e in collaborazione con l’Ufficio per il Dialogo Interreligioso della diocesi di Bergamo, hanno voluto valorizzare le iniziative di comunità e di solidarietà messe in atto dalle comunità cattoliche di altra madrelingua presenti in diocesi così come anche da comunità di altra fede o confessione. Grazie alla comunicazione in più lingue, dal francese al punjabi, dall’arabo all’italiano, queste azioni o campagne raggiungono diverse persone che, grazie al legame con chi è immigrato in Italia, decidono di aiutare anche a distanza, spiegano alla Migrantes di Bergamo. Eccone alcune. La comunità cattolica africana francofona di Bergamo ha lanciato una raccolta fondi per sostenere l’Ospedale Papa Giovanni XXIII. L’obiettivo era coinvolgere, soprattutto grazie al passaparola, tutte le persone africane francofone. La comunità cattolica filippina di Bergamo ha fatto partire un’esperienza di solidarietà locale attraverso la raccolta e distribuzione di generi di prima necessità a famiglie colpite dagli effetti economici dell’epidemia. La comunità cattolica latino-americana di Bergamo è una comunità internazionale ed eterogenea, ricca di gruppi, feste e tradizioni. Molte persone hanno lavorato come volontari. Sono nati gruppi di preghiera per sostenersi nella fede in questo tempo di prova. Il passaparola ha permesso il circolare delle informazioni utili e istituzionali per affrontare l’emergenza. Sono partite raccolte fondi che, grazie all'appoggio della Missione Santa Rosa da Lima aiuteranno chi è in difficoltà e chi è in prima linea con beni alimentari e mascherine. Molte comunità musulmane di Bergamo si sono attivate per sostenere il territorio cittadino e provinciale. Le iniziative spaziano dalle raccolte fondi per gli enti in prima linea, alla donazione di focacce o cous cous agli operatori sanitari, dal sostegno alle reti di distribuzione di generi di prima necessità all'aiuto nei compiti a distanza per le famiglie in difficoltà. non mancano testimonianze di musulmani che, personalmente, si sono attivati come volontari sia nei Comuni che all’ospedale della Fiera di Bergamo. La comunità sikh sostiene grazie alle donazioni dei fedeli l’ospedale di Bergamo, la Protezione Civile di Cortenuova e l’Avis regionale. La comunità Ravidassia con sede (e luogo di culto) a Cividino trasforma la festa della nascita di Staguru Ravidasji in un’occasione per raccogliere fondi e generi alimentari per sostenere gli ospedali e le famiglie del territorio in difficoltà.    
   

Che ritornino le giostre (non di solo pane e vaccino)

