Tag: Mobilità umana e migrazioni

Migrantes Marche: una preghiera per l’Avvento

30 Novembre 2020 - Insegnaci Signore a condividere il nostro pane, il pane bianco dei nostri sogni, il pane nero dei nostri limiti, il pane bello dei nostri doni, il pane duro delle sconfitte, e il pane forte della speranza. Con ogni essere umano sulla terra, insegnaci, o Padre, a condividere da fratelli. Signore Gesù, Tu che hai superato ogni frontiera, della vita o della morte, dell’odio o dell’amore, donaci la forza di superare le nostre barriere, le frontiere dei nostri egoismi o delle nostre terre chiuse, delle nostre solitudini o delle nostre infinite paure. Insegnaci ad ascoltare l’altro e la sua fragilità, ad accogliere il suo mistero e i suoi valori differenti, la sua storia e i suoi veri sentimenti, a camminare con lui, ormai, per sentieri nuovi. Insegnaci a vivere del tuo Spirito, o Signore, spirito di servizio e di ospitalità, spirito di apertura e di unità, spirito di riconciliazione e di pace. Liberaci, o Signore, da noi stessi. E insegnaci a vivere insieme di nuovi cieli e di terre nuove. (p. Renato Zilio)    

Avvento: accogliere il signore che viene profugo e migrante

27 Novembre 2020 - Si è abbastanza concordi nell’affermare che il fenomeno migratorio come si è verificato dalla fine del secolo scorso fino a i nostri giorni è qualcosa che non ha precedenti nella storia umana. Un inedito che ci ha trovati sbigottiti ed impreparati. Dico questo come premessa personale per non infierire su chi sul fenomeno migratorio ha oggettivamente mostrato cecità, superficialità, paura. Non ne ho il diritto. Scrivo dopo aver appena ascoltato la testimonianza di un giovane migrante che ha raggiunto finalmente il nord della Francia dopo tre tentativi andati a vuoto e dopo le carceri e lo sfruttamento sia della mafia libica che della cosiddetta Polizia di Stato. Racconta quanto gli è costato conquistare il suo diritto a vivere e la sua dignità di uomo. Racconta le nefandezze diffuse ai vari confini, come la gentilezza del popolo quando approdò a Lampedusa. Mentre parlava lo immaginavo sperduto e confuso come il popolo ebraico quando il cammino della libertà passava fra due muraglie minacciose di acqua. Era lì quel giovane uomo: tornare a casa per morire di fame, essere ucciso, costretto ad andare in guerra, oppure tentare la liberazione sperando di sfuggire alle guardie armate dei confini europei e soprattutto alla loro mente terrorizzata. Non sapeva che c’era una terza muraglia ad ostacolare il suo cammino: l’incoscienza dei cristiani (cattolici e no) che, sulla sua pelle e sulla tragedia di settanta milioni di esseri umani, avevano rinnegato la propria fede assieme alla loro presunta civiltà. Mi riferisco a quelli del “Se il Papa li difende e li vuole, che se li porti in Vaticano!” o a quelli della invasione tsunamica da ricacciare indietro con ogni mezzo. Se vogliamo essere onesti, Covid-19 e migranti sono i due fenomeni che indicano dove abbiamo smarrito la nostra umanità. Sono uomini-umani quelli che hanno affidato la salvaguardia dei nostri confini ai libici o alla Turchia? Quelli che hanno definito “carnefici” le nostre vittime? E lo sono quelli che sulla tragedia sanitaria hanno piantato speculazioni miliardarie? O quei capi di Stato che si sono sentiti autorizzati ad affermare che loro compito era salvare l’economia e non vite umane? Il peggio è che, perdendo la nostra umanità, tutto il cristianesimo si è sciolto come neve al sole. Perdendo la fraternità ed il senso della custodia della vita (Gn 2), stabilendo noi chi doveva morire e chi doveva vivere, chi era uomo e chi sotto-uomo, rinnovando il culto per due vecchi idoli, il potere e il denaro, abbiamo perso il Padre ed abbiamo rinnegato tutto. Costretti dal coronavirus a non andare in chiesa, non ci è pesato accorgerci che, abbandonati i riti in chiesa, avevamo anche “bevuto” da tempo col cervello la stessa fede. Era svanito quel Gesù che nelle Beatitudini aveva indicato la strada di rapporti sani ed umani tra noi. Tanto sani ed umani da portare il Cielo in Terra, da rendere visibile il Padre invisibile, e da mostrare lo stesso volto di quel Gesù che un giorno aveva camminato con noi. Si era dileguata quella incredibile sua identificazione con i piccoli, i poveri, gli sventurati, gli invisibili, gli scarti, i senza-diritti. Avevamo stracciato senza rimpianti tante pagine del Vangelo e dello stesso Antico Testamento. “Ama il prossimo tuo come te stesso”. La sacralità dell’ospite (si ricorda ancora la vicenda di Abramo alle querce di Mamre?) si trasformò in criminalizzazione, respingimento, xenofobia. “Ero straniero e mi avete accolto”, ero nudo, affamato, minacciato, stremato e mi avete soccorso di Matteo 25, diventava non più compito qui ed ora, ma avvenimento del “Regno de cieli”, quando ci presenteremo davanti a Dio ed Egli finalmente accoglierà in quei disgraziati il suo stesso Figlio. Ma saranno affari suoi questi, non nostri… Era politicamente scorretta e dunque da dimenticare quella pagina di Vangelo. Accogliere il Signore che viene nel volto del migrante, ripetuto in tanti modi da Papa Francesco, diventò così uno slogan sovversivo che – se ce ne fosse stato bisogno – aumentò la sua impopolarità anche all’interno della chiesa, diciamo, impegnata. Quante comunità religiose (sovraccariche di spazi immensi ed inutilizzati), quante parrocchie, quante famiglie di cristiani ascoltarono il suo invito a fare spazio a chi aveva perso tutto? “Avete dimenticato il comando del Signore” osò dire, qualche decennio fa, a titubanti cattolici, un intellettuale sedicente “ateo”, durante un convegno. Eppure abbiamo sotto i nostri occhi una grazia. Pandemia da coronavirus e fenomeno migratorio, intimamente connessi tra loro, sono come una immensa parabola (con tragico “fondamento esperienziale”) per farci aprire gli occhi sulla realtà. Il mito del progresso legato allo sfruttamento della natura e delle sue infinite (?) risorse ha incendiato il Pianeta, ha avvelenato mari ed atmosfera, ha reso cancerogeno il cibo che ingoiamo, ha fatto rinascere la schiavitù, ha messo l’uomo della strada di fronte all’alternativa: o morire di fame o lavorare per morire di cancro. Ha reso il “mondo malato”, dice il Papa. In questo mondo malato “pretendere di vivere sani” è follia. Ma questo mondo non è solo malato, è assassino e disumano. Per gli interessi del nostro pseudo-cristiano Occidente abbiamo creato infinite guerre intestine tra i popoli le cui ricchezze volevamo depredare, abbiamo annientato popolazioni, abbiamo fatto della guerra l’asse trainante dell’economia mondiale. Con incredibili raggiri abbiamo venduto le terre degli indigeni agli stranieri, abbiamo desertificato la loro patria, li abbiamo schiavizzati ed affamati, in definitiva abbiamo detto loro che decidevamo noi chi poteva avere e chi non doveva avere il pass per vivere. Tutta questa immensa disgrazia può diventare grazia se solo apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che di questo passo l’unico avvenire sa di morte di ogni vita sul Pianeta. Chi sa? Se accogliamo il “segno dei tempi” costituito dalla tragedia del coronavirus e quella delle migrazioni, se riaccendiamo quanto resta della nostra fede e riconosciamo – come dice Papa Francesco –  sul volto del migrante lo stesso volto di Cristo, allora “saremo noi a ringraziarlo per averlo potuto incontrare, amare e servire” negli esuberi umani. (p. Felice Scalia)  

