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Papa Francesco indice Anno Famiglia Amoris Laetitia

28 Dicembre 2020 - Città del Vaticano - Dal 19 marzo al 26 giugno 2022 papa Fracesco promuove un anno di riflessione sull’Amoris laetitia. “Queste riflessioni – ha detto ieri durante l’Angelus - saranno messe a disposizione delle comunità ecclesiali e delle famiglie, per accompagnarle nel loro cammino”. Le iniziative saranno coordinate e promosse dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita”  a 5 anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” sulla bellezza e la gioia dell’amore familiare. “L’esperienza della pandemia ha messo maggiormente in luce il ruolo centrale della famiglia come Chiesa domestica –  sottolinea il Dicastero in una nota - e ha evidenziato l’importanza dei legami tra famiglie, che rendono la Chiesa una ‘famiglia di famiglie’ (AL 87)”. Attraverso le iniziative spirituali, pastorali e culturali programmate nell’Anno “Famiglia Amoris Laetitia” Papa Francesco intende rivolgersi a tutte le comunità ecclesiali nel mondo esortando ogni persona a essere testimone dell’amore familiare. Nelle parrocchie, nelle diocesi, nelle università, nell’ambito dei movimenti ecclesiali e delle associazioni familiari saranno diffusi strumenti di spiritualità familiare, di formazione e azione pastorale sulla preparazione al matrimonio, l’educazione all’affettività dei giovani, sulla santità degli sposi e delle famiglie che vivono la grazia del sacramento nella loro vita quotidiana. Verranno inoltre organizzati simposi accademici internazionali per approfondire i contenuti e le implicazioni dell’esortazione apostolica in relazione a tematiche di grande attualità che interessano le famiglie di tutto il mondo. L’anno si concluderà il 26 giugno 2022 in occasione del X Incontro mondiale delle famiglie a Roma con il Papa. (R.Iaria)  

Una grande scommessa

23 Dicembre 2020 - Il messaggio di papa Francesco per la 54a Giornata mondiale della pace scorre sullo sfondo di una pandemia inarrestabile e di un’umanità disorientata. “La cultura della cura come percorso di pace”, tema del messaggio, scava nella coscienza, pone interrogativi, indica e apre percorsi. La voce di Francesco si leva in un mondo in cui la desertificazione etica e spirituale avanza. C’è, tra gli altri, un soggetto fragile a cui Francesco si rivolge, anche se non lo cita espressamente: la politica. Indebolita da una febbre alta si presente del tutto priva di forza culturale. Non ci si aspettava di assistere, in giorni di grande trepidazione, a spettacoli di dubbia dignità, non ci si aspettava una contrapposizione fuori dalle righe proprio mentre si rafforzava l’appello all’unità nella lotta a un male senza confini. Avere cura della politica sembrerebbe dunque una battaglia persa e sarebbe davvero persa se non si trovassero i motivi per reagire al pessimismo e alla rassegnazione, se non si avesse il coraggio di aprire nuovi percorsi del pensare e dell’agire per il bene comune. Costruire “la cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro oggi spesso prevalente”: questa è la strada maestra a cui si è chiamati per ricostruire la politica, per passare dalla lamentela alla scelta responsabile. Per fare della politica uno strumento di pace e di giustizia. Parole al vento? Si può credere ancora in questa strada? Certo è che questa avventura non inizierà se i media e l’opinione pubblica continueranno a girare attorno a chi, anche nelle alte sedi istituzionali, è più incline allo scontro che al dialogo, agli slogan che ai ragionamenti, al frammento che all’insieme, all’effimero che all’essenziale. Proprio per sfuggire a questa deriva urge aprire un percorso di ribellione. Le difficoltà sono più che evidenti e spesso la tentazione è di prendere le distanze ma, si legge nel messaggio di Francesco per la pace: “non abituiamoci a voltare lo sguardo”, Non abituiamoci a voltare la sguardo neppure di fronte a una politica malata. Si può tuttavia dire che in questa grande sfida per il futuro molti segni anche recenti consentono di cogliere il filo che corre tra il magistero di un Papa di 84 anni, il pensiero di un Presidente della Repubblica di 79 anni e “il sogno” di migliaia di giovani e giovanissimi. Un filo che regge un’alleanza dalla quale potrà nascere la cultura della cura anche per la politica, un filo che indica una grande scommessa. (Paolo Bustaffa)

