Tag: Immigrati e rifugiati

Ventimiglia, è allarme: 100 respinti ogni giorno

4 Febbraio 2021 - Milano - È allarme migranti anche a Ventimiglia, lungo il confine con la Francia. Sono un centinaio circa le persone che ogni giorno vengono respinte dai gendarmi francesi, denuncia l’ultimo rapporto dalla città ligure di confine la Ong Medici senza frontiere. «Vengono lasciate praticamente al confine e costrette a fare almeno una decina di chilometri a piedi per tornare a Ventimiglia» spiega Ahmad Al Rousan, mediatore culturale della Organizzazione umanitaria. «Ci sono volontari internazionali di vari paesi – prosegue Al Rousan – che hanno creato un punto di ristoro vicino al confine dove queste persone hanno la possibilità di bere, mangiare e avere un attimo di riposo e informazioni». Msf lancia un appello affinché sia riaperto il centro di transito di Ventimiglia. «Dopo la chiusura del parco Roya – spiega il mediatore – le persone che arrivano a Ventimiglia sono costrette in situazioni molto precarie, a dormire all’aperto senza un posto dove sostare. Dal punto di vista umanitario è una situazione molto difficile anche se c’è chi come la Caritas ha messo a disposizione appartamenti per accogliere donne e bambini. Ma i posti sono limitati, molti sono lo stesso costretti a dormire all’aperto, non hanno un posto dove sostare, lavarsi». La cosa più importante, in questo momento, sottolineano da Msf, è l’accoglienza. «Abbiamo deciso di scrivere alle autorità locali sollecitando la riapertura del centro di transito, anche la società civile ha potuto constatare negli anni che il funzionamento di un centro di accoglienza e transito per le persone che sostano nella città è l’unica soluzione».  

Croce Rossa Italiana lancia una raccolta fondi per il campo di Lipa

3 Febbraio 2021 - Roma - A Lipa dopo l’incendio del 23 dicembre scorso che ha tolto il solo riparo ad oltre un migliaio di persone migranti, le condizioni umanitarie sono «gravissime». I profughi, provenienti in gran parte dal Pakistan e dall'Afghanistan, sono supportati dalla Croce Rossa bosniaca che «sta facendo il massimo. Due settimane fa circa abbiamo inviato i primi aiuti, afferma in una nota la Croce Rossa Italiana. Sono partiti, infatti, dal Centro Operativo Emergenze di Avezzano della CRI, tre autoarticolati contenenti beni di prima necessità e giacche a vento, coperte, vestiario e scarpe invernali che sono stati messi a disposizione della Società Nazionale bosniaca a Sarajevo e a Bihać (nell'area dell’Una Sana ai confini con la Croazia). Ma la situazione «è ancora drammatica e dobbiamo intervenire. Mancano l’acqua, le fognature o l’elettricità. Non si può vivere in queste condizioni, non dobbiamo voltare la testa dall'altra parte», afferma Francesco Rocca, Presidente della Croce Rossa Italiana e della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa: «occorre un sostegno ulteriore, per le persone migranti ma anche per la popolazione locale che si trova ad affrontare una doppia emergenza: la crisi migratoria e la pandemia di COVID-19, con le sue drammatiche conseguenze anche socio-economiche. In questo momento il tuo aiuto può fare la differenza». La Croce Rossa Italiana è da anni al fianco della Società di Croce Rossa di Bosnia ed Erzegovina, che dall’inizio dell’emergenza assiste migliaia di persone che transitano per il Paese, fuggendo da guerre e povertà con la speranza di poter raggiungere l’Europa. «Supportiamo il lavoro della Consorella nei centri di accoglienza ma anche e soprattutto fuori. Le Unità Mobili, formate da personale medico-sanitario, psicologi e altri volontari esperti, lavorano senza sosta per raggiungere i numerosi migranti rifugiati nelle aree più remote, in condizioni inumane, tra boschi e zone di frontiera, in attesa di poter attraversare il confine con la Croazia. Il Covid-19 non deve farci dimenticare le gravi crisi in atto».

Sae: “migliaia di persone in condizioni disumane” in Bosnia  Erzegovina

2 Febbraio 2021 - Roma - “Migliaia di persone continuano a vivere in condizioni disumane” in Bosnia Erzegovina. Lo sottolinea, in una nota, il Segretariato attività ecumeniche (Sae), ricordando quanto scritto nella “Charta Oecumenica” firmata a Strasburgo il 22 aprile 2001: “Vogliamo contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi ed a chi cerca asilo in Europa”. “Sono trascorsi vent’anni. In queste settimane nei Balcani constatiamo come questa volontà sia frustrata”, denuncia il Sae. Ricordando il “Giorno della memoria”, celebrato il 27 gennaio, il Sae precisa “Quello della Shoah e quello dell’attuale drammatica situazione dei migranti nell’area balcanica sono fenomeni storici diversi e imparagonabili. Vi è però un’analogia. Una domanda che noi poniamo a coloro che vivevano nella prima metà degli anni quaranta, in futuro sarà posta probabilmente anche a noi: voi cosa facevate? L’impasto tra indifferenza e senso di impotenza che contraddistingue l’animo di molti ci fu allora e c’è ora, con l’aggravante che noi, adesso, conosciamo esattamente quanto sta succedendo”. Il Segretariato attività ecumeniche “ringrazia chi nelle Chiese cristiane, di qualunque confessione sia, si sta prendendo a cuore, tanto attraverso l’aiuto quanto per mezzo di una responsabile denuncia, la drammatica situazione migratoria”. “‘Vogliamo contribuire insieme’ – si legge nella nota –. I corridoi umanitari sono un esempio concreto di questa collaborazione che va allargata e potenziata”.  

Migrantes Sicilia: un webinar su Mediterraneo e Balcani

2 Febbraio 2021 -

Agrigento - Rotta del Mediterraneo centrale e rotta balcanica: vie percorse dalle migrazioni forzate, entrambe teatro di tragedie, violenze, sfruttamento, e morte. Il Mediterraneo continua ad essere via d’acqua per i viaggi della speranza e tomba liquida, per i tanti naufragi che nel 2020 e già nel 2021 si sono verificati. Nel corso dell’anno sulle coste della Sicilia sono arrivati 34.154 immigrati e richiedenti asilo, ma quasi 12.000 persone sarebbero state intercettate e riportate in Libia, con violazione patente delle norme del diritto internazionale.