6 Maggio 2020 - Milano – Che ritornino le giostre (non di solo pane e vaccino)   Milano – Quando arrivo con il furgone del Banco di Solidarietà di Bologna, con cui svolgo un piccolo gesto di carità, lui mi viene incontro in camicia e con un sorriso mesto, dietro c’è una donna minuta, sua madre. Scarichiamo un po’ di pasta, passata di pomodoro, biscotti, altre cose. Mi hanno detto che sono in sedici in alcune roulotte nascoste dietro un cancello alla periferia della città. È la seconda volta che li vedo, rapidamente, con le mascherine, ma una pacca sulla spalla ci sta. Mi dice che suo padre, in un certo senso capo tribù, non sta bene. Cosa fate di mestiere? chiedo. I giostrai. E la parola suona quasi assurda in un tempo di pandemia, di distanze fisiche, smart working, telelavoro e collegamenti in remoto. Tutto fermo, dice dopo che abbiamo finito di scaricare e la donna minuta rientra nel cancello. Tutte le fiere sono ferme, saltate. Quando gli dico che sono romagnolo si mette a elencare i paesi sulle colline romagnole dove sarebbe dovuto andare a montare la sua giostra in questi mesi. E io penso a quella cosa antica e misteriosa, che si trova ancora nelle piazze, anzi che ultimamente era più presente, in fogge anticheggianti ed eleganti, in molti centri storici. Una gioia semplice e vivace, capace di suscitare i sentimenti contrastanti di stupore e nostalgia. Non a caso le giostre e i lavoratori sono stati spesso oggetto e figure della poesia. Abbiamo dovuto spegnere anche le giostre, spegnerne le luci minime e meravigliose. Si sono spenti grandi grattacieli sedi di compagnie potenti, si sono spenti grandi teatri, si sono spente le piste maestose di aeroporti. E anche loro, forse un po’ dimenticate, le giostre, si sono spente. Ed è un segno malinconico. Che smart working può mai fare un lavoratore delle giostre? La giostra in Facebook non esiste. Le giostre ferme sembrano quasi dire che il maledetto virus si porta via anche la gioia più semplice, più innocua. Che male hanno fatto mai le giostre coi bambini sopra, capaci di affascinare con quel girotondo di sorrisi, di cavalli o elefantini o strani veicoli finti e reali nella fantasia? Un paese senza giostre è insopportabile, sembra privato del più elementare dei diritti, quello di sognare. E non vogliamo che sia così. Possono toglierci tutto ma non quello. E infatti bisogna sostenere i lavoratore delle giostre, anche con la carità. Ma vorrei che un giorno il capo del governo si presentasse all’ora di punta in tv e dicesse solo una cosa: abbiamo fatto un decreto: riaprono le giostre. Perché finché non riaprono ci mancherà qualcosa di essenziale. Lo so, c’è la tendenza a valutare tutto quel che riguarda l’arte come fosse intrattenimento, l’ultima cosa da consentire. Ma non è così, non di solo pane e vaccino vive l’uomo. Almeno l’uomo che abbiamo conosciuto fino adesso, che non accetta di esser schiavo della Necessità. Finché non ci sarà la Fase Giostre, finché non riparte il loro giro musicante, il Paese non sarà ripartito. Lo dobbiamo alla piccola donna che è uscita dal cancello, mentre già ero sul furgone, per venire a ringraziare. (Davide Rondoni – Avvenire)

Jaime e il “di più” che cambia tutto quando il male si trasforma in bene

6 Maggio 2020 - Milano – “Gli uomini sanno che moriranno, ma non ci credono”. Queste parole di Fabrice Hadjadj mi sembrano un ottimo modo per descrivere l’attuale fase del mondo e della nostra vita, i mesi che abbiamo alle spalle e, purtroppo, quelli che ancora ci aspettano. In questi giorni abbiamo imparato tanto su virus e coronavirus. Non sapevamo che, dietro le nostre tranquille influenze, ci fossero dei killer così temibili, ma l’abbiamo scoperto da quando abbiamo visto come la morte può passare molto vicino a noi e ai nostri cari. Le conoscenze che si sono ampliate però, non sono solo quelle della biologia e della medicina. Abbiamo anche scoperto di avere esistenzialmente uno sguardo “religioso” e, poiché la fine di tutto ciò non sarà rapida, abbiamo l’occasione, approfondendolo, di liberarci da quella cappa resistentissima con la quale prima, quasi senza volerlo, ci immunizzavamo così facilmente dalle grandi domande. Il senso religioso è il nerbo della nostra vita, ce lo ritroviamo in ogni gesto anche minimo della giornata. Non è solo quello che sta dietro l’accoglienza degli immigrati o la riapertura delle Messe, ma è quello che anima l’altruismo, il sacrificio, l’impegno, di medici e infermieri, di tutti quelli che si impegnano per combattere la pandemia. Ciascuno di noi, come accade ai reduci di guerra, può raccontare storie drammatiche e bellissime, di dolore e di vita. Come quella che lega tante persone a Jaime Mba Obono, cittadino palermitano nato in Guinea equatoriale. Si era recato in Africa a gennaio per trovare la famiglia di origine e, ammalatosi di coronavirus, si è ritrovato intubato in gravissime condizioni all’ospedale di Malabo, non attrezzato per curare quell’emergenza pur essendo quello della capitale. Chiara, la moglie di Jaime, non si è rassegnata ed è nata una cordata meravigliosa di semplici cittadini e di autorità dello Stato: gli uni hanno raccolto più di 100mila euro, i secondi – e cioè il Ministero degli Esteri insieme al ministero della Difesa – hanno organizzato un volo militare per riportare in Italia il nostro connazionale, che, nel momento in cui scrivo, versa in condizioni critiche non avendo le medicine necessarie per essere curato. Una vicenda come questa – a prescindere dalla conclusione che speriamo positiva – mostra come scienza medica, ricerca, organizzazione, siano necessarie, ma non siano sufficienti. Cure e vaccini servono e non bastano: è il di più del personale sanitario, è il sacrificio di chi assiste i malati, di chi si occupa della logistica, di chi sa servire il prossimo a costo della propria vita, ciò che, in Italia e in tutto il mondo, contrasta la pandemia. È l’altruismo di chi si coinvolge in vicende che sapevamo esistere come lontane e che invece, ora, ci toccano da vicino perché ci riguardano. Le decine di persone che si sono implicate in prima persona, come privati cittadini o come pubblici ufficiali, in una vicenda come quella di Jaime Mba Obono, lo hanno fatto perché la scienza e la fede, l’umano e il divino, il senso religioso e il più schietto senso antropologico si sono incontrati e si sono dati la mano. Questa è la miglior risposta alla domanda se Dio c’entra o meno con il coronavirus, sul perché permetta il male o addirittura se “crea Lui” la pandemia. Se Gesù avesse fatto il prodigio di scendere dalla Croce, come gli chiedevano alcuni, avrebbe fatto un miracolo in più, ma l’essere umano sarebbe rimasto solo, con il suo dolore e con la sua morte. Restando sulla croce, Gesù non spiega nulla, ma accompagna, soffre insieme all’uomo. Le infinite catene di solidarietà che abbiamo scoperto in questi giorni e che ci sforziamo di raccontare e documentare, raccontano sempre, in mille modi diversi, la storia di Cristo. Quella storia per cui solo passando attraverso il male, lo si può trasformare in bene. Si capisce così che il male non è un prezzo da pagare ma spesso, ciò che noi chiamiamo male, è solo un cammino che porta al bene dell’uomo che si stringe all’uomo, dell’uomo che, unendosi a Cristo, può trasformare il male in bene. (Mauro Leonardi - Avvenire)  

