Tag: Immigrati e rifugiati

Associazioni su Lesbo: ascoltare Papa Francesco

14 Settembre 2020 - Città del Vaticano - Papa Francesco lo ha ripetuto ieri, con forza, all’Angelus: occorre assicurare “un’accoglienza umana e dignitosa a chi cerca asilo”. Sostenendo il messaggio del Papa. E oggi la Comunità di Sant’Egidio, il Jesuit Refugee Service e le Suore missionarie di San Carlo Borromeo (Scalabriniane) lanciano un appello dopo l’incendio che ha distrutto il campo e creato enormi difficoltà a chi viveva già un inferno: "nulla sia come prima. L’Unione Europea - si legge in una nota congiunta - in collaborazione con il governo greco, intervenga con immediatezza nel segno dell’accoglienza e dell’integrazione di un numero di persone che certamente è alla sua portata. Con estrema urgenza nelle prossime ore devono essere prese importanti decisioni per salvare le persone più vulnerabili, a partire da malati, donne e bambini. Solo privilegiando la strada del dialogo e delle relazioni pacifiche - sottolineano Sant'Egidio, Jesuit Refugee Service e Scalabriniane -  sarà possibile arrivare a una soluzione nell’interesse di tutti. Ma ritardare o, peggio, far finta di niente in attesa che si crei una nuova precarietà permanente a danno di famiglie che risiedono da mesi nell’isola, alcune da anni, sarà gravemente colpevole per un continente che è simbolo di rispetto dei diritti umani, una vergogna di fronte alla storia". Le tre realtà promotrici dell'appello,  - da tempo vicine, con diversi interventi, ai profughi che risiedono a Lesbo e in tutta la Grecia - chiedono in particolare di "alloggiare, il prima possibile, gli sfollati dell’incendio di Moria in strutture di piccole dimensioni, forniti di servizi";  "garantire il libero accesso alle associazioni umanitarie per soccorrere i migranti nelle loro necessità più immediate, in particolare nei confronti di malati, donne e bambini, anziani"; "decidere contemporaneamente, a livello dell’Unione o dei singoli paesi europei che si offrono, il necessario ricollocamento di non solo dei minori non accompagnati ma anche delle famiglie e degli individui vulnerabili presenti nell’isola"; "cambiare il modello di accoglienza nell’isola di Lesbo per i nuovi arrivi dalla Turchia prevedendo strutture di accoglienza su base transitoria, gestibili e rispettose della dignità umana, salvaguardando il diritto di ciascun profugo, di qualsiasi provenienza, a chiedere asilo". Dal 2016 è nata l’esperienza dei corridoi umanitari, avviata anche a Lesbo dallo stesso pontefice quando, il 16 aprile 2016, portò con sé in aereo le prime tre famiglie per un totale di 67 profughi con l’intervento dell’Elemosineria Apostolica e della Comunità di Sant’Egidio. Si tratta di una via che occorre "continuare a percorrere per salvare altri profughi facendo rete con tante associazioni, parrocchie, cittadini comuni che si sono offerti di accogliere con grande generosità".  

Sport: nasce l’Osservatorio contro le discriminazioni

14 Settembre 2020 -

Roma - L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, insieme a Uisp e Lunaria, ha presentato a Roma l’Osservatorio contro le discriminazioni nello sport. Nato dopo molti anni di lavoro, sarà intitolato a Mauro Valeri, sociologo che ha concentrato i suoi studi sui fenomeni del razzismo collegati al mondo dello sport e scomparso nel novembre scorso. Qual è l’obiettivo che si pongono i promotori di questa iniziativa unica in Europa, che ci pone all’avanguardia nella lotta al razzismo? La risposta nelle parole di Triantafillos Loukarelis, direttore dell’Unar. Alla nascita dell'osservatorio è dedicato uno speciale del Giornale Radio Sociale. Madrina dell’osservatorio è stata Beatrice Ion, atleta paralimpica della nazionale di basket femminile, aggredita nei giorni passati con minacce e insulti razzisti. Beatrice ha evidenziato quanto sia difficile raccontare le discriminazioni subite, mentre è rassicurante sapere che c’è qualcuno pronto ad ascoltare e a tutelarti.

Card. Hollerich su tragedia Lesbo: quello che abbiamo detto fino ad oggi sui valori europei erano solo bugie”

14 Settembre 2020 - Bruxelles - “In questi anni, abbiamo pronunciato bellissime parole sui diritti umani e sui valori europei. C’è gente che ha creduto in quello che stavamo dicendo. Ma arrivati lì, ai confini con l’Europa, si sono accorti che quello che fino ad oggi abbiamo detto erano solo bugie. Facciamo attenzione anche quando parliamo di identità cristiana dell’Europa perché non posso andare in Chiesa, pregare Dio e, sapendo che c’è gente che muore e soffre, non fare niente. Non è possibile”. Sono parole dure quelle pronunciate dal cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea, in un’intervista rilasciata al Sir, prima di ripartire da Roma dove la scorsa settimana ha avuto un incontro con Papa Francesco. “Abbiamo parlato dei temi ordinari della Comece e naturalmente il discorso è andato subito alla situazione di Lesbo”, dice subito. “Il Papa ne è molto preoccupato”. E poi aggiunge: “Sarei contentissimo se le Conferenze episcopali dell’Europa potessero parlare con i loro governi e dire ai responsabili politici che la Chiesa si aspetta una accoglienza”. Dopo il gigantesco incendio nel campo profughi di Moria, Francia e Germania hanno annunciato la disponibilità ad accogliere la maggior parte dei 400 minori non accompagnati che l’Ue si è detta pronta ad accettare. “Ma non basta”, commenta il cardinale. “È una cifra che fa quasi ridere. Il problema è molto più complesso. Se non possiamo risolverlo, avremo tragedie ancora più grandi”. L’appello dei vescovi Ue all’Europa è: “Aprite le porte. Se non apriamo le porte ai profughi, chiudiamo anche le porte a Cristo. Se vogliamo aprire le porte a Cristo, dobbiamo anche aprire le porte ai profughi. La Comunità di Sant’Egidio, con i corridoi umanitari, ci ha mostrato come fare. Anche l’Italia ci ha dato l’esempio di saper reagire in maniera molto più cristiana rispetto agli altri Paesi. Come mai i ricchi Paesi del Nord non fanno niente o quasi niente? Manca in Europa un riferimento al cristianesimo e all’umanesimo”.  

