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Rieti: la pandemia vista dai rifugiati

16 Aprile 2020 - Rieti - Tra le attività che il coronavirus non può e non deve fermare ci sono quelle legate all’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo. Ed infatti è rimasto in funzione il Siproimi gestito a Rieti dalla Caritas diocesana. A livello territoriale, infatti, grazie al supporto delle realtà del terzo settore, gli enti locali riescono a garantire interventi di accoglienza integrata che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. A spiegare come la struttura sta funzionando in questi tempi difficili è Antonella Liorni, responsabile del servizio, dalla sua quarantena forzata dalla zona rossa di Contigliano. Normalmente le diverse attività si svolgono nei locali di via Sant’Agnese, ma in questo periodo sono ovviamente sospese tutte le azioni di orientamento che richiedono una presenza fisica o spostamenti da parte delle persone. Si procede dunque approfittando delle risorse telematiche: una modalità che sta a poco a poco diventando familiare anche ai più refrattari. E un po’ come i bambini e i ragazzi delle nostre scuole, anche i beneficiari del progetto di accoglienza e hanno velocemente preso confidenza con le lezioni a distanza, come quelle per imparare la lingua italiana. “Gli assistiti – dice Antonella – seguono le lezioni della nostra insegnante grazie a software come Skype e Zoom, e si fa lo stesso ogni volta che questa strategia riesce efficace”. Non ci sono infatti solo i corsi di lingua di cultura italiana. Spesso sono necessari percorsi di accoglienza ed educazione più complessi, che devono tener conto anche delle origini e della mentalità di chi arriva per facilitare il più possibile l’integrazione in fatto di costumi, approcci e stili di vita. Senza contare l’altra funzione del sistema di accoglienza, che è quello di fornire assistenza psicologica e umana dei beneficiari, persone che nella maggior parte dei casi hanno un vissuto assai problematico. E anche qui tornano utili le videochiamate: pur restando a distanza si ascoltano le storie e i bisogni, si curano le ferite dell’anima e a volte anche i dolori del corpo, perché resta garantita per tutti l’assistenza sanitaria. “Data la situazione, si svolge in teleconferenza anche l’attività dell’ufficio, compresa la settimanale riunione di coordinamento – aggiunge Antonella – e si cerca di supplire in ogni modo alle attività di sportello”. Perché per quanto flessibili, con gli strumenti della videochiamata non si può risolvere tutto. L’accoglienza dei migranti e il percorso di integrazione richiedono spesso attività semplici e pratiche, importanti anche se si tende a darle per scontate. Ma chi viene da un altro Paese, oltre all’ostacolo della lingua incontra molte altre difficoltà che attengono alla vita quotidiana: sottoscrivere un contratto di affitto o per la fornitura di un servizio, comprendere i propri diritti e doveri in un rapporto di lavoro, aprire un conto corrente in banca o alle poste, rinnovare il permesso di soggiorno o chiedere un ricongiungimento familiare. Nell’impossibilità di muoversi, si cerca rimediare a queste necessità con altri strumenti, soprattutto con il telefono. Facendo uno sforzo importante, perché a bussare alla porta non sono solo i beneficiari attuali, ma anche le persone uscite dal percorso di protezione che ancora non riescono a condurre una vita pienamente autonoma. Un universo complesso di uomini e donne che come tutti rispettano le indicazioni sanitarie per evitare di diffondere il contagio. “I primi tempi ci stupivamo quasi della cura con cui i nostri assistiti seguivano le indicazioni del Governo e anche della loro tranquillità di fronte a questo pericolo invisibile”, ci confida Liorni. “Il fatto è che in diversi Paesi di provenienza le epidemie non sono rare come dalle nostre parti” e dunque una qualche abitudine ad accettare le indicazioni di prevenzione può essere un dato acquisito. E poi, di fronte a certi vissuti drammatici e ai “viaggi della speranza” compiuti attraversando l’Africa per riuscire infine a sbarcare sulle coste italiane, starsene chiusi al sicuro, in casa, indossare qualche mascherina e prestare più attenzione del solito a quello che si fa non è poi così male.   Fonte Diocesi di Rieti  

Sciurba (Mediterranea):  “vogliamo la verità sulle 55 persone disperse”

15 Aprile 2020 - Roma - "Vogliamo la verità sulle 55 persone disperse". È la richiesta di Mediterranea Saving Humans e di Alessandra Sciurba, presidente dell'associazione. "Non è sostenibile che donne bambini e uomini chiedano aiuto per sei giorni e i governi di Italia e Malta aspettino che vengano inghiottiti dal mare - denuncia Sciurba -. E se fosse lo stesso caso della barca con cinque persone senza vita adesso davanti le coste libiche non sarebbe meno grave e non sarebbe una condanna minore, con gli stessi mandanti. Nel Mediterraneo i profughi vengono lasciati morire o messi nelle mani dei libici per essere riportati in un Paese in guerra. I morti sono tutti uguali, le vite valgono tutte allo stesso modo. Oppure lo dicano finalmente questi ministri e questi governi, che ci sono esseri umani che vanno solo fatti scomparire". (SIR)

Mons. Scicluna: “se affermiamo di avere un cuore di carne, non possiamo dimenticare i rifugiati nei centri sull’isola dove c’è il coronavirus”

