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I prigionieri di Lesbo

29 Aprile 2021 - Città del Vaticano - Crudele e irrazionale. Due parole, dette dall’associazione Medici senza frontiere, per riassumere l’assurdo tormento inflitto a oltre 6.000 migranti prigionieri, di fatto, nell’isola di Lesbo, Grecia. Famiglie, anziani, donne incinte e sole, bambini anche con gravissimi e documentati segni di disagio psichico, persone abusate: tutti in marcia da un campo all’altro. Obiettivo finale il concentramento a Moria 2, un campo sorto provvisoriamente dopo un incendio e che sembra, invece, destinato ad essere usato stabilmente come meta finale di tutti gli sciagurati che hanno avuto in sorte Lesbo nella loro fuga per la vita. L’inferno della migrazione globale ha anche i volti di tremila bambini — quasi tutti sotto i 12 anni — bloccati sull’isola dove l’ultimo campo considerato praticabile, quello di Kara Tepe, è stato «irrazionalmente e crudelmente» chiuso nei giorni scorsi. Lo denuncia non solo Medici senza frontiere ma anche un rapporto dell’Oxfam e del Greek refugees council. In mille marciano verso il ghetto di Moria 2. Presto saranno quasi 7.000 stipati là dentro. Vengono da Afghanistan, Siria, Somalia, hanno diritto ad asilo e protezione internazionale: invece Oxfam ne ha contati almeno 248 in detenzione, due dei quali sono morti. Nel centro di Magal Therma, dove si dovrebbero accudire le persone in quarantena per il covid, 13 ospiti sarebbero stati picchiati e ributtati a mare, verso la Turchia, denuncia l’Oxfam che lancia il richiamo all’Unione europea: il nuovo patto per le migrazioni non perpetui così tanto dolore. (Chiara Graziani - OR)  

Papa Francesco: “ancora morti nel Mediterraneo, è il momento della vergogna”

26 Aprile 2021 - Città del Vaticano – “Molto addolorato” per la tragedia che “ancora una volta si è consumata nei giorni scorsi nel Mediterraneo. Centotrenta migranti sono morti in mare. Sono persone, sono vite umane, che per due giorni interi hanno implorato invano aiuto, un aiuto che non è arrivato”. Lo ha detto papa Francesco ieri al termine della preghiera mariana del Regina Coeli commentando la tragedia in mare dei giorni scorsi e invitando ad “interrogarci tutti su questa ennesima tragedia. È il momento della vergogna”. “Preghiamo – ha detto il Papa - per questi fratelli e sorelle, e per tanti che continuano a morire in questi drammatici viaggi. Preghiamo anche per coloro che possono aiutare ma preferiscono guardare da un’altra parte”. (R. Iaria)  

Assindatcolf: procedure rallentate per la sanatoria causa Covid

23 Aprile 2021 - Roma - “L’85% delle 207 mila domande di regolarizzazione presentate nell’ambito della sanatoria 2020 ha riguardato il lavoro domestico e di cura: grazie al monitoraggio avviato dalla campagna ‘Ero Straniero’ sappiamo che al 16 febbraio 2021, a 6 mesi dalla chiusura della finestra per l’emersione, solo il 5% delle domande era giunto nella fase finale della procedura. Considerando che mediamente, per sua natura, un rapporto di lavoro domestico resta attivo meno di un anno, il rischio è che molti dei lavoratori che oggi sono in attesa di ottenere il permesso di soggiorno si vedano interrompere il rapporto di lavoro ancora prima che questo venga regolarizzato”. È quanto dichiara Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico. “Per questo motivo – continua Zini – abbiamo sottoscritto l’iniziativa della campagna ‘Ero Straniero’ che lo scorso 20 aprile ha inviato una lettera aperta al Governo per chiedere di intervenire affinché si velocizzino le procedure legate dell’esame delle domande di emersione e regolarizzazione, in parte rallentate dalla pandemia, consentendo di completarle per via telematica e non esclusivamente in presenza, come oggi avviene. Stessa procedura, quella telematica, sarebbe necessario attuarla anche in caso di subentro del nuovo datore di lavoro, qualora la famiglia presentatrice dell’istanza abbia rinunciato ad instaurare il rapporto di lavoro per motivi di forza maggiore e non solo. Infine riteniamo corretto che, ai lavoratori che non hanno disponibilità di trovare un nuovo datore che subentri, venga rilasciato un permesso di attesa occupazione di almeno 6 mesi”. “Accanto a queste misure urgentissime – conclude Zini – auspichiamo che il Parlamento riprenda velocemente l’iter della proposta di legge di iniziativa popolare Ero Straniero, ferma ormai da più di anno: la riforma del sistema di ingresso dei cittadini extra comunitari per motivi di lavoro non può più attendere. La nuova normativa è un passaggio fondamentale non solo per venire incontro alle esigenze delle famiglie, che tendono sempre più strutturalmente all’invecchiamento, ma anche per evitare che in futuro si ricreino sacche di irregolarità come quelle a cui la sanatoria 2020 ha cercato di dare una prima risposta, al momento però, senza risultati concreti”.  

