Roma - Oltre 40 associazioni della società civile italiana ed europea hanno presentato un esposto collettivo alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone per chiedere di fare luce sul naufragio di domenica scorsa a Steccato di Cutro, costato la vita ad almeno 72 persone, tra cui molti bambini. “Davanti a così tanti morti e chissà quanti dispersi, è doveroso fare chiarezza” dichiarano le organizzazioni. “Vogliamo dare il nostro contributo all’accertamento dei fatti, non ci possono essere zone grigie su eventuali responsabilità nella macchina dei soccorsi”. Le associazioni, infine, rinnovano il loro appello all’Italia e all’Europa: per ridurre drasticamente il rischio di nuove tragedie è necessario mettere in piedi al più presto un sistema di ricerca e soccorso in mare adeguato e proattivo. Tra le associazioni firmatarie, Aoi – Associazione Ong italiane, Asgi, Arci, Legambiente Nazionale, Emergency, Fondazione Gruppo Abele, Medici Senza Frontiere, Open Arms Italia, Oxfam Italia, Sos Mediterranée Italia, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, Sea Eye, Resq – People saving people. (SIR)
Primo Piano
Le storie e le speranze delle 35 donne morte sognando l’Italia
Roma - Sono 35 le donne morte nel naufragio sulle coste di Cutro in Calabria. Madri, figlie, mogli provenienti dalla Siria, donne «segnate da anni di guerra, profughe» evidenzia la Fondazione Migrantes nella Giornata Internazionale della Donna che si è celebrata ieri. Madri, figlie e mogli provenienti dall’Afghanistan, «in fuga dopo una guerra e un governo taleban che limita le libertà»; dall’Iran, alla ricerca di «una tutela della loro dignità »; dall’Iraq, Paese «segnato da disastri ambientali », dal Bangladesh e dal Pakistan. Donne che hanno «avuto – scrive l’Organismo pastorale della Cei - il coraggio di cercare per sé e per i propri figli un futuro diverso, di libertà, di sicurezza: donne che hanno cercato di tutelare la vita».
Donne come la giornalista Torpekai Amarkhel di 42 anni, in fuga dal regime afghano morta nello stesso naufragio insieme ad altri familiari. A lei il settimanale calabrese “Parola di Vita” della diocesi di Cosenza-Bisignano ha dedicato la copertina del numero uscito ieri per «offrirle così il nostro fiore e la nostra preghiera pensando alle tante altre donne vittime di violenza e ingiustizia ».
«Nei loro occhi ho letto disperazione e terrore appena dopo l’arrivo non conoscendo le sorti dei loro familiari», ci dice la direttrice Migrantes della diocesi di Crotone-Santa Severina, suor Loredana Pisani che da subito è stata a fianco dei profughi sopravvissuti alla tragedia. Donne come la giovane 25enne arrivata a Cutro con il figlio di tre anni mentre il marito è rimasto in Turchia. Profughe come la donna – ci racconta la religiosa – che si è salvata insieme al figlio di 10 anni mentre una figlia è morta e un’altra è ancora dispersa: «sulla barca, ci ha raccontato – dice suor Pisani - teneva stretto il bimbo più piccolo mentre la sua figlia più grande si occupava dell'altra bambina».
A queste donne «il pensiero e la stima» della Fondazione Migrantes, «unite alla preghiera» e al ricordo di tutte le donne migranti.
Essere migrante è una condizione che pone di fronte a difficoltà, pericoli, fragilità, ricordano le Missionarie scalabriniane da sempre al servizio dei migranti e che negli anni hanno lavorato per far crescere i progetti che sostengono le donne straniere e i loro percorsi di autonomia. «Ad oggi, stiamo sostenendo 13 organizzazioni della Congregazione » dice Gaia Mormina, segretaria generale della Fondazione Scalabriniana che opera in 10 Paesi del mondo con 22 progetti di cooperazione e sviluppo: «Ogni anno siamo accanto a oltre 63.000 migranti e rifugiati, di cui la grande maggioranza è costituita da donne sole o con bambini piccoli».(Raffaele Iaria)
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Le rifugiate e i loro diritti: Feltrinelli premia i ragazzi
Milano - C’è Lisa, rifugiata ucraina in ltalia. C’è Angi, studentessa di origine siriana. E poi ci sono le responsabili delle comunità di accoglienza locali, le volontarie, le mediatrici culturali. Sono loro le protagoniste di “Puntoacapo”, la serie ideata da una classe quarta del Liceo Mancini di Avellino che ha ricevuto ieri sera il Premio Inge Feltrinelli “Raccontare il mondo, difendere i diritti”, alla sua prima edizione, nato con l’obiettivo di coinvolgere donne e nuove generazioni per sostenere la cultura e la parola come veicolo di promozione e difesa dei diritti. Oltre a fiction, inchieste, fotoreportage, la Fondazione ha raccolto 25 podcast costruiti dalle scuole secondarie di secondo grado da tutta Italia e ha scelto quello di Avellino proprio per la profondità dello sguardo e l’attualità della tematica affrontata, legata ai diritti delle donne migranti. Nel lavoro, infatti, si ripercorre tra avversità e pregiudizi il lungo e complesso itinerario di integrazione delle donne rifugiate in cerca di libertà che, approdate in lrpinia, fanno esperienza di accoglienza e ricominciano da zero provando a rifarsi una vita. «Desideravamo – spiegano i ragazzi premiati –, da giovani cittadini del mondo, essere la camera acustica di un teatro di dolorose esperienze , mitigate dall’intervento di giovani operatori, testimoni dell’impegno delle associazioni attive sul territorio irpino, anche con lo sguardo rivolto ad esperienze nazionali». Gli episodi del podcast sono stati sviluppati in collaborazione con la radio della scuola “Radio Mancini” tra testimonianze in presa diretta, dibattiti su libri, interventi musicali.
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Fermiamo la strage subito! Manifestazione nazionale a Cutro
La strage di #Cutro non è stato un incidente imprevedibile. È solo l’ultima di una lunghissima serie di tragedie che si dovevano e si potevano evitare.
Le persone che partono dalla Turchia, dalla Libia o dalla Tunisia sono obbligate a farlo rischiando la vita a causa dell’assenza di canali sicuri e legali di accesso al territorio europeo.
I governi hanno concentrato i loro sforzi solo sull’obiettivo di impedire le partenze, obbligando chi fugge da guerre, persecuzioni e povertà a rivolgersi ai trafficanti.
Se le persone morte nel mare davanti a Cutro avessero potuto chiedere e ottenere un visto umanitario non avrebbero rischiato la vita.
Se ci fosse stato un programma di ricerca e salvataggio europeo o italiano, quel terribile naufragio si sarebbe potuto evitare.
Sulle responsabilità delle autorità competenti indagherà la magistratura.
Ma chi ha responsabilità politiche, in primo luogo il governo, non può ribaltare la realtà e scaricare sulle vittime il peso di una strage che ha visto la perdita di 70 esseri umani che si potevano e si dovevano salvare.