Brescia: preghiera corale per l’epidemia

5 Maggio 2020 - Brescia - Riuniti in cerchio con al centro un braciere, simbolo delle rispettive comunità vive che non potevano essere fisicamente presenti. Nei giorni scorsi nel giardino della Curia di Brescia è stata celebrata una preghiera ecumenica e interreligiosa: hanno partecipato alcuni ministri del culto residenti nei confini del Comune di Brescia; idealmente erano presenti anche i monaci buddisti e i rappresentanti Sikh che non potevano raggiungere Brescia in quanto residenti fuori città. Erano presenti: il vescovo Pierantonio Tremolada; Sheik Amen Al-Hazmi, Imam del Centro Culturale Islamico di Brescia; la pastora Anne Zell, della Chiesa Valdese di Brescia; padre Porubin, padre Timis e padre Cirlan delle Chiese Ortodosse presenti in città; don Roberto Ferranti della Migrantes diocesana e don Claudio Zanardini. I ministri, nelle rispettive tradizioni, hanno elevato una preghiera di suffragio per i defunti di questo tempo di emergenza e di protezione per le nostre comunità, condividendo le fatiche vissute per la nostra gente e per il nostro pregare senza comunità che ha caratterizzato tutto questo tempo. Al termine di ogni preghiera, hanno posto sul braciere dei grani di incenso simbolo della preghiera che sale al cielo in nome delle rispettive comunità. Gli ortodossi hanno fatto una preghiera e un canto; la Pastora Valdese ha portato la sua riflessione, l’Imam ha recitato una preghiera così come il Vescovo di Brescia, mons. Tremolada, che ha letto il Salmo 22 (Il Signore è il mio pastore) e una preghiera di suffragio per i defunti. Il Vescovo ha mandato anche un messaggio per l’inizio del Ramadan (23 aprile), il mese di digiuno e preghiera: “Sono sicuro che saprete anche voi imparare da questo ‘digiuno forzato’ della vita comunitaria a riscoprire i valori più grandi dell’ascolto di Dio, Clemente e Misericordioso, nella forma della preghiera personale”. “Mi viene spontaneo – ha commentato don Roberto Ferranti, direttore dell’Ufficio per il dialogo interreligioso e della Migrantes diocesana – ripensare ancora alle parole di Papa Francesco la sera del 27 marzo, parole pronunciate per la città di Roma e per il mondo intero: ‘Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti’. Mi tornano in mente queste parole per descrivere il momento di preghiera che il vescovo Pierantonio ha condiviso con i ministri delle altre chiese cristiane e con i rappresentanti delle altre religioni”. La fede sostiene tutte le religioni nel momento della prova che stiamo vivendo. “Questo esserci trovati tutti sulla stessa barca ci ha fatto sperimentare come la preghiera è stato il denominatore comune che ci ha sostenuto nella fatica che abbiamo affrontato. Noi per la quaresima e la Pasqua, la stessa cosa per i fratelli ortodossi e per la comunità islamica che inizia il mese sacro di Ramadan… Tutti abbiamo dovuto ritrovare un modo per pregare insieme, stando a distanza. Ognuno ha trovato un modo per accompagnare i propri defunti….e per sostenere la fiducia della propria comunità. Per un momento abbiamo sentito l’esigenza di farlo insieme, perché insieme abitiamo questa città e insieme abbiamo guardato verso lo stesso cielo per ritrovare la forza del cammino”. Incontrarsi per dialogare, incontrarsi per conoscersi. “La fraternità che da tempo viviamo nei rapporti reciproci tra chiese cristiane, comunità islamica e altre religioni, si rafforza anche nelle situazioni difficili. Non risolveremo noi i dibattiti teologici delle divisioni, ma sperimenteremo come l’abitare la stessa città ci educa a capire la fraternità concreta dell’essere prima di tutto uomini e donne credenti.