Barikamà: insieme migranti e persone con disabilità in un progetto di resilienza ed eccellenza gastronomica

22 Aprile 2021 - Roma - Compie dieci anni nel 2021 un progetto che ha cambiato le prospettive di vita di un gruppo di giovani di origini africane e, assieme a loro, di alcune persone con disabilità. Risale al 2011 l’idea di dare vita a un’attività di produzione di yogurt da parte di due migranti che avevano partecipato a Rosarno alle manifestazioni contro il razzismo e lo sfruttamento nel 2010 e, dopo l’ottenimento dei permessi di soggiorno, si erano trasferiti a Roma. “Non volevamo stare fermi né vivere di beneficienza – racconta al Sir Suleman Diara, presidente della cooperativa sociale Barikamà –. Abbiamo iniziato a vendere i nostri prodotti in diversi mercati della capitale e, in due anni, siamo passati da una produzione di 60 litri di yogurt a settimana a 150 litri”. Nel 2014 è nata la cooperativa Barikamà, che nella lingua del Mali significa “resilienza”, con sette soci. Grazie a un bando della Regione Lazio, si sono trasferiti al Casale di Martignano a Campagnano (Rm) e hanno allargato la produzione agli ortaggi. Oggi, degli otto soci della cooperativa, sei sono africani e due persone affette da sindrome di Asperger. “I guadagni non sono alti, ma preferiamo ‘autosfruttarci’ che essere sfruttati da altri – scherza Diara –. La pandemia ostacola la nostra progettualità, anche se l’apprezzamento dei clienti rispetto alla qualità dei prodotti ci motiva ad andare avanti”. E conclude: “Sono stati dieci anni faticosi, ma siamo felici. In futuro, ci piacerebbe di allargare il progetto ad altri e partecipare a bandi che promuovano uno sviluppo sostenibile per i giovani dei nostri Paesi di origine”.    

Centro Astalli: l’emergenza dimenticata: dove sono i migranti che non riescono a raggiungere l’Europa?

20 Aprile 2021 - Roma - I primi esclusi dalla protezione internazionale sono gli sfollati interni che rimangono bloccati nei confini degli Stati da cui scappano, sempre più invisibili, non riescono a raggiungere un Paese sicuro, in cui chiedere protezione. L’aver bloccato gli ingressi a causa della pandemia (durante il primo picco, 90 Paesi hanno chiuso completamente le frontiere anche ai richiedenti asilo), la mancanza di azioni di soccorso e ricerca nel Mediterraneo centrale da parte di governi e Unione europea, l’aver fortemente limitato le azioni delle ONG, finanziando invece attività di ricerca e respingimento da parte della guardia costiera libica, non ha bloccato i flussi irregolari di migranti ma ne ha reso solo meno visibili le conseguenze. Lo sottolinea oggi il Centro Astalli che ha presentato il Rapporto annuale. Nel 2020 sono stati oltre 11.000 i migranti soccorsi o intercettati nel Mediterraneo, riportati in Libia e lì detenuti in condizioni che le Nazioni Unite definiscono inaccettabili. A questi si aggiungono le oltre 1.400 vittime accertate di naufragi nel corso del 2020. Anche quest’anno molte delle persone che si sono rivolte al centro SaMiFo (Salute Migranti Forzati) sono state vittime di gravi violenze in Libia. Riferiscono di essere state torturate, ma anche di aver subito percosse e abusi indiscriminati. Nel 2020 il SaMiFo si è trovato a certificare inoltre le violenze inferte nei Balcani dalle forze di polizia e quelle causate dai respingimenti alla frontiera tra Italia e Slovenia. Gli sforzi – scrive il Centro Astalli -  per impedire l’accesso dei rifugiati al territorio e le loro condizioni una volta giunti in Europa sono oggetto di un monitoraggio continuo da parte del JRS Europa. In particolare nel 2020 il Centro Astalli ha collaborato alla redazione di due report sulle condizioni dei migranti nella pandemia.​  

Vescovi Kenya: “no al ritorno forzato dei rifugiati nei loro Paesi di origine”

14 Aprile 2021 - Nairobi - "Il governo dovrebbe riconsiderare la propria posizione e trattare tutti i rifugiati con cura e attenzione, specialmente durante questo periodo di pandemia di Covid-19, quando l'umanità si trova ad affrontare gravi sfide economiche e psicologiche" afferma la Conferenza Episcopale del Kenya (KCCB) nel chiedere al governo di Nairobi di non chiudere i campi profughi di Kakuma e Daadab. Nella dichiarazione, riferisce l’Agenzia Fides, firmata da mons. Philip Anyolo, Arcivescovo di Kisumu e Presidente di KCCB, i Vescovi cattolici keniani esprimono la loro preoccupazione per il rimpatrio involontario dei rifugiati. "Nel campo di Daadab i somali sono la maggioranza; secondo il diritto internazionale i rifugiati possono tornare nel loro Paese una volta che sia ristabilito un governo democratico che rispetti i diritti umani e lo Stato di diritto”. A causa della pandemia di Covid-19, “questi nostri fratelli e sorelle che vivono nel campo sono diventati più vulnerabili ", afferma la Conferenza Episcopale del Kenya, che chiede l’adozione di misure sanitarie per garantire la protezione degli oltre 400.000 rifugiati accolti nei campi di Dadaab e Kakuma. Per risolvere la questione i Vescovi chiedono al governo di dialogare con le parti interessate per trovare una soluzione duratura per i rifugiati, e allo stesso tempo offrire supporto a coloro che decidono di tornare volontariamente nel loro Paese di origine. Il campo profughi di Kakuma nel nord-ovest del Kenya è stato istituito nel 1992. In origine ospitava rifugiati dal Sudan, cui si sono aggiunti etiopi e somali. Dadaab, nel centro-est, è stato a lungo il più grande campo profughi del mondo, ed è in realtà costituito da un insieme di campi. È. I primi tre campi sono stati creati all'inizio degli anni 90. Altri campi si sono poi aggiunti a partire dal 2011, a causa della crisi alimentare nel Corno d'Africa. Oltre che da Somalia, Sudan ed Etiopia i due campi accolgono rifugiati provenienti anche da Tanzania, Uganda, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo.

