23 Settembre 2019 – Roma – “Cristo continua a tendere la sua mano per salvarci e permettere l’incontro con Lui, un incontro che ci salva e ci restituisce la gioia di essere suoi discepoli”. Francesco, nell’omelia per la Messa celebrata a Sacrofano nel febbraio scorso, ci invitava così ad addomesticare le paure, dinanzi alle persone e alle famiglie che si trasferiscono nel nostro Paese.
Sia dinanzi a chi fugge da guerra, fame e avversità naturali, come anche di fronte a chi arriva per motivi di studio o di lavoro, si tratta di riconoscere un fratello e un amico, che porta nei suoi tratti il volto di Gesù. C’è infatti una verità bella da scoprire: “la mobilità umana è un’autentica ricchezza, tanto per la famiglia che emigra quanto per il paese che la accoglie” (Cfr. Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, 46).
La paura porta invece il cuore a chiudersi, legge nell’altro un concorrente o un invasore, induce a un atteggiamento di difesa, producendo un individualismo sterile.
Spesso questa sorta di corazza che impedisce l’incontro tra popoli e culture differenti, nasconde un’insicurezza e un’inquietudine verso le fragilità proprie e altrui. È lo stesso atteggiamento di chiusura di Adamo che, irretito dal peccato, si difende da Dio: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gen 3,10).
Il luogo primigenio dove, liberare questa nudità originaria e addomesticare la paura dell’altro è la famiglia. Sono le carezze di un papà e di una mamma che portano a stringere la mano del fratellino, per scoprire che il cuore si scioglie, allenta le difese, e quella lotta termina in un abbraccio. Questa palestra di umanità è ancora più feconda quando magari si è aperta all’accoglienza anche di uno o più figli senza famiglia, o con la pelle un po’ più scura. Come dice Papa Francesco, “forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo!”.
Il nostro sogno allora è che proprio a partire dalle belle famiglie che abitano il nostro Paese, si generi in ciascuno di noi e nei nostri Governanti una nuova freschezza negli occhi e una sorta di collirio per l’anima. L’auspicio è che la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato porti come frutto una rinnovata genitorialità sociale. Si tratta di diventare per chi ha ancora paura, quel papà e quella mamma che rassicurano gli animi, abbattono i muri trasformandoli in ponti, e portano a stringere senza più timori le mani del fratello: come in famiglia. (don Paolo Gentili – Direttore Ufficio Pastorale Familiare della Cei)