I campi profughi focolai di una doppia emergenza

5 Maggio 2020 - Milano - I più poveri e sfortunati sono quelli che patiscono maggiormente le restrizioni imposte dalla pandemia di Covid-19. Vite portate all’esasperazione, che nei campi per rifugiati più grandi del mondo stanno dando luogo a episodi di violenza sempre più difficili da contenere. Il numero di migranti solo sulle cinque isole greche di fronte alla Turchia (Lesbo, Samos, Kos, Chios, Leros), supera le 40mila unità. Il campo più sovraffollato è quello di Moria, a Lesbos, concepito per accogliere non più di 3mila persone e che ne contiene oltre 14mila, che vivono in condizioni igieniche oltre il precario. Non va meglio sulla rotta balcanica. I campi fuori dalla città di Belgrado in Serbia e a Bihac e Velika Kladusa, in Bosnia Erezegovina, ospitano attualmente oltre 2.000 migranti ormai di fatto in stato di segregazione, ammassati all’inverosimile nei container, in modo tale che l’infezione non esca da quegli spazi angusti. Anche fuori dal Vecchio Continente le immagini e le notizie che arrivano sono desolanti. In Bangladesh c’è il Cox’s Bazar, uno dei campi profughi più grandi del mondo. Ci vivono i Rohingya, la minoranza musulmana scappata dalle persecuzioni in Myanmar: 40mila persone per chilometro quadrato per un totale di oltre 800mila che, dopo essere scampati alla violenza, oltre a patire la fame e vivere di stenti adesso devono anche stare attenti che il coronavirus non si diffonda fra loro. In Yemen non ci sono ancora casi di Covid-19 accertati, ma il timore è che lì l’epidemia possa essere ancora più devastante perché, al sesto anno di guerra, solo la metà degli ospedali è ancora attiva e ha un numero di respiratori molto risicato. Non va meglio oltreoceano. Anche in America Latina ci sono diversi campi per rifugiati, soprattutto lungo la frontiera fra il Messico e gli Stati Uniti, dove vengono inviati i richiedendo asilo negli States, a cui si devono aggiungere quelli nei Paesi confinanti con il Venezuela, in particolare in Colombia e Brasile. Storie di povertà e privazione alle quali adesso si è aggiunta la paura, anche che la situazione possa precipitare. Con l’arrivo della bella stagione, la Grecia teme che riprendano gli sbarchi in massa dalla Turchia, dove il tasso di contagio da Covid-19 è ancora molto alto e la situazione fra i rifugiati poco sotto controllo. Già nel fine settimana scorso, secondo la Mezzaluna, un barcone con 48 persone a bordo sarebbe stato respinto mentre cercava di raggiungere l’isola di Lesbo. Atene due settimane fa, ha già denunciato un tentativo di parte di Ankara di inviare migranti affetti da coronavirus, anche attraverso la frontiera di terra (Marta Ottaviani - Avvenire)