Della vita umana

27 Novembre 2020 - Perciò l’amore coniugale richiede dagli sposi che essi conoscano convenientemente la loro missione di paternità responsabile, sulla quale oggi a buon diritto tanto si insiste e che va anch’essa esattamente compresa. […] Nel compito di trasmettere la vita, essi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della chiesa. (Paolo VI, lettera enciclica Humanae Vitae, n.10 – 25 luglio 1968)   1968! Un anno simbolicamente evocativo, che riconduce subito a un periodo di tensioni, di scontri generazionali, di fermento. Anche la Chiesa vive un suo momento di confronto acceso nella ricezione dell’ultima lettera enciclica promulgata da Paolo VI, l’Humanae Vitae. Un documento che ha visto una travagliata gestazione, risalente agli anni del Concilio Vaticano II, durante i quali Giovanni XXIII aveva istituito la Commissione pontificia per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità, successivamente confermata e ampliata da Paolo VI, il quale aveva poi stralciato dalla discussione conciliare e avocato a sé il giudizio su come comporre l’amore coniugale e la procreazione responsabile. Consapevole della gravità dell’argomento, Paolo VI scrive quella che può considerarsi da allora “pietra di inciampo che ha impedito l’aggiornamento della morale coniugale oppure pietra di confine che ha stabilito dei limiti invalicabili”. Superando questa polarizzazione il documento può essere considerato – scrive Aristide Fumagalli in “Humanae Vitae. Una pietra miliare” – Queriniana 2019 – “una pietra miliare il cui significato non è quello di congelare la dottrina morale della Chiesa, ma di orientare il suo sviluppo”. Stabilire come inscindibili nell’atto coniugale il significato unitivo e il significato procreativo comporta che vi siano dei metodi naturali per la regolazione della natalità e delle vie, invece, illecite, ovvero quelle artificiali. Ma se questo è il centro dottrinale della lettera, il punto su cui ancora oggi tanto si discute, l’enciclica può essere letta anche nella sua complessità come uno strumento atto a spronare gli sposi e tutta la comunità ecclesiale ad amare la vita nella sua dimensione di dono e di mistero. Amare la vita che comporta essere docili alla comprensione delle sue dinamiche, comprese quelle della procreazione. La prima responsabilità dei coniugi è sapersi dimostrare aperti ad una vita più grande, che non si esaurisce nello spazio egoistico della coppia, ma si allarga ad una prossimità che è in prima istanza quella dei figli, ma poi quella di tutti coloro che si incontrano nel cammino di un’esistenza. La famiglia come seme di Vangelo per il mondo. Alla luce di questa dimensione di accoglienza si possono leggere le disposizioni dottrinali dell’enciclica. Un testo che obbiettivamente pone interrogativi, suscita ancora domande, sollecita delle attenzioni e delle fatiche. Quello che è certo è che si tratta di un documento che oggi, a più di cinquant’anni di distanza, ha ancora bisogno di essere preso in seria considerazione da parte delle coppie, ma prima ancora dai pastori, che non si devono esimere da un lavoro di lettura, di riflessione condivisa, senza stancarsi di spiegarlo, enuclearlo e applicarlo alla vita concreta delle famiglie. Si ha l’impressione che Humanae Vitae, “che Paolo VI ha scritto – secondo un’espressione del cardinal Ratzinger nel 1995 – a partire da una decisione di coscienza profondamente sofferta” abbia avviato un discorso che rimane ancora aperto e che, di fatto, è stato ripreso in tanti altri documenti ecclesiali: limitandoci solo ai testi papali, si pensi alla esortazione apostolica Familiaris Consortio  di Giovanni Paolo II e le sue Catechesi sull’amore umano fino alla molto più recente Amoris Laetitia di Francesco. È un evidenza che in merito al grande tema dell’amore coniugale il magistero dei Papi si sviluppa in una continuità feconda, facendosi carico del patrimonio di discernimento dei predecessori e riproponendolo, alla luce al Vangelo, all’umanità del proprio tempo. Questa è la dimostrazione che la Chiesa in ogni tempo si fa compagna di strada degli uomini e delle donne, non solo dei battezzati, perché non considera a sé estraneo nulla di ciò che riguarda l’umano. Ai singoli, alle coppie, alle comunità l’onere di non lasciare impolverare i documenti del magistero, ma di farli parlare e vivere come preziosi compagni di strada. (Giovanni M. Capetta - Sir)  

Contro la violenza servono responsabilità e cura

25 Novembre 2020 - Roma - Ci sono tante forme di violenza, spesso ignorate o taciute, se non ridicolizzate o minimizzate. La Giornata contro la violenza sulle donne, che oggi celebriamo a livello internazionale, non accende un faro solo su un genere – le donne – ma punta a una presa di coscienza collettiva. La violenza non è mai parziale o di settore, ma è una ferita profonda che lacera la vita e che coinvolge l’intera società. In questo, il ruolo della comunicazione e dei media è fondamentale. Di fronte a narrazioni distorte che colpevolizzano le vittime e fanno dilagare un’informazione deformata, ricordiamo ancora una volta che i punti nodali devono essere le dimensioni di cura e custodia che ogni comunicazione dovrebbe avere al suo centro. Così come la responsabilità. “Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità – ricordava Papa Francesco nel Messaggio per la 52ª Giornata per le comunicazioni sociali –, particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie”. Cerchiamo ogni giorno, e non solo oggi, di andare al di là degli stereotipi e costruire insieme, uomini e donne, una comunicazione autentica, rispettosa, unitiva. (Vincenzo Corrado)