Una lavanderia speciale che aiuta i migranti

13 Aprile 2021 - Milano - Capita di trovare anche pupazzi e peluche nei cestelli delle lavatrici di una lavanderia davvero speciale sull’isola greca di Lesbo. «È la parte più tenera della nostra attività: i giocattoli di pezza arrivano da noi davvero sporchi perché i bambini del campo li tengono con loro a lungo. Adoro il momento in cui li riconsegniamo perfettamente puliti». Si intuisce che sorride mentre parla al telefono, Rebecca Lally, 23 anni, coordinatrice di 'The Lava Project', Ong che offre un servizio di lavanderia per indumenti di rifugiati con malattie cutanee, scabbia soprattutto, triste effetto collaterale della permanenza nell’hotspot europeo di Kara Tepe. «C’è scabbia un po’ dappertutto fra le tende, noi trattiamo i panni dei casi più seri. I più colpiti sono i bambini, perché la loro pelle è più sottile» aggiunge. A cinque minuti d’auto dall’accampamento, 'The Lava Project' ha uno spazio con quattordici grandi lavatrici, in fila una dopo l’altra. «In meno di due anni abbiamo lavato 21.200 sacchi di biancheria. Al momento siamo quattro volontari da Gran Bretagna, Irlanda, Usa e Grecia, e due volontari richiedenti asilo dalla Somalia. Ai tempi di Moria coinvolgevamo più rifugiati del campo, ma ora non si può uscire liberamente da Kara Tepe, che pure non è un campo chiuso ma che in qualche modo intrappola le persone. Ora chi viene da noi vive fuori». Il nuovo accampamento non è migliore di quello vecchio e infatti sono in molti a chiamarlo Moria 2. «Dal punto di vista igienico, la situazione è critica come nel precedente sito. La percentuale di popolazione con scabbia o altre malattie della pelle sembra la stessa. Ci sono meno casi solo perché la popolazione di Kara Tepe è minore». Delle dodicimila persone rimaste per strada all’indomani dei roghi che rasero al suolo Moria, restano oggi sull’isola in 6.900. Dopo sei mesi senza acqua corrente (i primi senza nemmeno la possibilità di fare una doccia) ora il campo verrà collegato alla rete idrica. «Le persone erano costrette a lavare i propri indumenti in mare o usando bottiglie, perché non c’era acqua sufficiente per lavare se stessi». Con il sopraggiungere della pandemia, le lavatrici di 'The Lava Project' si sono riempite di mascherine di stoffa, fornite agli abitanti del campo da un’altra Ong e lavate periodicamente. Mentre Rebecca e i suoi volontari passavano da un lavaggio all’altro, lunedì scorso la commissaria per gli affari interni dell’Ue Ylva Johansson ha visitato l’isola. Ha annunciato 250 milioni di euro di finanziamenti per cinque nuove strutture nell’Egeo. Tra i tanti appelli rivolti alla rappresentante europea, c’è stato quello durissimo di Medici senza Frontiere: «Finché l’Unione darà la priorità a contenimento e rimpatrio dei migranti alla frontiera esterna rispetto a protezione e a un’accoglienza dignitosa, chi cerca sicurezza in Europa continuerà a soffrire» ha scritto Hilde Vochten, coordinatrice medica di Msf sull’isola. Se si «insiste, per compromesso politico, a replicare lo stesso modello che ha già creato tanti danni e sofferenze, le promesse fatte resteranno solo parole vuote». Finché sarà così, i volontari di 'The Lava Project' non smetteranno di caricare lavatrici, assicurare un po’ di igiene e soprattutto provare a dare l’accoglienza umana che manca. (Francesca Ghirardelli – Avvenire)      