Il senso del Natale

21 Dicembre 2020 - Città del Vaticano - In questo tempo segnato dalla pandemia, celebrare il Natale ha un sapore diverso. Le nostre strade portano già i segni della festa, forse ancora più evidenti di altri anni, quasi un modo per esorcizzare preoccupazioni e sofferenze. Ci sono tutte le apparenze della festa, il Natale è già alle porte, ma c’è un’euforia diversa, un modo altro di vivere queste giornate di attesa. Siamo chiamati a compiere azioni che contrastano con il clima natalizio, con quel desiderio di feste, cenoni e riunioni di parenti, che ha sempre accompagnato questi giorni, forse facendoci dimenticare chi è il festeggiato. Come a Betlemme, rischiamo di lasciare fuori dalla porta delle nostre case l’unico ospite necessario, colui che ha scelto di nascere povero tra i poveri, in una mangiatoia. Questo Natale, chiede Papa Francesco all’Angelus, sia per ognuno occasione di rinnovamento interiore, di preghiera, di conversione, di passi avanti nella fede e di fraternità tra noi. “Guardiamoci intorno, guardiamo soprattutto a quanti sono nell’indigenza: il fratello che soffre, dovunque si trovi, il fratello che soffre ci appartiene. È Gesù nella mangiatoia: chi soffre è Gesù”. Il Natale, afferma il Papa, sia una vicinanza a Gesù in questo fratello e in questa sorella. È “il presepe al quale dobbiamo recarci con solidarietà”, dove “incontreremo davvero il Redentore nelle persone che hanno bisogno”. Il senso del Natale, “di questa festa che è soprattutto dono”, ci dice Francesco, è Dio che “dimora con l’uomo e ogni uomo può trovare in lui, in Cristo, la sua casa”. Ancora è “gratuità in Dio che sceglie di farsi uomo in uno sconosciuto villaggio della Galilea, in un contesto familiare fatto di gioie e di povertà. In Cristo appare al mondo come qualcosa di inatteso, capace però di capovolgere i criteri umani”. In questa ultima domenica di Avvento Luca, nel suo Vangelo, ci consegna l’immagine di Maria e del suo “sì”; come già nel giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre, ascoltiamo l’annuncio dell’angelo alla ragazza di Nazareth, una donna di una povera regione ai margini della Terra Santa, alla periferia, si potrebbe dire, dell’Impero romano. Luca ci presenta prima Elisabetta “sterile e avanti negli anni”, e il marito Zaccaria cui l’angelo annuncia che sua moglie darà alla luce un figlio e si chiamerà Giovanni, perché “nulla è impossibile a Dio”. Poi ecco Maria cui l’angelo annuncia che “il Signore è con te”, lei che è “piena di grazia”. Dice il Papa: “sembra un annuncio di pura gioia, destinato a fare felice la Vergine: chi tra le donne del tempo non sognava di diventare la madre del Messia? Ma, insieme alla gioia, quelle parole preannunciano a Maria una grande prova”. Era promessa sposa a Giuseppe – padre della tenerezza, dell’obbedienza, dell’accoglienza; padre nell’ombra, nelle definizioni di Papa Francesco nella Lettera apostolica Patris corde – e per la Legge di Mosè non poteva avere altri rapporti, pena la condanna alla lapidazione. Per Maria una “scelta cruciale”: dire “sì” a Dio rischiando tutto, compresa la vita, oppure declinare l’invito e andare avanti con il suo cammino ordinario”. Lei risponde: “avvenga per me secondo la tua parola”. Ecco il sì, il “fiat”, spiega il Papa che “indica un desiderio forte, indica la volontà che qualcosa si realizzi”. Non dice “se deve avvenire, avvenga”, oppure “se non si può fare altrimenti”. Non è rassegnazione, non è “accettazione debole e remissiva […], non è passiva, è attiva. Non subisce Dio, aderisce a Dio. È un’innamorata disposta a servire in tutto e subito il suo Signore”. Non perde tempo a riflettere, non chiede spiegazioni, non cerca risposte per essere certa di non incorrere nella legge mosaica. “Non fa aspettare Dio, non rinvia”. Non dice domani: “quante volte la nostra vita è fatta di rinvii”. È un sì pronto, coraggioso. In questo tempo difficile di pandemia, anziché lamentarci “facciamo qualcosa per chi ha di meno: non l’ennesimo regalo per noi e per i nostri amici, ma per un bisognoso cui nessuno pensa”. L’altro consiglio è andare a pregare; dice Francesco: “non lasciamoci ‘portare avanti’ dal consumismo”, che ci ha sequestrato il Natale. “Il consumismo non è nella mangiatoia di Betlemme: lì c’è la realtà, la povertà, l’amore”. (Fabio Zavattaro - Sir)

Cei: gli auguri a Papa Francesco nel giorno del Suo compleanno

17 Dicembre 2020 - Roma - La Presidenza della CEI ha inviato un messaggio di auguri a Papa Francesco per il Suo compleanno. “Nella giornata in cui compie gli anni, la Chiesa che è in Italia nel porgerLe gli auguri eleva al Signore la lode e il ringraziamento. Nell’assicurarLe la preghiera di tutte le nostre Comunità, Le rinnoviamo l’impegno a vivere il Suo insegnamento e la Sua testimonianza di vita. Su un tracciato sicuro: l’amore!”, scrive la presidenza Cei. “Grazie Padre Santo, si legge ancora, per averci ricordato la fonte dell’amore. Nell’assicurarLe la preghiera di tutte le nostre Comunità, Le rinnoviamo l’impegno a vivere con gratitudine e speranza il Suo insegnamento e la Sua testimonianza di vita. Su un tracciato sicuro: l’amore! Qui i testo integrale.

Papa Francesco: “anche in mezzo alla pandemia il presepe e l’albero sono segno di speranza”

11 Dicembre 2020 -

Città del Vaticano - “Mai come quest’anno”, il presepe e l’albero di Natale “sono segno di speranza per i romani e per quei pellegrini che avranno la possibilità di venire ad ammirarli”. È il saluto del Papa alle delegazioni provenienti da Castelli, in Abruzzo, e dal comune di Kočevje, nella Slovenia sudorientale, per il dono dell’albero di Natale e del presepio allestiti in Piazza San Pietro.

“La festa del Natale ci ricorda che Gesù è la nostra pace, la nostra gioia, la nostra forza, il nostro conforto”, ha ricordato Francesco: “Ma, per accogliere questi doni di grazia, occorre sentirci piccoli, poveri e umili come i personaggi del presepio”. “Anche in questo Natale, in mezzo alle sofferenze della pandemia, Gesù, piccolo e inerme, è il ‘Segno’ che Dio dona al mondo”, ha assicurato il Papa: “Segno mirabile, come inizia la Lettera sul presepe che ho firmato un anno fa a Greccio. Ci farà bene rileggerla in questi giorni”.

“L’albero e il presepe aiutano a creare il clima natalizio favorevole per vivere con fede il mistero della nascita del Redentore”, ha spiegato Francesco: “Nel presepio, tutto parla della povertà ‘buona’, la povertà evangelica, che ci fa beati: contemplando la santa Famiglia e i vari personaggi, siamo attratti dalla loro disarmante umiltà. La Madonna e San Giuseppe sono venuti da Nazaret fino a Betlemme. Per loro non c’è posto, nemmeno una stanzetta; Maria ascolta, osserva e custodisce tutto nel suo cuore. Giuseppe cerca un luogo da adattare per lei e il Bambino che sta per nascere. I pastori sono protagonisti nel presepe, come nel Vangelo. Vivono all’aperto. Vegliano. L’annuncio degli Angeli è per loro, ed essi vanno subito a cercare il Salvatore che è nato”. Infine, il “grazie di cuore” e gli auguri natalizi ai presenti e “a quanti oggi non hanno potuto essere presenti, come pure a coloro che hanno collaborato al trasporto e all’allestimento dell’albero e del presepe”. (Sir)

Papa Francesco a sorpresa a Piazza di Spagna per atto di venerazione alla Madonna

[caption id="attachment_21792" align="alignnone" width="200"] Foto Vatican Media[/caption] 8 Dicembre 2020 -

Città del Vaticano - "Alle ore 7.00 di questa mattina, nella Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, il Santo Padre si è recato in Piazza di Spagna per un atto di venerazione in forma privata a Maria Immacolata. Alle prime luci dell’alba, sotto la pioggia, ha deposto un mazzo di rose bianche alla base della colonna dove si trova la statua della Madonna e si è rivolto a Lei in preghiera, perché vegli con amore su Roma e sui suoi abitanti, affidando a Lei tutti coloro che in questa città e nel mondo sono afflitti dalla malattia e dallo scoraggiamento". Lo ha detto ai giornalisti il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. La visita è durata circa 15 minuti. Infatti, alle 7,27 l Pontefice ha lasciato Piazza di Spagna e ha raggiunto Santa Maria Maggiore dove ha "pregato davanti all’icona di Maria Salus Popoli Romani e celebrato la Messa nella Cappella del Presepe" prima di far ritorno in Vaticano. Il papa ha scelto di colpiere un ato di venerazione privato a causa della situazione di emergenza sanitaria e "al fine di evitare ogni rischio di contagio provocato da assembramenti", aveva detto Bruni.