Migranti in Trentino: ogni euro speso “raddoppia” il suo valore

25 Novembre 2020 - Trento - Il Trentino sta rinunciando a quanto costruito negli ultimi dieci anni in tema di accoglienza, compreso l’effetto “moltiplicatore” di ogni euro speso per i migranti. È quanto emerso dalla ricerca commissionata ad Euricse dalla rete di organizzazioni Cooperativa sociale Arcobaleno, Centro Astalli, Atas, Cgil e Kaleidoscopio e pubblicata nella collana “Quaderni” da Fondazione Migrantes. Il volume – che indaga l’impatto del sistema di accoglienza trentino da un punto di vista sociale ed economico e valuta i cambiamenti introdotti dal Decreto “Sicurezza e immigrazione” del 2018 - è stato presentato ieri in un evento online alla presenza dei curatori Paolo Boccagni e Serena Piovesan (Università di Trento), Giulia Galera (Euricse), Leila Giannetto (FIERI, Torino). Il volume riporta i risultati di una ricerca commissionata ad Euricse da una rete di enti trentini composta da Cooperativa sociale Arcobaleno, Centro Astalli Trento, Atas del Trentino, Cgil del Trentino e Kaleidoscopio. Lo studio - curato da Paolo Boccagni e Serena Piovesan (Università di Trento), Giulia Galera (Euricse) e Leila Giannetto (FIERI, Torino) - indaga l’impatto del sistema di accoglienza trentino da un punto di vista socio-economico alla luce dei cambiamenti introdotti dal Decreto “Sicurezza e immigrazione” (D.L. 113/2018). La ricerca è basata sui dati messi a disposizione dal Cinformi e dal Servizio statistico della Provincia, su due focus group e 27 interviste con stakeholder della pubblica amministrazione ed enti del terzo settore. “Minori sono le risorse e competenze che riusciamo a dedicare alle persone più fragili e maggiori saranno le risorse che dovremmo investire in assistenza e in spese sanitarie, finendo spesso col mantenere le persone in uno stato di dipendenza e marginalità che fa male ai diretti interessati ma anche alle comunità nel suo complesso”, ha sottolineato Mariacristina Molfetta di Fondazione Migrantes. “Il volume lo illustra con chiarezza – ha aggiunto - e noi speriamo che una maggiore consapevolezza in questo senso aiuti ogni territorio a riorientare le scelte politiche e organizzative senza esitazioni, ritornando ad una concezione delle politiche sociali come motore e anima del bene comune”. Nella prima parte della ricerca emerge come in Trentino, fino all’entrata in vigore del Decreto Sicurezza e Immigrazione del 2018, esistesse un sistema di accoglienza centralizzato e ben funzionante, basato sul coordinamento di circa 20 enti gestori, in particolare organizzazioni del Terzo settore, da parte di Cinformi. Il numero di territori comunali interessati dall'accoglienza straordinaria è andato ampliandosi negli anni: 42 comuni nel 2016, 65 nel 2017, 69 a fine 2018. Due terzi del totale dei richiedenti asilo sono però sempre stati ospitati a Trento e Rovereto. Il 2018 ha visto un cambio di tendenza per il numero di richieste di asilo in Trentino, come nel resto d’Italia, con la conseguente riduzione di persone accolte e una diminuzione delle strutture ospitanti (84 strutture nel 2019 contro le 170 dell’anno precedente). I principali cambiamenti introdotti dal D.L. 113/2018 riguardano la cancellazione del permesso di protezione umanitaria, la trasformazione del Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) in Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI) e la cancellazione dei servizi di integrazione per i richiedenti asilo, cambiamenti accompagnati da un sostanziale taglio delle risorse dedicate all’accoglienza. L’analisi qualitativa, basata su 27 interviste e due focus group dedicati agli aspetti cruciali dell’abitare e del lavoro, porta in primo piano il punto di vista delle realtà direttamente e indirettamente coinvolte nella fornitura di servizi a richiedenti asilo e rifugiati, per quanto concerne l’accesso ai servizi di welfare locale, il mercato del lavoro, la coesione sociale e l’impatto territoriale.  “Dalle interviste emerge che il Trentino sta rinunciando con considerevole superficialità a quanto costruito negli ultimi dieci anni facendo assegnamento sulla forte vocazione comunitaria e solidale del territorio e sulla capacità di innovare”, è la tesi sostenuta dal team di ricercatori. “Le recenti scelte politiche in materia di accoglienza sono dettate da una visione di brevissimo periodo”, aggiungono. “A medio e lungo termine questo approccio rischia di giungere a risultati opposti, penalizzando fortemente gli stessi territori ospitanti e i servizi territoriali a causa della crescente marginalità sociale e dei costi indiretti più alti che ne derivano per le istituzioni”. Secondo i risultati dell’analisi di impatto realizzata da Eddi Fontanari con riferimento al 2016 – ovvero al massimo delle presenze – la spesa pubblica per l’accoglienza dei migranti ha contribuito a generare lo 0,03% del valore della produzione dell'economia trentina, con un'attivazione di oltre 9 milioni di euro distribuiti in particolare tra commercio, alloggio e ristorazione, sanità e assistenza sociale, oltre a trasporto e prestazioni professionali. Guardando inoltre alle ulteriori ricadute sulle attività produttive in termini di beni e servizi intermedi e di consumi finali indotti, lo studio evidenzia che ogni euro speso per l’accoglienza ha generato complessivamente nel sistema economico trentino quasi due euro di valore della produzione (1,96), portando il totale da 9,4 a 18,5 milioni di euro nel 2016. Nel capitolo dedicato alle conseguenze economiche della mancata accoglienza, curato da Sara Depedri, emerge che, a fronte di un risparmio di spesa, i potenziali costi diretti e indiretti generati dalla riduzione dei servizi di accoglienza, orientamento al lavoro e integrazione rischiano di superare significativamente i benefici.  Basti pensare al mancato prelievo fiscale legato al calo delle assunzioni di richiedenti asilo, all’aumento di costi a carico delle strutture di accoglienza a bassa soglia e di quelli per la fornitura di generi di prima necessità, al rischio di aumento delle fragilità socio-sanitarie alle quali i servizi territoriali devono rispondere, tra i quali gli accessi impropri al pronto soccorso. Senza contare i licenziamenti di operatori altamente qualificati, spesso giovani laureati trentini, con una conseguente dispersione delle competenze acquisite.    