15 Aprile 2020 - Roma - “La carità può davvero iniziare a casa. Ma la casa non è certo dove dovrebbe finire, specialmente per i cristiani, e la Pasqua è un periodo di riflessione e rinnovamento che invita ognuno di noi a porsi una domanda fondamentale: desideriamo avere un cuore di carne o un cuore di pietra?”: è un passaggio della riflessione apparsa oggi sul quotidiano “The times of Malta” a firma dell’arcivescovo Charles Scicluna. Dopo aver descritto il Covid-19 come “la nostra croce”, lo sconvolgimento che ha portato, le ferite che sta lasciando, il dolore anche personale dell’arcivescovo di aver dovuto “celebrare la Pasqua in una cappella praticamente vuota”, mons. Scicluna scrive che “se affermiamo di avere un cuore di carne, non possiamo dimenticare i rifugiati affollati nei centri a Malta, dove c’è un focolaio di coronavirus”. E ancora “se sosteniamo di avere un cuore di carne, non possiamo dimenticare gli altri esseri umani – tra cui dei bambini – che sono in difficoltà nel mare intorno a noi”. “Salvare vite non può mai essere considerato un’opzione”, continua il presule: “è un imperativo morale che non può essere negoziato e a cui non si può rinunciare. Se abbiamo un cuore di carne, dobbiamo riconoscere che anche i migranti colpiti sono i nostri fratelli e sorelle”. “La Chiesa continuerà a fare ciò che ha fatto per molti anni, offrendo le nostre risorse ai migranti in difficoltà”, afferma l’arcivescovo, che chiede all’Ue di “fare di più per sostenere le nazioni povere e i loro cittadini”.    

Cei: Humanlines, il portale che racconta i Corridoi umanitari

15 Aprile 2020 -

Roma - C’è Danait, giovane eritrea che parla un perfetto italiano e ha lavorato per l’Unhcr. Poi ci sono Awet, dodicenne, sordo, arrivato dall’Eritrea a Cossato, in provincia di Biella, dove può frequentare una delle migliori scuole di lingua dei segni, e Omar, un adolescente che diventa amico di Fabio, il proprietario di una pasticceria in un piccolo paese del profondo nord.

Sono solo alcuni dei protagonisti delle storie, piene di verità e di sofferenza, raccolte da “Humanlines”, un portale di informazione e web documentario in continuo divenire, promosso dall’Università di Notre Dame (USA), per raccontare il progetto dei Corridoi Umanitari finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana che ha permesso a centinaia di rifugiati eritrei, somali e sud-sudanesi di arrivare in Italia in modo legale e sicuro.

“Abbiamo scelto di raccontare microstorie in grado di trattare ciascuna un tema e un frammento di tale complessità, nella speranza di dar vita nel tempo ad un mosaico coerente, onesto, affidabile”, spiega Ilaria Schnyder che insieme a Clemens Sedmak coordina anche un progetto di ricerca longitudinale volto a monitorare e valutare le diverse dinamiche dei Corridoi Umanitari che incarnano una nuova visione di pensare l’immigrazione e l’accoglienza. Le storie, aggiunge, sono “narrate attraverso fotografia, audio, video ma anche comics e videoanimazione”. A queste si affiancheranno report, articoli accademici e approfondimenti.  

Foggia: Giusi dall’Africa agli immigrati

15 Aprile 2020 - Foggia - Dalla Guinea Bissau a Foggia, che il Covid 19 ha trasformato in terra di missione, soprattutto per gli immigrati che hanno bisogno di accoglienza e sostegno. E’ questo il percorso di Giuseppina Di Girolamo, per tutti Giusi, “una donna che non fugge nei momenti difficili, né cerca situazioni confortevoli nei momenti duri e di grande difficoltà”. Così dom Josè Camnate Na Bissign, vescovo di Bissau, porgeva il ringraziamento, il “bem haja” del suo popolo a Giusi per i suoi nove anni di missione in Guinea Bissau dal 2008 al 2017. Nel piccolo Paese africano la fidei donum di Foggia ricorda un patrimonio di relazioni “con la gente del posto e di comunione con tutte le persone che ho conosciuto. Mi sono sentita rinascere quando abbiamo aperto l’orfanotrofio. E per anni ho dato tutta me stessa ai quei bambini che impazzivano quando vedevano il mio fuoristrada imboccare la stradina che portava all’orfanotrofio. Bambini che chiedevano solo attenzione e un po’ di amore”. Missionaria a 360 gradi, Giusi, 65 anni, era partita da Foggia dopo un lungo lutto per la morte del marito, cercando di fare di quel grande dolore una spinta alla solidarietà, alla vita. E così, racconta “feci richiesta di andare come missionaria in Africa. Ed è stata proprio l’Africa a curare le mie ferite e a donarmi una seconda opportunità”. Tornata in Italia, la missione le ha dato ancora una nuova chance, questa volta nella sua terra: “Ho avuto bisogno di un po’ di tempo per riambientarmi, certamente mi ha aiutato il vescovo della mia città assegnandomi la gestione di tre Uffici diocesani (Migrantes, Centro Missionario e Caritas). L’attività che svolgevo per questi uffici mi ha fatto capire che il mio servizio come fidei donum non era finito con la missione in Africa ma continuava con la stessa passione e intensità, rendendomi utile alla Chiesa”. L’esperienza svolta in Guinea Bissau è stata preziosa quando ha iniziato a gestire una Casa di accoglienza presso Foggia per immigrati africani che erano confinati nei tanti ghetti del territorio pugliese. Racconta Giusi che “molti di questi ragazzi sono cattolici e sono seguiti da due parroci, uno nigeriano e l’altro guineano. Il responsabile della nostra casa di accoglienza è una persona stupenda. I ragazzi ospiti della casa lo chiamano papà, ha insegnato loro a pulire e tenere in ordine la casa. Sono molto ben educati. Oggi quattro di loro hanno un contratto di lavoro, hanno preso in affitto una casa e sono indipendenti. Non hanno più bisogno di noi, camminano da soli”. Molti altri però non trovano lavoro, come per tanti giovani della città di Foggia dove c’è un altissimo tasso di dispersione scolastica e ultimamente e una dilagante microcriminalità. Tanta la gente che viene a chiedere aiuto presso gli uffici della Caritas”. Soprattutto in questo tempo di paura e solitudine dovuto alla pandemia del Covid-19 che “sta portando molte famiglie a vivere la fame. Riceviamo tantissime richieste di aiuto e quello che fa più male è che molti di loro hanno bisogno di conforto e in questo periodo non possiamo che ascoltarli per telefono. In ufficio siamo in pochi e a volte non c’è il tempo per ascoltarli tutti per telefono, è questo che mi fa più male”. Nonostante questa terribile emergenza Giusi sottolinea che “la mia città non fa mancare la sua solidarietà, i foggiani sono persone di grande cuore e molto generosi. Tanti sono i benefattori che ci aiutano ad aiutare. Dal profondo del mio cuore nasce un ringraziamento al Signore che non smette di toccare il cuore di tanti uomini e donne di buona volontà. La missione è nel cuore di chi ama, e chi ama non volge mai lo sguardo dall’altra parte”. Giusi racconta con passione il suo impegno che le riempie la vita. E’ la missione a darle tutta questa forza, a fare in modo che non si scoraggi mai? La sua risposta non lascia dubbi: “La missione è la vita stessa, una vita che ci porta a interrogarci e a trasformare il nostro modo di vivere. E’ l’amore che riservi all’altro, all’attenzione posta all’ascolto e al grande desiderio che senti nascere dentro il tuo cuore: quello di essere di aiuto al prossimo, ecco è questa la missione”. (Miela Fagiolo D’Attila – Popoli e Missione)  