Migrantes: viaggio in Niger

8 Febbraio 2021 -

Niamey - «La Chiesa è viva se c’è la carità. In Niger come altrove». Mons. Laurent Lompo, arcivescovo di Niamey, lo ripete più volte durante l’incontro tenutosi nella capitale del Paese africano a fine gennaio con una delegazione della Conferenza episcopale italiana composta dal vice-presidente e vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti, dal vescovo di Asti, mons. Marco Prastaro, dal direttore della Fondazione Migrantes, don Giovanni De Robertis e da Mariacristina Molfetta (Fondazione Migrantes). Lo scambio tra Chiese sorelle s’inserisce nel solco della campagna “Liberi di partire, liberi di restare”. Mons. Lompo fa strada nel suo ufficio nell’arcivescovado della città, chiude a chiave una porta di ferro alle spalle: teme sequestri in un Paese sempre più soffocato da gruppi terroristici che premono alle sue frontiere. Mostra una fotografia incorniciata di padre Luigi Maccalli, rapito nel settembre 2018 in Niger al confine con il Burkina Faso e liberato nell’ottobre 2020 in Mali: «Il ruolo dell’ambasciatore italiano in Niger, Marco Prencipe, è stato decisivo», spiega. E agli ospiti giunti dall’Italia dice «grazie per essere venuti, aver sfidato il virus e l’insicurezza». Lo fa anche a nome delle centinaia di persone, tantissimi i bambini, che hanno riempito poche ore prima la cattedrale di Niamey per la messa del 31 gennaio, concelebrata in un clima di festa da monsignor Raspanti, dal vescovo Prastaro e da don De Robertis. Ci troviamo in uno degli Stati più poveri del mondo: all’ultimo posto per livello di sviluppo umano (fonte Nazioni Unite, 2020), registra una speranza di vita di 62,4 anni. Dopo la crisi libica del 2011 e le politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione europea che hanno interessato la regione a partire dal 2015, si è ritrovato ad accogliere tra il 2016 e il 2019 oltre un milione di persone. Tra loro anche i rifugiati evacuati dalla Libia – in attesa di essere reinsediati in Europa e tratti in salvo tramite vie legali da quella che il vescovo Prastaro chiama la «porta dell’Inferno» – migranti di altri Paesi africani “bloccati” dalla legge nigerina 36/2015 di contrasto ai flussi, e migliaia di sfollati interni in fuga dai villaggi nelle zone di confine con Nigeria, Mali e Burkina Faso a causa degli attacchi terroristici di gruppi jihadisti e di Boko Haram. Tra chi opera per migliorare le condizioni di vita di queste persone c’è la Chiesa cattolica. La comunità in Niger supera di poco i 40mila fedeli (su 22 milioni di abitanti) per una ventina di parrocchie riunite in due diocesi (Niamey e Maradi, al confine con la Nigeria). Negli ultimi mesi diversi sacerdoti sono stati allontanati dalle proprie parrocchie per motivi di sicurezza, lasciandone tre “scoperte”. Il lavoro della Chiesa è quotidiano e si concentra in particolare sull’educazione dei più giovani. «Nelle nostre due diocesi gestiamo 34 scuole, dalle materne alle superiori – continua monsignor Lompo –. Il fabbisogno però è superiore alla nostra capacità. In un Paese che registra un tasso di analfabetismo dell’80%, dobbiamo puntare sugli studi professionali per insegnare ai ragazzi un lavoro e offrire loro una prospettiva all’interno del Paese. Inoltre è prioritaria la formazione e la qualifica degli insegnanti. Nel 2030 il Niger conterà 50 milioni di abitanti: i giovani sono già il nostro avvenire e la Chiesa si domanda come dare loro un futuro». Un futuro che è incerto per le migliaia di persone che hanno alle spalle un’esperienza migratoria: coloro che sono stati espulsi da Algeria, Libia, Ciad, Sudan, Nigeria e che possono “scegliere” se essere rimpatriati o tentare di ricostruirsi una vita in Niger. È di loro che si occupa il servizio pastorale migrante coordinato da padre Mauro Armanino, sul campo da quasi dieci anni. «Per colpa dell’Europa il migrante è sempre più visto con sospetto, criminalizzato – ricorda Armanino accogliendo la delegazione –. Noi invece rispettiamo le loro scelte e non li consideriamo come vittime, perché le vittime fanno pietà e diventano strumento di controllo». Oltre all’ascolto i migranti accolti trovano assistenza medica, cibo, vestiti e supporto sia per chi decide di tornare nel proprio Paese sia per chi vuole restare, con percorsi di integrazione basati su formazione e lavoro. È così che sono stati accolti 1.263 migranti nel 2019 e 749 nel 2020: «Il nostro è un lavoro politico. Con il vertice de La Valletta del 2015, l’Ue ha scelto di bloccare in questo Paese il flusso dei migranti e questo ha creato panico. Noi vogliamo restare fedeli alla convinzione che tutti dovremmo essere “liberi di partire, liberi di restare” e ci battiamo affinché questo diritto venga rispettato». In Niger come altrove. (Duccio Fachini – Manuela Valsecchi)

La doppia sfida degli imprenditori stranieri

5 Febbraio 2021 -

Milano - Tornare nel Paese di origine per mettere a frutto quello che si è imparato in Italia, o per realizzare un’idea rimasta troppo a lungo nel limbo delle buone intenzioni. Oppure mettere alla prova il proprio spirito imprenditoriale sul mercato italiano. Sono le aspirazioni di molti migranti di origine africana, che hanno trovato una sponda in un programma di formazione e mentoring finanziato dalla Commissione Europea all’interno del progetto Bite ( Building Integration Through Entrepreneurship) e realizzato in Italia da Etimos Foundation in collaborazione con Fondazione Ismu e E4Impact. Si va da chi vuole aprire in Italia un fast food di prodotti africani a chi punta ad avviare una residenza per anziani in Camerun, un allevamento di pollame in Burkina Faso, o infine importare dal Senegal anacardi biologici prodotti dall’azienda di famiglia. Ma per dare gambe a queste idee bisogna acquisire una capacità imprenditoriale, conoscere le normative, districarsi nei meandri della burocrazia. Ai candidati selezionati è stata offerta la possibilità di partecipare a corsi di formazione a Milano e Padova, grazie ai quali hanno imparato a formulare un business plan e ad acquisire le competenze necessarie sotto la guida di esperti che li hanno accompagnati passo dopo passo a costruire un trampolino da cui spiccare il salto nel mondo dell’ intrapresa. «Sono molti i migranti di origine africana residenti in Italia da lungo tempo che associano uno spirito imprenditoriale a una grande determinazione e possono diventare incubatori di lavoro, qui o nei Paesi di origine, dove molti vorrebbero tornare per contribuire allo sviluppo delle loro terre – spiega Marco Santori, presidente di Etimos Foundation –. I corsi che abbiamo organizzato, della durata di un anno e mezzo, hanno rappresentato per loro una sorta di 'scuola d’impresa' che ha offerto conoscenze ed expertise per dare solidità alle aspirazioni che li animano». (G. Paolucci - Avvenire)