Un nuovo premio giornalistico per l’informazione sui migranti

25 Novembre 2020 - Roma - È stato istituito il Premio “Informazione e migranti” per trattare temi legati ad una realtà centrale nell’attuale panorama internazionale, come ad esempio: il superamento dei pregiudizi sui migranti; il ruolo e il rispetto delle minoranze; l’importanza della convivenza e della integrazione; la rappresentazione mediatica della sofferenza e dell’emergenza; la deontologia nel racconto del fenomeno migratorio; e la percezione del fenomeno della migrazione e politiche di accoglienza. Al Premio possono accedere i giornalisti professionisti, pubblicisti, praticanti o corrispondenti esteri, nei settori della carta stampata, dell’emittenza radiofonica, televisiva e dei nuovi media, in testate sia nazionali che estere. I lavori partecipanti al Premio dovranno essere prodotti dal 1° marzo 2020 al 31 marzo 2021 e dovranno essere presentati entro il 30 giugno 2021. Questo appuntamento giornalistico è frutto della iniziativa del Comitato “Informazione, migranti e rifugiati”, coordinato dalla Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce, dall’Associazione Iscom, da Harambee Africa International, dallo Scalabrini International Migration Institute, dal Centro Astalli e dalla Fondazione Migrantes. Per maggiori informazioni, si può visitare il sito web dell’Associazione De Carli, all’interno della quale è stato ideato questo  Premio. www.associazionedecarli.it. BANDO DEL PREMIO: http://www.associazionedecarli.it/price/101-category-home/205-regolamento-del-premio-6%C2%AA-edizione-2021.html

Migrantes: con i direttori regionali condividere l’esperienza di questi mesi

11 Novembre 2020 - Roma - Condividere l’esperienza di questi mesi, quello che questa pandemia ci sta insegnando, e per individuare insieme alcune piste sul lavoro degli uffici Migrantes alla presenza del Presidente della Migrantes, il Vescovo Mons. Guerino Di Tora. Questo lo scopo dell'incontro che si è svolto oggi in modalità online. Nell’introdurre i lavori il Direttore generale, don Giovanni de Robertis, ha chiesto di pregare per il Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, attualmente ricoverato a Perugia a causa del Covid 19. Il direttore ha ripercorso gli ultimi appuntamenti Migrantes come il Rapporto Immigrazione (8 ottobre) e il Rapporto Italiani nel mondo (27 ottobre). “Nonostante non sia stato possibile farlo in presenza, la modalità online ci ha permesso di raggiungere una platea più vasta”, ha detto don de Robertis. Circa il cammino futuro, il direttore Migrantes ha ricordato che “la nostra stella polare resta il Convegno nazionale dell’aprile 2019 a Seveso sulla Chiesa dalle genti. È un orizzonte che dobbiamo assimilare e che dobbiamo aiutare le nostre Chiese locali a fare proprio. Passare da delle comunità cristiane monoculturali a delle comunità ‘intessute da colori diversi’, come dicevamo a Seveso, capaci di includere persone di lingua e provenienza diverse, non come destinatari della nostra carità, ma come portatori di una ricchezza da condividere”.  

Città dei ragazzi: ripartono i corsi per nuovi mestieri

11 Novembre 2020 - Roma - Si è concluso da poco presso la Città dei ragazzi il primo ciclo dei nuovi corsi rispettando le restrizioni legate al COVID-19. Ma concluso un ciclo ne inizia un altro! Avranno, infatti, luogo il 24 novembre le selezioni per i nuovi corsi di Aiuto Cuoco, Cameriere e Pizzaiolo!. L'inizio delle lezioni è previsto per il 30 novembre. Tutti corsi, rivolti a persone migranti, rifugiate o in situazioni di vulnerabilità, includono 64 ore direttamente con il docente in aula e 16 ore di orientamento (colloqui simulati, stesura del curriculum...), con un tutor sempre a disposizione, e sono gratuiti.  

Migrantes Caltanissetta: parte il progetto Aurora

11 Novembre 2020 -

Caltanissetta – “Alle ragazze che vogliono risplendere nella loro vita, come l'Aurora. Per credere in sé stesse e nelle proprie capacità. Per essere una luce che sorge e piano piano illumina tutto intorno a sé. Per diventare protagoniste della propria vita. Professionalizzarsi, per fare la differenza anche nel mondo del lavoro”. Così l’ufficio Migrantes di Caltanissetta presenta il progetto Aurora promosso insieme all’UISG, iniziato nei giorni scorsi. Un corso a distanza di assistente familiare, per apprendere tutto ciò che è necessario per prendersi cura delle persone e della casa, e di segreteria/receptionist per lavorare nelle strutture ricettive. Dall'educazione alimentare alla cucina, la cura della casa e degli anziani con l'igiene personale o per rimedi casalinghi alla cura di tagli, contusioni o piaghe oppure ancora con difficoltà motorie o speciali. E poi nozioni per budgeting, gestione finanziaria semplificata, magazzino, acquisti e inventario. Tutto questo e altre ancora con l'aiuto di volontari professionisti, sottolinea la Migrantes della diocesi siciliana.

Onu: “impatto pandemia devastante, aumenterà fame e persone in fuga”

10 Novembre 2020 - Roma - La fame globale e gli sfollamenti di popolazione – entrambi già a livelli record quando ha colpito il Covid-19 – potrebbero subire un’impennata, con migranti e quanti vedono diminuire il flusso delle rimesse che cercano disperatamente lavoro per sostenere le proprie famiglie. È quanto emerge dal Rapporto, il primo nel suo genere, pubblicato oggi dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’agenzia Onu World food programme (Wfp). “L’impatto socioeconomico della pandemia è più devastante della malattia stessa – ha affermato David Beasley, direttore esecutivo del Wfp -. Nei Paesi a basso e medio reddito, molte persone, che fino a pochi mesi fa, anche se povere, riuscivano ad andare avanti, ora si trovano con i mezzi di sussistenza distrutti. Le rimesse inviate dall’estero alle famiglie a casa si sono prosciugate, causando difficoltà immense. Il risultato è che i livelli della fame sono schizzati alle stelle”. L’impatto della pandemia, inoltre, “minaccia di far tornare indietro gli impegni globali, incluso quello sul Global compact on migration”, ha aggiunto António Vitorino, direttore generale dell’Oim. Nove tra le dieci peggiori crisi alimentari al mondo sono in Paesi con il maggior numero di sfollati. La maggior parte degli sfollati, inoltre, si trova in Paesi colpiti da insicurezza alimentare acuta e malnutrizione. I 164 milioni di lavoratori migranti nel mondo, specialmente nei settori informali, sono tra i più colpiti dalla pandemia. Secondo il rapporto molti migranti saranno spinti a tornare a casa e ci sarà, almeno temporaneamente, “un calo delle rimesse che forniscono un sostegno essenziale a circa 800 milioni di persone nel mondo, una su nove”. La Banca mondiale prevede un calo del 14 per cento entro il 2021.  Secondo il Wfp entro la fine del 2021 almeno 33 milioni di persone in più potrebbero scivolare verso la fame solo per il calo delle rimesse. (sir)    