A Piazza Mignanelli, accanto a piazza di Spagna, il monumento dedicato all'Immacolata  stato inaugurato l’8 settembre 1857, a dogma già decretato, da Pio IX . Quasi un secolo dopo, Pio XII iniziava a far depositare ai piedi del monumento un mazzo di fiori ogni 8 dicembre, mentre il suo successore, Giovanni XXIII, l’8 dicembre 1958 per la prima volta usciva dal Vaticano e portava a Maria delle rose bianche, fermandosi, poi, per una preghiera nella Basilica di Santa Maria Maggiore. (Raffaele Iaria)

Papa Francesco: a Marzo viaggio in Iraq

7 Dicembre 2020 - Città del Vaticano - Papa Francesco compirà visiterà, a marzo prossimo, l'Iraq. Lo ha deto oggi ai giornalisti il direttore della sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. “Accogliendo l’invito della Repubblica d’Iraq e della Chiesa Cattolica locale, Papa Francesco compirà un Viaggio Apostolico nel suddetto Paese dal 5 all’8 marzo 2021", ha detto Bruni. nel viaggio visiterà Bagdad, la piana di Ur, legata alla memoria di Abramo, la città di Erbil, così come Mosul e Qaraqosh nella piana di Ninive". Il programma dettagliato del viaggio - ha detto Bruni - sarà pubblicato successivamente tenendo conto "dell’evoluzione dell’emergenza sanitaria mondiale”.

Per una conversione autentica

7 Dicembre 2020 - Città del Vaticano - “Distacco dal peccato e dalla mondanità”. È questo il primo aspetto della conversione. Papa Francesco lo sottolinea all’Angelus, seconda domenica di Avvento, in questo tempo segnato dalla pandemia. Tempo sospeso tra un prima – quando “pensavamo di rimanere sani in un mondo malato”, come disse Francesco – e un dopo, che ancora non conosciamo. Però abbiamo una certezza: sarà inevitabile un nuovo modo di costruire il proprio vivere quotidiano; e ci verrà sicuramente in soccorso la sobrietà vissuta assieme alla solidarietà con chi ha meno e alla vicinanza con chi si trova in difficoltà. Anche Marco, nel suo Vangelo, ci propone la sobrietà, che, a ben vedere, va ben oltre un cambiamento di stile di vita e ci parla di conversione. L’evangelista ci presenta lo stile sobrio di Giovanni Battista e ne descrive personalità e missione a partire dall’aspetto: una figura molto ascetica: vestito di pelle di cammello, si nutre di cavallette e miele selvatico, che trova nel deserto della Giudea. Difficile da imitare nella sua ascesi. Il deserto, il luogo del silenzio, in cui si scontrano assenza e presenza, aridità e fecondità. E la parola di Giovanni risuona proprio in questo luogo arido, “voce di uno che grida nel deserto”. Il deserto è anche il cuore dell’uomo dove la parola spesso non trova ascolto, soffocata da paure, inquietudini, smarrimenti e falsi messaggi; ma come nel deserto, quando arriva l’acqua tutto rifiorisce, così in chi accoglie l’appello alla conversione. Ma cosa significa questa parola, si chiede il Papa rivolgendosi alle persone presenti in piazza San Pietro. “Nella Bibbia vuol dire anzitutto cambiare direzione e orientamento; e quindi anche cambiare il modo di pensare. Nella vita morale e spirituale, convertirsi significa rivolgersi dal male al bene, dal peccato all’amore di Dio. E questo è quello che insegnava il Battista, che nel deserto della Giudea proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati”. Segno esterno e visibile della conversione, il battesimo; un segno, appunto, che “risulta inutile se non c’era la disponibilità a pentirsi e cambiare vita”, afferma papa Francesco: “la conversione comporta il dolore per i peccati commessi, il desiderio di liberarsene, il proposito di escluderli per sempre dalla propria vita. Per escludere il peccato, bisogna rifiutare anche tutto ciò che è legato ad esso, le cose che sono legate al peccato e cioè bisogna rifiutare la mentalità mondana, la stima eccessiva delle comodità, la stima eccessiva del piacere, del benessere, delle ricchezze”. L’esempio di questo distacco è proprio nella figura di Giovanni il Battista, che rinuncia al superfluo e ricerca l’essenziale. Messaggio di speranza l’Avvento; annuncio profetico di salvezza, perché in Cristo si sono compiute “le antiche promesse”. Una speranza, quella cristiana, che “va oltre la legittima attesa di una liberazione sociale e politica, perché ciò che Gesù ha iniziato è un’umanità nuova”; e un mondo senza Dio “è un mondo senza speranza” ricordava Papa Benedetto. Conversione come “fine del cammino, cioè la ricerca di Dio e del suo regno”, distacco dalle cose mondane. “L’abbandono delle comodità e della mentalità mondana non è fine a sé stesso, non è un’ascesi solo per fare penitenza: il cristiano non fa ‘il fachiro’. È un’altra cosa. Non è fine a sé stesso, il distacco, ma è finalizzato al conseguimento di qualcosa di più grande, cioè il regno di Dio, la comunione con Dio, l’amicizia con Dio”. Ma tutto ciò è tutt’altro che facile; tanti i legami che ci tengono vicini al peccato, dice Francesco: “l’incostanza, lo scoraggiamento, la malizia, gli ambienti nocivi, i cattivi esempi. A volte è troppo debole la spinta che sentiamo verso il Signore e sembra quasi che Dio taccia; ci sembrano lontane e irreali le sue promesse di consolazione”. Non dobbiamo scoraggiarci, non è impossibile convertirsi veramente: è una grazia del Signore, ma è possibile. Quando viene “questo pensiero di scoraggiarti, non rimanere lì, perché questo è sabbia mobile, la sabbia mobile di un’esistenza mediocre. La mediocrità è questo”, dice Francesco, che invita a pensare alla tenerezza di Dio: “non è un padre brutto, un padre cattivo. È tenero, ci ama tanto, come il buon Pastore, che cerca l’ultima del suo gregge”. (Fabio Zavattaro - Sir)