Lungo la rotta balcanica, i respingimenti a catena – spesso violenti - e a ritroso dai confini di Croazia, Slovenia, Italia verso la Bosnia impediscono l’accesso all’Europa, calpestando i più elementari diritti umani e violando il diritto internazionale. Diverse testate giornalistiche (in prima linea Avvenire) hanno prodotto inequivocabile documentazione fotografica delle violenze perpetrate dalla polizia croata. La mancanza di una gestione oculata degli arrivi (che continuano ormai da decenni e che non termineranno tanto presto) e di prospettive politiche di governo dei flussi hanno fatto sì che l’accoglienza dei nuovi arrivati presenti aspetti altamente problematici, con l’aggravante delle criticità legate alla pandemia. Centri di accoglienza per la quarantena di grandi dimensioni, dove si sono trovati a convivere in promiscuità decine di immigrati (anche 50-80 minori), hanno riscontrato problemi interni e sul territorio. Tutto questo favorisce reazioni di insofferenza e di intolleranza nei cittadini, che – “sollecitati” da interessi politici a carattere populista - hanno protestato in varie occasioni invocando la chiusura dei centri nei loro territori e determinando la volontà delle amministrazioni di localizzare le strutture dell’accoglienza lontano dai centri abitati.

In tutto questo, un monito viene dall’Enciclica “Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Pur presentando un orizzonte con i caratteri dell’utopia, Papa Francesco richiama ad azioni mirate e puntuali, ed invita ad intervenire con una buona politica, indicandola come “vocazione altissima, una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”.

Non si può pensare la pace sociale senza un’accoglienza inclusiva, rispettosa dei diritti e della dignità di quanti bussano alle porte dell’Italia e dell’Europa. Intervengono, dopo i saluti del card. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento, Nello Scavo, inviato speciale di Avvenire; Gianfranco Schiavone dell’ASGI; don Valter Milocco, Migrantes Gorizia; Alessandra Sciurba, Univ. di Palermo; Mario Affronti, Direttore Regionale Migrantes Sicilia; Maurizio Ambrosini,  Sociologo dell’ Univ. Statale di Milano e mons. Antonio Staglianò, Vescovo delegato Migrantes Sicilia. (Migrantes Sicilia)

 

Migrantes Andria: comunicare bene per aiutare chi è davvero nel bisogno

1 Febbraio 2021 - Andria - “Vieni e vedi”: il messaggio del Santo Padre Francesco per la 55ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è esattamente la maniera con cui la fede cristiana si esprime. “Gesù se ne andava per le città e i villaggi…” (Lc 8:1-3) e nel suo andare si fermava, si intratteneva con l’altro che incontrava. L’invito a “consumare le suole delle scarpe” è una risposta reale al contrasto dell’appiattimento in cui giornali fotocopia o notiziari tv e siti web stanno cadendo a causa della troppa sovraesposizione ad input che anestetizzano il lettore e non fanno altro che contribuire alla diseducazione delle coscienze. Bisogna invece incontrare le persone, cercare storie che meritano di essere raccontate per formare lettori critici per stimolare dibattiti sani. La professione giornalistica, e più in generale quella di comunicatore, al pari della professione degli avvocati e dei medici, è nella Costituzione. È bene ricordarlo. Leggere un buon articolo di giornale è una forma di studio e lo studio paga in tutti i sensi. Ogni giorno, nella mia esperienza di comunicatore, assieme ad operatori e volontari, cerchiamo di dare voce a chi non ne ha. Attraverso i canali social della nostra comunità, tramite i giornali locali, sia attraverso la comunicazione on line che quella off line, raccontiamo le storie degli uomini e delle donne che incontriamo, aiutiamo e curiamo. Raccontiamo la verità. Basta frequentare i luoghi in cui migranti, persone senza fissa dimora, giovani e meno giovani, in un periodo di buio della loro vita, cercano conforto e sostegno non solo economico, ma anche morale e spirituale (Casa Acc. S.M. Goretti e ufficio Migrantes della diocesi di Andria). Sono storie che passano anche attraverso i progetti sociali (la sartoria, l’orto, il ristorante sociale) sostenuti dalla nostra comunità “MigrantesLiberi”; sono storie tangibili i cui racconti vogliono “contagiare” tutti coloro che possono contribuire a fare del bene, ad essere parte attiva di una comunità che sa aiutare. Ecco, l’utilità della comunicazione al servizio dei più deboli. Non c’è vaccino per formare giornalisti coscienziosi e affamati di verità, ma c’è una cura: essere dalla parte dell’altro: guardare con la stessa lente per cogliere ogni sfumatura e raccontarla; essere strumento per mettere nelle mani dei lettori altrettanti strumenti, reali, atti a formare coscienze critiche e non coscienze assopite, pigre e ingannatrici. L’andare del Signore Gesù per le città e i villaggi ci ha insegnato che se non si indossano le stesse lenti (con la stessa gradazione) difficilmente si può vedere l’altro/a nella sua complessità. La pandemia ci ha travolto, ha dovuto metterci nella condizione di fare scelte talvolta impopolari: abbiamo avuto momenti di sconforto, soprattutto quando in concomitanza con il Natale abbondavano i pacchi di generi alimentari. Abbiamo dovuto gridare a gran voce, anche attraverso i giornali, che la fila dei nuovi poveri (genitori separati, disoccupati a causa della pandemia e, comunque, il ceto medio impoverito dalle conseguenze economiche del covid) hanno altre necessità: utenze da pagare, dispositivi per DAD, perché ad un figlio non si può negare un computer per studiare. Ecco, anche in questo caso, abbiamo dovuto raccontare le storie vere di coloro che sono provati da un tempo “sospeso” che ci richiama alla verità. Nulla sostituisce il vedere di persona. Ogni crisi profonda infatti, porta alla luce qualcosa di buono, perché cadono le idolatrie e la verità può manifestarsi nella sua trascinante nudità. Noi credenti in Cristo, possiamo ricostituire le piccole e silenziose comunità descritte negli Atti degli Apostoli. Essere veramente il lievito nella pasta e il granello di senape. Mettere in atto e pensare a un nuovo modo di servire i poveri e gli impoveriti: la carità e la solidarietà di prossimità, di condomino, di vicinato. Una carità / solidarietà che prende in carico le persone e le rende libere. Fedeli all’invito di Papa Francesco continueremo a consumare le suole delle nostre scarpe: sarà il nostro imperativo per aiutare chi è davvero nel bisogno e stimolare altri cristiani e non a stare dalla nostra stessa parte, quella della verità che aiuta. (Don Geremia Acri – Direttore Migrantes Andria)    

Viminale: da inizio anno sbarcate 1.039 persone migranti sulle nostre coste

1 Febbraio 2021 - Roma - Sono 1.039 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno. Di questi 217 sono di nazionalità eritrea (21%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Guinea (125, 12%), Tunisia (79, 8%), Mali (75, 7%), Costa d’Avorio (66, 6%), Camerun (60, 6%), Sudan (59, 6%), Afghanistan (50, 5%), Egitto (22, 2%), Senegal (21, 2%) a cui si aggiungono 265 persone (25%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Il dato è stato diffuso dal Ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina.