Papa Francesco: solidarietà e vicinanza a profughi Lesbo

13 Settembre 2020 - Lesbo - La grave situazione del campo profughi di Moria è stata ricordata oggi da Papa Francesco con l’appello ad una accoglienza umana e dignitosa ai profughi. “Nei giorni scorsi – ha detto dopo la preghiera mariana dell’Angelus - una serie di incendi ha devastato il campo profughi di Moria nell’isola Lesbo lasciando  migliaia di persone senza rifugio”. Il papa ha ricordato il suo viaggio, nel 2016, a Lesbo: “è sempre vivo in me il ricordo  della visita compiuta là e l’appello lanciato con il patriarca  ecumenico e l’arcivescovo ad assicurare accoglienza umana e  dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca  asilo in Europa”. Papa Francesco ha quindi espresso “solidarietà e vicinanza a tutte le  vittime di queste drammatiche vicende”, ha detto.

Raffaele Iaria

Papa Francesco: cambiare il modo di vedere e raccontare la migrazione

10 Settembre 2020 - Città del Vaticano – “E’ fondamentale cambiare il modo di vedere e raccontare la migrazione: si tratta di mettere al centro le persone, i volti, le storie. Ecco allora l’importanza di progetti, come quello da voi promosso, che cercano di proporre approcci diversi, ispirati dalla cultura dell’incontro, che costituisce il cammino verso un nuovo umanesimo. E quando dico ‘nuovo umanesimo’ non lo intendo solo come filosofia di vita, ma anche come una spiritualità e uno stile di comportamento”. Lo ha detto questa mattina Papa Francesco ricevendo i partecipanti al progetto europeo “Snapshots from the Borders” (Voci ed esperienze dai confini), guidati dal sindaco di Lampedusa e Linosa, Salvatore Martello. Il papa ha rivolto un appello affinchè non si rimanga “indifferenti alle tragedie umane che continuano a consumarsi in diverse regioni del mondo. Tra queste ci interpellano spesso quelle che hanno come teatro il Mediterraneo, un mare di confine, ma anche di incontro di culture”. “Il vostro è un progetto lungimirante”, ha sottolineato il Papa in quanto “si propone di promuovere una comprensione più profonda della migrazione, che permetta alle società europee di dare una risposta più umana e coordinata alle sfide delle migrazioni contemporanee”. Lo scenario migratorio attuale è “complesso” e spesso presenta “risvolti drammatici. Le interdipendenze globali che determinano i flussi migratori sono da studiare e capire meglio. Le sfide sono molteplici e interpellano tutti”, ha quindi aggiunto il pontefice che ha anche rocordato l’Incontro con i Vescovi del Mediterraneo, che si è svolto a Bari nel febbraio scorso. E di fronte a queste sfide “appare evidente come sono indispensabili la solidarietà concreta e la responsabilità condivisa, a livello sia nazionale che internazionale”. L’attuale pandemia ha evidenziato “la nostra interdipendenza: siamo tutti legati, gli uni agli altri, sia nel male che nel bene”, aveva detto il papa lo scorso 2 settembre durante l’Udienza generale. Per Papa Francesco le frontiere, da sempre considerate come “barriere di divisione”, possono invece diventare “finestre”, spazi di “mutua conoscenza, di arricchimento reciproco, di comunione nella diversità; luoghi in cui si sperimentano modelli per superare le difficoltà che i nuovi arrivi comportano per le comunità autoctone”. Da qui l’incoraggiamento a “lavorare insieme per la cultura dell’incontro e della solidarietà”.

R.Iaria

 

Parroco Lampedusa: ripristinare vie legali per raggiungere l’Europa

10 Settembre 2020 - Lampedusa – “A Lampedusa arrivano turisti e migranti come sempre. Le loro vite scorrono indipendenti, non ci sono problemi d’ordine pubblico, o di sicurezza, né tantomeno emergenze sanitarie per i villeggianti. Tra i lampedusani non ci sono casi di Covid. L’emergenza vera la vivono coloro che, dopo viaggi allucinanti, vengono portati nell’hotspot: è disumano tenere 1.200-1.400 migranti concentrati in uno spazio ristrettissimo senza i servizi minimi. Non basta parlare di chiusure all’arrivo o blocchi delle partenze: ciò che sfugge sempre nel dibattito è che si sta parlando della vita delle persone, della loro dignità”. A parlare è il parroco di Lampedusa, don Carmelo La Magra in una intervista al settimanale “Famiglia Cristiana” da oggi in edicola. La parrocchia di San Gerlando di Lampedusa – dice il parroco – mette a disposizione alcuni locali della parrocchia, come la Casa della Fraternità, per i migranti più vulnerabili e i gruppi familiari. Ma – spiega – “anche questa è una soluzione provvisoria. Non è possibile realizzare un’ospitalità dignitosa per lunghi periodi. L’altra sera la gran parte dei quasi 400 stranieri arri- vati dalla Libia li abbiamo ospitati in parrocchia. Il nostro contributo non è certo risolutivo, ma cerchiamo di essere un piccolo esempio positivo. Facciamo il nostro. L’intervento risolutore, tuttavia, non può che venire dall’alto”. Per il sacerdote “il vero problema è l’assenza di vie legali sicure per raggiungere l’Europa. Oggi è tornato prepotentemente di moda l’uso del termine ‘clandestino’. Ma a creare il clandestino siamo noi, con le nostre leggi di chiusura. Negando il diritto di protezione e d’asilo, si costringono coloro che ne sono depositari ad affidarsi ai trafficanti e a rischio di morte in mare. Basterebbe ripristinare l’ingresso legale nel nostro Paese per stroncare i viaggi dei disperati e la clandestinità”.  