Papa: da venerdì le meditazioni per l’Avvento

1 Dicembre 2020 - Città del Vaticano - “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Salmo 90, 12). Questo il tema delle meditazioni per l'Avvento che saranno predicati per il Papa e la Curia Romana a partire da venerdì 4 dicembre. Lo rende noto la Prefettura della Casa Pontificia attraverso la Sala Stampa della Santa Sede. Le meditazione saranno tenute dal Predicatore della Casa Pontificia, il neo cardinale Raniero Cantalamessa e si svolgeranno  nell’Aula Paolo VI "al fine di consentire la debita distanza tra i partecipanti". Le prediche di Avvento avranno luogo venerdì 4, venerdì 11 e venerdì 18 dicembre, alle ore 9:00. (R.I.)

Papa Francesco: oggi il Concistoro per 13 nuovi cardinali

28 Novembre 2020 - Città del Vaticano - Tredici nuovi cardinali per la Chiesa Cattolica. Papa Francesco questo pomeriggio, alle 16, terrà, infatti, un Concistoro ordinario pubblico. Sei nuovi cardinali sono italiani. I cardinali in totale diventano 232, di cui 128 elettori (escludendo il cardinale Angelo Becciu), otto in più rispetto al limite massimo stabilito da Paolo VI ma più volte superato dai suoi successori. Dopo questo Concistoro i cardinali elettori creati da Papa Francesco sono 73, 39 quelli di Benedetto XVI e 16 quelli di Giovanni Paolo II. Dal 1903, e cioè dal pontificato di Pio X i cardinali creati sono stati 818 in 62 concistori, escluso quello odierno. Il numero si trova nel volume “Usque ad sanguinis effusionem” (Tau Editrice, 18,00) del giornalista di Aci Stampa Marco Mancini che racconta i concistori dal 1903 ad oggi. Il volume ha la prefazione del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova e presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Dopo il concistoro di oggi  i cardinali sono 53 europei (di cui 22 italiani), 24 i latinoamericani, dall’Africa 18, gli asiatici 16, i nordamericani 13, 4 i provenienti dall'Oceania. Oggi non saranno presenti - come ha detto il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni - Mons. Cornelius Sim, vicario apostolico di Brunei, e mons. Jose F. Advincula, arcivescovo di Capiz (Filippine), “a causa della contingente situazione sanitaria” ma “saranno ugualmente creati Cardinali nel Concistoro”. “Un rappresentante del Santo Padre, in altro momento da stabilire, consegnerà loro la berretta, l’anello e la bolla con il Titolo”, spiega Bruni. “I membri del Collegio cardinalizio impossibilitati a raggiungere Roma – prosegue Bruni – potranno unirsi alla celebrazione, partecipandovi da remoto dalla propria sede, tramite una piattaforma digitale che permetterà loro il collegamento con la basilica vaticana”. Domani alle 10, sempre nella basilica di San Pietro, Papa Francesco celebrerà la messa alla quale parteciperanno solo i cardinali di nuova creazione. “In considerazione delle disposizioni sanitarie attualmente in vigore a motivo della pandemia da Covid-19”, inoltre, “non si svolgeranno, oggi, le consuete visite di cortesia”.

Raffaele Iaria

Papa Francesco: “preghiamo per tutti coloro che sono morti nelle guerre e per tutte le vittime della violenza”

11 Novembre 2020 - Città del Vaticano - “Oggi, in alcuni Paesi, si celebra la memoria di coloro che sono morti nelle guerre. Possa la nostra preghiera per tutte le vittime della violenza nel mondo incoraggiarci ad essere strumenti di pace e di riconciliazione”. Lo ha detto Papa Francesco, salutando i fedeli di lingua francese che seguono l’udienza trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca privata del Palazzo apostolico. “In questo mese di novembre – il saluto ai fedeli di lingua inglese – preghiamo specialmente per le persone care che ci hanno lasciato e per tutti i defunti, perché il Signore, nella sua misericordia, li accolga al banchetto della vita eterna”.

C’è bisogno di mitezza

2 Novembre 2020 -
Città del Vaticano - Centoquarantaquattromila. L’Apocalisse ci consegna questo numero per indicare coloro che sono stati segnati dal sigillo del Dio vivente. È il segno che individua i “servi del nostro Dio”, cioè i santi. Ma non dobbiamo considerare questo numero come limite. Esprime, invece, la totalità del popolo, dodicimila persone per ognuna delle dodici tribù di Israele: cioè una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, leggiamo sempre nell’Apocalisse”. Ieri, festa di tutti i santi, immagine della Gerusalemme celeste. I santi sono coloro che ci indicano la strada e ci dicono che la santità non è un qualcosa per pochi eletti, ma obiettivo cui tendere tutti. I santi sono coloro che, secondo l’espressione dell’Apocalisse, “sono passati attraverso la grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello”, diceva Giovanni Paolo II, parlando, all’Angelus, il primo novembre 2001. “Hanno saputo andare controcorrente, accogliendo il ‘discorso della montagna’ come norma ispiratrice della loro vita: povertà di spirito e semplicità di vita; mansuetudine e non-violenza; pentimento dei peccati propri ed espiazione di quelli altrui; fame e sete della giustizia; misericordia e compassione; purezza di cuore; impegno per la pace; sacrificio per la giustizia”. Nel giorno che precede la commemorazione dei defunti – due date che si susseguono nel calendario della vita, messaggio per il credente chiamato a vivere nella fede il suo essere cristiano – facciamo memoria di tutti i santi, quelli conosciuti e coloro che non lo sono ancora; quelli canonizzati ufficialmente e quanti non lo saranno mai; chi ha lasciato un segno visibile e altri che sono rimasti nel nascondimento. Parlando prima della preghiera mariana dell’Angelus, Papa Francesco commenta in particolare due beatitudini, presenti nel racconto di Matteo: la seconda e la quarta. “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”. Dice Francesco: “sembrano parole contraddittorie, perché il pianto non è segno di gioia e felicità. Motivi di pianto e di sofferenza sono la morte, la malattia, le avversità morali, il peccato e gli errori: semplicemente, la vita di ogni giorno, fragile, debole e segnata da difficoltà. Una vita a volte ferita e provata da ingratitudini e incomprensioni”. Certamente noi non avremmo mai pensato di dire sono beati coloro che si trovano in questa situazione. Ma Gesù sì, chiama così “coloro che piangono per queste realtà e, nonostante tutto, confidano nel Signore e si pongono sotto la sua ombra. Non sono indifferenti, e nemmeno induriscono il cuore nel dolore, ma sperano con pazienza nella consolazione di Dio. E questa consolazione la sperimentano già in questa vita”. Le situazioni di povertà, sofferenza e ingiustizia potranno anche non cambiare, ma ciò che cambia è il nostro rapporto con il Signore; i santi e i beati sono i “testimoni più autorevoli della speranza cristiana, perché l’hanno vissuta in pienezza nella loro esistenza, tra gioie e sofferenze, attuando le beatitudini che Gesù ha predicato”. Poi la quarta beatitudine: beati i miti, perché avranno in eredità la terra. È la caratteristica di Gesù la mitezza, ricorda il Papa: “miti sono coloro che sanno dominare sé stessi, che lasciano spazio all’altro, lo ascoltano e lo rispettano nel suo modo di vivere, nei suoi bisogni e nelle sue richieste. Non intendono sopraffarlo né sminuirlo, non vogliono sovrastare e dominare su tutto, né imporre le proprie idee e i propri interessi a danno degli altri. Queste persone, che la mentalità mondana non apprezza, sono invece preziose agli occhi di Dio, il quale dà loro in eredità la terra promessa, cioè la vita eterna. Anche questa beatitudine comincia quaggiù e si compirà in cielo”. Le beatitudini sono uno stile “controcorrente” rispetto alla mentalità del mondo, afferma ancora Francesco. La mitezza, poi, è elemento necessario “anche per la società contemporanea, tanto facile agli scontri e alle violenze: abbiamo bisogno di mitezza per andare avanti nel cammino della santità. Ascoltare, rispettare, non aggredire: mitezza”. (Fabio Zavattaro)