Un prete per amico

10 Novembre 2020 - È compito dei sacerdoti, provvedendosi una necessaria competenza sui problemi della vita familiare, aiutare amorosamente la vocazione dei coniugi nella loro vita coniugale e familiare con i vari mezzi della pastorale, con la predicazione della parola di Dio, con il culto liturgico o altri aiuti spirituali, fortificarli con bontà e pazienza nelle loro difficoltà e confortarli con carità, perché si formino famiglie veramente serene. (Gaudium et Spes, n. 52 – 7 dicembre 1965)   Quasi al termine del capitolo dedicato alla famiglia, la Gaudium et Spes presenta un paragrafo interessante in cui si pone a tema il ruolo dei sacerdoti in relazione alla vocazione dei coniugi. Molti di noi avranno tante esperienze da raccontare riguardo al rapporto della propria famiglia con preti o religiosi, ma forse non tutti sono a conoscenza che il Concilio ha dato un indirizzo, un’indicazione che aiuta a capire la giusta reciprocità da crearsi fra le due colonne del popolo di Dio. Prima di tutto si dice che il compito dei sacerdoti è quello di formarsi una competenza riguardo ai problemi famigliari. Oltre a quella che, oggi, più di un tempo, si riceve in seminario, con materie di studio che sono propedeutiche alla pastorale famigliare, la formazione a cui si allude riguarda un tirocinio sul campo. Non basta che i preti facciano riferimento alla loro precedente vita di figli in famiglia, ma è necessario che fin dai primi anni di ministero frequentino con umiltà altre famiglie concrete e da esse attingano elementi preziosi per il loro servizio. Ma, poi, cerchiamo di capire in che cosa consista prioritariamente questo servizio: il testo parla di “aiutare amorosamente - espressione dal peso specifico grande -  la vocazione dei coniugi” il che significa mettere sacerdoti e famiglie sullo stesso piano senza uno squilibrio gerarchico degli uni rispetto agli altri. Attraverso tutti i mezzi della pastorale, la predicazione della Parola, la liturgia e gli altri aiuti spirituali, fortificare e confortare i coniugi perché si formino famiglie serene. Lo stesso obbiettivo è particolare, ha a che fare con la serenità della vita stessa delle famiglie prima ancora che con la loro santificazione, quasi ad indicare che quest’ultima sia un fine a cui tutti siamo chiamati in virtù del nostro battesimo, ma che i sacerdoti non siano in partenza depositari di una santità più garantita da vivere e offrire al laicato. Da queste poche righe in sostanza si può desumere uno stile, il profilarsi di un modus operandi del prete nei confronti delle famiglie che incontra nella sua esperienza di pastore. È uno stile improntato alla mitezza e alla capacità di saper mettersi al servizio senza imporre una presenza a volte troppo ingombrante. Il prete che vive in parrocchia, incontra fidanzati, neo coppie di sposi, famiglie con figli in età di catechismo o più grandi, famiglie di anziani, una grandissima varietà di situazioni in cui gli è chiesto di entrare in relazione in punta di piedi, con grande rispetto. L’immagine plastica è proprio quella di un invito a casa, in cui l’ospite sacerdote non si senta l’invitato di riguardo a cui tutto è dovuto e servito, quanto piuttosto il compagno che accetta di fare un tratto di strada insieme, offrendo – prima di tutto – la luce della Parola che illumina il cammino. Chi ha accesa questa lanterna non ha la presunzione di possedere la Verità, che è poi sempre la persona di Gesù, ma la generosa volontà di mettere sulla strada giusta il popolo che gli è stato affidato. In quest’ottica allora si può immaginare come il sacerdote possa e debba essere anche la guida nella preghiera, in particolare in quella espressa nella liturgia. Colui che accompagna l’assemblea delle famiglie di cui è composta la comunità a riscoprire ogni volta di più il fondamento e l’alimento del proprio camminare nei sacramenti e in specie nell’Eucarestia. Anche in questo caso un uomo che indica, che eleva, che mostra il Signore senza che la sua voce prevarichi, ma, anche nell’omiletica, sia sempre sincera esegesi delle Scritture, spiegazione, sprone, incoraggiamento. Sono belle quelle famiglie che hanno saputo incontrare e intrecciare la loro strada con quella di qualche sacerdote. Lì veramente si vivono i benefici della comunione ecclesiale. Sono legami in cui davvero virtuosamente ci si arricchisce a vicenda, rafforzando e integrando per osmosi le reciproche vocazioni. Dal Concilio ad oggi si sono fatti tanti passi in avanti, ma ancora molta strada resta da percorrere in questa relazione di scambio che è frutto maturo di una Chiesa adulta nella fede. (Giovanni M. Capetta - SIR)  