Colombia: il Servizio gesuita ai rifugiati denuncia l’uso eccessivo della forza contro i migranti venezuelani alla frontiera del rio Arauca

1 Febbraio 2021 - Roma - Di fronte alle misure messe in atto dalle autorità colombiane per impedire l’ingresso irregolare di migranti venezuelani e all’allerta lanciata dalla comunità circa “l’uso eccessivo della forza, che ha portato al ribaltamento delle canoe che trasportano queste persone”, durante le operazioni condotta nei giorni scorsi sul rio Arauca, alla frontiera l’omonimo dipartimento colombiano e lo Stato venezuelano dell’Apure, il Servizio gesuita ai rifugiati di America Latina e Caraibi (Jrs Lac), condanna attraverso una nota le “azioni lesive della dignità umana” e chiede “la protezione dei diritti fondamentali dei popolazione di migranti e rifugiati”. In quest’ottica, “sollecita le autorità colombiane e regionali ad attuare misure globali per proteggere la vita e i diritti umani di tutti, indipendentemente dalla loro nazionalità e status di immigrazione, con particolare attenzione alle aree di confine”. Si evidenzia la necessità di applicare i meccanismi di tutela dei diritti umani, ratificati anche dalla Colombia (tra cui la Dichiarazione di Cartagena), con particolare attenzione alla garanzia di accesso al territorio per chi gode dello status di rifugiato. I gesuiti fanno presente che quello tra Colombia e Venezuela è un “confine vivo”, connotato da una cultura condivisa che va al di là del confine territoriale tra Stati. “Dal riconoscimento di questo tessuto binazionale, vi invitiamo a rispettare queste dinamiche e a promuoverle nel rapporto reciproco degli Stati, per tutelare quell’interazione naturale, culturale e storica, che rappresenta l’identità degli abitanti della regione di confine”, prosegue la nota. Allo stesso modo, “invitiamo tutti gli uomini e le donne di confine a promuovere una cultura dell’ospitalità, ancorata alla memoria storica di un passato di convivenza e integrazione, superando le ferite e incontrandosi attraverso la riconciliazione e pratiche che promuovono una sana convivenza”, conclude il documento.  

Viminale: da inizio anno sbarcate 897 persone migranti in Italia

29 Gennaio 2021 -

 Roma - Sono 897 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno. Di questi 217 sono di nazionalità eritrea (24%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Tunisia (61, 7%), Afghanistan (50, 6%), Sudan (33, 4%), Guinea (29, 3%), Mali (24, 3%), Etiopia (17, 2%), Egitto (13, 1%), Costa d’Avorio (11, 1%), Senegal (8, 1%) a cui si aggiungono 434 persone (48%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. I dati son stati diffusi questa mattina dal Ministero dell’interno e sono aggiornati alle 8 di questa mattina.

Migrantes Asti: mantenere viva la sensibilità e l’attenzione sulle criticità che colpiscono migranti, circensi, rom e lunaparkisti

29 Gennaio 2021 -

Asti - Durante l’emergenza Covid-19, l’impegno dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Asti si è concentrato sul mantenere viva la sensibilità e l’attenzione sulle criticità che colpiscono migranti, circensi, rom e lunaparkisti interfacciandosi con il Comune e le altre realtà associative impegnate a sostegno delle fasce più deboli. I contatti con l’Assessorato alle Politiche Sociali sono stati costanti e hanno portato alla realizzazione di due iniziative congiunte rivolte alle numerose comunità etniche presenti in città, fa sapere oggi l'Ufficio Migrantes. 

Nel mese di marzo, durante la prima fase della pandemia, è stato prodotto un video per diffondere le regole di prevenzione Coronavirus attraverso volti, voci e lingue da tutto il mondo (inglese, francese, arabo, albanese, rumeno, mandingo, spagnolo e portoghese). L’esperienza - sottolineano - è poi stata ripetuta nel mese di ottobre quando, «ormai consapevoli dell’arrivo di una seconda ondata pandemica, abbiamo valutato l’opportunità di un’ulteriore campagna di sensibilizzazione volta a ribadire l’importanza di un corretto uso dei dispositivi di protezione e del distanziamento sociale». Queste iniziative, oltre a «prefiggersi l’obiettivo di rendere comprensibili le regole di prevenzione anche a quanti non padroneggiano ancora la lingua italiana», sono state l’occasione per promuovere la partecipazione di tutti i cittadini, stranieri e non, alla tutela del bene comune. La lotta contro la pandemia «ci ha infatti insegnato che il comportamento di ognuno, nessuno escluso, fa la differenza e che, per riprendere la parole di Papa Francesco, 'nessuno si salva da solo'».

I video, realizzati da Pierfranco Verrua, hanno avuto una diffusione capillare attraverso la web-tv, i canali social istituzionali degli enti promotori, le testate giornalistiche online locali, il nostro sito e i più informali gruppi WhatsApp, rivelandosi «uno strumento utile per molti cittadini stranieri non solo di Asti, ma di tutta la Provincia e altre parti d’Italia».

 

Migrantes Marche: il viaggio in Marocco alla luce del “Vieni e Vedi”