Inps: i dati dell’Osservatorio sugli stranieri

26 Novembre 2020 - Roma - Per la prima volta l’Inps pubblica un osservatorio sugli stranieri distinti tra non comunitari, se in possesso di regolare permesso di soggiorno, e comunitari se nati in un Paese estero dell’UE. Nell’anno 2019 sono 3.816.354 i cittadini stranieri, comunitari e non, rilevati nella banca dati dell’Inps, di cui 3.304.583 (86,6%) sono lavoratori attivi, 252.276 (6,6%) pensionati e 259.495 (6,8%) percettori di prestazioni a sostegno del reddito. Il 67,7%, pari a 2.583.886 stranieri, proviene da Paesi extra UE, 305.875 (8,0%) da Paesi UE15 e 926.593 (24,3%) da altri Paesi UE evidenza l'Istituto di Previdenza. L’analisi dei dati per Paese di provenienza rileva, in proporzione, la presenza di 756.217 Romeni, che rappresentano il 19,8% di tutti gli stranieri regolarmente presenti in Italia; seguono  Albanesi (343.923, 9,0%), Marocchini (286.835, 7,5%), Cinesi (217.945, 5,7%), Ucraini (175.997, 4,6%) e Filippini (124.411, 3,3%). Tra i cittadini stranieri prevale il genere maschile (55,2%), soprattutto tra pakistani (95,2%), bengalesi (94,4%), egiziani (93,2%), senegalesi (85,9%) e indiani (82,6%). Le donne prevalgono invece tra i cittadini provenienti da Ucraina (81,1%), Moldova (68,1%), Perù (60,2%) e Filippine (58,2%). Per quanto riguarda l’età i non comunitari sono generalmente più giovani: il 46,5% ha meno di 39 anni contro il 36,9% degli stranieri UE; il 44,7% ha tra i 40 e i 59 anni (50,3% UE) e solo l’8,7% ha più di 60 anni (12,8% UE). Il 60,8% degli stranieri in Italia nel 2019 risiede o lavora in Italia settentrionale, il 24,1% in Italia centrale e il 15,1% in Italia meridionale e Isole. Al nord e al centro prevalgono gli stranieri provenienti da Paesi extra UE rispetto agli stranieri provenienti dai Paesi UE (rispettivamente 70,8% e 65,6%), al sud il divario tra le due aree di provenienza è meno marcato con gli stranieri extra UE regolari sotto il 60% (58,6%). Rispetto alla popolazione residente, al nord l’incidenza straniera regolare è di 8,7 su 100 residenti, al centro 7,7, al sud e isole 2,8. Tra i lavoratori stranieri, secondo i dati Inps, i lavoratori dipendenti sono 2.836.998, con una retribuzione media annua di 13.770,93 €., di questi 2.002.034 lavorano nel settore privato non agricolo, 300.555 nel settore agricolo mentre i domestici sono 534.409. I pensionati sono 252.276, con un importo medio annuo pari a 10.278,02 €: il 49,9% (125.820) ha una prestazione assistenziale, mentre coloro che percepiscono una pensione di tipo previdenziale sono 89.306 (il 35,4%); 15.471 (6,1%) sono i titolari di pensioni indennitarie e 21.679 (8,6%) titolari di due o più pensioni.

Migrantes Modena-Nonantola: il servizio delle comunità cattoliche straniere e l’aiuto ai rom del territorio

25 Marzo 2020 - Modena - Tutti i cappellani della diocesi di Modena-Nonantola seguono le loro comunità facendo in modo che le persone restino in casa per evitare il propagarsi del contagio, ci dice Giorgio Bonini dell’Ufficio Migrantes diocesano. Allo stesso tempo “si cerca di tenere i contatti, seppure a distanza, per continuare a garantire l'assistenza spirituale”. Alcune famiglie della comunità polacca condividono (a distanza) la parola del giorno,  recitano la Coroncina alla Divina Misericordia alle ore 15 di ogni giorno con don Fraczek. Don Celestin sottolinea che per la comunità Cattolica Anglofona di San Barnaba di Modena è “un momento difficile come per gli altri ma una cosa chiara è che tutti  noi restiamo a casa  seguendo l'ordine del governo per salvare la vita”. Per la messa domenicale e per i contannti con i fedeli della comunità utilizza WhatsApp, preparando tutto e le famiglie fanno il resto a casa. Ascoltano la messa dell'arcivescovo, mons. Erio Castellucci in TV. Ultimi fra gli ultimi, Migrantes cerca di portare aiuto ad alcune famiglie nomadi già 'normalmente' in difficoltà e ora “sono ancora più emarginati”.

Comitato Europeo Diritti sociali: preoccupazione per i diritto sociali dei migranti e delle condizioni abitative dei rom

24 Marzo 2020 - Comitato Europeo Diritti sociali: preoccupazione per i diritto sociali dei migranti e delle condizioni abitative dei rom Strasburgo - I diritti sociali dei migranti “sono in pericolo in Europa”, secondo le ultime conclusioni annuali del Comitato europeo dei diritti sociali ( ECSR ). Il Comitato è sempre “più preoccupato per il trattamento dei minori migranti in situazione irregolare, accompagnati o meno, e dei minori richiedenti asilo, e in particolare del loro accesso a un alloggio adeguato e sicuro”. Per quanto riguarda il diritto all'abitazione, il Comitato è particolarmente preoccupato per “le indegne condizioni abitative di rom e viaggiatori in molti paesi”. Inoltre il Comitato sottolinea il problema del crescente numero di bambini apolidi in Europa che hanno “un accesso limitato” a diritti e servizi essenziali come la salute e l'istruzione. Il Comitato ha chiesto agli Stati parti di fornire ulteriori informazioni durante il prossimo ciclo di rendicontazione sulle misure per ridurre i casi di apolidia.  

Caritas Italiana e Fondazione Migrantes: il 27 settembre la presentazione del Rapporto Immigrazione

19 Settembre 2019 - Roma - L’edizione 2019 del Rapporto Immigrazione, redatto da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes,  sarà presentato a Roma venerdì 27 settembre presso la Chiesa di san Francesco Saverio del Caravita (Via del Caravita, 7, ore 10,30). Il volume è ispirato al Messaggio di Papa Francesco per la 105a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebrerà due giorni dopo, domenica 29 settembre, con una celebrazione in Piazza San Pietro, presieduta dal Santo Padre. Il tema del messaggio - “Non si tratta solo di migranti” – ha visto la redazione confrontarsi con una sfida importante nell’ideazione dei contenuti e delle modalità attraverso cui declinare questo concetto così universale. Una delle scelte operate con convinzione – spiegano i due organismi della Cei - è stata quella di “aprire lo sguardo”, raccogliendo alcune riflessioni e spunti sul tema offerti da diversi testimoni della scena culturale e politica del nostro Paese: da Liliana Segre a Massimo Cacciari a Mario Morcellini. Il Rapporto – giunto alla XXVIII edizione - offre temi e dati volti a mettere in luce i diversi aspetti di vita di un migrante, ovvero di “una persona che si districa fra difficoltà di tipo burocratico, scolastico, giudiziario, sanitario, economico, sociale, ovvero con i problemi della vita quotidiana che affrontano tutti, ma che, nel suo caso, sono forse più complicati che per molti altri”. Alla presentazione interverranno, dopo il saluto del presidente della Caritas Italiana, il vescovo mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, il cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Simone M. Varisco della Fondazione Migrantes moderati da  Oliviero Forti della Caritas Italiana. I lavori saranno conclusi dal presidente della Fondazione Migrantes, il vescovo mons. Guerino Di Tora.