Comunità di Sant’Egidio: “l’Europa accolga i richiedenti asilo che hanno perso tutto” a Lesbo

10 Settembre 2020 -

Roma - La Comunità di Sant’Egidio lancia un appello a tutti i paesi dell’Unione Europea perché accolgano con urgenza i profughi che con l’incendio del campo di Moria hanno perso tutto. Si tratta - si legge in una nota della comunità - di richiedenti asilo che da mesi, alcuni da anni, vivono in condizioni di estrema precarietà, dopo aver fatto lunghi e rischiosissimi viaggi per fuggire da guerre o situazioni insostenibili, in gran parte provenienti dall’Afghanistan. Sono per lo più famiglie, per una cifra complessiva di presenze che si aggira attorno alle 13 mila, con una percentuale di minori del 40 per cento. L’Europa, "se è ancora all’altezza della sua tradizione di civiltà e umanità, deve farsene carico con un atto di responsabilità collettiva".

La Comunità di Sant'Egidio quest'estate, com propri volontari, è stata presente al campo di Lesbo per una “vacanza alternativa” per sostenere i profughi,  con punti di ristorazione, animazione per i bambini, corsi di inglese per gli adolescenti: "possiamo testimoniare la loro sete di dignità e di futuro. Come potremmo raccontare le storie di integrazione di chi abbiamo accompagnato in Europa con il corridoio umanitario che inaugurò nell’aprile 2016 Papa Francesco portando con sé alcuni profughi nel suo aereo, al ritorno dalla sua visita a Lesbo. Nel frattempo, per fronteggiare l’emergenza di queste ore, chiediamo il trasferimento urgente dei profughi in campi attrezzati, forniti di servizi, in terraferma, per evitare ulteriori drammi della disperazione, Occorre inoltre che le associazioni presenti nell'isola abbiano libero accesso per portare aiuti immediati ai profughi".

R.I.

Scalabriniane: “L’Europa non sia cieca, i profughi sono detenuti per il reato di speranza”

10 Settembre 2020 - Roma - "L'incendio al campo profughi di Moria, a Lesbo, conferma ancora una volta come gli Stati di tutta Europa non possono essere ciechi davanti a una crisi dettata dal voler voltare le spalle a chi chiede aiuto. Non possiamo essere sordi nei riguardi di persone che stanno vivendo ben oltre il limite della sopravvivenza. Quella dei migranti di Moria è una 'non vita' perché sono in condizioni inumane, come se fossero 'detenuti' per il reato di speranza". Lo dice, in una nota, suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Scalabriniane: "Ci uniamo per l'ennesima volta ai tanti appelli di Papa  Francesco - aggiunge -  per voler trovare una soluzione cristiana, in grado di  dare ai tanti profughi, volti di Cristo, la possibilità di vivere davvero in un mondo giusto, equo, che possa permettere loro di sentirsi sicuri".

R. I.

Moria brucia, i migranti in fuga

10 Settembre 2020 -

Lesbo - Si sollevavano ancora colonne nere di fumo, ieri pomeriggio, dalle tende carbonizzate di Moria, in quello che era il più grande e controverso hotspot europeo per l’identificazione dei migranti. Borse, sacchi di plastica, un ventilatore, passeggini, oggetti afferrati al volo, i pochi averi caricati sulle spalle, e via di corsa: è stata una fuga nella notte per migliaia di persone, quella tra martedì e ieri all’alba, sotto un cielo rosso, spaventoso e rovente che rifletteva l’esteso rogo che ha incenerito centinaia di baracche, teloni e alloggi nella città-campo sull’isola greca di Lesbo.

"Moria non c’è più e migliaia di persone ora sono senza riparo" dice con la voce rotta dall’emozione Omar Alshakal della Ong Refugee For Refugees, camminando tra cumuli anneriti, mentre un elicottero dei vigili del fuoco gli passa sopra la testa. "C’erano malati isolati per il virus, che ora si trovano in mezzo agli altri. C’è un’enorme quantità di gente senza più nulla. Come potremo dare supporto a tutti, come faranno a mangiare? Non era questo il modo giusto di agire. Ma non si può incolpare nessuno, perché è comprensibile lo stress di un lockdown così lungo".

Il riferimento nelle parole di Omar è all’ipotesi più accreditata per spiegare l’accaduto, ieri sera menzionata anche dalle autorità greche: i diversi incendi, più di tre, scoppiati in punti diversi sarebbero partiti dopo momenti di tensione contro le misure adottate per isolare diversi casi di coronavirus e sarebbero stati appiccati da "alcuni richiedenti asilo". Qui il 2 settembre era stato registrato il primo malato ufficiale di Covid-19, notizia che tutti temevano in uno luogo affollatissimo (13mila persone, quattro volte rispetto alla capienza) e dalle condizioni igieniche oltre i limiti del possibile, ripetutamente denunciate in questi anni dalle organizzazioni non governative. A inizio settimana i contagi erano già 35 così per la tendopoli era scattata la quarantena, malgrado Moria avesse già vissuto un’interminabile serie di proroghe del lockdown di marzo.