29 Gennaio 2021 - Loreto - «Vieni e vedi» ci sembrava dicessero i quasi 11.000 marocchini presenti delle Marche. Sì, la loro terra, ricordando quel proverbio arabo «Se vuoi conoscere un amico, entra a casa sua». Così, proprio poco prima della pandemia, siamo partiti come Migrantes Marche per il Marocco. Papa Francesco sottolinea nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: «Nulla sostituisce il vedere di persona». Come il vedere l’atelier di tappeti delle suore francescane a Midelt dove lavorava una cooperativa di un centinaio di donne musulmane. Ma il vero lavoro di tessitura sono loro stessi a farlo, le persone, nei loro incontri e nell’apertura reciproca. Uomini e donne di cultura, di sensibilità e di religione differenti ed è un miracolo quotidiano. «La bellezza di un tappeto» ricorda qui un proverbio, «viene dalla varietà dei suoi colori!». Come il vedere la Chiesa nel Maghreb nei volti di tante religiose, di sacerdoti e di collaboratori: il loro senso della lotta e della speranza lo trovavamo semplicemente grandioso. Lo vivono in mezzo a questo popolo musulmano. Ma anche il senso della loro preghiera, radicato nella vita che fanno. Ed è come una forza identitaria che li sostiene. Straordinaria. Si riconoscono discepoli del Signore nella terra del Profeta. D’altronde amano, si vogliono bene, perché pregano bene; lo vediamo con i nostri occhi ogni giorno, in ogni comunità. La preghiera, infatti, è intensa, interiore, concreta: porta gli avvenimenti della vita di qui con gli incontri paradossali, profondi, trasformanti che i cristiani vivono. Così, li vedi spessissimo in silenzio, immobili sulla stuoia. Sembra dicano all’unisono con questo popolo: Solo Dio è grande! Superba lezione di umiltà. Solo Dio è grande e chi lo sa incontrare! L’altro giorno, mentre una piazza di Rabat verso sera era affollata da tantissima gente in turbante e lunga djellaba marrone, si scatenava l’appello alla preghiera da tutte le moschee della città. Pareva una strana e grandiosa sinfonia. Contesto originale, la città musulmana è un grande monastero. Il tempo è scandito dai cinque appelli alla preghiera e ogni gesto, ogni istante, ogni saluto è impastato di fede. «Hanno sempre il nome di Dio sulle labbra!», ci ricordava qualcuno. Guardavamo un monaco di Tibhirine, mentre prendeva il tè con gli operai musulmani del monastero. «È la mia seconda eucaristia», ci soffiava in un orecchio, con devozione. Vedendo, per mezzo di un semplice pezzo di pane e del tè, quale senso di comunione respira con queste persone e con tutto un popolo, con il quale condivide le sorti non stentiamo a credergli... E rimaniamo ammirati di una così grande spiritualità dell’incontro. E risuonano le parole del vescovo di qui «Parlare meno dei musulmani, parlare di più con i musulmani. Parlare meno di Dio, parlare di più con Dio!» Nulla vale quanto l’incontro. (p. Renato Zilio  Migrantes Marche)

 

Azione Cattolica: non essere indifferenti al dramma della Bosnia

29 Gennaio 2021 - Roma - È una denuncia e un appello di solidarietà sulla condizione dei migranti lungo la rotta balcanica quello che arriva dalla Presidenza dell’Azione Cattolica. «Il dramma che si consuma a Lipa dove circa 900 persone affrontano in condizioni precarie temperature che scendono di anche 10 gradi sotto lo 0 non può trovarci indifferenti – si legge nella nota –. Le immagini – che ci raggiungono scarse, poiché il dibattito pubblico e mediatico appare assorbito dalla crisi di governo – di chi fugge dalla miseria e si trova a dover subire ulteriore violenza alla frontiera bosniaco-croata, sono un grido per le nostre coscienze». «Confidiamo nella forza e nella saggezza del dialogo tra le Istituzioni europee per individuare soluzioni che mostrino il volto più bello dei nostri popoli: quello che manifesta una fraternità universale».

Min. Interno: “l’Ue si faccia garante della loro redistribuzione negli Stati dell’Unione”

28 Gennaio 2021 - Roma - «L’Italia apprezza l’inteso impegno messo in campo anche dalla presidenza di turno portoghese lungo il cammino negoziale che, partendo dalla proposta della Commissione, deve portare al più presto l’Europa alla definizione di un nuovo Patto per l’immigrazione e l’asilo». Lo ha detto il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, al termine del Consiglio informale degli Affari Interni, il primo del semestre a presidenza portoghese, che si è svolto in videoconferenza. «Per affrontare questo percorso negoziale - ha aggiunto la responsabile del Viminale,  a conferma della posizione italiana  - non può essere condiviso il concetto di ‘solidarietà obbligatoria ma flessibile». «L’Europa, infatti, non può rinunciare a forme certe di solidarietà, quindi concrete ed efficaci, per garantire la gestione degli arrivi e la redistribuzione dei migranti sbarcati. L’Unione europea si deve far garante, al termine delle procedure di controllo di sicurezza e sanitario, dell’effettivo trasferimento dei migranti con la loro redistribuzione negli Stati dell’Unione».

Mons. Nosiglia: i senza dimora trovino la forza di una nuova speranza

28 Gennaio 2021 -
Torino - «Non è una società perfetta che stiamo inseguendo, ma una comunità più umana. Credo che sulla questione delle elemosine ai clochard emersa ancora una volta sui giornali dobbiamo, prima di tutto, aggiornare o cambiare i nostri punti di vista. Più avanziamo nella crisi più siamo circondati da notizie inquietanti: perché "dietro" i clochard ci sono, ormai, gli anziani soli, le famiglie monoreddito prive di sussistenza, le persone che da un giorno all'altro hanno perso il lavoro. E ogni giorno veniamo sollecitati da altre notizie di altre persone in difficoltà, da "categorie" che sono state dimenticate dai provvedimenti e aiuti». Lo dice oggi l'arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia sulla questione delle elemosine ai clochard al centro di un dibattito sui giornali Per il presule c'è una "lezione di solidarietà" che «dobbiamo tutti ancora apprendere e studiare: perché ogni gesto di vicinanza a chi ha bisogno è un "segnale" che lanciamo alla città intera. Ma solidarietà non è la moneta buttata là mentre si prosegue il cammino sotto i portici: se nessuno può mettere in discussione il valore e il significato dell'elemosina, è anche vero che quel gesto da solo non basta, non "mette a posto" nessuna coscienza individuale e nessuna responsabilità civica. La sofferenza che ci accomuna davvero e nel profondo è la solitudine; e il male contagioso a cui siamo esposti è l'indifferenza, il pensare che "non ci riguarda". Il "decoro della città" - ha aggiunto il presule - di cui è anche giusto preoccuparsi, va confrontato con le obiettive condizioni di disagio e insicurezza delle persone e non sempre le soluzioni pensate a tavolino sono anche quelle che aiutano realmente a integrare e non discriminare i cittadini, garantendo a tutti – clochard e no – quella libertà che continua a rimanere il nostro patrimonio prezioso". La tradizione di fraternità e solidarietà della città di Torino e dei santi sociali può «esserci maestra anche nell’affrontare questa questione. È legittimo e opportuno che ciascuno di noi, nelle varie responsabilità che gli competono, accetti di lasciarsi interpellare da una presenza che è fondamentalmente una domanda. Ed è bene provare a costruire soluzioni che mettano in campo tutte le forze sane della città. Ma la soluzione- ha detto ancora mons. Nosiglia -  non può essere trovata solo nelle strutture organizzative. Il fratello che pernotta nei cartoni di via Roma ha anzitutto la necessità di essere considerato un fratello o una sorella, e quindi di ricevere l’attenzione del cuore che si rende disponibile a promuovere percorsi prima che imporre soluzioni dall’alto. Le persone più fragili hanno bisogno di essere accompagnate a maturare scelte, ad intravvedere quale sia il proprio vero bene e sentirsi parte della città e non osservati speciali. Certo Torino non ritrarrà la mano silenziosa dell’aiuto fraterno, ma è necessario che questa mano si muova con un cuore intelligente aiutando le persone a liberarsi dalla impossibilità di risolvere i loro problemi mediante vie di emancipazione».
Per l'arcivescovo di Torino occorre «l’impegno comune per creare le condizioni necessarie perché questi nostri fratelli e sorelle sappiano cogliere le opportunità che la nostra comunità mette a loro disposizione e dall’altra trovino la forza di una nuova speranza capace di mettere in campo le loro resilienze. La qualità del nostro stare davanti a loro per parlare, ascoltare, avviare anche una piccola ma efficace relazione, la libertà dai falsi pregiudizi, la verità del farsi prossimo invece che nel delegare gli altri, sono gli impegni su cui dobbiamo insistere nel rapportarsi con loro. Questo sarebbe un grande investimento di futuro, per evitare di ritrovarci di tanto in tanto a discutere di soluzioni che lasciano in ombra le persone».
L'arcivescovo di Torino l prossimo 23 febbraio alle 18, nella Cattedrale, presiederà la Messa con i senza dimora. Tra questi tanti migranti.(R.Iaria)