Quando l’incontro con l’altro profuma di famiglia

23 Settembre 2019 - Roma – “Cristo continua a tendere la sua mano per salvarci e permettere l’incontro con Lui, un incontro che ci salva e ci restituisce la gioia di essere suoi discepoli”. Francesco, nell’omelia per la Messa celebrata a Sacrofano nel febbraio scorso, ci invitava così ad addomesticare le paure, dinanzi alle persone e alle famiglie che si trasferiscono nel nostro Paese. Sia dinanzi a chi fugge da guerra, fame e avversità naturali, come anche di fronte a chi arriva per motivi di studio o di lavoro, si tratta di riconoscere un fratello e un amico, che porta nei suoi tratti il volto di Gesù. C’è infatti una verità bella da scoprire: “la mobilità umana è un’autentica ricchezza, tanto per la famiglia che emigra quanto per il paese che la accoglie” (Cfr. Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, 46). La paura porta invece il cuore a chiudersi, legge nell’altro un concorrente o un invasore, induce a un atteggiamento di difesa, producendo un individualismo sterile. Spesso questa sorta di corazza che impedisce l’incontro tra popoli e culture differenti, nasconde un’insicurezza e un’inquietudine verso le fragilità proprie e altrui. È lo stesso atteggiamento di chiusura di Adamo che, irretito dal peccato, si difende da Dio: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gen 3,10). Il luogo primigenio dove, liberare questa nudità originaria e addomesticare la paura dell’altro è la famiglia. Sono le carezze di un papà e di una mamma che portano a stringere la mano del fratellino, per scoprire che il cuore si scioglie, allenta le difese, e quella lotta termina in un abbraccio. Questa palestra di umanità è ancora più feconda quando magari si è aperta all’accoglienza anche di uno o più figli senza famiglia, o con la pelle un po’ più scura. Come dice Papa Francesco, “forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo!”. Il nostro sogno allora è che proprio a partire dalle belle famiglie che abitano il nostro Paese, si generi in ciascuno di noi e nei nostri Governanti una nuova freschezza negli occhi e una sorta di collirio per l’anima. L’auspicio è che la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato porti come frutto una rinnovata genitorialità sociale. Si tratta di diventare per chi ha ancora paura, quel papà e quella mamma che rassicurano gli animi, abbattono i muri trasformandoli in ponti, e portano a stringere senza più timori le mani del fratello: come in famiglia. (don Paolo Gentili – Direttore Ufficio Pastorale Familiare della Cei)          

Card. Bassetti al Sinodo Chiesa Ucraina: “Chiesa che è in Italia vuole essere Chiesa sorella che accoglie”

6 Settembre 2019 - Roma - “La Chiesa che è in Italia vuole essere Chiesa sorella che accoglie, aiuta e cammina al fianco, sollevando i pesi e promuovendo ovunque la carità di Cristo”. Lo ha detto questa mattina il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ai 50 vescovi riuniti a Roma per i lavori del Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Nel suo intervento, Bassetti ha ricordato “le terribili prove” che ha vissuto la Chiesa in Ucraina e facendo riferimento ai giorni attuali ha rivolto un pensiero anche ai “tanti giovani militari morti del recente conflitto”. “Prego il Signore per loro, per le loro famiglie e perché torni presto la pace e la concordia nel vostro grande Paese”. Ed ha aggiunto: “Non possiamo dimenticare che dalla fine del regime totalitario, centinaia di migliaia di persone hanno dovuto lasciare il Paese per emigrare all’estero a cercare lavoro e sostentamento”. In Italia sono presenti più di 200mila ucraini, di cui più di 70mila greco-cattolici. “Da decenni – ha detto il cardinale – vivono nel nostro Paese e si sono inseriti nella società e nella Chiesa italiana”, formando 148 comunità e 6 parrocchie. Bassetti ha ricordato che in questi anni le diocesi italiane hanno messo a disposizione chiese e case parrocchiali per l’accoglienza dei sacerdoti, una sessantina, di cui una decina uxorati, e per la pastorale. Di recente è stato costituito un esarcato per gli ucraini greco-cattolici in Italia. “Si tratta, nel quadro di una ecclesiologia di comunione – ha detto Bassetti -, di una struttura stabile ed efficace per assicurare la tutela dei bisogni spirituali dei fedeli ucraini, mantenendo il loro legame con la Chiesa-Madre”. L’invito finale del cardinale è a fissare “lo sguardo al futuro con speranza e con totale fiducia nel Signore, che guida la sua Chiesa e mai l’abbandona. Noi vescovi italiani – ha concluso Bassetti – guardiamo a voi e alla vostra Chiesa con grande ammirazione e rispetto, scorgendo nel vostro zelo pastorale tutto l’amore che portate per le vostre comunità. Le sofferenze del passato e quelle del presente siano sorgente di forza e di vita nuova: noi vi accompagniamo con la preghiera e la vicinanza personale”.  