"Sembrava l’inferno dantesco, il vento era fortissimo. Non siamo sorpresi dall’accaduto, è da settimane che registriamo un crescendo di frustrazione e disperazione per il prolungato confinamento. Abbiamo anche cercato di farlo presente alle istituzioni locali" ha commentato al telefono Giovanna Scaccabarozzi, medico di Msf a Moria. La clinica della Ong, risparmiata dalle fiamme, ha attivato un team di emergenza. "Container e uffici del campo sono bruciati completamente, anche metà del vasto accampamento dell’uliveto è in cenere. Ci sono persone che si muovono smarrite e nel panico fra le tende risparmiate. Chi è rimasto, non ha cibo. È funzionante solo un punto-acqua in tutta l’area".

Nei mesi scorsi, di incendi qui se ne sono visti tanti, accidentali (per le condizioni di vita estreme) ma anche appiccati di proposito contro i migranti,in una lotta dura con gruppi di estrema destra che hanno alimentato il malcontento dei residenti greci. Questa volta, però, pare sia accaduto qualcosa di diverso.

"La gente non ha più accettato la scusa del Covid per imporre limitazioni alla libertà. Ieri notte si parlava di liberare le persone in quarantena" riferisce, in forma anonima, un’operatrice attiva nel campo. "Alcuni migranti pensavano che le autorità greche stessero usando la pandemia per tenerli intrappolati. Per altri, tenere i positivi in una struttura dentro Moria metteva a repentaglio la vita di tutti. Abbiamo visto gente correre, sono iniziati scontri con la polizia e il lancio di lacrimogeni. Poi sono scoppiati gli incendi". "Non si registrano vittime" dice l’équipe di Kitrinos Healthcare, Ong che aveva un piccolo centro medico ora cancellato dal fuoco. "In uno stato di emergenza così disperato, siamo preoccupati che il Covid-19 si diffonda più velocemente". Dei 35 positivi al coronavirus, le autorità ieri sono riuscite a rintracciarne 8. Lungo la via provinciale, intanto, la polizia limita i movimenti di 5-6 mila migranti, tenuti per strada, lontani dai centri abitati. Il governo greco ha annunciato che sarà loro vietato lasciare l’isola. Su Twitter, la commissaria europea Ylva Johansson ha comunicato di avere "già accettato di finanziare il trasferimento immediato e l’alloggio sulla terraferma di 400 bambini e adolescenti non accompagnati", mentre il governo norvegese ha annunciato che accoglierà 50 migranti dal campo. Per gli sfollati, il governo greco ha inviato un traghetto, due navi della marina militare e altre tende. La terribile avventura europea dei 13mila di Moria sembra non avere ancora fine. (Francesca Ghirardelli - Avvenire)

Centro Astalli: “Ue trasferisca subito i migranti dal campo di Moria”

9 Settembre 2020 -
Roma - Il Centro Astalli esprime seria preoccupazione per il grande incendio scoppiato a Moria, sull’isola di Lesbo in Grecia. I 12.500 migranti presenti nel campo, che ha una capienza massima consentita di 3mila persone, sono fuggiti nella notte per scampare alle fiamme.  “Da tempo i migranti e le organizzazioni umanitarie chiedono l’evacuazione del campo, denunciando il grave stato di degrado e abbandono – afferma padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli -. Bambini nati nel fango, suicidi in età giovanissima, abusi e violenze ai danni delle donne sono purtroppo situazioni che vi sussistono da anni. Migliaia di migranti, soprattutto in fuga da Afghanistan e Siria, sono costretti in un limbo senza prospettive e senza diritti”. “È il momento che l’Unione europea si mostri solidale: agisca per l’evacuazione immediata dei migranti da Lesbo, attraverso una redistribuzione negli Stati membri”, chiede padre Ripamonti: “Mai come in questo momento il rispetto della dignità e dei diritti dei migranti è strettamente connesso al contenimento della diffusione del Coronavirus. Eliminare luoghi in cui contenere migliaia di persone e gestire invece la distribuzione controllata di piccoli numeri di migranti tra gli Stati membri è misura necessaria per salvaguardare la sicurezza di tutti”.

“Io, suora e medico tra Covid e naufraghi”: l’intervista su “Credere” di sr. Angela Bipendu

9 Settembre 2020 - Milano -   Angela Bipendu è una suora di origine congolese ma è anche un medico in prima linea. Ha lavorato sul campo nelle due grandi emergenze del tempo presente: i naufragi dei migranti del Mediterraneo e l’epidemia di Covid-19 in provincia di Bergamo. Per lei la medicina è prima di tutto soccorso alle persone più indifese ma anche vicinanza e parole di conforto. Ora il suo sogno è specializzarsi in cardiochirurgia e tornare in Africa. Una storia straordinaria che racconta il settimanale Credere in edicola da domani, giovedì 10 settembre. Anche il mensile della Fondazione Migrantes "MigrantiPress" nel numero di maggio ha pubblicato una intervista alla religiosa. Suor Angela, 46 anni, è arrivata in Italia quando il suo ordine religioso, le suore Discepole del Redentore, l’avevano assegnata in Sicilia una comunità di consorella anziane da curare. Lì ha capito che la professione medica poteva essere la sua vocazione accanto alla consacrazione religiosa. E così, a 35 anni, si è iscritta alla Facoltà di Medicina dell’Università di Palermo. Dopo la laurea si è imbarcata per due anni sulle navi della Guardia costiera italiana come volontaria del Cisom (Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta). Lì ha soccorso i migranti che in mare rischiano la vita. E tanti ne ha visti raccogliere oramai morti. "Cercavano la pace, quei migranti, questo mi dicevano sempre", racconta. "Scappavano dalle bombe, dalle guerre, dal pericolo. Sarebbe un errore da parte nostra dimenticare il dolore che questa gente si lascia alle spalle. Sarebbe però anche un errore da parte loro non rispettare le regole del Paese che li ospita e volere tutto e subito". Poi per suor Angela è arrivato l’incarico alla Guardia medica dell’Azienda territoriale sanitaria provinciale di Bergamo. E da lì, una delle zone più colpite, ha vissuto le settimane drammatiche dell’emergenza coronavirus. "Ho trovato gente scoraggiata, in cerca di conforto", racconta. "Gente che mi moriva tra le mani. Non mi sono mai sentita così demoralizzata come in quei giorni. Una notte ho dovuto fare quattordici constatazioni di decessi. Un’altra, mentre sistemavo l’ossigeno a un paziente, mi sono ritrovata a spiegare che Dio non abbandona nella sofferenza, il diavolo non c’entra col Covid, sono gli uomini che a volte fanno errori". Discriminazioni per il colore della sua pelle? "Mai subite", assicura. "La gente semmai si stupisce che sono medico e suora. "Una suora vera o finta?", mi chiede. Nei turni notturni ricevo il triplo dei pazienti dei miei colleghi forse perché non prescrivo solo la cura ma li lascio parlare. Arrivano per un mal di pancia e finiamo con il parlare delle loro paure. Vengono anche solo per affidarmi una richiesta per Dio, visto che io gli sono vicina e mi ascolta, dicono. Vengono tossicodipendenti, anziani o persone di altre religioni. Nel frattempo qualcuno si è pure convertito al cristianesimo, saranno i frutti della mia doppia missione. Una volta ho detto che sarei potuta tornare in Sicilia ora che l’emergenza della pandemia sembra attenuata e sa cosa mi hanno risposto? Che raccoglieranno le firme per farmi restare!".