Non aspettano più gli adulti

9 Novembre 2020 - Roma - “Non aspettiamo più di poter parlare nei convegni dei grandi ma parliamo noi. I leader impegnati nella discussione sul clima ci hanno sbattuto la porta in faccia. Dal momento che non ci ascoltano non giocheremo più al loro gioco e costruiremo la nostra conferenza”. Dalle Filippine al Costa Rica una denuncia unanime da parte dei giovani: “I leader mondiali hanno come priorità solo gli interessi economici”. Era prevista in questi giorni a Glasgow la Conferenza mondiale sull’ambiente, la Cop 26, ma la pandemia lo ha impedito ed è stata rinviata al prossimo anno. Visto che la Cop26 non potrà tenersi, ragazze e ragazzi di 118 Paesi, hanno dato vita un evento su Internet chiamato Mock Cop, la Cop simulata (www.mockcop.org). Dal 19 novembre al 1° dicembre si ritroveranno on line in una sorta di governo virtuale del pianeta affrontando temi quali la giustizia climatica, la formazione scolastica, la sanità e la salute mentale, i nuovi lavori ecosostenibili, gli obiettivi di riduzione del carbonio. Quello per la salute ha la precedenza su qualsiasi altro impegno ed è doveroso che tutti gli sforzi vengano concentrati in questa direzione. Nel contempo le altre grandi sfide all’umanità non possono essere abbandonate a sé stesse e se la priorità deve essere rigorosamente rispettata non si devono lasciare senza risposta le domande sul futuro. Molte riguardano il cambiamento climatico che, peraltro, non è estraneo al sorgere e allo svilupparsi della pandemia. Guardando alla tragedia che nel mondo si sta consumando, Mock Cop potrebbe essere inteso come una mancanza di sensibilità. come una fuga dalla responsabilità. Non è così. I giovani considerano la pandemia anche una conseguenza dello squilibrio ecologico globale e temono che l’unica preoccupazione dei leader, sconfitto il virus, sia quella di recuperare la crescita economica persa nei   mesi del contagio. Si aggiunge il timore, come peraltro è accaduto dopo il primo lockdown, che gli stili di vita personali e collettivi rimangano quelli di prima, gli stessi che hanno contribuito alla crisi ambientale con le sue drammatiche conseguenze quali le diseguaglianze che lacerano ancor più una società disorientata. C’è un pensiero che ha ispirato e guida Mock Cop, è di Greta Thunberg: “Qualcuno dovrà fare qualcosa e quel qualcuno potrei essere io”. Parole che lasciano intendere la difficoltà di una strategia, perché il coronavirus ribadisce che non si possono fare grandi programmi, ma c’è la volontà di ascoltare persone credibili, con loro confrontarsi sul futuro e quindi agire. Tra queste persone c’è Francesco, con la Laudato si’. (Paolo Bustaffa – SIR) ​  

Siate pronti!

9 Novembre 2020 - Città del Vaticano - C’è una domanda di fondo sottesa alla pagina del Vangelo di ieri, la parabola delle dieci vergini: che cosa significa vegliare; come vivere nell’attesa della venuta del Signore. Una pagina che è preceduta da un’altra parabola, quella del servo che attende il ritorno del padrone, senza sapere in quale giorno questo accadrà. Ma sa attendere, anche ai suoi doveri, e per questo è definito fidato e prudente. Quest’ultima parola si lega bene alla vicenda delle donne che, prudentemente, hanno messo da parte l’olio per alimentare le loro lampade, nel momento dell’arrivo dello sposo. Fermiamoci su queste immagini suggerite dal primo Vangelo: l’olio, le dieci vergini, il banchetto nuziale. Sappiamo che delle dieci donne solo cinque – definite proprio prudenti – parteciperanno alla festa di nozze, le altre, andate a cercare l’olio per le loro lampade, troveranno la porta chiusa. “Signore aprici”, diranno al loro arrivo ricevendo in risposta: “in verità io vi dico: non vi conosco”. Sappiamo ancora che, nell’attesa, si addormentarono anche loro, pronte però a destarsi e a prepararsi per esultare all’arrivo dello sposo: “vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”, leggiamo in Matteo. La parabola è un invito a essere pronti perché non ci è dato sapere quando il Signore verrà, e per questo nella nostra lampada non dovrà mancare l’olio; dobbiamo essere prudenti come le cinque ragazze che sono state ammesse al banchetto, le cui lampade emettevano luce all’arrivo dello sposo. “Con questa parabola – ha spiegato il Papa, parlando alle persone presenti per la preghiera mariana dell’Angelus – Gesù ci vuole dire che dobbiamo essere preparati all’incontro con Lui. Non solo all’incontro finale, ma anche ai piccoli e grandi incontri, all’impegno di ogni giorno in vista di quell’incontro, per il quale non basta la lampada della fede, occorre anche l’olio della carità e delle opere buone”. Essere saggi e prudenti, ha affermato Francesco, significa “non aspettare l’ultimo momento per corrispondere alla grazia di Dio, ma farlo attivamente da subito”. Capita, lo sappiamo, afferma il Papa, di “dimenticare la meta della nostra vita, cioè l’appuntamento definitivo con Dio, smarrendo così il senso dell’attesa e assolutizzando il presente”. La prudenza alla quale Gesù ci invita è quella di chi conosce il proprio limite, sa le proprie debolezze – anche le cinque che sono entrate nella sala, si sono addormentate come le altre – ma nello stesso tempo è anche capace porvi rimedio: avevano “l’olio in piccoli vasi” affinché non restassero senza. Non dobbiamo guardare solo il presente, assolutizzandolo, perché così si “perde il senso dell’attesa”, ricorda il vescovo di Roma. Perdere il senso dell’attesa “preclude ogni prospettiva sull’aldilà: si fa tutto come se non si dovesse mai partire per l’altra vita. E allora ci si preoccupa soltanto di possedere, di emergere, di sistemarsi”. Vegliare, dunque, non significa non dormire, ma essere pronti, perché non sappiamo quando arriverà il nostro momento; ma occorre anche essere umili: non avere la presunzione di ignorare le nostre debolezze. Come disse il cardinale Giacomo Biffi, presi dalla voglia di festeggiare a volte ci dimentichiamo del festeggiato; diamo più importanza alle lampade che allo sposo; e quando arriva, l’olio non basta per continuare a far luce. “Se ci lasciamo guidare da ciò che ci appare più attraente, da quello che mi piace, dalla ricerca dei nostri interessi, la nostra vita diventa sterile”, afferma Papa Francesco; così “non accumuliamo alcuna riserva di olio per la nostra lampada, ed essa si spegnerà prima dell’incontro con il Signore. Dobbiamo vivere l’oggi, ma l’oggi che va verso il domani, verso quell’incontro, l’oggi carico di speranza”. Un incontro che va preparato prima; non si può essere superficiali, pensando che a tutto si può trovare rimedio, anche all’ultimo minuto. Dobbiamo, invece, essere pronti, ricorda il Papa: “se siamo vigilanti e facciamo il bene corrispondendo alla grazia di Dio, possiamo attendere con serenità l’arrivo dello sposo. Il Signore potrà venire anche mentre dormiamo: questo non ci preoccuperà, perché abbiamo la riserva di olio accumulata con le opere buone di ogni giorno”. (Fabio Zavattaro)  

Dialogo Interreligioso: messaggio por il Deepavali

6 Novembre 2020 - Roma - “In mezzo alle difficoltà della pandemia da Covid-19, questa festa significativa possa spazzare via le nubi della paura, dell’ansia e di ogni timore e colmare menti e cuori con la luce dell’amicizia, della generosità e della solidarietà”. È l’augurio del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, contenuto nel messaggio inviato per la festività di Deepavali, che molti induisti festeggiano il 14 novembre. “Quest’anno, sulla scia della pandemia da Covid-19, vogliamo condividere con voi alcuni pensieri sulla necessità d’incoraggiare uno spirito positivo e speranza per il futuro anche di fronte a ostacoli apparentemente insormontabili, sfide socio-economiche, politiche e spirituali, e ansia, incertezza e paura diffuse”, si legge nel messaggio, in cui si citano le “tragiche situazioni causate dall’attuale pandemia e dalle sue gravi conseguenze sulla vita quotidiana, l’economia, l’assistenza sanitaria, l’educazione e le pratiche religiose”. Eppure, “le esperienze di sofferenza e un senso di responsabilità reciproca hanno unito le nostre comunità nella solidarietà e nella preoccupazione, in atti di gentilezza e compassione verso i sofferenti e i bisognosi”. Come sostiene il Papa, “la solidarietà oggi è la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia, verso la guarigione dalle nostre malattie interpersonali e sociali” è “una strada per uscire migliorati dalla crisi”: di qui la necessità di promuovere “il contagio della speranza” con “gesti di cura, affetto, gentilezza e compassione, che sono più contagiosi dello stesso coronavirus”.