Comitato Onu per i diritti umani: “l’Italia non è accorsa per salvare 200 vite umane in un naufragio nel 2013”

27 Gennaio 2021 -

Roma - “L’Italia non è riuscita a tutelare il diritto alla vita di oltre 200 migranti che erano a bordo di una nave affondata nel Mar Mediterraneo nel 2013”: è la denuncia odierna del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, secondo cui “l’Italia non ha risposto prontamente a varie chiamate di soccorso dalla barca che affondava, trasportando più di 400 adulti e bambini”. Avrebbe inoltre “omesso di spiegare il ritardo nell’invio della sua nave della marina, Its Libra, che si trovava a solo un’ora di distanza” dal luogo in cui avvenivano i fatti. La decisione del Comitato è una risposta ad una denuncia presentata da tre cittadini siriani e un palestinese sopravvissuti all’incidente, dopo aver perso nel naufragio le rispettive famiglie. Il 10 ottobre 2013 si sono imbarcati su un peschereccio e sono salpati da Zuwarah, un porto di pescatori in Libia, intorno all’una di notte. Poche ore dopo la nave, colpita da una barca battente bandiera berbera in acque internazionali, si è riempita di acqua, a 113 km a sud dell’isola italiana di Lampedusa e 218 km a sud di Malta. “Una delle persone a bordo ha chiamato il numero italiano per le emergenze in mare, dicendo che stavano affondando e inoltrando le coordinate della barca – ricorda il Comitato Onu -. Ha chiamato di nuovo più volte nelle ore successive e dopo le 13 gli è stato detto che, poiché si trovavano nella zona di ricerca e soccorso maltese, le autorità italiane avevano inoltrato la chiamata di soccorso all’autorità maltese”. I migranti hanno fatto diverse telefonate, “sempre più disperate”, al Centro di coordinamento del soccorso e alle Forze armate di Malta tra le 13 e le 15: “Quando una motovedetta maltese è arrivata sul posto alle 17.50, la nave si era già capovolta. Come da richiesta urgente di Malta, l’Italia ha infine ordinato alla sua nave della marina militare Its Libra, che era nelle vicinanze della barca, di accorrere in soccorso dopo le 18”. “A causa del ritardo nell’azione – sottolinea il Comitato Onu -, oltre 200 persone, tra cui 60 bambini, sono annegate”. “È un caso complesso – ha detto il membro del Comitato Hélène Tigroudja -. L’incidente è avvenuto nelle acque internazionali all’interno della zona di ricerca e soccorso maltese, ma il luogo era effettivamente più vicino all’Italia e ad una delle sue navi militari”. Il Comitato ha sollecitato perciò l’Italia “a procedere con un’indagine indipendente e tempestiva e a perseguire i responsabili”. (Sir)

Scout Vicenza: raccolta per i migranti del campo di Lipa

27 Gennaio 2021 - Vicenza - “Servire”, parola dalle mille sfaccettature e dai numerosi significati, per gli scout assume un valore ben preciso che troviamo perfettamente espresso nel vocabolario Treccani: «Compiacere, essere utile ad altri, soddisfarne i desideri con atto disinteressato di cortesia: diletto prendano dal servire (Boccaccio)». Un significato genuino e autenticamente altruista, che rende l’atto del servizio un elemento imprescindibile in una società illuminata. È con questa parola ben ancorata nella mente che ragazzi tra i diciassette e i vent’anni del gruppo scout Vicenza 9 di San Pio X, collaborando con l’associazione ARAI e Libri Contro Fucili, hanno organizzato domenica 24 gennaio una raccolta di materiale diretto in Bosnia per i migranti costretti a vivere nel gelo e nella neve. Il campo di Lipa in cui erano ammassati è bruciato in un rogo infernale ormai un mese fa. Tanta è stata la generosità della cittadinanza, vicentina e non solo, che si è ordinatamente e pazientemente messa in fila per contribuire a “rendere il mondo un po’ migliore”. A lasciare di stucco è stato il quantitativo di materiale raccolto: generi alimentari e sanitari, indumenti, scarpe, coperte, zaini, tende. I giovani volontari si sono ritrovati così il piazzale completamente sommerso, tanto che ad un certo punto hanno dovuto bloccare le consegne e chiamare rinforzi. Grazie al contributo di altri gruppi scout, delle associazioni del quartiere, dei genitori, della parrocchia, il gruppo di volontari, bardato di guanti e mascherina, ha raccolto, selezionato e smistato tutto, riempiendo completamente un salone di centinaia di sacchi di vestiti e un altro di altrettanti scatoloni di generi alimentari e sanitari. In queste settimane il tutto verrà condotto in Bosnia da NONAMEKITCHEN, organizzazione spagnola che sarà capofila in questa azione. I capi del gruppo scout Vicenza 9 Elia Pizzolato e Michele Pomi, insieme al presidente di ARAI Rino Pomi sono senza parole: “Si è creata una vera e propria rete di persone e associazioni che hanno collaborato spontaneamente per raggiungere un tale obiettivo e questo è stato davvero il risultato più grande. Vedere la partecipazione e l’impegno di tanti giovani per un fine benefico è un piccolo ma importante tassello per costruire una società più umana e solidale”. Il materiale non adatto ad essere inviato in Bosnia verrà donato ad altre organizzazioni, della città e non solo. I volenterosi giovani scout sono già di nuovo al lavoro per scovare i destinatari.    

