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Gesuiti: “la pandemia ha aggravato le disuguaglianze nel sistema di accoglienza”

9 Aprile 2021 - Roma - “Di male in peggio. Il Covid-19 aggrava le disuguaglianze nell’accoglienza dei richiedenti asilo”. E’ questo il titolo del rapporto realizzato dal Jesuit Refugee Service comparando i vari Paesi europei. “Tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo 2020 – si legge nel rapporto - è diventato chiaro che l'epidemia di Covid-19 aveva raggiunto l'Europa. A metà marzo quasi tutti gli Stati membri dell'Ue hanno adottato una serie di misure per limitare il contagio, comprese misure come quella di limitare i viaggi sia nazionali che internazionali. Inoltre, in molti paesi, i governi hanno ordinato alle loro popolazioni di rimanere a casa e prendere le distanze in presenza di altre persone”. “In molti paesi europei – continua il rapporto - il Jrs è attivo nel fornire accoglienza ai richiedenti asilo, sia all'interno dei sistemi di accoglienza nazionali o colmando alcune lacune di tali sistemi. Jrs ha quindi assistito in prima persona alle difficoltà incontrate dai richiedenti asilo nell'adesione alle misure di prevenzione del Covid-19 dovendo spesso condividere i loro spazi di vita con molte altre persone. Il Jrs ha anche rilevato come la già carente fornitura di accoglienza e assistenza sia stata aggravata dalla pandemia”. “Insieme a partner in nove Stati membri dell'Ue (Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Malta, Portogallo, Romania e Spagna) abbiamo deciso di mappare e analizzare la possibilità di accedere e rimanere nel sistema di accoglienza durante la pandemia. Abbiamo anche studiato l’impatto delle misure di prevenzione del Covid-19 sulle condizioni materiali di accoglienza. Infine, abbiamo esaminato la resilienza dei sistemi di accoglienza in tempi di pandemia esplorando fattori come la capacità di risposta delle autorità responsabili nel fornire orientamenti alle strutture di accoglienza e l'adattabilità dei diversi modelli di accoglienza ai requisiti del Covid-19. Abbiamo raccolto e confrontato le informazioni relative alla situazione in questi campi in precedenza, durante e dopo il blocco iniziale, tenendo traccia degli sviluppi rilevanti fino a fine novembre 2020. In questo rapporto, "lockdown" si riferisce al periodo in cui il più alto numero di restrizioni (cioè limitazioni di movimento, limitazione massima della vita sociale e pubblica e raduni, chiusura di negozi, bar e ristoranti) erano in atto nella maggior parte dei paesi. Il periodo di lockdown iniziale è iniziato approssimativamente a metà marzo ed è durato fino a maggio/giugno 2020, per la maggior parte dei paesi. Questo è stato seguito da un periodo in cui le restrizioni per il Covid-19 sono state allentate, sebbene mai completamente rimosse. Nell'estate del 2020, alcuni paesi hanno reintrodotto misure più rigorose e all'inizio di novembre 2020 erano entrate in vigore nuove forme di lockdown di nuovo nella maggior parte dei paesi presi in esame”. “Questa ricerca si basa sulle informazioni raccolte dall'esperienza diretta dei partner del Jrs che prestano servizi nelle strutture di accoglienza e organizzano direttamente l'accoglienza per i richiedenti asilo, all'interno dei sistemi nazionali formali o indipendentemente. Le informazioni sono state verificate in modo incrociato e integrate da una ricerca documentale per confermare i nostri risultati. Nei casi di Belgio e Spagna, dove i partner del Jrs Europa non sono direttamente coinvolti nell'accoglienza dei richiedenti asilo, le informazioni sono state raccolte principalmente attraverso ricerche documentali e contatti con altre organizzazioni nazionali pertinenti”. “Il nostro lavoro è stato limitato da diversi fattori al di fuori del nostro controllo: l'intrinsecamente volatile situazione correlata alla pandemia si traduce in misure che sono in continua evoluzione e difficili da seguire e valutare, soprattutto visto il breve lasso di tempo durante il quale abbiamo la mappatura. Inoltre, l'esperienza diretta dei nostri partner non è sempre in grado di riflettere un'immagine completa delle problematiche legate all'accoglienza in un dato paese. Questo è in particolare il caso dei paesi in cui l'accoglienza è organizzata da una grande moltitudine di attori o dove la responsabilità è decentralizzata. Tuttavia, siamo fiduciosi che i risultati che presentiamo sono sufficientemente rappresentativi per consentirci di trarre lezioni pertinenti e raccomandazioni per il futuro, sia nel contesto di una pandemia, sia più in generale per una politica di accoglienza umana, accogliente e inclusiva”.  

Colombia: il Servizio gesuita ai rifugiati denuncia l’uso eccessivo della forza contro i migranti venezuelani alla frontiera del rio Arauca

1 Febbraio 2021 - Roma - Di fronte alle misure messe in atto dalle autorità colombiane per impedire l’ingresso irregolare di migranti venezuelani e all’allerta lanciata dalla comunità circa “l’uso eccessivo della forza, che ha portato al ribaltamento delle canoe che trasportano queste persone”, durante le operazioni condotta nei giorni scorsi sul rio Arauca, alla frontiera l’omonimo dipartimento colombiano e lo Stato venezuelano dell’Apure, il Servizio gesuita ai rifugiati di America Latina e Caraibi (Jrs Lac), condanna attraverso una nota le “azioni lesive della dignità umana” e chiede “la protezione dei diritti fondamentali dei popolazione di migranti e rifugiati”. In quest’ottica, “sollecita le autorità colombiane e regionali ad attuare misure globali per proteggere la vita e i diritti umani di tutti, indipendentemente dalla loro nazionalità e status di immigrazione, con particolare attenzione alle aree di confine”. Si evidenzia la necessità di applicare i meccanismi di tutela dei diritti umani, ratificati anche dalla Colombia (tra cui la Dichiarazione di Cartagena), con particolare attenzione alla garanzia di accesso al territorio per chi gode dello status di rifugiato. I gesuiti fanno presente che quello tra Colombia e Venezuela è un “confine vivo”, connotato da una cultura condivisa che va al di là del confine territoriale tra Stati. “Dal riconoscimento di questo tessuto binazionale, vi invitiamo a rispettare queste dinamiche e a promuoverle nel rapporto reciproco degli Stati, per tutelare quell’interazione naturale, culturale e storica, che rappresenta l’identità degli abitanti della regione di confine”, prosegue la nota. Allo stesso modo, “invitiamo tutti gli uomini e le donne di confine a promuovere una cultura dell’ospitalità, ancorata alla memoria storica di un passato di convivenza e integrazione, superando le ferite e incontrandosi attraverso la riconciliazione e pratiche che promuovono una sana convivenza”, conclude il documento.