Papa Francesco: preghiera per le vittime dell’attentato di Nizza

29 Ottobre 2020 - Città del Vaticano -  “È un momento di dolore, in un tempo di confusione. Il terrorismo e la violenza non possono mai essere accettati. L’attacco di oggi ha seminato morte in un luogo di amore e di consolazione, come la casa del Signore". Lo ha detto ai giornalisti il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, dopo l'attacco  nei pressi della cattedrale di Notre-Dame, a Nizza che ha causato morti e feriti. Papa Francesco - ha aggiunto Bruni -  è "informato della situazione ed è vicino alla comunità cattolica in lutto. Prega per le vittime e per i loro cari, perché la violenza cessi, perché si torni a guardarsi come fratelli e sorelle e non come nemici, perché l’amato popolo francese possa reagire unito al male con il bene”.

Raffaele Iaria

 

Carità fraterna

26 Ottobre 2020 -
Città del Vaticano - Ancora una volta il Vangelo ci propone una nuova discussione fra Gesù e i suoi oppositori. In questo caso i farisei ai quali era giunta la notizia di “come aveva chiuso la bocca ai sadducei”, come leggiamo in Matteo. È proprio un fariseo, un dottore della legge a porre una domanda insidiosa, alla quale riceve una risposta assolutamente semplice e, nello stesso tempo, impegnativa, perché da quella risposta, da quei due comandamenti che Gesù propone ai farisei “dipendono tutta la legge e tutti i profeti”, come leggiamo nel primo Vangelo. La scena si svolge sempre a Gerusalemme e Gesù è nuovamente messo alla prova, dopo aver già risposto alla domanda sul tributo da pagare a Cesare. E i sadducei – che davano peso solo alla parola scritta che veniva da Dio e negavano, al contrario dei farisei, la resurrezione e l’esistenza degli angeli – lo avevano interrogato proprio sulla resurrezione, ottenendo una risposta che aveva “stupito la folla presente”, scrive Matteo. Ecco, allora, la domanda: “Maestro, nella legge, qual è il grande comandamento?” Gesù con assoluta semplicità dice: “amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento”. Poi ecco un secondo che “è simile” scrive Matteo: “amerai il tuo prossimo come te stesso”. Parlando all’Angelus, nel giorno in cui annuncia, per il 28 novembre prossimo, un Concistoro per la nomina di tredici cardinali, papa Francesco sottolinea che nella sua risposta, Gesù “riprende e unisce due precetti fondamentali, che Dio ha dato al suo popolo mediante Mosè”. Così supera il trabocchetto che gli è stato teso, e non entra nella disputa tra gli esperti della Legge sulla gerarchia delle prescrizioni, rendendo chiaro cosa sia centrale, essenziale e irrinunciabile nella vita di fede. Diceva Benedetto XVI, il 23 ottobre 2011: “dichiarando che il secondo comandamento è simile al primo, Gesù lascia intendere che la carità verso il prossimo è importante quanto l’amore a Dio. Infatti, il segno visibile che il cristiano può mostrare per testimoniare al mondo l’amore di Dio è l’amore dei fratelli”. L’originalità della risposta di Gesù sta proprio nell’accostare i due comandamenti, ricorda Francesco, così da stabilire “due cardini essenziali per i credenti di tutti i tempi, due cardini essenziali della nostra vita. Il primo è che la vita morale e religiosa non può ridursi a un’obbedienza ansiosa e forzata”, e “deve avere come principio l’amore. Il secondo cardine è che l’amore deve tendere insieme e inseparabilmente verso Dio e verso il prossimo”. La prima lettura, tratta dall’Esodo, ci aiuta a rendere ancora più forte questo legame tra l’amore a Dio e al prossimo. Nell’incipit, infatti, leggiamo: “non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto”. Come dire, il forestiero da non molestare è il forestiero che un tempo “voi siete stati”. È qui la motivazione dell’agire verso il prossimo: va accolto e amato perché è come te stesso. Gesù non si ferma qui, e dice: “da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”. Ciò significa, commenta papa Francesco, che “tutti i precetti che il Signore ha dato al suo popolo devono essere messi in rapporto con l’amore di Dio e del prossimo. Infatti, tutti i comandamenti servono ad attuare, ad esprimere quel duplice indivisibile amore. L’amore per Dio si esprime soprattutto nella preghiera, in particolare nell’adorazione”. L’amore per il prossimo, “si chiama anche carità fraterna”, afferma il vescovo di Roma; “è fatto di vicinanza, di ascolto, di condivisione, di cura per l’altro. E tante volte noi tralasciamo di ascoltare l’altro perché è noioso o perché mi toglie del tempo, o di portarlo, accompagnarlo nei suoi dolori, nelle sue prove […] Non abbiamo tempo per consolare gli afflitti, ma tanto tempo per chiacchierare”. San Giovanni ci ricorda: “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”. Così, dice il Papa, “finché ci sarà un fratello o una sorella a cui chiudiamo il nostro cuore, saremo ancora lontani dall’essere discepoli come Gesù ci chiede. Ma la sua divina misericordia non ci permette di scoraggiarci, anzi ci chiama a ricominciare ogni giorno per vivere coerentemente il Vangelo”. (Fabio Zavattaro)