Migrantes Cerignola: il Laboratorio delle Migrazioni per conoscere e per comprendere

6 Novembre 2020 - Cerignola - Si è svolta nei giorni scorsi la cerimonia di inaugurazione del Laboratorio delle Migrazioni nei locali del Seminario vescovile di Cerignola, organizzata dall'Ufficio diocesano per la pastorale dei Migranti-Migrantes e dall'associazione «San Giuseppe» Onlus. Si è trattato di un momento di riflessione aperto dalla visione del docufilm Sfollati, a cura della Fondazione Migrantes, a cui sono susseguite le testimonianze di alcuni protagonisti del messaggio del Papa: dai terremotati di Lazio e Marche agli sfollati di Congo e Kurdistan iracheno. Simone Varisco, ricercatore della Fondazione Migrantes, in collegamento da Roma, ha presentato il suo libro “Il giorno di chi è in cammino”, le cui pagine tracciano la storia della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato in Italia. È, quindi, intervenuto il vescovo Luigi Renna, il quale, soffermandosi sul messaggio del Papa, ha fatto riferimento al Laboratorio come traduzione dei verbi «Accogliere, proteggere, promuovere, integrare». Per il vescovo, si tratta di un'iniziativa «importante perché è un progetto che ci aiuta a uscire dalla dicotomia pensiero-azione e teoria-prassi, riconducendoci a quella verità secondo cui ogni agire è lungimirante se prima è preparato dal pensiero e dallo studio». Ed è proprio questo uno degli obiettivi del Laboratorio: partire dalla ricerca per operare sul territorio, unire l'impegno prioritario dell'Ufficio Migrantes nella cura e nell'attenzione a persone e comunità in una prospettiva di promozione umana e dialogo culturale con la progettualità e lo sguardo europeo, come ha confermato don Claudio Barboni, direttore dell'Ufficio Migrantes e dell'associazione «San Giuseppe», Gli interventi di Angela Maria Loporchio, project manager dell'associazione «San Giuseppe», e di Marcello Colopi, responsabile dello Sportello immigrazione «Fumarulo», hanno anticipato la visita dei presenti alla sede del Laboratorio.

I medici stranieri dimenticati dall’Italia, persino nell’emergenza

5 Novembre 2020 - Milano - Sono 75.500 i professionisti della sanità – medici, infermieri, operatori sociosanitari, tecnici di laboratorio – che vivono in Italia con un passaporto straniero. Secondo Amsi, l’Associazione dei medici stranieri in Italia che ha diffuso questi dati, lavorano soprattutto in strutture private come cooperative o Rsa, con contratti a termine o di semplice collaborazione nei servizi di base come le guardie mediche, i pronto soccorso o gli ambulatori dei distretti sanitari. Tra di loro ci sono precari senza prospettive e con stipendi inadeguati. E tra i “camici bianchi” c’è anche chi sopravvive facendo sostituzioni di pochi mesi l’anno. L’esperienza e la bravura non contano, serve la carta d’identità firmata da un sindaco. I mesi scorsi hanno visto il nostro Paese diventare teatro di missione, durante il picco della pandemia, per il personale sanitario proveniente dall’estero, da Paesi come Cuba e l’Albania, segno della solidarietà internazionale che ha abbracciato anche il nostro Paese. Ma si è trattato di volontari, chiamati a raccolta in una fase eccezionale. Nell’esercito degli “stranieri” che opera nel sistema sanitario italiano ci sono 22mila laureati in medicina (38mila, invece, gli infermieri), molti dei quali specializzati, che potrebbero entrare anche in pianta stabile nei reparti degli ospedali e nelle strutture sanitarie pubbliche contribuendo così a colmare le carenze di organico – in Italia, lo ricordiamo, mancano 56mila dottori – ma non possono partecipare ai concorsi perché non risultano cittadini italiani. In effetti, nel 2013 la legge che impediva agli stranieri di essere assunti dallo Stato è stata abolita ma il requisito dell’italianità d’anagrafe è rimasto per i ruoli da dirigente, come vengono considerati, appunto, i medici del settore pubblico. E sebbene il Dpcm “Cura Italia” abbia derogato a questo impedimento autorizzando le Regioni, secondo una direttiva europea, ad assumere in via temporanea per tutto il periodo dell’emergenza Covid anche i dottori con laurea acquisita all’estero, di fatto questo non sta avvenendo, perché per la maggior parte, i bandi di concorso o degli “avvisi” non sono stati adeguati alla nuova normativa. Non si riconoscono cioè titoli di studio e qualifiche professionali che non siano state conseguite entro i confini della Penisola. Il sistema sanitario nazionale viene così privato di risorse preziose nella lotta contro la pandemia. Ma c’è, comunque, chi la battaglia la porta avanti lo stesso, rischiando ogni giorno di contrarre il virus per rispettare il giuramento di Ippocrate, nella speranza che qualcosa cambi. Kamel Khuri è un israeliano nato a Betlemme e laureato in medicina a Pavia. Ha 50 anni, una moglie e una figlia dodicenne. Abita a Mede, piccolo borgo della Lomellina, ma tutti i giorni deve recarsi a Vigevano, dove fa servizio nell’infermeria della casa di reclusione, o deve presentarsi nei Pronto soccorso dei sette ospedali dell’Azienda sociosanitaria pavese. “Ho un doppio lavoro ma sono un precario dal 2003, mi sposto tra Casorate Primo, Mortara, Stradella, Varzi, Voghera e negli altri centri del territorio – racconta – a seconda di dove mi mandano, ho un contratto che viene rinnovato dalla Asst anno dopo anno ma ogni volta, alla mia età, devo sostenere un esame davanti a una commissione: ormai sanno tutto di me, anche il numero di scarpe che porto, non capisco perché non c’è la possibilità di stabilizzare il mio rapporto di lavoro”. All’inizio il dottor Khuri faceva la guardia medica ad Alessandria, poi, dopo quattro anni, ha fatto dei corsi di medicina d’emergenza e ha trovato lavoro nel carcere vigevanese: “Curo insieme ad altri colleghi tra i 70 e i 75 detenuti, più gli agenti penitenziari quando c’è bisogno”. Diverso è il caso di Rahamin Remi Koronel, 67 anni, residente a Milano dove dal 1998 fa il medico di base con specializzazione in ginecologia. Ha lo studio in via Gorizia, di fronte alla Darsena del Naviglio Grande. Koronel arrivò in Italia da Istanbul nel 1957 con i genitori e il fratello, esuli per scelta. Aveva 3 anni quando atterrò con la famiglia a Linate e da allora non ha mai lasciato il nostro Paese, che è diventato anche il suo. È cittadino italiano a tutti gli effetti. Laureato a Milano, presa la specializzazione ha cominciato a lavorare all’Istituto nazionale dei tumori, precario per una decina d’anni. “Poi, visto che non riuscivo ad entrare con un contratto definitivo, sono venuto via e ho deciso di fare la libera professione”. I sacrifici all’inizio non sono mancati, non c’erano gli agganci giusti per accedere nel settore pubblico, e forse neanche il cognome lo ha aiutato. Però poi, una volta aperto lo studio, ha fatto presto a guadagnarsi la fiducia dei pazienti. Perché un bravo medico si vede sul campo. “Deve essere valutato per le capacità e la voglia di fare – dice – e non per altre ragioni...”. Oggi il dottor Koranel ha 1.250 assistiti e sta per andare in pensione. Adesso però c’è l’epidemia di Covid–19, “è un momento di fuoco, anche se la vera trincea la fanno i colleghi dei pronto soccorso”. Vista l’età, dovrebbe lasciare, ma deve seguire i suoi pazienti, non può abbandonarli, si fidano di lui e sarebbe come tradirli. Camice, stetoscopio, mascherina e orari massacranti in ambulatorio. “Anche se devo dire che da quando è scoppiata la pandemia vengono qui molto meno, più che altro telefonano o mandano un WhatsApp... ‘dottore, ho una brutta tosse’, ‘dottore ho la febbre...’, ma come faccio a curarli se non li vedo? Fare il medico è soprattutto un rapporto umano, e io, come gli altri miei colleghi italiani, mi sono ridotto a fare il prescrittore... c’è troppa burocrazia nella nostra professione, in Italia”. (Fulvio Fulvi – Avvenire) ​  