Mediterranea: “nessuna notizia su gommone con 55 persone a bordo

14 Aprile 2020 - Roma - “Ci stiamo chiedendo con angoscia: che fine hanno fatto queste persone? Sono ancora vive? Perché le autorità si rifiutano di dare informazioni?”. Mediterranea saving humans punta oggi il dito contro il “gravissimo silenzio delle autorità di Malta e Italia” in merito all’imbarcazione dispersa con a bordo 55 persone, segnalata per la prima volta tre giorni fa da Alarm Phone. Mediterranea informa che il “centro di coordinamento dei soccorsi (Rcc) di Malta ha inviato messaggio navtex con richiesta di intervento alle navi più vicine, assumendo il coordinamento del caso”. “La nave commerciale ro-ro Ivan, battente bandiera portoghese – spiega Mediterranea -, ha raggiunto il gommone in difficoltà, ma nella notte ha comunicato che non era in condizione di effettuare il salvataggio. Non ci risulta finora che le autorità maltesi abbiano effettuato il necessario intervento di soccorso con proprie motovedette. Il governo de La Valletta non sta fornendo alcuna informazione”. Le condizioni del mare sono andate peggiorando tra la notte e stamattina. “Se il gommone non è ancora affondato e le 55 persone sono ancora vive, adesso dovrebbe trovarsi a meno di 30 miglia nautiche da Lampedusa”, sottolinea Mediterranea, chiedendo al governo italiano “di verificare la situazione e di ordinare alla nostra Guardia Costiera di intervenire in soccorso, anche fuori dalle acque territoriali”. (SIR)  

Suor Angela: medico congolese in prima linea per l’emergenza virus

14 Aprile 2020 - Roma - Ai lettori di www.migrantesonline.it e della rivista MigrantiPress non è nuovo il nome di suor Angela Bipendu, medico congolese della Congregazione Discepole del Redentore, da 16 anni in Italia, in servizio presso l’Ospedale di Zogno in provincia di Bergamo. Oggi la religiosa è in prima linea tra i malati di Covid 19: anche lei fa parte dei tanti medici che visitano i pazienti in casa in un territorio, come quello bergamasco, purtroppo come sappiamo, uno tra i più colpiti d’Italia da questa epidemia. Avevamo raccontando la sua storia di volontaria per due anni su una nave della Guardia Costiera italiana, impegnata nel Mediterraneo nel salvataggio di immigrati a rischio naufragio. Lei che non sa nuotare e ha paura dell’acqua non aveva esitato a raccogliere e mettere in pratica le parole di Papa Francesco quando rivolgendosi ai religiosi e alle religiose disse “Uscite andate altrove”. Fu un racconto toccante quello riportato dalla religiosa congolese che aveva assistito i tanti disperati che arrivano sulle nostre coste a bordo di mezzi di fortuna e hanno bisogno di aiuto, ma anche di essere rincuorati. Lo stesso aiuto e conforto che oggi cerca di trasmettere ai tanti malati che giorno e notte visita con gli altri colleghi dell’USca, le equipe mediche che si occupano dell’assistenza a domicilio dei pazienti positivi al Covid19 o con una sintomatologia influenzale sospetta. Anche il turno della dottoressa Angela può superare le 12 ore, ma a volte può proseguire di notte, quando presta servizio presso la Guardia Medica di Villa d’Almè, altro comune a pochi chilometri dal capoluogo orobico. Anche in questi casi suor Angela non si comporta solo da medico ma anche da religiosa perché oltre a misurare la febbre, accertarsi se il paziente ha bisogno di ossigeno, e tenere sotto controllo le altre patologie, non manca di dare una parola di conforto, di rassicurare le tante persone sole che incontra nelle sue visite. Visitando questi malati il pensiero di suor Angela non può non correre ai malati della sua Africa, pensando a quanto questa epidemia possa incidere negativamente in quel territorio in cui le strutture sanitarie non sono adeguate a poter fronteggiare una tale crisi. E proprio in uno dei turni di notte suor Angela è stato oggetto di uno scherzo ricevuto da un collega che fingendosi Papa Francesco si è fatto annunciare alla suora per congratularsi con lei e con tutto il personale per il lavoro che stanno svolgendo. La religiosa, anche se incredula e meravigliata per tanta attenzione, ha risposto al Santo Padre convinta che fosse proprio lui, il quale al termine l’ha invitata in Vaticano e le ha impartito anche la benedizione. Purtroppo solo ventiquattro ore dopo suor Angela Bipendu ha scoperto che si era trattato di uno scherzo, dopo aver condiviso quella gioia con i suoi colleghi e con la madre superiora.   Nicoletta Di Benedetto  

Viminale: oltre 3000 i migranti sbarcati sulle coste italiane

14 Aprile 2020 - Roma - 3.228: questo il numero delle persone migranti sbarcate sulle coste italiane in questo 2020. Il dato è stato diffuso dal ministero degli Interni ed è aggiornato alle 8 di questa mattina. La maggioranza delle persone migranti arrivati finora è di nazionalità bengalese (477 persone,15%). A seguire dalla Costa d’Avorio (343, 11%), dall’Algeria (319, 10%), dal Sudan (269, 8%), dal Marocco (234, 7%), dalla Tunisia (178, 6%), dalla Somalia (172, 5%), dalla Guinea (145, 5%), dal Mali (143, 4%), e dall Nigeria (75, 2%) a cui si aggiungono 873 persone (27%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.