Card. Bassetti: avanti, senza abbassare la guardia

2 Maggio 2020 -
Roma - “Esprimo la soddisfazione mia, dei vescovi e, più in generale, della comunità ecclesiale per essere arrivati a condividere le linee di un accordo, che consentirà - nelle prossime settimane, sulla base dell’evoluzione della curva epidemiologica - di riprendere la celebrazione delle Messe con il popolo”.
Così il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Gualtiero Bassetti, commenta la definizione di un Protocollo di massima, relativo alla graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche.
“Il mio ringraziamento va alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - aggiunge - con cui in queste settimane c’è stata un’interlocuzione continua e proficua. Questo clima ha portato un paio di giorni fa a definire le modalità delle celebrazioni delle Esequie, grazie soprattutto alla disponibilità e alla collaborazione del Ministro dell’Interno e del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione”.
Nel contempo, “un pensiero di sincera gratitudine mi sento in dovere di esprimerlo al Ministro della Salute e all’intero Comitato tecnico-scientifico - prosegue il Cardinale Bassetti-: questa tempesta, inedita e drammatica, ha posto sulle loro spalle un carico enorme in termini di responsabilità”.
“Come Chiesa - riconosce - abbiamo condiviso, certo con sofferenza, le limitazioni imposte a tutela della salute di tutti, senza alcuna volontà di cercare strappi o scorciatoie, né di appoggiare la fuga in avanti di alcuno; ci siamo mossi in un’ottica di responsabilità, a tutela soprattutto dei più esposti. Alla vigilia di quella che ci auguriamo possa essere una rinascita per l’intero Paese, ribadisco l’importanza che non si abbassi la guardia ma, come abbiamo ripetuto in questi mesi, si accolgano le misure sanitarie nell’orizzonte del rispetto della salute di tutti, come pure le indicazioni dei tempi necessari per tutelarla al meglio”.
“Al Paese - conclude il Cardinale Bassetti - voglio assicurare la vicinanza della Chiesa: ne sono segno e testimonianza le innumerevoli opere di carità a cui le nostre Diocesi e Parrocchie hanno saputo dar vita anche in questo difficile periodo; ne è segno pure la preghiera che, anche in forme nuove, si è intensificata a intercessione per tutti: le famiglie, quanti sono preoccupati per il lavoro, gli ammalati e quanti li assistono, i defunti”.

Srilankesi in Italia: la solidarietà del card. Ranjith “all’amato popolo” italiano

2 Maggio 2020 - Roma - La “solidarietà” e la “vicinanza” dal “lontano” Sri Lanka arriva all’Italia dall’arcivescovo di Colombo, Malcolm Ranjith. Attraverso il coordinatore nazionale dei srilankesi in Italia, don Perera Neville, il messaggio video è arrivato alla Fondazione Migrantes e a www.migrantesonline.it. Il porporato sottolinea la “tragedia” che ha colpito, a causa del coronavirus, “l’amato popolo italiano” e la solidarietà e vicinanza in questo “momento difficile”. Italia e Sri Lanka sono “molto vicini: abbiamo costruito dei ponti” a causa anche della forte presenza di lavoratori srilankesi in Italia che “curano gli ammalati, gli anziani e che sono presenti nelle vostre case”. Anche alcuni di loro sono stati colpiti da questa epidemia, ha detto il porporato che ringrazia le famiglie italiane per la fiducia che hanno avuto per i srilankesi i quali hanno la possibilità di inviare soldi nel Paese e quindi aiutare le proprie famiglie. Nello Sri Lanka ci sono zone, “piccole Italie” dove vivono famiglie che hanno i propri congiunti in Italia e questo “ci fa sentire parte dell’Italia”. Il card. Ranjith ricorda anche la devozione dei fedeli del suo paese a Sant’Antonio, molto amato. In Italia, infatti, ogni anno, i srilankesi si ritrovano, in pellegrinaggio, a Padova, alla Basilica del Santo.

