Avvento: accogliere il signore che viene profugo e migrante

27 Novembre 2020 – Si è abbastanza concordi nell’affermare che il fenomeno migratorio come si è verificato dalla fine del secolo scorso fino a i nostri giorni è qualcosa che non ha precedenti nella storia umana. Un inedito che ci ha trovati sbigottiti ed impreparati. Dico questo come premessa personale per non infierire su chi sul fenomeno migratorio ha oggettivamente mostrato cecità, superficialità, paura. Non ne ho il diritto.

Scrivo dopo aver appena ascoltato la testimonianza di un giovane migrante che ha raggiunto finalmente il nord della Francia dopo tre tentativi andati a vuoto e dopo le carceri e lo sfruttamento sia della mafia libica che della cosiddetta Polizia di Stato. Racconta quanto gli è costato conquistare il suo diritto a vivere e la sua dignità di uomo. Racconta le nefandezze diffuse ai vari confini, come la gentilezza del popolo quando approdò a Lampedusa. Mentre parlava lo immaginavo sperduto e confuso come il popolo ebraico quando il cammino della libertà passava fra due muraglie minacciose di acqua. Era lì quel giovane uomo: tornare a casa per morire di fame, essere ucciso, costretto ad andare in guerra, oppure tentare la liberazione sperando di sfuggire alle guardie armate dei confini europei e soprattutto alla loro mente terrorizzata.

Non sapeva che c’era una terza muraglia ad ostacolare il suo cammino: l’incoscienza dei cristiani (cattolici e no) che, sulla sua pelle e sulla tragedia di settanta milioni di esseri umani, avevano rinnegato la propria fede assieme alla loro presunta civiltà. Mi riferisco a quelli del “Se il Papa li difende e li vuole, che se li porti in Vaticano!” o a quelli della invasione tsunamica da ricacciare indietro con ogni mezzo.

Se vogliamo essere onesti, Covid-19 e migranti sono i due fenomeni che indicano dove abbiamo smarrito la nostra umanità. Sono uomini-umani quelli che hanno affidato la salvaguardia dei nostri confini ai libici o alla Turchia? Quelli che hanno definito “carnefici” le nostre vittime? E lo sono quelli che sulla tragedia sanitaria hanno piantato speculazioni miliardarie? O quei capi di Stato che si sono sentiti autorizzati ad affermare che loro compito era salvare l’economia e non vite umane?

Il peggio è che, perdendo la nostra umanità, tutto il cristianesimo si è sciolto come neve al sole. Perdendo la fraternità ed il senso della custodia della vita (Gn 2), stabilendo noi chi doveva morire e chi doveva vivere, chi era uomo e chi sotto-uomo, rinnovando il culto per due vecchi idoli, il potere e il denaro, abbiamo perso il Padre ed abbiamo rinnegato tutto. Costretti dal coronavirus a non andare in chiesa, non ci è pesato accorgerci che, abbandonati i riti in chiesa, avevamo anche “bevuto” da tempo col cervello la stessa fede. Era svanito quel Gesù che nelle Beatitudini aveva indicato la strada di rapporti sani ed umani tra noi. Tanto sani ed umani da portare il Cielo in Terra, da rendere visibile il Padre invisibile, e da mostrare lo stesso volto di quel Gesù che un giorno aveva camminato con noi. Si era dileguata quella incredibile sua identificazione con i piccoli, i poveri, gli sventurati, gli invisibili, gli scarti, i senza-diritti. Avevamo stracciato senza rimpianti tante pagine del Vangelo e dello stesso Antico Testamento. “Ama il prossimo tuo come te stesso”. La sacralità dell’ospite (si ricorda ancora la vicenda di Abramo alle querce di Mamre?) si trasformò in criminalizzazione, respingimento, xenofobia. “Ero straniero e mi avete accolto”, ero nudo, affamato, minacciato, stremato e mi avete soccorso di Matteo 25, diventava non più compito qui ed ora, ma avvenimento del “Regno de cieli”, quando ci presenteremo davanti a Dio ed Egli finalmente accoglierà in quei disgraziati il suo stesso Figlio. Ma saranno affari suoi questi, non nostri… Era politicamente scorretta e dunque da dimenticare quella pagina di Vangelo.

Accogliere il Signore che viene nel volto del migrante, ripetuto in tanti modi da Papa Francesco, diventò così uno slogan sovversivo che – se ce ne fosse stato bisogno – aumentò la sua impopolarità anche all’interno della chiesa, diciamo, impegnata. Quante comunità religiose (sovraccariche di spazi immensi ed inutilizzati), quante parrocchie, quante famiglie di cristiani ascoltarono il suo invito a fare spazio a chi aveva perso tutto? “Avete dimenticato il comando del Signore” osò dire, qualche decennio fa, a titubanti cattolici, un intellettuale sedicente “ateo”, durante un convegno.

Eppure abbiamo sotto i nostri occhi una grazia. Pandemia da coronavirus e fenomeno migratorio, intimamente connessi tra loro, sono come una immensa parabola (con tragico “fondamento esperienziale”) per farci aprire gli occhi sulla realtà. Il mito del progresso legato allo sfruttamento della natura e delle sue infinite (?) risorse ha incendiato il Pianeta, ha avvelenato mari ed atmosfera, ha reso cancerogeno il cibo che ingoiamo, ha fatto rinascere la schiavitù, ha messo l’uomo della strada di fronte all’alternativa: o morire di fame o lavorare per morire di cancro. Ha reso il “mondo malato”, dice il Papa. In questo mondo malato “pretendere di vivere sani” è follia. Ma questo mondo non è solo malato, è assassino e disumano. Per gli interessi del nostro pseudo-cristiano Occidente abbiamo creato infinite guerre intestine tra i popoli le cui ricchezze volevamo depredare, abbiamo annientato popolazioni, abbiamo fatto della guerra l’asse trainante dell’economia mondiale. Con incredibili raggiri abbiamo venduto le terre degli indigeni agli stranieri, abbiamo desertificato la loro patria, li abbiamo schiavizzati ed affamati, in definitiva abbiamo detto loro che decidevamo noi chi poteva avere e chi non doveva avere il pass per vivere.

Tutta questa immensa disgrazia può diventare grazia se solo apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che di questo passo l’unico avvenire sa di morte di ogni vita sul Pianeta.

Chi sa? Se accogliamo il “segno dei tempi” costituito dalla tragedia del coronavirus e quella delle migrazioni, se riaccendiamo quanto resta della nostra fede e riconosciamo – come dice Papa Francesco –  sul volto del migrante lo stesso volto di Cristo, allora “saremo noi a ringraziarlo per averlo potuto incontrare, amare e servire” negli esuberi umani. (p. Felice Scalia)

 

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