Arrivò in Italia su un barcone: ora è vescovo

14 Aprile 2020 - Roma - Da migrante giunto in Italia su un barcone a vescovo. È la storia, raccontata dai media vaticani, di Arjan Dodaj, 43 anni, nato Laç-Kurbin sulla costa dell'Albania. Era arrivato sedicenne come migrante dopo aver attraversato l'Adriatico su un barcone. Fuggito dal suo Paese in una notte del settembre 1993, in cerca di futuro e del modo di aiutare la sua famiglia povera, è approdato in Italia, patendo fortemente lo strappo dalla sua realtà d'origine. “Tante persone oggi si vedono arrivare sui barconi. Credo che bisognerebbe pensare a questi strappi, a questi sacrifici, a queste vicissitudini tanto dolorose, perché se non fossero dolorose non verrebbero!”, avverte. In Italia, in particolare nel Cuneese, a Dronero, ha fatto il saldatore e il giardiniere lavorando più di dieci ore al giorno. Si è imbattuto in una comunità che lo ha fatto sentire a casa. Così ha scoperto la fede cristiana, della quale, nonostante l'educazione all'ateismo sotto il regime comunista, aveva conservato traccia grazie alle canzoni sussurrategli dalla nonna. Dieci anni dopo veniva ordinato prete da Giovanni Paolo II per la Fraternità Sacerdotale dei Figli della Croce, Comunità Casa di Maria. Nel 2017 ha fatto ritorno nel suo Paese, come sacerdote fidei donum. Due giorni fa papa Francesco l'ha nominato vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Tirana-Durazzo. “Sono sincero... mai e poi mai avrei né pensato né desiderato una cosa simile - commenta -. Ero molto felice di vivere il contesto parrocchiale, il contesto familiare quotidiano che ho sempre vissuto, con la mia comunità, con i parrocchiani con le persone che ci sono affidate. Adesso è successa questa ulteriore chiamata, questa nomina del Santo Padre Francesco. L'ho accolta con fiducia nel Signore, nella Madonna, e con obbedienza alla Chiesa".    

Comboniani: porti chiusi “crimine contro l’umanità”

13 Aprile 2020 - Roma - In queste ore in cui come cristiani e missionari celebriamo nel mondo, in modalità certo stranissime, la festa della Pasqua, che significa liberazione dalle schiavitù della storia, nel Mediterraneo l’ong Sea Watch denuncia il naufragio di un gommone tra Malta e Tripoli. Ci sono dei morti e, al momento, non sappiamo quanti. Lo scrive in un appello la Commissione Giustizia e Pace dei Missionari Comboniani rivolto alle istituzioni per la riapertura dei porti, chiusi per l’emergenza coronavirus. La stessa ong aveva segnalato ieri la presenza di 4 barche in pericolo. «Lasciati morire soli nel giorno di Pasqua da un’Europa che parla a vuoto di solidarietà verso le persone che soffrono» scrive l’ong: “Questo – scrivono i comboniani - ci addolora ancora di più in un tempo in cui ormai parliamo solo della pandemia e siamo attanagliati da paura e chiusura. Tre giorni fa un criminale decreto interministeriale ha chiuso di fatto i porti italiani fino al 31 luglio appellandosi all’emergenza coronavirus”. Nel frattempo la nave Alan Kurdi vaga nel Mediterraneo con a bordo 156 persone. Fonti del Viminale fanno sapere che hanno ricevuto assistenza e che sbarcheranno presto in Germania. “Troveranno davvero un varco in un Europa confinata nella paura e latitante in solidarietà? O dovranno ripiegare un giorno su una Libia ormai al collasso?”, si domandano i comboniani: “in questi ultimi giorni il generale Khalifa Haftar a capo dell’esercito libico di liberazione nazionale ha bombardato a Tripoli l’ospedale Al Kadra, scelto come avamposto anticoronavirus, e il mercato del pesce. Infine ha assediato la città tagliando l’acqua a 3 milioni di abitanti. La guerra di Libia non si ferma con la pandemia e anche noi abbiamo gravissime responsabilità”. I missionari chiedono all’Ue “patria dei diritti umani, di organizzare corridoi umanitari e aprire i porti alle navi che salvano i migranti”; al governo italiano di “intervenire subito per ritirare il decreto criminale che chiude i porti e di salvare le vite umane nel Mediterraneo”; a tutti i cittadini e cittadine di “buona volontà e di buon cuore di farsi solidali appoggiando questo appello e la mozione di alcuni parlamentari che stanno chiedendo l’intervento immediato dello Stato per salvare gli altri migranti in pericolo di vita”. Rimbocchiamoci le maniche tutti insieme perché Pasqua sia davvero una liberazione e una festa”, è il monito dei comboniani.

Pozzallo: ultimato sbarco di 101 migranti 

12 Aprile 2020 - Pozzallo - E’ terminato nel porto di Pozzallo lo sbarco dei migranti arrivati a bordo di un gommone; sono 101, tutti maschi, tra i quali molti minori. I migranti – riferisce l’Ansa - stanno tutti bene e i controlli effettuati dalle autorità  sanitarie non hanno riscontrato criticità. Si trovano per ora tutti sulla banchina di attesa di individuare una struttura dove trasferirli, considerato che nell’hot spot di Pozzallo non è possibile perché, scrive sempre l’Ansa, vi è un caso positivo di un migrante egiziano 15enne che si trova in isolamento.