Raffaele Iaria

Mons. Russo: il domani chiama in causa la responsabilità di ciascuno

1 Maggio 2020 - Roma - Nel giorno dell’Atto di affidamento dell’Italia a Maria, mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, riflette sul significato di questo gesto per la comunità ecclesiale e civile. Intervistato per i media della Cei dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, mons. Russo spiega la posizione dei Vescovi italiani riguardo alle disposizioni contenute nell’ultimo Dpcm, alla luce dell’invito del Papa alla prudenza e all’obbedienza, e illustra a che punto è l’interlocuzione con il governo per l’elaborazione del Protocollo per le celebrazioni eucaristiche. Infine, si sofferma sul valore della festa dei lavoratori, in un tempo in cui il mondo del lavoro è messo a dura prova dall’emergenza sanitaria, gettando uno sguardo al domani che chiama in causa la responsabilità di ciascuno. Eccellenza, la Chiesa italiana affida il Paese a Maria. Qual è il significato di questo gesto? È un affido che giunge dopo un periodo doloroso, in cui tante persone hanno vissuto nella preghiera questa fase così complicata e difficile. Maria è colei che si fida e si affida al Signore, crede nonostante tutto all’amore di Dio: vogliamo presentarci a Maria e affidare a lei questo tempo, le nostre passioni, la volontà di camminare con lei e come lei verso il Signore. È l’affido di tutte quelle persone che si sono spese per gli altri - pensiamo agli operatori della sanità -, di tante famiglie che vivono situazioni di sofferenza o hanno visto lutti. È l’affido anche del mondo del lavoro, tra i più colpiti: il 1° maggio è la memoria di San Giuseppe lavoratore, sposo di Maria. È un affido dell’intero nostro Paese. Avverrà nella basilica di Santa Maria del Fonte presso Caravaggio. Perché la scelta è caduta proprio su questo Santuario? La scelta ci è sembrata opportuna per due aspetti significativi: anzitutto perché si trova in Lombardia, Regione colpita dall’epidemia più di altre; poi perché, sorgendo in provincia di Bergamo e nella diocesi di Cremona, unisce due territori flagellati dal virus. Caravaggio, inoltre, è un Santuario riconosciuto da tutti i lombardi come punto di riferimento per la venerazione a Maria. Nei giorni scorsi, papa Francesco ha invitato “alla prudenza e all’obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni”. Le sue parole sono state interpretate da alcuni quasi come una presa di distanza rispetto alla posizione espressa dalla Cei nella nota in cui esprimeva il disappunto dei vescovi per il Dpcm. Le parole del Santo Padre sono la cifra essenziale per il cammino da compiere da qui alle prossime settimane. In quelle parole non c’è contrapposizione con la Chiesa italiana: il Papa sostiene da sempre e con paternità il nostro agire. La Chiesa ha un’armonia polifonica, non contrapposta nelle sue voci, ma unita dalla comunione e dall’umanità. Non tenere conto della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni significherebbe essere ciechi e decontestualizzati rispetto al vissuto di tristezza e dolore con cui stiamo ancora facendo i conti. Nascono da questa passione per l’umanità anche le parole dei vescovi italiani. Nessuna fuga in avanti, dunque; né tanto meno irresponsabilità verso le regole o strappo istituzionale. Il confronto e il dialogo con le Istituzioni governative – anche in qualche passaggio dai toni forti – non è mai venuto meno, all’insegna di una reciproca stima. A che punto è l’elaborazione del Protocollo per le celebrazioni eucaristiche? Il dialogo con le Istituzioni governative è quotidiano e all’insegna di una collaborazione leale. Da lunedì avremo la possibilità di celebrare le esequie; stiamo lavorando da un paio di settimane su un Protocollo per le celebrazioni eucaristiche, che minimizzi al massimo il rischio del contagio: preservare la salute di tutti deve essere un interesse primario. Molti fedeli hanno sofferto per la mancanza di accesso ai sacramenti, invocando la ripresa delle celebrazioni con il popolo. Che cosa dice loro? Come Chiesa stiamo condividendo le limitazioni imposte a tutti dall’emergenza sanitaria. Abbiamo cercato di reagire moltiplicando proposte che hanno potuto contare sul supporto decisivo dei media e della rete. Mi auguro che questa sofferta privazione, come ogni digiuno ben motivato, alimenti il desiderio e sostenga anche l’attesa della celebrazione, di quel culto - che per chi crede - è sostegno a ogni forma di libertà. Allo stesso tempo, la Chiesa è presenza viva del Signore, che si incarna in coloro che accogliendo la sua Parola se ne fanno testimoni: le opere di carità e di prossimità in questo tempo si sono moltiplicate in modo straordinario. Il sito https://chiciseparera.chiesacattolica.it dà visibilità a molte di queste, espressione della vivacità delle comunità locali.  