Pace: domani incontro interreligioso “Nessuno si salva da solo”

19 Ottobre 2020 - Roma - Domani, martedì 20 ottobre Roma sarà la “capitale della pace” con l’incontro internazionale "Nessuno si salva da solo-Fraternità e Pace", il trentaquattresimo promosso dalla Comunità di Sant’Egidio nello “spirito di Assisi”, dopo la storica giornata voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. L’evento, che si svolgerà a partire dalle 16, vedrà riunite le grandi religioni mondiali insieme ad autorevoli rappresentanti delle istituzioni. In un momento difficile della storia, a causa della pandemia ma anche per le guerre  vecchie e nuove in corso - come quella che dura da dieci anni in Siria o l’ultima nel Nagorno- Karabakh - dal cuore dell’Europa si offrirà al mondo un solenne momento di riflessione, di preghiera e di incontro: un messaggio di speranza per il futuro nel nome del bene più grande, che è quello della Pace. Dopo le preghiere delle diverse religioni in luoghi distinti (i cristiani nella basilica dell’Ara Coeli con la presenza di papa Francesco, di Bartolomeo I e delle diverse Chiese ortodosse e protestanti), alle 17.15 i leader religiosi si ritroveranno insieme nella piazza del Campidoglio per la cerimonia finale. Dopo l’arrivo del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, prenderanno la parola il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi e, con un videomessaggio, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Saranno quindi ascoltati gli interventi dei leader e rappresentanti delle religioni: il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, il rabbino Capo di Francia, Haim Korsia, il segretario generale del Comitato Superiore della Fraternità Umana (Islam), Mohamed Abdelsalam Abdellatif, il buddista Shoten Minegishi e, a conclusione, Papa Francesco. Seguirà un minuto di silenzio in memoria delle vittime della pandemia e di tutte le guerre e la lettura dell’appello di pace 2020, che verrà consegnato da un gruppo di bambini agli ambasciatori e ai rappresentanti della politica nazionale (presenti tra gli altri anche i ministri dell’Interno e degli Esteri italiani, Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio) e internazionale. Alla fine Papa Francesco, insieme a tutti i leader religiosi, accenderà il candelabro della pace.  

Peruviani in Italia: il saluto di papa Francesco alla comunità di Roma

19 Ottobre 2020 - Città del Vaticano - “Saluto e benedico con affetto la comunità peruviana di Roma, qui radunata con la venerata Immagine del Señor de los Milagros. Un applauso alla comunità peruviana!”. Così papa Francesco  ieri ha voluto salutare la comunità peruviana ricordando la festa del Señor de los Milagros venerato a Lima. Una festa religiosa molto sentita in perù e in tutte le comunità peruviane nel mondo. Il papa ha anche ricordato la la Giornata Missionaria Mondiale sul tema “Eccomi, manda me. Tessitori di fraternità”. “È bella questa parola ‘tessitori’: ogni cristiano – ha detto - è chiamato ad essere un tessitore di fraternità. Lo sono in modo speciale i missionari e le missionarie – sacerdoti, consacrati e laici – che seminano il Vangelo nel grande campo del mondo. Preghiamo per loro e diamo a loro il nostro sostegno concreto”. Il Pontefice ha quindi voluto “ringraziare Dio per la tanto attesa liberazione di Padre Pier Luigi Maccalli... – lo salutiamo con questo applauso! – che era stato rapito due anni fa in Niger. Ci rallegriamo anche perché con lui sono stati liberati altri tre ostaggi. Continuiamo a pregare per i missionari e i catechisti e anche per quanti sono perseguitati o vengono rapiti in varie parti del mondo”. E poi “una parola di incoraggiamento e sostegno ai pescatori fermati da più di un mese in Libia e ai loro familiari. Affidandosi a Maria Stella del Mare mantengano viva la speranza di poter riabbracciare presto i loro cari. Prego – ha poi detto - anche per i diversi colloqui in corso a livello internazionale, affinché siano rilevanti per il futuro della Libia. Fratelli e sorelle, è giunta l’ora di fermare ogni forma di ostilità, favorendo il dialogo che porti alla pace, alla stabilità e all’unità del Paese. Preghiamo insieme per i pescatori e per la Libia, in silenzio”.