Papa Francesco: uno sguardo a profughi e migranti

12 Aprile 2020 - Città del Vaticano - Non lasciare soli poveri, profughi e senza tetto. E’ uno degli appelli rivolti da Papa Francesco questa mattina nel messaggio “Urbi et Orbi” recitato per la prima volta dalla Basilica di San Pietro e non dalla Loggia. Il papa ha evidenziato che in queste settimane, “la vita di milioni di persone è cambiata all’improvviso”: “per molti, rimanere a casa è stata un’occasione per riflettere, per fermare i frenetici ritmi della vita, per stare con i propri cari e godere della loro compagnia”. In papa ha incoraggiato quanti hanno responsabilità politiche affinché si adoperano “attivamente in favore del bene comune dei cittadini, fornendo i mezzi e gli strumenti necessari per consentire a tutti di condurre una vita dignitosa e favorire, quando le circostanze lo permetteranno, la ripresa delle consuete attività quotidiane”. “Non è questo – ha spiegato - il tempo dell’indifferenza, perché tutto il mondo sta soffrendo e deve ritrovarsi unito nell’affrontare la pandemia”. “Gesù risorto doni speranza a tutti i poveri, a quanti vivono nelle periferie, ai profughi e ai senza tetto”. “Non siano lasciati soli questi fratelli e sorelle più deboli, che popolano le città e le periferie di ogni parte del mondo. Non facciamo loro mancare i beni di prima necessità, più difficili da reperire ora che molte attività sono chiuse, come pure le medicine e, soprattutto, la possibilità di adeguata assistenza sanitaria”, è stato l’appello del pontefice che ha anche chiesto che “si allentino le sanzioni internazionali che inibiscono la possibilità dei Paesi che ne sono destinatari di fornire adeguato sostegno ai propri cittadini e si mettano in condizione tutti gli Stati, specialmente quelli più poveri, di fare fronte alle maggiori necessità del momento, riducendo, se non addirittura condonando, il debito che grava sui loro bilanci”. Il papa ha pregato anche per chi ha “responsabilità nei conflitti”, perché questi “abbiano il coraggio di aderire al cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo”. E sottolinea che “non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbe essere usati per curare le persone e salvare vite”. Lo sguardo del pontefice, nel suo “viaggio” tra le zone del mondo è andato anche a rifugiati e sfollati per guerre e siccità, e a migranti e rifugiati che vivono in condizioni insopportabili. Il Signore “riscaldi il cuore delle tante persone rifugiate e sfollate, a causa di guerre, siccità e carestia. Doni protezione ai tanti migranti e rifugiati, molti dei quali sono bambini, che vivono in condizioni insopportabili, specialmente in Libia e al confine tra Grecia e Turchia”, ha detto: “non voglio dimenticare l’isola di Lesbo”.

Raffaele Iaria

Centro Astalli: “sI portino in salvo i migranti che ora sono in mare”

11 Aprile 2020 -
Roma - Il Centro Astalli esprime “seria preoccupazione per la sorte di decine di bambini, uomini, donne ora in mare”. “Sono persone stremate, disperate che non hanno scelto di salire su una barca. Non è un viaggio il loro. È aggrapparsi all’unica possibilità di sopravvivere, pagata a caro prezzo” si legge in una nota diffusa oggi. “Il coronavirus non può essere pretesto dei governi per autodenunciarsi ‘porto non sicuro’ – denuncia il Centro Astalli – in mare ci sono esseri umani che non sono mai stati al sicuro in vita loro, sono persone in fuga dalla guerra, dalla povertà, dai centri di detenzione libici”. Il Centro Astalli chiede che l’Europa “non volti le spalle ai migranti” e si prevedano “adeguate misure di quarantena in modo da non esporre nessuno al pericolo di contagio; si soccorrano le persone che necessitano di cure urgenti, bambini e donne incinte; si attui un piano di solidarietà tra gli stati Ue”. In questo modo, per il Centro, “si tratterebbe di accogliere pochi migranti per Paese, non incidendo in alcun modo sulla sicurezza interna. Portiamo in salvo i migranti. L’epidemia che ci troviamo a fronteggiare ci insegna più di tutto che nessuno si salva da solo. Domani i cristiani celebrano la Pasqua, la resurrezione di Cristo che sconfigge la morte. Salviamo i migranti, sconfiggiamo la loro morte, salvando le loro vite”.