Lampedusa: centro di accoglienza per migranti è stato svuotato

9 Settembre 2020 -
Agrigento - Il Centro di accoglienza di Lampedusa è stato svuotato: tutti i migranti che lo occupavano fino a ieri sono stati trasferiti a bordo della nave inviata dal governo nazionale, su richiesta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Nel frattempo, sempre nella giornata di ieri  è arrivata una seconda nave per l’accoglienza, ed è previsto l’arrivo di una terza unità navale. I migranti che sbarcheranno da adesso in poi sull’isola saranno accompagnati al Centro di accoglienza per le sole visite mediche e per l’identificazione, quindi saranno trasferiti a bordo di una delle navi che stazionerà nel mare di Lampedusa.
All’interno del Centro di accoglienza saranno effettuati interventi per adeguare la struttura alle norme sanitarie legate all’emergenza Covid-19, sarà inoltre installata una nuova recinzione estera. Questi temi sono stati al centro della riunione che si è tenuta  a Lampedusa, con il sindaco Totò Martello e i rappresentanti di carabinieri, polizia, guardia di finanza, vigili del fuoco, Capitaneria di porto, Usmaf, agenzia Dogane, Asp, Protezione civile, Croce rossa e Invitalia. La riunione è stata coordinata dal prefetto Michele Di Bari, capo dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno. “Tutto sta procedendo secondo le direttive concordate nel corso della riunione della scorsa settimana a Palazzo Chigi con il presidente Conte, il ministro Lamorgese, il presidente della Regione Musumeci e altri esponenti del governo nazionale”, ha detto Martello. “Finalmente a Lampedusa la situazione sta tornando alla normalità”, ha aggiunto. (Dire)

Corso Migrantes, mons. Nosiglia: la presenza di immigrati nel nostro Paese è una “risorsa positiva”

8 Settembre 2020 -

Da un mese in mezzo al mare

8 Settembre 2020 -

Milano - Sono bloccati da oltre un mese, dopo aver salvato 27 persone tra cui un bambino e una donna incinta a rischio annegamento nel Mediterraneo. Malta li aveva avvisati, chiedendo di dirigersi verso il gommone in pericolo. Ed ora sono ancora lì, bloccati, a poche miglia dall’isola, con quel carico umano di disperazione. Una situazione che sta diventando sempre più insostenibile, giorno dopo giorno. Il capitano e l’equipaggio della Maersk Etienne, la nave mercantile che ha salvato i naufraghi, sono allo stremo. "La frustrazione cresce ogni giorno. Queste persone sono disperate, hanno bisogno di assistenza. Dobbiamo poter sbarcare il prima possibile". Il capitano della nave Etienne, Volodymyr Yeroshkin, affida a un video il suo ultimo appello per chiedere un place of safety(porto sicuro, ndr) per le 27 persone soccorse in mare dalla sua nave mercantile, ormai più di un mese fa, il 5 agosto scorso. Da allora l’imbarcazione è ferma nelle acque territoriali maltesi, a poche miglia dalla costa, in attesa che le autorità rispondano alle continue richieste di aiuto e autorizzino lo sbarco.

La Etienne è una petroliera del gruppo Maersk, non attrezzata per l’assistenza dei migranti. Dopo settimane, la situazione a bordo è diventata invivibile e le scorte alimentari cominciano a scarseggiare. Domenica per disperazione tre migranti si sono gettati in mare: sono stati subito soccorsi dall’equipaggio, ma ormai la resistenza di tutti è al limite. "Non possiamo più restare ad assistere inerti mentre i governi ignorano il dramma di queste persone", ha dichiarato Guy Platten, segretario generale dell’International Chamber of Shipping (Ics), la principale associazione internazionale di commercio di armatori e operatori mercantili che, in una nota congiunta con Unhcr/Acnur, l’Agenzia Onu per i Rifugiati e l’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni) lancia un appello ai governi affinchè trovino subito una soluzione per i profughi a bordo del mercantile. "Non è la prima volta che ciò accade – ha aggiunto – ed è necessario che i governi adempiano i propri obblighi. Il tempo stringe e la responsabilità di garantire l’incolumità e la sicurezza di queste persone spetta senza ombra di dubbio ai ministri di questi governi. Questa situazione non riguarda il Covid. Si tratta molto semplicemente di una questione umanitaria".

