Milano - Sarebbero poco più di 37 mila le persone di nazionalità straniera senza permesso di soggiorno che potrebbero accedere alla sanatoria 2020 e che lavorano in agricoltura e negli altri settori o nel «badantato» inLombardia: circa 28 mila tra domestici, baby sitter e assistenti domiciliari (per l’85% donne); e circa 9 mila impiegati nei campi agricoli (per l’85% uomini). Questa la stima dell’Ismu su dati delle ultime due annualità di ricerca dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità (Orim). Nel complesso, dunque,potrebbero sanare la propria posizione di irregolarità un terzo dei 112 mila irregolari stimati in Lombardia dall’Orim al 1 luglio 2019. In particolare, va evidenziato che il gruppo interessato alla regolarizzazione presenta un’elevata differenza di genere: due donne irregolari nel soggiorno su tre potrebbero teoricamente presentare domanda (perchè nel settore del «badantato» e dell’aiuto domestico si concentra quasi tutto il lavoro irregolare femminile), contro meno di un uomo irregolare ogni sette (perchè il settore agricolo impegna solo una piccola parte degli stranieri in Lombardia). Si prefigura pertanto, conclude Ismu, una regolarizzazione sempre in linea teorica altamente selettiva a favore della componente femminile.
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La sorpresa dei volontari stranieri: “Noi, al servizio di chi ci ha accolti”
Milano - Cronache di una piccola rivoluzione, quella del volontariato degli stranieri in Italia. Quella compiuta negli ultimi 25 anni dagli immigrati, che perlopiù sono regolari (circa 5,8 milioni) e continuano a integrarsi, ad acquisire la cittadinanza a ritmo sostenuto (nonostante i limiti della legge del 1992) e svolgono attività solidali per restituire quanto ricevuto nei confronti della comunità che li ha accolti. A impegnarsi in queste attività per il bene comune, sono soprattutto donne giovani e con un alto livello di istruzione.
Uno studio che verrà pubblicato il 22 giugno dimostra per la prima volta che sta aumentando il numero delle persone straniere regolarmente residenti nel Belpaese e impegnate a titolo gratuito nelle associazioni. La prima ricerca nazionale sull’argomento, che stravolge tutti gli stereotipi imperanti nei media e nei social che contribuiscono a metterci stabilmente all’ultimo posto (secondo Ipsos–Ocse) nella classifica dei più disinformati in materia nel mondo occidentale, si intitola “Volontari inattesi. L’impegno sociale delle persone di origine immigrata” (Erickson), promossa da Csvnet e realizzata dal Centro studi Medì di Genova. Gli autori sono il sociologo Maurizio Ambrosini, docente della facoltà di Scienze politiche alla Statale di Milano, da anni esperto di migrazioni e membro del Cnel, e Deborah Erminio (Università di Genova, Centro Medì). Ha collaborato la rete dei Centri di servizio per il volontariato raccogliendo dati at- traverso centinaia di questionari e interviste. L’immagine assistenziale dei migranti, visti solo come destinatari di accoglienza e aiuto, viene ribaltata. Un gran numero si impegna nelle forme più disparate di solidarietà a favore degli italiani. Ambrosini, Erminio e il Centro Medi hanno utilizzato 658 questionari e più di 100 interviste, effettuate in 163 città italiane a immigrati volontari residenti stabilmente e provenienti da 80 Paesi. Le loro esperienze sono avvenute in cinque grandi reti nazionali del non profit (Avis, Aido, Fai, Misericordie, Touring Club) che li hanno coinvolti nelle loro attività. La prima nota di rilievo è che il 52 % dei volontari immigrati è donna; il 42% ha un’età media tra 20 e 35 anni. Vivono in Italia da circa 15 anni e il 4% è nato nel nostro Paese. Il 42 % è cittadino italiano, 6 su 10 lavorano, il 41 % è laureato mentre i diplomati si attestano al 36. Più della metà dei volontari di origine straniera s’impegna con una media di circa 6 anni di attivismo. I più saltuari rappresentano un quarto circa del campione, con un’esperienza di volontariato di circa 3–4 anni. Si tratta soprattutto di casalinghe oppure persone che lavorano in modo occasionale o che hanno un impiego part–time.