Il calo del PIL potrebbe far segnare un -15% nel 2020. Migliaia di posti di lavoro persi e attività commerciali chiuse saranno l’effetto sull’economia di una crisi sanitaria che cambierà la vita di molti italiani. Nella ricorrenza della festa dei lavoratori, che messaggio vuole dare la Chiesa italiana al Paese? È un primo maggio difficile. La crisi sanitaria ha generato una crisi economica che si riverbera drammaticamente sul lavoro. Nulla sarà come prima, hanno scritto i vescovi italiani nel messaggio per il 1° maggio di quest’anno. Ascoltiamo il grido di dolore che si leva da tutto il territorio italiano, da ogni comparto produttivo, dai lavoratori autonomi, dagli stagionali, da coloro che subiscono la duplice vessazione del lavoro in nero e del caporalato. In quanti temono di non riaprire la loro attività, di non trovare più il proprio impiego, di sprofondare nella disoccupazione? Non manca chi si approfitta di questa situazione per imporre salari indecorosi a chi, per necessità, accetta impieghi sfiancanti. Il lavoro è dignità, ricorda anche il Santo Padre. E quando la Chiesa parla del lavoro non descrive un principio astratto, ma parla degli uomini e delle donne che lavorano e lo fa perché è un dovere che le appartiene. Parlando agli operai dell’Ilva di Genova il Papa disse: “Il lavoro è una priorità umana. E pertanto è una priorità cristiana”. La Chiesa e il lavoro, un legame che viene da lontano. La spiritualità benedettina segue il motto “prega e lavora” e i Santi, a ben guardare, sono spesso dei grandi lavoratori. Non a caso ogni professione, ogni mestiere, ogni arte, ha un suo patrono. Non è solo devozione popolare, ma il segno di una prossimità autentica della Chiesa, risalente nel tempo, ai lavoratori tutti: oltre ad intervenire con aiuti materiali, si è anche pensato a un affidamento spirituale, una tutela integrale. E ancora, come non pensare che anche Gesù ha lavorato in bottega con Giuseppe? Avrà piallato e scalpellato; avrà sudato e si sarà ferito. Gesù conosceva la fatica e la preziosità del lavoro e per questo, come sottolinea la dottrina sociale della Chiesa, ne riconosce sempre il valore e l’importanza. Non poche delle sue parabole hanno a che fare con il mondo del lavoro: il seminatore, gli operai e la messe, i vignaioli, i talenti non fatti fruttare. Ai discepoli dice: “Vi farò pescatori di uomini”, così chiarendo che l’evangelizzazione non è automatica, ma è lo sforzo del pescatore di mettere la barca in acqua, l’attesa paziente, la fiducia nella raccolta della rete, il ricominciare ogni giorno. Cosa succederà nei prossimi mesi? Come si risolleverà la società? È nel “dopo” che si vedrà la tenuta della nostra società. Il futuro si fonderà sulla nostra capacità di “fare squadra”, partendo dagli ultimi, sulla solidarietà rispetto all’egoismo. Il dopoguerra in Italia per i nostri genitori fu un momento straordinario di ricostruzione collettiva: uscita dalle devastazioni e dalle privazioni del conflitto, la comunità si trovò coesa, pronta non solo a “fare”, ma a “fare insieme”. Inoltre, i cittadini erano accompagnati da aziende ben radicate sul territorio e dà garanzie reali sul fronte dello stato sociale. Oggi molte delle condizioni che c’erano allora non ci sono più: il lavoro è diventato flessibile, liquido, precario. Il contesto è poi reso instabile da una congiuntura che non ha eguali e che ha colpito forte proprio laddove qualcuno pensava risiedesse il punto di forza del sistema: la globalizzazione. È necessario ripensare le priorità e ridisegnare una nuova economia, rispettosa dell’uomo e del creato, sulle orme della Laudato Si’.