Gli immigrati fan crescere il mercato della casa

8 Agosto 2019 - Milano - Immigrati risorsa per il mercato immobiliare italiano al quale in 12 anni hanno dato ossigeno per un valore di 100 miliardi con 860 mila abitazioni acquistate e che promette di valere nei prossimi 10 anni un milione di case. Lo evidenziano i dati del 15° Rapporto «Immigrati e casa: un mercato in crescita» di Scenari Immobiliari secondo il quale il 21,5% degli immigrati abita in casa di proprietà. Il mercato è in ripresa con un incremento delle compravendite del 13,7% sul 2018, per un ammontare di 58mila scambi a chiusura d’anno: 5 miliardi il fatturato stimato a chiusura 2019 (+11,1%). Una discreta boccata d’ossigeno visto anche che gli acquisti si indirizzano su immobili di qualità e in aree di valore mediobasso, proprio quelli che costituiscono la zavorra. L’incidenza percentuale delle compravendite da immigrati sul totale nel 2019 è circa il 9%.

Il 63,5% è in affitto, mentre il 7,7% abita presso il luogo di lavoro e il 7,3% alloggia da parenti o connazionali. Le province dove si registra il maggior numero di acquisti da parte di immigrati sono Milano, Roma, Bari, Torino, Prato, Brescia, Cremona, Vicenza, Ragusa, Modena e Treviso. La forbice dei prezzi va da 70mila a 130mila euro. I lavoratori stranieri comprano la casa quando decidono di restare.

Arezzo: integrazione e lavoro per 80 migranti

8 Agosto 2019 - Arezzo - Lavoro e formazione come vie per favorire l’integrazione. L’accoglienza dei migranti ha bisogno di concretezza. E la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro ha scelto di declinare fra aziende e aule la cultura dell’incontro cara a papa Francesco. È nato così il progetto “Immigrarezzo” che ha come obiettivo quello di «sostenere e promuovere la piena integrazione degli straniere presenti nel territorio», afferma Andrea Dalla Verde, vice direttore della Caritas diocesana che ha realizzato l’iniziativa. In un anno sono stati 80 i migranti incontrati. A sette di loro alcune imprese “amiche” hanno stipulato un contratto grazie alla segnalazione della Caritas diretta da don Giuliano Francioli. Sul fronte formativo, invece, sono state 15 le persone che hanno avuto la possibilità di frequentare corsi professionali e ottenere un attestato. «Abbiamo creato – sottolinea Dalla Verde – un sistema innovativo che ha portato la Caritas a confrontarsi direttamente con le aziende e con le agenzie formative professionali. In pratica, abbiamo applicato l’indicazione di essere “Chiesa in uscita”. Invece di realizzare percorsi con i nostri organismi, abbiamo deciso di operare in rete prevedendo contributi per abbassare il costo del lavoro e il pagamento dei corsi». Il progetto rientra nell’ambito della campagna Cei “Liberi di partire, liberi di restare”. E, su impulso dell’arcivescovo Riccardo Fontana, è stata già lanciata una “fase 2” che si articolerà in più ambiti. Oltre al lavoro e alla formazione, sono previsti servizi di prossimità per i richiedenti protezione che non sono più legati allo Stato italiano. «Così vogliamo dimostrare che attraverso un’accoglienza finalizzata alla piena inclusione sociale si possono raggiungere ottimi risultati », chiarisce Dalla Verde. Poi nel centro di ascolto della Caritas ad Arezzo saranno coinvolte alcune religiose straniere nei servizi per le famiglie di migranti e verrà attivato un percorso di osservazione domiciliare e di tutela per le donne e i bambini arrivati da oltre confine. Infine sarà promosso una sorta di gemellaggio con le diocesi di altri continenti: in particolare, sono in agenda scambi con Chiese del Medio Oriente e dell’Africa per «un’analisi pastorale, sociale e progettuale sui temi dei flussi migratori, della tratta, della guerra e dei problemi ambientali», conclude il vice direttore. (Giacomo Gambassi – Avvenire)    

Mons. Marciante: “raggiungiamo con la luce della nostra preghiera e della nostra fede i nostri fratelli immigrati”