La Sardegna piange Nabeel Kahir, medico e attivista italo-palestinese

11 Aprile 2020 -     Cagliari - Medico italo-palestinese, conosciuto in tutta la Sardegna per la sua attività nella Barbagia e le sue doti umane e professionali, Nabeel Kahir aveva recentemente assunto l’incarico di medico di base a Tonara (Nuoro) e per essere stato una storica guardia medica di Aritzo. Noto per il suo impegno a sostegno del popolo palestinese, ricopriva da alcuni anni l’incarico di vice-presidente della Comunità Palestinese in Europa. È morto all’età di sessantatré anni, dopo aver contratto come tanti operatori sanitari il covid-19. Si tratta del primo medico deceduto in Sardegna a causa del Coronavirus. Nabeel Kahir non era solo uno stimato medico. Laureatosi in medicina a Cagliari più di quaranta anni fa, è stato per decenni una delle anime dei movimenti in Sardegna per la comunità palestinese di cui era fra i promotori e animatori. Il medico palestinese, durante tutta la sua permanenza in Italia, Paese di cui era diventato cittadino e dove aveva costruito vita e carriera, non si è mai dimenticato del suo popolo e dei suoi problemi. Nelle manifestazioni di piazza, per sensibilizzare i sardi sulla questione palestinese, è sempre stato in prima linea, alle tante manifestazioni per la pace in Medio Oriente, per il diritto del popolo palestinese a vivere in un proprio Stato. Attivo in incontri e convegni locali e internazionali, è ricordato per la sua missione organizzata nel 2004 in Palestina frutto di un accordo di cooperazione tra le città di Monserrato (Cagliari) e di Quabatia con il dono di un ambulanza attrezzata all’amministrazione locale. Sui social network sono tantissimi i messaggi di condoglianze nei suoi confronti da parte di colleghi medici, compagni di lotta, intellettuali, politici e associazioni che ne hanno apprezzato l’operato professionale, l’impegno politico e le qualità umane. L’ennesimo tragico lutto che colpisce la terra sarda per effetto del Coronavirus. Decine i messaggi da parte dei suoi pazienti di Tonara e dei comuni limitrofi che si erano affezionati a lui. Non restano che lumini nelle case e preghiere musulmane per l’ultimo saluto al medico sardo. Se ne è andato il dottor Kahir in prossimità della Pasqua, festa di resurrezione e di pace. La comunità riserva un commovente abbraccio alla sua figura e continuerà a battersi per la causa palestinese anche in suo nome, con quell’impegno civile e democratico di cui il medico è stato per tanti anni un magnifico esempio. Il direttore dell’ufficio della Migrantes di Cagliari, Padre Stefano Messina, lo ricorda come un uomo di grande spessore culturale e di sensibilità umanitaria e per le confidenze di due grandi dolori che portava da sempre con sé: il desiderio di aiutare il popolo palestinese e il triste ricordo per aver perduto nel 2014 prematuramente la figlia ventisettenne, Jasmine, ritrovata morta a causa di una intossicazione da monossido causata da una stufa difettosa in Giordania, dove si era recata mossa dal desiderio di aiutare in un campo profughi. (Fabio Cruccu, collaboratore ufficio Migrantes Cagliari)      

Viminale: 3.050 i migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2020

10 Aprile 2020 - Roma – Sono 3.050 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno, comprese le 6 registrate ieri e le 73 stamattina. Il dato è stato diffuso dal ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina. La maggioranza dei migranti sbarcati è di nazionalità bengalese: 477 seguiti da Costa d’Avorio (329, 11%), Algeria (319, 10%), Sudan (250, 8%), Marocco (234, 8%), Somalia (172, 6%), Tunisia (172, 6%), Guinea (139, 4%), Mali (123, 4%), Iraq (72, 2%) a cui si aggiungono 763 persone (25%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.  

Migranti cattolici in Italia: preghiera e sante Messe in streaming

10 Aprile 2020 - Roma - A causa dell'emergenza sanitaria che stiamo vivendo, i riti della Settimana Santa non si svolgeranno con il popolo. Sia la Santa Sede sia la Chiesa italiana si sono organizzate per permettere ai fedeli di partecipare almeno attraverso la televisione, la radio e i mezzi di comunicazione digitale. Qui di seguito alcune iniziative come riportato dal sito istituzionale della Fondazione Migrantes Comunità francofona In diretta su FacebookYouTube e Zoom Cloud Meetings. Santa Messa ogni domenica alle ore 11.00 trasmessa dalla Parrocchia San Giovanni Battista di Cona, Ferrara. Martedì, Santo Rosario alle ore 17.00 (tramite Zoom Cloud Meetings). Giovedì, Adorazione Eucaristica silenziosa dalle 17.30 alle 18.00. Venerdì 3 aprile e 10 aprile Via Crucis alle ore 18.00. Santa Messa della Domenica delle Palme (5 aprile) alle ore 11.00. Giovedì della lavanda dei piedi alle ore 21.00 Veglia del Sabato Santo con Santa Messa (11 aprile) alle ore 17:00. Santa Messa di Pasqua (12 aprile) alle ore 11:00. Referente: don Rodrigo Akakpo, vicedirettore Ufficio Migrantes di Ferrara e cappellano della comunità francofona in Italia Comunità africane francofone Tramite l'applicazione ZOOM Cloud Meetings. Santo Rosario in francese in diretta ogni giovedì alle ore 17.30. Referente: Don Mathieu Malick Faye, Coordinatore Nazionale Migrantes per le comunità cattoliche affricane di lingua francofone in Italia Comunità anglofone Tramite Facebook. Santa Messa in diretta ogni domenica alle 10.00. Referente: Donatella D'Anna, Ufficio Migrantes di Caltanissetta. Comunità ungherese Tramite Facebook e YouTube in diretta. Santa Messa ogni domenica alle ore 11.00 trasmessa dalla cappella della Casa di Santo Stefano d'Ungheria, Roma. Veglia del Sabato Santo con Santa Messa (11 aprile) alle ore 18:00. Santa Messa di Pasqua (12 aprile) alle ore 18:00. Referente: Padre Németh László, coordinatore nazionale degli ungheresi cattolici in Italia. Comunità srilankese Celebrazioni della Settimana Santa sul canale televisivo srilankese di Napoli, trasmesse in diretta da Roma. Qui il programma completo. Referente: Mons. Neville Joe Perera, coordinatore nazionale degli srilankesi cattolici in Italia. Comunità filippina Tramite YouTube. Sante Messe quotidiane: Lunedì-Sabato ore 7:30 (14:30 Filippine) e Domenica ore 8:00 (15:00 Filippine). Programma completo della Settimana Santa 2020 Comunità greco-cattolica romena Tramite le rispettive pagine Facebook. Celebrazioni trasmesse da Ladispoli e diocesi di Porto Santa Rufina, padre Valentin Marcu: 12 aprile Domenica delle Palme: ore 10,00 - La Divina Liturgia 13 aprile Lunedì Santo: ore 21,00 - La Divina Liturgia dei Doni Presantificati 14 aprile Martedì Santo: ore 21,00 - La Divina Liturgia dei Doni Presantificati 15 aprile Mercoledì Santo: ore 21,00 - La Divina Liturgia dei Doni Presantificati 16 aprile Giovedì Santo: ore 21,00 - La celebrazione della tremenda Passione di Cristo 17 aprile Venerdì Santo: ore 15,00 - Ora Nona – ore 21,00 - L'ufficio della Sepoltura del Signore 18 aprile Sabato Santo: ore 21,00 - Veglia Pasquale 19 aprile Domenica di Pasqua: ore 10,00 - La Divina Liturgia Celebrazioni trasmesse da San Donà di Piave (diocesi di Treviso), padre Lucian Mihut: 12 aprile Domenica delle Palme: ore 10,00 - Divina Liturgia 17 aprile Venerdì Santo: ore 19,00 - Via Crucis e meditazione 18 aprile Sabato Santo: ore 22,00 - Veglia Pasquale alle 19 aprile Domenica della Risurrezione del Signore: ore 10,00 - Divina Liturgia Celebrazioni trasmesse da Rovigo (diocesi di Rovigo), padre Ionut Ursuleac: 16 aprile Giovedì Santo: ore 18,30 - La celebrazione della tremenda Passione di Cristo 17 aprile Venerdì Santo: ore 18,30 - L'ufficio della Sepoltura del Signore 18 aprile Sabato Santo: ore 23,00 - Veglia Pasquale e Divina Liturgia