Azione dei cristiani contro la tortura, “porre fine ai maltrattamenti sulla rotta balcanica”

26 Gennaio 2021 - Roma - Le Acat (Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura) di tutta Europa e la Fiacat (Federazione internazionale delle Acat) condannano “i respingimenti illegali di migranti e rifugiati, i trattamenti crudeli, inumani o degradanti da parte delle guardie di frontiera croate, nonché l’accoglienza non dignitosa riservata loro, in particolare in Bosnia-Erzegovina”. “Tali pratiche – affermano in una nota ripresa dal Sir – costituiscono violazioni della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, della Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Acat e Fiacat accolgono con favore le posizioni assunte da Ylva Johansson, commissaria Ue per gli affari interni, che, nel suo discorso al Parlamento del 19 gennaio ha criticato il comportamento delle autorità croate e bosniache, mettendo persino in discussione quello dell’agenzia europea Frontex. “In Croazia – ricordano -, vengono attuate espulsioni collettive al di fuori di qualsiasi procedura legale, senza identificare le persone interessate né valutare la loro situazione individuale”. In Bosnia-Erzegovina è invece in corso una crisi umanitaria e di governance: “Le autorità locali hanno svuotato illegalmente una struttura di accoglienza attrezzata per l’inverno a Bira: nonostante gli interventi delle autorità nazionali, il campo non è stato riaperto a livello locale, lasciando i migranti a Lipa senza riparo per l’inverno”. Le Acat firmatarie e Fiacat chiedono, tra l’altro, di “intensificare gli sforzi presso le autorità della Bosnia-Erzegovina, sia nazionali che locali, affinché queste gestiscano immediatamente la crisi umanitaria invernale, facilitino gli interventi di altri attori umanitari, come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e le Ong specializzate, e diano valore ai fondi ricevuti dall’Ue con interventi realmente efficaci per l’accoglienza dei migranti e dei rifugiati”. Ma anche di indagare sui “respingimenti illegali e gli atti di violenza commessi dalle guardie di frontiera croate”, “sul presunto coinvolgimento dell’agenzia Frontex” e di “istituire nella zona dei Balcani, compresa la Grecia, un sistema di monitoraggio e valutazione indipendente da parte delle Ong competenti”.    

Centro Astalli: “lasciar morire persone in mare o all’addiaccio ai confini d’Europa senza far nulla è la nostra peggior sconfitta”

26 Gennaio 2021 -

Roma - Il Centro Astalli rivolge «un appello ai rappresentati politici nazionali e sovranazionali, alle organizzazioni internazionali e umanitarie, alle comunità religiose in Europa, ai giovani e a tutta la società civile affinché si reagisca all’indifferenza». L’appello dopo la morte di 17 migranti morti al largo della Libia come riportato Alarm Phone e l’OIM - Organizzazione internazionale delle migrazioni.

«Lasciar morire persone in mare o all’addiaccio ai confini d’Europa senza far nulla è la nostra peggior sconfitta», sottolinea il Centro dei Gesuiti Italiani.