Raffaele Iaria

A Cesare e a Dio

19 Ottobre 2020 - Città del Vaticano - Gesù è ormai entrato a Gerusalemme, sono gli ultimi giorni della sua esistenza terrena, e il cerchio attorno a lui va stringendosi. Matteo ci propone, nella pagina del suo Vangelo della domenica, letto ieri, la prima delle tre dispute in cui è trascinato dai suoi avversari. Squisitamente politica la domanda che gli viene posta: “è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare”. Ha di fronte una strana coalizione composta da discepoli dei farisei e da erodiani, popolazione a sud del mar Morto, sotto la Giudea: filogovernativi e collaborazionisti questi ultimi, contrari all’occupazione romana i primi. La domanda ha un unico obiettivo: tendere una trappola a Gesù, interrogandolo sulla legittimità del tributo da pagare a Cesare. Tre gli elementi di questa pagina evangelica, e cioè la moneta, il sottile inganno, e la risposta spiazzante. La moneta è il Census coniata appositamente da Roma per il tributo dovuto all’impero dal popolo della Giudea, esclusi anziani e bambini. Aveva il valore di una giornata di lavoro, e era uno dei segni più odiosi per far sentire il peso della schiavitù. La domanda è di difficile risposta, perché sulla moneta è raffigurata l’immagine di Cesare e il comandamento proibiva di fare immagini di qualsiasi persona. Anzi, per la popolazione il culto dell’imperatore, ritratto anche sulle monete, era un’ingiuria al Dio di Israele. Chiedendo se sia lecito o meno pagare il tributo a Cesare, una risposta positiva poteva costare l’accusa di idolatria; una negativa, l’accusa di essere un sobillatore politico. Gli interlocutori di Gesù sono convinti che non ci sia un’alternativa alla loro interrogazione: o un “sì” o un “no”. Erano sicuri di metterlo all’angolo e farlo cadere nel tranello. Ma Egli conosce la loro malizia – “ipocriti, perché volete mettermi alla prova” – e si svincola dal trabocchetto. Così, in primo luogo, chiede la moneta: lui non ha soldi in tasca, non così farisei e erodiani. Indiretta critica ai suoi interlocutori che tirano in campo problemi di coscienza nella misura in cui questi toccano i loro beni, i soldi. Gesù “si pone al di sopra della polemica” spiega papa Francesco all’Angelus, nel quale ricorda la giornata missionaria – “ogni cristiano è chiamato ad essere un tessitore di fraternità”, dice gioendo per la liberazione di padre Pier Luigi Maccalli – e chiede pace per la Libia e la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo trattenuti da più di un mese. Gesù con la sua risposta – “rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” – da una parte, “riconosce che il tributo a Cesare va pagato – anche per tutti noi, le tasse vanno pagate –, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma soprattutto ricorda che ogni persona porta in sé un’altra immagine – la portiamo nel cuore, nell’anima – è l’immagine di Dio, e pertanto è a lui, e a lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza, della propria vita”, dice papa Francesco citando le parole di Benedetto XVI, il quale commentava: “da’ la tua ricchezza materiale a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato. Cesare, infatti, ha richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo”. In questa sentenza di Gesù, afferma Francesco, “si trova non solo il criterio della distinzione tra sfera politica e sfera religiosa, ma emergono chiari orientamenti per la missione dei credenti di tutti i tempi, anche per noi oggi. Pagare le tasse è un dovere dei cittadini, come anche l’osservanza delle leggi giuste dello Stato. Al tempo stesso, è necessario affermare il primato di Dio nella vita umana e nella storia, rispettando il diritto di Dio su ciò che gli appartiene”. Distinzione che toglie alla politica ogni dimensione sacrale: la politica può essere vissuta come servizio a Dio ma non coincide con il Regno di Dio, e nessuno potere terreno può mettersi al posto di Dio. Ecco la missione della Chiesa e dei cristiani: “parlare di Dio e testimoniarlo agli uomini e alle donne del proprio tempo”. Per il Battesimo, ognuno “è chiamato ad essere presenza viva nella società, animandola con il Vangelo e con la linfa vitale dello Spirito Santo. Si tratta di impegnarsi con umiltà, e al tempo stesso con coraggio, portando il proprio contributo all’edificazione della civiltà dell’amore, dove regnano la giustizia e la fraternità”.

Fabio Zavattaro

Don Malgesini: oggi il Papa ha incontrato i genitori

14 Ottobre 2020 -

 

Città del Vaticano – Papa Francesco questa mattina ha incontrato i genitori di don Roberto Malgesini, il sacerdote ucciso a Como. Lo ha annunciato il pontefice stesso durante la catechesi incentrata sulla preghiera e sulla forza delle lacrime. “Prima di entrare in Aula, ho incontrato i genitori di quel sacerdote della diocesi di Como che è stato ucciso; proprio è stato ucciso nel suo servizio per aiutare”, ha detto il pontefice: “le lacrime di quei genitori sono le lacrime ‘loro’ e ognuno di loro sa quanto ha sofferto nel vedere questo figlio che ha dato la vita nel servizio dei poveri. Quando noi vogliamo consolare qualcuno, non troviamo le parole. Perché? Perché non possiamo arrivare al suo dolore, perché il ‘suo’ dolore è suo, le ‘sue’ lacrime sono sue. Lo stesso è di noi: le lacrime, il ‘mio’ dolore è mio, le lacrime sono ‘mie’ e con queste lacrime, con questo dolore mi rivolgo al Signore”. Mamma Ida e papà Bruno sono arrivati dalla loro Rogoledo, piccola frazione di Cosio Valtellino, per pregare con papa Francesco nel ricordo di don Roberto. Con il Papa hanno pianto. In silenzio. Insieme, racconta l’Osservatore Romano che apre l’edizione odierna con la foto dell’incontro: “E con un filo di voce gli hanno chiesto semplicemente una preghiera”. In dono il papa ha dato loro una corona del rosario “per continuare a vivere il loro dolore con il coraggio della fede”. Ad accompagnarli,. Riferisce il quotidiano della Santa Sede, gli altri tre figli: Enrico, Mario e Caterina che ha donato al Pontefice una fotografia con un’immaginetta con le loro famiglie. Ma anche i rappresentanti della diocesi etano presenti all’incontro con il vescovo, mons. Oscar Cantoni che parla di “dolore ma anche di consolazione perché - confida - siamo grati al Signore per la testimonianza che don Roberto sta continuando a dare anche ora, dopo aver servito con umiltà le persone emerginate”. Il presule era accompagnato da tre preti di Como, amici di don Malgesini. Durante l’incontro ha “ringraziato” il Papa per le sue parole di incoraggiamento e anche per aver chiesto al cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, di celebrare la messa di suffragio, nel duomo di Como, il 19 settembre. “La nostra gente è rimasta colpita dall’attenzione di Francesco racconta il vescovo — e dal particolare gesto di delicatezza del cardinale Krajewski che, subito dopo la celebrazione, è andato personalmente a casa dei genitori di don Roberto per abbracciarli, per pregare con loro e donare il rosario del Papa”.