"I governi si sono rifiutati di autorizzare il comandante della nave a far sbarcare i migranti e i rifugiati fuggiti dalla Libia, violandoil diritto internazionale – si spiega nel comunicato –. I membri dell’equipaggio condividono cibo, acqua e coperte coi naufraghi soccorsi. Tuttavia, non sono opportunamente formati né in grado di assicurare assistenza medica a quanti ne abbiano necessità. Le imbarcazioni mercantili non costituiscono un ambiente sicuro per queste persone vulnerabili, le quali devono essere condotte immediatamente presso un porto sicuro". L’Ics - si aggiunge nella nota - si è appellata all’Organizzazione marittima internazionale affinché intervenga con urgenza per "mandare un chiaro messaggio ribadendo che gli Stati devono garantire che i casi di ricerca e soccorso in mare siano risolti conformemente alla lettera e allo spirito del diritto internazionale".

"L’assenza di un meccanismo di sbarco chiaro, sicuro e strutturato a beneficio delle persone soccorse nel Mediterraneo continua a mettere a rischio vite umane", ha dichiarato il Direttore Generale dell’Oim, António Vitorino. "Oim e Acnur si appellano da tempo agli Stati affinchè abbandonino l’attuale approccio che prevede l’adozione di accordi ad hoc e istituiscano uno schema per cui gli Stati costieri si assumano pari responsabilità nell’assicurare un porto sicuro, e al quale gli altri Stati membri UE diano seguito mostrando solidarietà". Quello in cui è coinvolta la Maersk Etienne è il terzo caso, in un anno, in cui una nave mercantile rimane bloccata dopo aver condotto soccorsi in mare. Secondo le agenzie delle Nazioni unite la prassi di impedire lo sbarco delle persone, tenendo le navi al largo "si sta aggravando". Anche una portavoce della Commissione europea, ieri, ha chiesto lo sbarco immediato dei naufraghi dalla Etienne. "Una volta soccorse, le persone devono essere fatte sbarcare rapidamente per assicurare la loro sicurezza e quella dell’equipaggio della nave che conduce il salvataggio. Chiediamo con urgenza agli Stati membri di lavorare insieme affinché questo accada, con spirito di solidarietà e responsabilità collettiva. Gli Stati costieri hanno responsabilità essenziali, ma non devono essere lasciati soli". (Daniela Fassini - Avvenire)

Viminale: circa 20mila i migranti sbarcati sulle nostre coste nel 2020

7 Settembre 2020 - Roma - Sono 19.995 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno. Il dato è aggiornato dal Ministero dell'Interno alle 8 di questa mattina. Dei circa 20mila migranti sbarcati in Italia nel 2020, 7.961 sono di nazionalità tunisina (40%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Bangladesh (3.052, 15%), Costa d’Avorio (975, 5%), Algeria (876, 4%), Pakistan (780, 4%), Sudan (702, 3%), Marocco (586, 3%), Somalia (560, 3%), Egitto (519, 3%), Afghanistan (409, 2%) a cui si aggiungono 3.575 persone (18%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.

Migrazioni: coniugare umanità e sicurezza

7 Settembre 2020 - Milano - Il governo ha disinnescato la mina di Lampedusa con un mini-decreto ad hoc. Ha fatto ciò che aveva promesso, appena il giorno prima, al sindaco Totò Martello e al presidente siciliano Nello Musumeci. La questione del giorno va però inquadrata nel contesto che l’ha prodotta. Gli approdi via mare in Italia sono effettivamente aumentati quest’anno, soprattutto in estate, rispetto ai numeri molto bassi degli ultimi due anni: al 4 settembre il Ministero dell’Interno ha registrato 19.926 persone sbarcate, una cifra quasi pari a quella dell’intero 2018 (20.210) e molto superiore ai minimi toccati nel 2019 (5.624). Siamo però ben lontani dai valori raggiunti a metà del decennio: 166.000 nel 2014, 152.343 nel 2015; 178.000 nel 2016, prima che nel 2017 i controversi accordi con la Libia cominciassero a comprimere, costi quel costi, le partenze. Non c’è proporzione tra i numeri attuali e la percezione di un "ritorno dell’emergenza" simile a quello allora dichiarato. Quanto alle ragioni dell’aumento dei numeri, la spiegazione non è univoca, ma appare innegabile che la duplice crisi, libica e tunisina, abbia influito sulla ripresa delle partenze. Dietro ai Paesi di frontiera, la crescente instabilità dell’area del Sahel appare destinata a sua volta a indebolire il sistema di controllo dei transiti finanziato dall’Unione Europea. La sensazione di un abnorme sovraffollamento nella piccola isola ha invece in gran parte una causa che non dipende dalla geografia. Gli sbarchi attuali sono prevalentemente "spontanei": le persone arrivano dal Nord-Africa con i loro pur precari mezzi, al prezzo di notevoli rischi (almeno 500 vittime stimate dall’inizio dell’anno). Il fatto che raggiungano Lampedusa però non può essere disgiunto dalla drastica riduzione delle operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, sia da parte dei mezzi militari, sia a opera delle navi delle Ong. In precedenza, i soccorritori intercettavano i natanti dei profughi in mare aperto e, coordinati dalle autorità italiane, li conducevano nei porti sicuri in quel momento più disponibili ad accoglierli. La dismissione dei dispositivi di soccorso in mare si è abbinata con lo smantellamento del sistema di accoglienza a terra. Non si sa dove alloggiare i richiedenti asilo perché gran parte dei cosiddetti hotspot e dei centri di accoglienza sono stati chiusi, ritenendo non servissero più. Non c’è nulla come rinunciare a prepararsi ad affrontare un fenomeno per trasformarlo in un’emergenza... Di certo le resistenze ad accogliere, in Sicilia, in Calabria e altrove, traggono oggi alimento dalla paura dei contagi. Si è notato che tra gli sbarcati il 3% è risultato positivo ai test, un dato più che doppio rispetto alla media nazionale. Non si è posta però altrettanta attenzione a un aspetto decisivo: i profughi sono tutti sistematicamente sottoposti a controlli medici, consentendo quindi di isolare le persone contagiate. A differenza di quanto avviene con turisti, villeggianti, diportisti, frequentatori di discoteche e locali notturni. Per garantire la prevenzione sanitaria - e tenere a bordo il più a lungo tutti, compresi donne e bambini - stanno arrivando a Lampedusa altre navi-quarantena: uno strumento pensato e adottato forse più per rassicurare l’opinione pubblica e per tenere al minimo le fibrillazioni in Parlamento e nel Governo. Le organizzazioni che si occupano di accoglienza ne hanno segnalato subito l’inadeguatezza, indicando come alternativa l’istituzione di strutture-ponte a terra, di dimensioni ridotte, prima dell’ingresso in accoglienza. Le vere o presunte paure dei residenti hanno prevalso sul dovere di proteggere in modo equilibrato sia chi accoglie, sia chi ha diritto di essere accolto. La paura della perdita di consenso, o di strumentalizzazione politica, sembra continuare a perseguitare come un’ombra chi governa e chi siede nelle Camere, e a condizionarne le scelte. La strategia delle navi-quarantena fa il paio con l’ennesimo rinvio della riforma dei decreti-sicurezza. E ora il problema è soprattutto la scadenza elettorale del 20-21 settembre. Ma ci sono temi su cui un Governo definisce il suo profilo politico e anche etico, la sua immagine, l’impronta che lascerà. E non vi è dubbio che la politica dell’accoglienza e dell’asilo rientri fra questi. Un grande e civile Paese sa coniugare umanità e sicurezza. E chi lo guida non ha paura di dimostrarlo ai concittadini. (Maurizio Ambrosini - Acvvenire)   ​  