Pisa: laurea alla Memoria a Christin Kamdem Tadjudje

9 Aprile 2020 - Pisa - Nella notte tra il 21 e il 22 marzo scorsi, dopo aver contratto l'infezione da COVID 19, è venuto a mancare Christin Kamdem Tadjudje: uno studente universitario di trent’anni, iscritto a Scienze Agrarie, che aveva scelto Pisa per prepararsi con lo studio alla vita adulta. Christin era arrivato dal Camerun. Lo si legge in una nota giunta alla nostra redazione, l’Associazione “Sante Malatesta Onlus” di Pisa. “Lo abbiamo conosciuto un paio di anni fa – scrive l’associazione - quando si è rivolto all'Associazione Sante Malatesta dopo aver perso la borsa di studio dell’Agenzia per il Diritto allo Studio Universitario e, con essa, alloggio, mensa e sostegno finanziario. Per statuto la nostra Associazione offre aiuto agli studenti universitari stranieri provenienti da Paesi in difficoltà accompagnandoli nella loro formazione, fino alla laurea”. Christin era orfano di madre ed aveva due fratelli e una sorella. Il padre è malato da tempo e Christin faceva lavori part-time per poter aiutare sia i fratelli che il padre, che aveva frequenti ricoveri ospedalieri. Christin aveva “passione ed interesse per gli studi in Agraria e buoni voti. A giugno 2019, in occasione della cena interculturale dell’Associazione, per premiare il suo buon percorso di studi gli abbiamo assegnato una delle borse di studio che l'Associazione annualmente mette a disposizione dei più meritevoli grazie alla generosità di Soci e Sostenitori. Ci aveva ripagato con gioia e soddisfazione: il 7 Aprile Christin avrebbe dovuto laurearsi, realizzando un sogno partito da lontano.Aveva intenzione di ritornare in Camerun, diventare un imprenditore agricolo e fare squadra – così diceva – con altri colleghi imprenditori agricoli dei paesi vicini”. L'Università di Pisa, con “sensibilità” ed “attenzione”, ha deciso comunque di conferirgli nello stesso giorno la laurea alla memoria, come “segno per non disperdere gli anni di sacrifici e impegno”. “Congratulazioni, Christin: nonostante tutto hai conquistato il tuo sogno”, conclude l’associazione.

Svizzera: chiese cristiane chiedono “un gesto di umanità” per la situazione dei richiedenti asilo in Grecia

9 Aprile 2020 - Berna - La situazione dei richiedenti asilo nelle isole greche è “catastrofica ed è ulteriormente aggravata dalla pandemia di coronavirus”. Lo scrivono, oggi, la Conferenza Episcopale Svizzera, Chiesa cattolica cristiana della Svizzera e Chiesa evangelica riformata in Svizzera, in un appello sulla situazione dei richiedenti asilo nelle isole greche ulteriormente aggravata dalla pandemia di coronavirus. In un appello le tre Chiese nazionali chiedono che il gruppo di profughi non accompagnati e aventi legami familiari in Svizzera “siano evacuati rapidamente nel nostro Paese. La pandemia che si sta diffondendo non permette di perdere altro tempo prezioso. È necessario agire rapidamente – e a maggior ragione in questo periodo di Pasqua”. “In una prospettiva cristiana, il messaggio pasquale dona speranza e fiducia in questa difficile situazione: la morte non ha l’ultima parola e la Pasqua infonde una nuova dinamica di vita”, dichiara Felix Gmür, presidente della Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS). In questo senso e con questo spirito, le Chiese forniscono il proprio aiuto sia con la raccolta di fondi sia tramite le loro organizzazioni umanitarie. Il fatto che l'Europa non abbia ancora trovato una risposta unitaria alla catastrofe dei profughi “non solleva i politici svizzeri dalle loro responsabilità”, si legge nel testo dell’appello: “in virtù dei trattati di Schengen e Dublino, esiste una responsabilità condivisa per la situazione dei rifugiati e della popolazione locale in Grecia. È quindi urgentemente necessario provvedere a evacuare almeno un piccolo numero di persone che hanno legami con la Svizzera”. “Un atto di umanità da parte della Svizzera non costituisce uno sforzo solitario nella politica europea dei rifugiati”, sottolinea Gottfried Locher, presidente della Chiesa evangelica riformata in Svizzera CERS: “La Svizzera può essere un modello per l'Europa in questo periodo di Pasqua in termini di umanità e atteggiamento”. Le tre Chiese nazionali invitano il Consiglio federale e i politici a permettere di riunire rapidamente con le loro famiglie in Svizzera i richiedenti asilo minorenni non accompagnati (RMNA) che si trovano a Lesbo e in altre località della Grecia. Finora sono stati identificati solo una ventina di minorenni non accompagnati con un legame familiare in Svizzera. Tuttavia, il numero reale dei cosiddetti RMNA “è molto più elevato. In questo caso, è necessario un maggiore impegno da parte della Svizzera ufficiale per collaborare con le autorità locali al fine di individuare gli aventi diritto ad entrare nel nostro Paese”. Da qui la richiesta al Consiglio federale di inviare nei prossimi giorni “un chiaro segnale di speranza e accogliere come richiedenti l'asilo in Svizzera queste giovani persone vulnerabili e a rischio che si trovano attualmente nei campi greci» dichiarano le tre Chiese nazionali”. In molti luoghi della Svizzera, le città e i comuni, le comunità parrocchiali, le organizzazioni di aiuto, ecclesiastiche e non, sono in grado di accogliere e assistere queste persone. In passato, il popolo svizzero ha dimostrato più volte la propria disponibilità con molte iniziative e progetti umanitari, spiegano le chiese svizzere che auspicano che il Consiglio federale voglia “sostenere e fare proprio un gesto di generosità a favore dei più deboli”. “La vita – e non la morte – dovrebbe avere l'ultima parola, perché il messaggio di speranza della Pasqua è universale e valido per tutti”, conclude Harald Rein, vescovo della Chiesa cattolica cristiana della Svizzera.  