I bambini di Lesbo prigionieri nel fango

25 Gennaio 2021 - Milano - La più grande paura di Mohammed, 9 anni, è che qualcuno entri di notte nella tenda dove dorme con il padre, la madre e i due fratelli più piccoli. Fuori dal telone bianco che da ottobre è casa loro, ci sono altre 7.300 persone accampate in 700 tende uguali. Suo padre Ahmad A. condivide lo stesso timore, resta sempre all’erta per evitare che «ladri alla ricerca di telefoni e di soldi entrino all’interno». La famiglia è afghana, della provincia di Herat, e ora vive nel nuovo campo per rifugiati che sull’isola greca di Lesbo ha sostituito la vecchia e sovraffollata tendopoli di Moria, bruciata a settembre. Il nuovo accampamento, chiamato Kara Tepe o Mavrovouni, è conosciuto anche come Moria 2, perché le condizioni di vita pessime che Moria riservava a chi aveva la sfortuna di finirci dentro sono le stesse che si ritrovano anche qui. Servizi carenti (271 bagni chimici, uno ogni 27 residenti, secondo l’Unhcr), freddo e fiumi di fango alle prime gocce di pioggia, tende divelte dal vento, che nel nuovo campo soffia con più forza, visto che il mare è a pochi metri dagli alloggi. Per sollecitare le autorità europee a portare via da quest’isola, una volta per tutte, i bambini come Mohammed e le loro famiglie, questa settimana Avvenire ha pubblicato la lettera aperta di un gruppo di cittadini e personalità del mondo della cultura e dell’educazione che avevano fatto appello al presidente del Parlamento Ue David Sassoli. La risposta del leader dell’Europarlamento è arrivata: vi si ammette un «deficit insopportabile di sovranità europea che costituisce un danno umanitario» e una «mancanza di poteri dell’Unione Europea in materia di immigrazione e di asilo» di fronte all’«egoismo dei Governi nazionali, sempre più riluttanti (…) a trasferire quote di sovranità». Il problema non è, tra l’altro, circoscritto solo a Lesbo. Circa 18.500 richiedenti asilo risiedono nelle isole dell’Egeo, di cui bambini e ragazzi rappresentano il 27% e tra loro quasi 7 su 10 hanno meno di 12 anni. «Molti governi hanno paura di mostrarsi generosi nei confronti di chi fugge dalla fame». In una lettera pubblicata venerdì da Avvenire, il presidente del Parlamento Ue David Sassoli critica le chiusure di fronte ai bambini profughi a Lesbo. - . Mentre l’Europa cerca di trovare una soluzione che sembra tardare (ormai da cinque anni), Ahmad A. pensa a crescere i suoi tre figli e tenerli d’occhio il più possibile: «Ho paura che vadano in bagno da soli, le toilette sono lontane dalla tenda, li accompagno sempre io» ci dice al telefono e il pensiero va alle indagini della polizia sul caso di violenza sessuale subita da una bambina trovata priva di sensi nei bagni una sera di dicembre. A preoccupare maggiormente Morteza H., anche lui afghano, è invece la salute di suo figlio Martin che ha 4 mesi, ha tosse e mal di gola, «ma il medico che lo ha visitato e visto paffuto ha detto che va tutto bene. Eppure tossisce parecchio». Intanto, le temperature di notte in questo periodo arrivano a 4 o 5 gradi e per questa settimana sono previsti cinque giorni consecutivi di precipitazioni. Avevamo parlato con questo neo-papà lo scorso ottobre, alla nascita di Martin, suo primo figlio. Pochi giorni dopo il parto in ospedale, mamma e neonato erano stati rimandati in tenda. «Da allora le uniche novità sono state l’arrivo delle docce (a lungo del tutto assenti, costringendo le persone a lavarsi in mare) e i pallet che ora sono posizionati sotto le tende. Ma quando piove forte, l’acqua raggiunge lo stesso l’interno degli alloggi» racconta. «Per il vento forte la mia tenda, come altre, è stata sradicata. L’ho rimessa in piedi. Quando arriva la pioggia, il terreno è troppo molle e non adatto, non drena, dunque non va bene per piantarci i teloni. Il vento li solleva». Vite nel fango, che l’Europa non vede. Non era semplice nemmeno con temperature buone, ma ora che è arrivato l’inverno tenere un neonato in una tenda è un tormento: «Fa freddo, quindi mia moglie e io ci chiediamo di continuo se Martin sia caldo abbastanza, se si stia ammalando, se riceva latte a sufficienza. Viene allattato al seno, mia moglie sta bene, ma quando noi adulti non abbiamo abbastanza cibo, lei ha un po’ meno latte». Altro problema sono i vestiti, perché un bambino così piccolo «cresce di continuo e ha bisogno di abbigliamento sempre diverso» aggiunge Morteza, che riceve abiti usati da Ong come Refugee4Refugees e Team Humanity. Non lontano dal nuovo accampamento di Kara Tepe, proprio accanto al parcheggio del supermercato Lidl, c’è quello “vecchio”, un campo più piccolo gestito dalla municipalità di Mitilene, capoluogo dell’isola. È stato creato anni fa per i casi più fragili. Non ci sono tende, ma piccoli box prefabbricati. Lì vive con la sua famiglia Youssef al-H., siriano di Aleppo. All’esterno, con pallet coperti da un telo blu, ha allestito una specie di divano, davanti al fuoco. Ci mette la pentola su cui cucina nuovamente il cibo del campo, per aggiungere sapore e «renderlo commestibile». Fanno così tutte le famiglie. Grazie a MSF Youssef al-H. è riuscito ad avere un posto qui: ha un cancro, che cura con infusioni settimanali, e un problema cardiaco genetico ereditario, lo stesso riscontrato anche in sua figlia Lara di 13 anni. Con loro, oltre alla madre, ci sono anche i gemelli Muhammad e Abdo di 14 anni e la piccola Sarah, un mese e mezzo di vita. «Durante la guerra sono stato ferito, e Muhammad, uno dei gemelli, mi ha visto sanguinare. Da allora, ancora oggi, di notte si sveglia terrorizzato» racconta. Da quando ha messo piede a Lesbo dice di tentare di prendere un appuntamento in ospedale per far visitare Lara, che per i suoi problemi cardiaci in Siria era stata sottoposta a un intervento. «Non ci sono ancora riuscito» dice, e continua il suo racconto. «Nel campo non ci sentiamo sicuri, c’è gente violenta. Il prefabbricato è piccolo, ci stanno solo i 5 letti. I bambini vanno a scuola, ma non capisco, pare che qui sia sempre vacanza e le lezioni saltano». Youssef al-H. ha avuto il primo rigetto della richiesta di asilo e da sei mesi la famiglia è senza aiuto economico. «Non so perché abbiano rigettato la domanda, mi hanno detto che la Turchia è un paese sicuro ma non è così». Ci ha vissuto per 7 anni e mezzo, ma un giorno, mentre faceva la spesa, è stato fermato, arrestato e deportato in Siria. «Sono rientrato in Turchia con 1.500 dollari in tasca, ho raggiunto la mia famiglia, e ho deciso di portarli tutti in Grecia». Da allora è passato un anno e mezzo e la loro vita si è fermata dentro un campo, in un box prefabbricato, su quest’isola. (Francesca Ghirardelli – Avvenire)  

Card. Lojudice: contrastare le narrazioni ideologiche con “la precisione di una comunicazione sana e intelligente”