Cantiere aperto

5 Novembre 2020 - Roma - Condividere, collaborare, informare, raccontare, ascoltare, accompagnare. Sono tante e diverse le sfumature dei tasselli che compongono il grande puzzle della comunicazione. Nel percorso di formazione per i nuovi direttori diocesani, che si concluderà lunedì 9 novembre, le varie tessere testimoniano un impegno concreto che supera la frammentarietà e cerca di fare sintesi. Con uno stile adeguato, con la sollecitudine del cuore, con i giusti tempi del silenzio, con la ricchezza e la profondità della parola. A ben guardare è il percorso aperto dal nostro Direttorio: “La comunicazione è luogo dove apprendere i criteri della comunione e della condivisione, che sono sempre il frutto di un ascolto attento e rispettoso e di un’adesione alla verità sull’uomo e sul suo destino”. (Vincenzo Corrado)

Bergoglio loda la Piccola Casa di Gela

5 Novembre 2020 -

Milano – “Un faro di luce e di speranza nel buio della sofferenza e della rassegnazione, un apprezzato segno di condivisione della Chiesa con i disagi e le fatiche del proprio popolo”. Così il Papa definisce la Piccola Casa della Misericordia di Gela in una lettera scritta al sacerdote della diocesi di Piazza Armerina don Pasqualino Di Dio. Don Di Dio dopo l’incontro casuale con il Papa durante la sua prima Messa pubblica celebrata a Sant’Anna in Vaticano, il 17 marzo 2013, era stato ricevuto in udienza. Al Pontefice aveva raccontato la realtà sociale della Sicilia sudorientale e il dramma degli sbarchi dei migranti. Il Papa lo aveva esortato a dar vita a una casa che fosse segno della misericordia di Dio, come poi è avvenuto, sotto l’egida del vescovo, mons. Rosario Gisana. Oggi la Casa, grazie al contributo di numerosi volontari, offre diversi e preziosi ai più poveri, come un poliambulatorio medico, un dormitorio e un centro d’ascolto.

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Annecy: i balconi silenziosi

4 Novembre 2020 -

Annecy - Questa sera alle 20 sarò sul balcone ad applaudire, come a primavera, ai medici, agli infermieri, a tutti coloro che lavorano in ospedale per dimostrare loro la solidarietà della gente comune”, questo mi ha detto la mia vicina quando ci siamo incontrate in giardino, a debita distanza e con la mascherina. Lei portava fuori il suo cane, io andavo a fare una passeggiata, rigorosamente per solo un’ora e entro il raggio di 1 km. dalla mia abitazione, come prevede il nuovo regolamento COVID, qui in Francia.

A sera ho aperto il balcone e ascoltato: nessuno sui balconi, nonostante la temperatura fosse gradevole solo io e la mia vicina abbiamo applaudito ci ha fatto eco il rumore di una motocicletta che passava sulla strada e l’abbaiare di un cane solitario. Silenzio radio. Che tristezza.

La maggior parte delle persone è arrabbiata o demoralizzata. Non esiste più la solidarietà di questa primavera.

A marzo e aprile si vedeva una luce in fondo al tunnel. Avevamo la speranza di “uscirne” senza troppi danni, ci si sentiva solidali contro le avversità, vedevamo avvicinarsi l’estate e con essa le vacanze, gli “apericena”, le nuotate al mare, le passeggiate sulle montagne.

Ora non più.

Alle ore 20, al tempo della seconda ondata di pandemia, i balconi sono silenziosi, qua e là qualche zucca illuminata da una candela.. E’ Halloween.

Ma non è la stessa cosa.

Vorrei gridare: non perdiamo la speranza, non perdiamo la solidarietà, non nascondiamo i sorrisi dietro le maschere, non è ancora il tempo di abbandonarci e di richiuderci in casa, in noi stessi.

Passerà. Anche questa volta ci rialzeremo. E sarà più bello se il nostro cuore sarà ancora pieno d’amore gli uni per gli altri. (Gabriella Rasi)