7 Agosto 2019 - Cefalù - “Noi tutti, stasera, come discepoli del Cristo Trasfigurato, vogliamo con la nostra preghiera stare accanto a quei nostri fratelli che hanno urgente bisogno di incontrare il volto luminoso del Cristo, di ricevere la Luce di Dio, la Sua gloria, e la Sua Speranza. Il nostro ricordo vada al prossimo più prossimo che abita a pochi passi da noi, ma che arriva da quelle aree del mondo tanto diverse dalle nostre. Tanto povere, abitate solo dal buio della disperazione, dal grido di guerre sanguinose, di morti anche innocenti”. Lo ha detto ieri sera, sul sagrato della Cattedrale di Cefalù, il vescovo mons. Giuseppe Marciante nel discorso alla cittadinanza, al termine della solenne festa del Santissimo Salvatore. “Raggiungiamo con la luce della nostra preghiera e della nostra fede i nostri fratelli immigrati. Penso – ha detto mons. Marciante - a quelli che risiedono al centro di accoglienza di Piano Zucchi: li ho incontrati giorni fa. La compostezza dei loro gesti, di ogni loro movimento mi ha consegnato il disagio della gratitudine. Li ho osservati. Dai loro occhi traspariva tristezza, dolore. Erano occhi velati da paure mai raccontate, portavano le cicatrici di affetti spezzati. In quel centro è come se fossi stato ‘arrostito’ dalla grazia di Dio.  Anche loro sono umani; hanno bisogno di progetti di Speranza. Non lasciamoci travolgere dall’odio, dal populismo e dalla paura dell’altro uomo. La luce del Cristo trasfigurato faccia nascere o rafforzi in noi la mentalità dell’accoglienza, dell’integrazione, ci spinga a un forte rinnovamento interiore che ci allontani dal vedere nel fratello immigrato un peso da portare, ma a considerarlo una risorsa”. Il vescovo cita alcuni dati relativi alla scuola dove sono iscritti oltre 850.000 minori provenienti da 160 diversi paesi del mondo:  “siamo di fronte a una fonte di ricchezza inesauribile e spesso ancora inesplorata. Se la confrontiamo ad un’altra cifra, quella della diminuzione degli studenti italiani in Sicilia, pari a 11.000 unità l’anno.  Ciò significa che ogni anno muore un paese. Impegniamoci a essere una Chiesa che decide di stare in piedi che impara a capire come gli "scarti" diventino pietra angolare”. Il presule invita poi a non dimenticare “i nostri giovani con le valigie che lasciano la nostra terra per inseguire con tenacia e coraggio i loro sogni che spesso si trovano sulle cime impervie di un Tabor lontano diverse migliaia di chilometri dalla nostra splendida isola”. Anche qui alcuni dati: lo scorso anno oltre 128.000 connazionali hanno lasciato l’Italia; di questi, più di 24.000 erano minori, definiti “minori con la valigia”. Le cifre sono “talvolta impietose”: quasi il 17% di questi minori ha meno di 14 anni: “non si tratta di un fenomeno transitorio. Chiediamo luce al Cristo trasfigurato per capire meglio il futuro e le profonde e radicali trasformazioni della geo-politica mondiale che ci toccano anche da vicino, coinvolgendo i nostri centri abitati. Tanti nostri connazionali e conterranei sbarcano a Londra, Berlino, Amsterdam, Parigi, New York, Sidney e perfino a Shangai”.  Un numero sempre crescente di Italiani continua a raggiungere la Spagna: “si è stanchi di retribuzioni dimezzate, di lavoro sommerso non tutelato, di precari ancora non ancora stabilizzati dai nostri enti pubblici come la Regione e i nostri Comuni, di un paese che non riesce ancora a premiare il merito, di una burocrazia asfissiante, di una situazione perennemente stagnante. Talvolta ci si trova obbligati a una scelta atroce: o ci si accontenta di essere schiavi o si è costretti a partire. Siamo vicini a questo flusso inarrestabile, a questa emorragia di ristoratori, pizzaioli, camerieri, medici, commercialisti, muratori, insegnanti, giovani universitari e persino minori che sono costretti a imbarcarsi per un viaggio di sola andata, spesso senza ritorno”.  

Decreto Sicurezza bis è legge: alcuni commenti

6 Agosto 2019 - Roma – L’approvazione, ieri sera con voto di fiducia al Senato, del “decreto sicurezza bis” prevede “disposizioni urgenti” in materia di contrasto all’immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica, stabilendo tra l’altro che spetta al ministero dell’interno, e non a quello delle infrastrutture, “limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta delle navi nel mare territoriale” alla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Per il il Presidente della Fcei Luca Maria Negro la legge “non ha nulla a che fare con la sicurezza degli italiani e degli immigrati ma, nelle esplicite intenzioni del ministro dell’Interno che se lo intesta, ha il solo obiettivo di criminalizzare le Ong che operano nelle azioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo”. Negro ha ricordato che ancora ieri, a Lampedusa – come segnalato anche da Mediterranean Hope, osservatorio sulle migrazioni della Fcei che opera sull’isola – sono continuati gli sbarchi di migranti: “Da mesi continuano gli sbarchi autonomi sulle coste italiane e negli ultimi mesi il numero dei rimpatriati dalla Germania in base al regolamento di Dublino ha superato il numero degli sbarcati in Italia ma, invece di cercare una soluzione europea a un problema di natura globale, si punta sulle Ong l’arma delle maximulte e dei sequestri”. Gli evangelici esprimono con forza “contrarietà a questo provvedimento, dettata dalle ragioni della nostra coscienza di cristiani la cui fede si esprime nell’accoglienza e nella protezione della vita umana”. Il Centro Astalli esprime “seria preoccupazione”: “Destano – si legge in una nota - allarme la misure volte a ostacolare o impedire le attività di soccorso di migranti in mare da parte delle navi private, in un momento in cui gli Stati europei hanno cessato ogni operazione di salvataggio nel Mediterraneo. Lasciare i migranti in Libia o farli morire nel Mediterraneo, oltre che indegno, non è di certo un deterrente per chi, costretto alla fuga da guerre, persecuzioni o gravi necessità, in assenza di alternative legali, non si fermerà davanti ai pericoli del mare o delle carceri libiche”. Il Centro Astalli torna a ribadire che la “gestione delle migrazioni è tema europeo che richiede impegno comune e assunzione di responsabilità per giungere a soluzioni condivise nel rispetto della vita e della dignità umana”. “Con l’approvazione del decreto sicurezza bis si scrive una pagina buia della storia democratica dell’Italia”, spiega il presidente del Centro Astalli, p. Camillo Ripamonti: “mentre paura e odio vengono profusi ad arte per alimentare distrazione e indifferenza di massa si colpisce con stupefacente semplicità il cuore della nostra costituzione, della nostra storia, dei nostri principi di civiltà. Convenzioni internazionali e diritti umani calpestati con norme demagogiche contro la solidarietà”. Ieri “il grado di umanità del nostro Paese si è corrotto. La politica ha tradito la Costituzione, i sogni e gli ideali di chi l’ha pensata e scritta e delle convenzioni internazionali”, ha detto don Luigi Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele: “siamo davanti ad una scelta politica indegna per un Paese che vuole essere democratico non solo di nome ma di fatto un Paese civile. La politica esca dai tatticismi, dai giochi di potere e riduca le distanze sociali e si lasci guidare dai bisogni delle persone”.