25 Gennaio 2021 - Roma - «Far comprendere le motivazioni profonde che spingono tante persone a migrare in cerca di un futuro migliore è tra i compiti di una informazione chiara, seria e oggettiva». Con queste parole il cardinal Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle di Val d'Elsa-Montalcino e Segretario della Commissione Episcopale per le Migrazioni della CEI ha aperto lo scorso fine settimana l’incontro sul tema “la comunicazione su migranti e rifugiati tra solidarietà e paura”  promosso su impulso della Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce, Associazione ISCOM e Harambee Africa International. Giornata di studio e di formazione professionale per giornalisti alla viglia della Festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Il porporato ha richiamato l'importanza di contrastare le narrazioni ideologiche con «la precisione di una comunicazione sana e intelligente». La stessa su cui ha riflettuto padre Fabio Baggio, Sottosegretario Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, per il quale i limiti presenti nell'attuale panorama informativo sono in particolare «le facili generalizzazioni, la leggerezza anche nell'utilizzo di termini impropri (clandestini, illegali, extracomunitari) e le analisi affrettate». Là dove Papa Francesco, con l'enciclica Fratelli tutti, mette in allerta dai “narcisismi localistici” preoccupati di creare mura difensive. E invita a confrontarsi nel dialogo con tutti “poiché le altre culture non sono nemici da cui bisogna difendersi, ma sono riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita umana”. Tra le criticità della rappresentazione del fenomeno migratorio, la pigrizia di gran parte dei media nel limitarsi alla mera e sterile divulgazione di numeri e dati ("le fredde statistiche"), trascurando le persone e le loro storie, ciascuna con una identità e un vissuto straordinari. Come quelli di tre rifugiati, le cui testimonianze hanno accompagnato il dibattito, moderato da Donatella Parisi, responsabile Comunicazione del Centro Astalli, sulla costruzione sociale e sulla percezione dell’immigrazione. Di fronte alle campagne di ostilità e alla propaganda sovranista, occorre dare voce a un'Italia «che non si vede, non si conosce», ha osservato Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio: «Un Paese che si sta già ricostruendo, proprio attorno all'arrivo dei profughi arrivati in maniera sicura grazie all'intuizione dei Corridoi Umanitari»: persone comuni, che operano per l'accoglienza e l'integrazione a proprie spese, dedicando tempo, soldi, risorse umane. Una chiave per parlare degli “italiani” e di come costruire un territorio più solidale.  Una comunicazione chiamata a offrire una via d'uscita alla visione negativa dell'altro, infarcita di stereotipi e pregiudizi, dovrebbe fare tesoro degli insegnamenti di Gordon Allport, eminente psicologo statunitense. Insegnamenti che Aldo Skoda, incaricato di Teologia alla Pontificia Università Urbaniana, ha condensato: «Sottolineare il medesimo status tra migranti e autoctoni, entrambi persone capaci di un dialogo tra pari; l'importanza dell'interazione cooperativa, con la narrazione di esempi di co-costruzione della società in cui i migranti e i rifugiati abbiano un ruolo di protagonisti, non solo di fruitori; un chiaro sostegno sociale e istituzionale che metta in luce la realtà per quella che è, rifuggendo da facili buonismi». Il punto, ha rilevato Fabrizio Battistelli, ordinario di Sociologia alla Sapienza, è che «gli aspetti negativi fanno più notizia di quelli positivi, per cui è più semplice dare la notizia più clamorosa e scandalistica, per suscitare l’attenzione si calca la mano sull'aspetto dell’allarme anche quando non c’è. A trasformare il 'rischio' migrazioni in un’autentica 'minaccia' è il discorso mediatico, che rimuove sistematicamente i benefici». Il compito è dunque quello di scandagliare il fenomeno nella sua complessità, evidenziandone costi e vantaggi. «E lo devono fare da una parte la politica e dall'altra l'informazione, offrendo una comunicazione non strumentale, che non miri soltanto ad avere audience e voti». Per padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, una corretta percezione del fenomeno non può prescindere dal «coltivare la fiducia reciproca tra migranti e autoctoni e dal praticare la cultura dell'incontro, con il proposito di ascoltarsi, mettersi cioè nei panni gli uni degli altri»: “conoscere per comprendere”, per richiamare le parole di Papa Francesco. Puntando sui giovani e sulle scuole italiane per gettare le basi di una società in cui le diversità etniche, linguistiche e religiose siano considerate una ricchezza, non un ostacolo per il nostro futuro. «Migliaia di studenti ogni anno hanno la possibilità di ascoltare - grazie agli incontri promossi dal Centro Astalli - le testimonianze dirette di uomini e donne che hanno vissuto l’esperienza dell’esilio o che sono fedeli di religioni diverse dalla nostra». La riflessione si è focalizzata infine sul linguaggio e la deontologia della professione giornalistica, temi introdotti da Irene Savio, giornalista e coautrice di Mi nombre es refugiado (Reportajes, 2016). Con il supporto dell’Osservatorio di Pavia, l'Associazione Carta di Roma ha esplorato il lessico della migrazione per ciascun anno dal 2013 al 2020. Ne ha parlato il suo presidente, Valerio Cataldi: «Nel 2013 la parola simbolo era “Lampedusa”, teatro di naufragi e di accoglienza, nel 2014 “Mare nostrum”, l'operazione di salvataggio in mare dei migranti nel Canale di Sicilia e nel 2015, all'indomani della morte del piccolo Alan Kurdi, “Europa”, come risposta europea agli arrivi di migranti e rifugiati. Nel 2016, la cornice in cui si racconta la migrazione, inizia a cambiare, sono i “muri” la parola simbolo e nel 2017 le "Ong", verso cui si orientano sospetti e accuse di “svolgere le operazioni di ricerca e di soccorso in mare a scopo di business”. Nel 2018 la parola simbolo è "Salvini", l'anno successivo è ancora "Salvini" affiancato da "Carola" (la migrazione è ormai un tema di confronto e scontro politico). La parola simbolo del 2020 è “virus”, in una cornice di allarme sanitario che associa la presenza di migranti a possibili contagi». Continuano a essere presenti - ha sottolineato Paolo Lambruschi, caporedattore di Avvenire - «alcune delle parole che hanno contraddistinto questi ultimi anni di racconto della migrazione: emergenza, invasione, sbarchi, ghetti, confini. Tutte funzionali a un giornalismo poco accurato, ansiogeno - là dove è essenziale continuare a studiare e approfondire -, che non si cura di capire e far capire bene, ignorando il carattere globale del fenomeno senza indagare sulle nuove rotte migratorie gestite dai terroristi, al di là del Mediterraneo e della rotta balcanica. E relegando ai margini i progetti di sviluppo e le missioni umanitarie». Necessario, anche da parte degli operatori dell'informazione, incalzare l'Europa a promuovere canali legali d'ingresso, da concordare tra tutti i Paesi membri, «per porre fine al traffico di esseri umani, una piaga che non conosce pause, affrontando con razionalità il problema dei migranti economici».  

Treviso: anche lettori migranti per la Giornata della Parola

24 Gennaio 2021 - Treviso - Ventuno lettori, introdotti dal vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi e scelti tra i cristiani del territorio, compresi i rappresentanti di diversi gruppi linguistici cattolici e di alcune chiese ortodosse (nel contesto della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”) si alterneranno nella proclamazione del Vangelo più breve e più antico, quello di Marco, oggi nella Domenica della Parola voluta da Papa Francesco. L'iniziativa - dalle 15,30 alle 18,00 - si colloca all'interno del Festival Biblico e nella diocesi di Treviso è promossa dall'Ufficio Ecumenismo e Dialogo Interreligioso e dall'Ufficio Migrantes della diocesi veneta. Tra i 21 lettori una soprano russa che canta alla Fenice, un’infermiera della comunità indiana, una lavoratrice stagionale della comunità nigeriana, due sacerdoti ortodossi e uno greco-cattolico, una suora carmelitana originaria di Nazaret, una sarta brasiliana. A seguire, dalle ore 19, il Festival Biblico proporrà un momento di riflessione “on line” costruito sul dialogo tra Mariangela Gualtieri, scrittrice, poetessa e attrice, e padre Francesco Bernardo Maria Gianni, abate di San Miniato al Monte, moderati dallo scrittore e conduttore Edoardo Camurri, sui canali social del Festival Biblico mentre la lettura del Vangelo di Marco si può seguire sul canale YouTube della Diocesi di Treviso.

Raffaele Iaria