Afrobrix: conclusa ieri a Brescia la manifestazione culturale

7 Settembre 2020 - Brescia - Tre giorni di musica, cinema, arte, teatro e cultura per la prima edizione di Afrobrix, il festival multiculturale dedicato alla musica, cinema, arte, teatro e cultura afrodiscendente che si è concluso ieri a Brescia. Ispirati dal “Decennio Internazionale per le Persone di Origine di Africana dell’ONU”, il team organizzativo ha ideato questa iniziativa: una kermesse multidisciplinare rivolta a tutti gli artisti, media entertainers, influencers ma anche gruppi e il mondo dell’imprenditoria che sono legati alla realtà dell’afrodiscendenza e alla sua cultura, che si sta evolvendo e contaminando tra Europa e mondo afro. L'afrodiscendenza nasce dal continente africano. Significa avere un legame culturale o geografico con l'Africa. Afrobrix ha voluto  "celebrare l’afrodiscendenza, un concetto ampio e pluriforme, eterogeneo e in continua trasformazione. È un'appartenenza identitaria, collettiva e insieme soggettiva. È in certi casi una rivendicazione orgogliosa della propria pluriforme appartenenza sociale e culturale". Da questo concetto Afrobrix vuole creare "una piattaforma d’espressione per la moltitudine di persone nate e cresciute o giunte in Europa e di discendenza afro. Con Afrobrix si vuole affermare che l’afrodiscendenza è un valore aggiunto, nella convinzione che appartenere a più luoghi, comunità e culture arricchisca l’individuo e la società, e permettendo un dialogo e la crescita di una società più universale". Brescia da tempo ha "una forte presenza afrodiscendente, è per questo che il team organizzativo immagina la città come futuro centro di riferimento per artisti ed eccellenze afrodiscententi provenienti dal contesto italiano ed europeo. Brescia come piattaforma e Afrobrix come appuntamento d’eccellenza per lo scambio di idee e pratiche, insieme alla continua rigenerazione di nuove forme d’arte".

Cagliari : al Lazzaretto la Giornata mondiale di migranti e rifugiati

7 Settembre 2020 - Cagliari – « Mediterraneo, mare di meticciato e frontiera di pace”. Sarà il tema al centro della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebra a Cagliari il 26 e 27 settembre, in due momenti. Sabato 26 alle 17.30, al Lazzaretto di Sant'Elia un convegno che ha come relatori Oliviero Forti, della Caritas Italiana, che propone una relazione sul tema: « Immigrazione e Mediterraneo. Oltre la crisi», e            mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari, che invece proporrà il tema «Mediterraneo, frontiera di pace», già presentato nell’incontro di Bari del 19-23 febbraio scorsi. Gli interventi saranno preceduti dai saluti dell'arcivescovo di Cagliari, mons. Giuseppe Baturi e dalle autorità civili ed istituzionali del territorio. L'incontro terminerà con la preghiera comunitaria, presieduta dal mons. Baturi, in memoria delle vittime nel Mediterraneo e omaggio floreale in mare. Domenica 27 invece alle 11.30, nella basilica di Nostra Signora di Bonaria, la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Francesco Cacucci e concelebrata dall’arcivescovo di Cagliari, mons. Giuseppe Baturi, alla quale sono state invitate le comunitàà etniche, le associazioni di volontariato, i volontari Caritas e Migrantes e gli insegnanti di religione. Nel corso della due giorni, organizzata dall'Ufficio diocesano Migrantes e dalla Caritas, verrà anche presentato il Messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale: «Come Gesù Cristo, costretti a fuggire. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni». Un tema che se trova maggiore attinenza nei continenti di emigrazione, come Africa, Asia e America, in Europa viene declinato con quella necessaria attenzione di cui anche il conduttore televisivo, Piero Angela, ha parlato in una recente trasmissione. Uno studio sul Dna degli antichi romani ha infatti mostrato  come la capitale dell'Impero sia stato crocevia di etnie. Secondo quanto individuato dagli studiosi la varietà genetica presente a quei tempi a Roma era decisamente ampia: individui provenienti da Nord Africa, Vicino Oriente, e regioni del Mediterraneo europeo, sono il segno di un continuo spostamento da e verso la capitale dalle diverse parti dell'Impero. Una commistione di popoli che conferma come la mobilità sia da sempre una caratteristica dell'umanità: ieri come oggi, il Mediterraneo è luogo di incontro di popoli di diverse etnie, capaci di costruire ponti e dialogo. Tema più che mai attuale quello dei migranti, alla luce della situazione dei giorni nostri.  In particolare da tempo si registrano tragedie del mare, con decine di persone morte nel Mediterraneo, specie nel canale di Sicilia, così come è continuo l'afflusso di migranti che sbarcano nelle coste sud occidentali della Sardegna. Le rotte algerine e tunisine sono particolarmente battute e per questo occorre che l'Europa si faccia carico dei problemi che bloccano lo sviluppo dell'intero continente africano. La mobilità umana è parte della storia del mondo, come dimostrano gli studi presentati di recente. Occorre governare il fenomeno. (Migrantes Cagliari)