Raffaele Iaria

Alla festa del Signore

12 Ottobre 2020 -       Per la terza domenica consecutiva il Vangelo ci propone una parabola sul rifiuto di Cristo da parte di coloro cui era stato rivolto l’invito; ha davanti a sé i capi dei sacerdoti e i farisei. Si trova nel tempio di Gerusalemme; sono gli ultimi giorni della sua vita terrena e si avvicina l’ora della passione. Ancora una volta si rivolge a coloro che lo stanno ascoltando, che stanno tramando contro di lui per toglierlo di mezzo, per metterlo a tacere una volta per tutte. Alla forza della violenza Gesù oppone la forza disarmante della parola; al linguaggio della menzogna e dell’inganno oppone quello della verità. Due immagini fanno da sfondo al brano di Matteo, al re che prepara il banchetto per le nozze del figlio, e manda i servi a invitare le persone. La prima immagine è proprio il re che nonostante i primi rifiuti degli invitati – “non volevano venire”, “non se ne curarono” – manda nuovamente i suoi servi, i quali vennero maltrattati, insultati e uccisi. Per due volte, di fronte ai “no”, il re non viene meno alla sua generosità e manda così, per la terza volta, i suoi servi a invitare quanti si trovano ai crocicchi delle strade, dove l’uomo vive e lavora quotidianamente. Spiega Francesco all’Angelus: così si comporta il Signore: “quando è rifiutato, invece di arrendersi, rilancia e invita a chiamare tutti quelli che si trovano ai crocicchi delle strade, senza escludere nessuno. Nessuno è escluso dalla casa di Dio”. Matteo, scrivendo di crocicchi, fa riferimento ai luoghi “fuori dall’abitato, dove la vita è precaria”. È lì che i servi del re trovano gente disposta a sedersi alla mensa. La sala del banchetto allora, ricorda il Papa, “si riempie di ‘esclusi’, quelli che sono ‘fuori’, di coloro che non erano mai sembrati degni di partecipare a una festa, a un banchetto nuziale”. Chiama tutti il re, buoni e cattivi; tutti sono invitati al banchetto. “Gesù andava a pranzo con i pubblicani, che erano i peccatori pubblici, erano i cattivi. Dio non ha paura della nostra anima ferita da tante cattiverie, perché ci ama, ci invita”. È l’immagine cara a Papa Francesco, la Chiesa in uscita, chiamata a raggiungere “i crocicchi odierni, cioè le periferie geografiche ed esistenziali dell’umanità, quei luoghi ai margini, quelle situazioni in cui si trovano accampati e vivono brandelli di umanità senza speranza. Si tratta di non adagiarsi sui comodi e abituali modi di evangelizzazione e di testimonianza della carità, ma di aprire le porte del nostro cuore e delle nostre comunità a tutti, perché il Vangelo non è riservato a pochi eletti. Anche quanti stanno ai margini, perfino coloro che sono respinti e disprezzati dalla società, sono considerati da Dio degni del suo amore”. Al re, al Signore, interessa solamente che la festa riesca e che ci sia numerosa partecipazione, che non resti nessun posto vuoto. Per questo apre il suo banchetto a “giusti e peccatori, buoni e cattivi, intelligenti e incolti”. C’è una seconda immagine nel brano di Matteo, e cioè l’invitato che non indossa l’abito nunziale. Il re entra nella sala e si accorge che uno di loro non ha l’abito giusto, ricevuto in dono al suo ingresso: una mantellina, dice Francesco all’Angelus. Rifiutato quel dono “si è autoescluso: così il re non può fare altro che gettarlo fuori. Quest’uomo ha accolto l’invito, ma poi ha deciso che esso non significava nulla per lui: era una persona autosufficiente, non aveva alcun desiderio di cambiare o di lasciare che il Signore lo cambiasse”. Quell’abito simboleggia la coerenza tra fede e opere, la misericordia che Dio dona, ricorda il Papa: “non basta accettare l’invito a seguire il Signore, occorre essere disponibili a un cammino di conversione, che cambia il cuore”. Tutti sono chiamati alla festa, nessun ostacolo per entrare, se non l’esplicito rifiuto da parte dei chiamati; nessuno sarà cacciato se non per l’aver disprezzato l’abito nuziale, il “dono gratuito del suo amore, la grazia”. È quanto hanno fatto i santi che hanno accolto l’abito e lo hanno conservato puro; è quanto ha fatto Carlo Acutis, ragazzo quindicenne, beatificato a Assisi. “Non si è adagiato in un comodo immobilismo”, ricorda il Papa. Ha colto “i bisogni del suo tempo”. La sua testimonianza indica ai giovani che “la vera felicità si trova mettendo Dio al primo posto, e servendolo nei fratelli, specialmente gli ultimi”.

Fabio Zavattaro

Papa Francesco telefona ad un missionario italiano in Brasile: “ha bruciato la sua vita coni poveri”

12 Ottobre 2020 - Città del Vaticano - “Ieri sera, sono riuscito a fare una telefonata a un anziano prete italiano, missionario dalla gioventù in Brasile, ma sempre lavorando con gli esclusi, con i poveri. E vive quella vecchiaia in pace: ha bruciato la sua vita con i poveri. Questa è la nostra Madre Chiesa, questo è il messaggero di Dio che va agli incroci dei cammini”. Papa Francesco sabato sera ha chiamato un missionario italiano in Brasile. Lo ha detto lui stesso ieri mattina all’Angelus. Si tratta di p. Julio Renato Lancellotti che opera in Brasile da oltre 30 anni, attualmente vicario episcopale per la Pastorale del popolo di strada dell’arcidiocesi diSan Paolo. A riferire il nome VaticanNews che ricostruisce anche come è avvenuto questo contatto. Il missionario ha scritto al pontefice a fine settembre una lettera dalla quale emerge lo spaccato di miseria quotidiana che da lungo tempo padre Julio condivide con la gente che sopravvive per le strade di San Paolo. Uno scenario duramente complicato dal Covid che, nel mix devastante con la povertà endemica che affligge questi diseredati, genera un’inimmaginabile e anche inedita quantità di violazioni della dignità umana, racconta VaticanNews evidenziando che p. Julio ne ha viste tanti eppure racconta al Papa la sua sorpresa nel constatare come una grave crisi sanitaria sia diventata in Brasile il proscenio di un numero ancora maggiore di attacchi al valore della vita. Il missionario racconta nella lettera la sua esperienza e chiede una benedizione che il missionario avrebbe desiderato ricevere di persona ma anche con l’ammissione che questo sarà irrealizzabile perché le condizioni fisiche per affrontare il viaggio a Roma non ci sono. Papa Francesco ha chiamato il missionario ale14,15 di sabato. In un’intervista al settimanale della diocesi di San Paolo p. Julio ha riferito di aver ricevuto una chiamata da un numero non identificato e, quando ha risposto, il papa ha detto solo  “Sono papa Francesco”. E ha poi chiesto al sacerdote se preferiva parlare in spagnolo o in italiano. “Il Papa ha detto che ci accompagna con affetto, conosce le difficoltà che stiamo vivendo, di non scoraggiarci e, come Gesù, di stare con i poveri”, ha detto ancora il missionario italiano che al momento della chiamata "era incredulo".

Raffaele Iaria

 

Ultimo aggiornamento ore 12,30 del 12 ottobre 2020