Tavolo Asilo: “con atto amministrativo negati soccorsi a chi rischia la vita in mare”

9 Aprile 2020 - Roma - “Con un atto amministrativo si sospende il diritto internazionale e il dovere di soccorrere chi è in pericolo di vita in mare”: lo affermano le associazioni riunite nel Tavolo Asilo nazionale, preoccupate per il decreto interministeriale emesso lo scorso 7 aprile 2020 n. 150 in cui il ministro delle Infrastrutture e trasporti di concerto con altri ministri, dichiara che per l’intero periodo dell’emergenza sanitaria nazionale i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Porto sicuro (Place of Safety) solo per le navi soccorritrici battenti bandiera straniera che abbiano soccorso esseri umani fuori dalle nostre acque Sar. “La dichiarazione appare inopportuna e non giustificabile – sostengono – in quanto con un atto amministrativo, di natura secondaria, viene sospeso il diritto internazionale, di grado superiore, sfuggendo così ai propri doveri inderogabili di soccorso nei confronti di chi è in pericolo di vita. Si attacca ancora una volta il concetto internazionale di Porto Sicuro, la cui affermazione ha trovato conferma nelle decisioni della nostra magistratura”. “Pur consapevoli del momento complesso che ci troviamo ad affrontare – dichiarano – è importante garantire il rispetto dei principi di solidarietà e di umano soccorso, che non possono essere negati sulla base di tesi opinabili che riguardano la competenza nei soccorsi in mare ed il luogo in cui vadano condotti esseri umani in pericolo di vita”. Da ricordare che il ministero della Salute attraverso l’Usmaf si è già attrezzato per la quarantena delle navi che hanno soccorso migranti e ha già disposto delle linee guida. Attualmente la Alan Kurdi è al limite delle nostre acque nazionali in attesa che le venga assegnato un Porto sicuro dalle nostre autorità. Le associazioni del Tavolo Asilo nazionale – A Buon Diritto, Acli, ActionAid, Amnesty International Italia, Arci, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cir, Cnca, Comunità Papa Giovanni XXIII, Emergency, Europasilo, Fcei, Focus/Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Intersos, Médecins du Monde – missione Italia, Oxfam Italia, Save the Children Italia, Società italiana medicina delle migrazioni – chiedono fermamente al governo italiano di “operare senza indugi in tal senso”.

Ismu: nel 2019 quasi 613mila le prime richieste di asilo nella UE

8 Aprile 2020 - Milano - In questo momento di emergenza sanitaria dovuta all'epidemia di Covid-19 che sta mettendo a dura prova l'Italia, l'Europa e le nazioni di tutto il mondo, l’Ismu richiama l'attenzione sui richiedenti asilo, presenti nel nostro paese e nel Vecchio Continente, le cui condizioni di vita sono diventate ancora “più fragili” a causa della diffusione dei contagi. L’istituto di ricerca segnala che Eurostat ha da poco pubblicato i dati relativi alle prime richieste di asilo nei paesi membri dell'Unione Europea nell’anno 2019. Dai dati emerge che i richiedenti asilo registrati per la prima volta nella UE sono stati 612.700, in aumento del 12% rispetto al 2018. In termini assoluti, fa sapere Eurostat, quasi 1 su 4 ha chiesto asilo in Germania, seguita da Francia (20% del totale) e Spagna (19%). L’Italia rappresenta il 6% del totale per numero di prime richieste di asilo nella UE. A fronte di un aumento generale, in alcuni paesi però si registrano importanti diminuzioni rispetto al 2018: in particolare – segnala Ismu - proprio in Italia (-34%), Germania (-12%) e Austria (-7%). Secondo i dati Eurostat, le persone in cerca di asilo nella UE provengono soprattutto dalla Siria (74mila), seguita dall'Afghanistan (53mila) e dal Venezuela (45mila). Dei 45mila venezuelani che nel 2019 hanno chiesto protezione d'asilo per la prima volta nella UE, la stragrande maggioranza (90%) ha fatto domanda di asilo in Spagna (40.300). E mentre il numero di richiedenti provenienti dalla Siria è diminuito rispetto al 2018 (-7%), il numero di afgani e di venezuelani è aumentato rispettivamente del 35% e del 102%. Elaborazioni ISMU su dati del Ministero dell'Interno evidenziano che a fronte della rilevante diminuzione del totale delle richieste di asilo registrata (nel 2018 erano 54mila), nel 2019 in Italia il numero totale dei richiedenti asilo è stato di 39mila unità (mentre i dati Eurostat sopracitati si riferiscono solo al sottogruppo di coloro che hanno fatto domanda per la prima volta).  Nel 2019 si è riscontata la crescita del collettivo proveniente dall’America Centrale e Meridionale: oltre 6.700 richiedenti asilo - il 17% del totale - provengono infatti da paesi di quest’area geografica, le cui domande di asilo sono quadruplicate in tre anni. Inoltre questi paesi sono tra quelli con un tasso di riconoscimento di protezione alto.