Scalabriniane: diario da Lesbo (4)

4 Settembre 2020 - Lesbo - Uno dei momenti più commoventi, per una religiosa qui a Lesbo, è ricevere la comunione, in un momento di preghiera che coinvolge persone dalle nazionalità più diverse. Sulle pendici del monte di Moria, il momento comune di raccoglimento richiama una piccola rappresentanza di profughi. Don Gervais ha il compito di accompagnarci, di presentarci e commentarci le parole del Vangelo, in una comunità senza frontiere. E’ questo il momento forse più toccante per chi, tutti i giorni, porta nel cuore il pensiero di Cristo, del fondatore della Congregazione e dei suoi cofondatori. Le cene comunitarie ci raccontano bene cosa vuol dire aprirsi al mondo. Tra volontari italiani, siriani, afgani, congolesi si suggella l’amicizia, la solidarietà, e non manca il commiato nel segno della fede "per rivolgere insieme, tutti e fratelli, una preghiera al Signore" e consegnare a Lui, in buona sorte, tutti i profughi del mondo. Il lavoro qui a Lesbo è stato tanto, come la fatica, ma la gioia di esprimere materialmente la condivisione alla sofferenza dei rifugiati ha compensato il sudore versato. Lunghi pomeriggi a distribuire cibo, ad una media di mille persone al giorno. Poche a fronte di un esercito di 10mila dimenticati, quei "pochi" sono stati invitati a sedersi a un tavolo e sono stati serviti, non con le briciole cadute dal pranzo dei ricchi, ma con il vassoio dell'agape. Tra i fratini azzurri di Sant’Egidio, che danno speranza a chi è fuggito dai luoghi di sofferenza, c’eravamo anche noi, le suore dei migranti, le figlie del beato Giovanni Battista Scalabrini, con l'audacia missionaria della beata Assunta Marchetti e del venerabile Giuseppe Marchetti.

Lesbo: per tutto il mese di Agosto la missione umanitaria della Comunità di Sant’Egidio

4 Settembre 2020 - Roma - È andata avanti tutto il mese di agosto la missione umanitaria della Comunità di Sant’Egidio nell’isola di Lesbo, che ha visto più di 150 volontari al fianco dei rifugiati e richiedenti asilo che “stazionano”, per mesi, a volte anni, nel campo di Moria. La situazione nel campo purtroppo non è facile. Nella “Jungle”, l'area che si stende negli oliveti sulla collina, non ci sono acqua, elettricità, servizi igienici. Solo polvere e fango, vento caldo e pioggia gelata, a seconda della stagione, e rifugi fatti con materiali di scarto: cartoni, pancali, teloni. Frequenti gli incendi, come quello di pochi giorni fa, per cause ancora da accertare, ma forse non accidentali, si legge sul sito della comunità.  Le persone passano le giornate senza far niente, nessuna scuola per i bambini (che sono la maggioranza della popolazione del campo), nessuna attività per gli adulti. Il campo è "tutt’oggi in lockdown, si può uscire solo per cure mediche, pratiche legali e acquisti inderogabili. All’interno qualcuno ha aperto un negozietto dove si possono acquistare pane, frutta e verdura, ci sono anche il barbiere e il sarto". Nel corso del mese le attività della Comunità si sono spostate dal frantoio in un luogo più vicino al campo, per permettere a più persone di venire al ristorante della solidarietà, senza dover chiedere alle autorità il permesso di uscire. In questi ultimi dieci giorni è stato un crescendo di numeri, più di 1.000 pasti giornalieri, 150 persone alla scuola di inglese (divise in due classi, principianti e intermedi), in prevalenza donne e ragazzi. E poi la Scuola della Pace, con oltre 300 bambini, un momento di festa, ma anche di studio, sempre nel rispetto delle regole anti-covid. Domenica 30 agosto è stata celebrata la liturgia, la prima dentro al campo, in un anfiteatro sulla collina, da dove si scorge in lontananza quel mare che separa l’Europa dalla Turchia e che ha inghiottito troppe vite innocenti. Commossa la partecipazione, insieme ai volontari, dei profughi, molti dei quali provenienti da paesi dell'Africa. Ormai la presenza di Sant’Egidio nel campo di Moria è nota ai rifugiati. "Siamo 'quelli della colomba", che non è solo un riferimento al nostro logo, ma anche un messaggio di pace e di speranza per donne e uomini segnati dalla sofferenza per il terribile viaggio che hanno dovuto affrontare, chi scappando dalla Siria, chi dall’Afghanistan, chi dall’Africa. Sono tanti i motivi per i quali hanno deciso di arrivare in Europa, ma tutti sognano una vita 'normale': la scuola per i bambini, un lavoro per gli adulti. Agosto è finito. La missione è appena all’inizio: dare un futuro a questi nostri amici".