L’associazione nella quale svolgere attività si trova perlopiù con il passaparola, mentre nei campi di impegno al primo posto si collocano le attività culturali anche a sfondo sociale come la promozione del patrimonio, l’organizzazione di mostre e visite guidate ma anche progetti educativi con bambini e ragazzi in doposcuola o sostegno scolastico. Seguono le iniziative ricreative e di socializzazione – feste, eventi, sagre – insieme ai servizi di assistenza sociale negli sportelli di accoglienza e ascolto, mensa sociale, distribuzione di vestiario o di pacchi alimentari. Sono molto coinvolti inoltre negli empori solidali delle Caritas diocesane, dove persone e famiglie in difficoltà economica possono fare la spesa gratuitamente. Secondo il primo rapporto Caritas Italiana e Csvnet del dicembre 2018, i volontari stranieri sono presenti in un terzo dei quasi 200 empori con una media di quattro unità per servizio. Lo si è visto, del resto, in questi mesi di emergenza alimentare per i più poveri dovuti alla pandemia. L’impegno individuale – senza far parte di un gruppo o associazione – riguarda un quarto dei volontari immigrati, stessa percentuale di chi sceglie di fare volontariato più strutturato.
La metà non aveva mai fatto attività spontanee e gratuite per la comunità nel proprio paese di origine e in Italia ha fatto la sua prima esperienza. Le motivazioni? La causa per cui opera l’associazione, seguita dalla possibilità di svolgere attività con gli amici, oltre alla possibilità di incontrare altre persone. Ora è tempo di accorgersi che la società è cambiata e va cambiata la narrazione per adeguarsi alla nuova realtà cresciuta in silenzio. E chissà che con un racconto nuovo degli stranieri che sono autentiche risorse, non si inizi a contrastare l’odio, il razzismo e la xenofobia. (Paolo Lambruschi - Avvenire)
Colombia: venezuelani bloccati ai limiti della sopravvivenza
Naufragio migranti: recuperati 34 cadaveri
Roma - Sono stati recuperati i corpi di 34 dei 53 migranti a bordo di un barcone naufragato l’altro giorno nel Mediterraneo. I cadaveri sono stati recuperati dalla Marina tunisina nell’area di mare situata tra El Louza (Jebeniana) e Kraten al largo delle isole Kerkennah, teatro del naufragio del barcone partito da Sfax nella notte tra il 4 ed il 5 giugno e diretto verso le coste italiane. Lo rende noto il sito informativo Tunisie numerique precisando che i corpi rinvenuti appartengono a 22 donne, 9 uomini, 3 bambini, di vari paesi dell’Africa sub-sahariana e un tunisino originario di Sfax, che sarebbe stato al timone del peschereccio affondato. Marina militare e Guardia costiera sono ancora al lavoro alla ricerca di altri dispersi.
Comece-Secam: “cooperazione multilaterale, ecologia, migranti”
La danza del pane
don Alberto Balducci
Direttore Migrantes Jesi
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Don La Magra: “la violenza non risolve i bisogni di tutti, no a capri espiatori”
Efal: formazione operatori sanitari in emergenza Covid-19
Migrantes Casa S. Barbara: il cuore aperto al mondo nel tempo della pandemia
Sanatoria 2020: più salute e giustizia
Migrazioni: i 9 punti del documento all’Ue firmato da Italia, Spagna, Grecia Cipro e Malta.
Viminale: 5.472 i migranti arrivati in Italia nel 2020
Roma - 5.472: questo il numero delle persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno. Il dato è stato diffuso dal Ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina. Dei quasi 5.500 migranti sbarcati in Italia nel 2020, 1.050 sono di nazionalità bengalese (19%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Tunisia (839, 15%), Costa d’Avorio (685, 13%), Sudan (456, 8%), Algeria (372, 7%), Marocco (322, 6%), Somalia (228, 4%), Guinea (224, 4%), Mali (167, 3%), Nigeria (123, 2%) a cui si aggiungono 1.006 persone (19%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.