Primo Piano
Ucraina: Rai, cartoni animati in lingua ucraina per i bambini rifugiati in Italia
La guerra in Ucraina e la fame nel mondo
Tra guerra, indifferenza e respingimenti: da Malta, il Papa chiama a fermare questo naufragio
Papa Francesco a Malta: “centri accoglienza migranti siano luoghi di umanità”
Papa Francesco ai migranti a Malta:“dal giorno in cui andai a Lampedusa non vi ho mai dimenticato”
Alla ricerca degli assenti
Papa Francesco: a Malta l’incontro con i migranti
Papa Francesco: sui migranti serve “un’intesa con i Paesi dell’Europa”
Preghiera dei Fedeli: Domenica V di Quaresima, anno C – 3 Aprile 2022
Con fede viva presentiamo al Signore la nostra preghiera,
rendendoci interpreti del desiderio di giustizia e di pace, che sale da tutti gli uomini amati dal Signore. Invochiamo insieme:
Donaci la tua sapienza, Signore. Perché la santa Chiesa, attraverso l'annuncio della Parola, la celebrazione dell'Eucaristia e l'amore per i fratelli e le sorelle, proclami che solo nel mistero della croce si compie la vera liberazione e la vera gioia dell'uomo, preghiamo. Perché spezzando tra noi il pane della sapienza e della vita eterna impariamo a condividere i beni della terra con animo fraterno e ospitale nei confronti di tutti, preghiamo. Perché i fratelli poveri, lacerati dalle guerre, emarginati, alla ricerca di casa, lavoro, dignità umana, siano sempre più al centro della nostra celebrazione e della nostra vita, come segno della continua presenza del Signore tra noi, preghiamo. Perché illuminati dalla Parola di Dio che anche in questa domenica ci insegna la più grande misericordia, diamo una risposta pronta ed efficace alle istanze di libertà, di uguaglianza e di pacificazione sociale, che emergono dalla storia attuale, preghiamo. La luce della tua verità, o Padre, ci faccia avanzare sulla via della conversione e ci impedisca di lasciar cadere anche una sola delle tue parole. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Vangelo Migrante: V Domenica di Quaresima | Vangelo (Gv 8,1-11)
Ucraina: nasce a Reggio Calabria il Comitato “Per i bambini e le mamme dell’Ucraina”
Ucraina: protezione temporanea e assistenza ai profughi di guerra
Roma - Lo scorso 28 marzo il presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, ha firmato il DPCM che eroga protezione temporanea e assistenza ai profughi di guerra provenienti dall’Ucraina.
In virtù del decreto, il permesso di soggiorno dei rifugiati ucraini ha validità di un anno e può essere prorogato di sei mesi più sei, per un massimo di un anno. Il DPCM consente l’accesso all’assistenza erogata dal Servizio Sanitario Nazionale, al mercato del lavoro e allo studio. È la Questura l’autorità competente al rilascio del permesso di soggiorno per protezione temporanea. Il provvedimento prevede anche specifiche misure assistenziali e consente ai cittadini ucraini già presenti in Italia il ricongiungimento con i propri familiari ancora presenti in Ucraina.
Inoltre, un’ordinanza firmata dal capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio del 29 marzo prevede l’erogazione di un contributo di 300 euro mensili (150 per i minori) per un massimo di 3 mesi per il sostentamento di ciascun rifugiato. Il periodo decorre dalla data di ingresso nel territorio nazionale, individuata con la presentazione della richiesta di protezione temporanea e comunque non oltre il 31 dicembre 2022. L’art. 31 del c.d. decreto Ucraina, (dl n. 21/2022) inserisce nel nostro sistema di accoglienza una nuova modalità, Accoglienza diffusa, che si affianca e si aggiunge a quelle canoniche dei CAS e dei SAI. Si tratta di 15mila posti messi a disposizione in collaborazione con il Terzo settore, in forma allargata (gli enti del Terzo settore, i Centri di servizio per il volontariato, gli enti e le associazioni iscritte al registro di cui all' articolo 42 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e gli enti religiosi civilmente riconosciuti). Il decreto demandava a successiva ordinanza della Protezione Civile la definizione delle forme e le modalità organizzative di questa nuova accoglienza diffusa. Al riguardo, è stato annunciato un imminente avviso per una manifestazione di interesse, per raccogliere da tutti questi enti la loro disponibilità. L’avviso stabilirà anche i criteri per l’accoglienza e le tariffe massime pro capite per die che però – era scritto nel decreto e ha già detto – saranno allineate con quelle del Ministero dell’Interno, per non creare diversità economiche per un servizio. (Alessandro Pertici)
Ferrara: il 10 aprile messa in lingua spagnola
Ucraina: profughi in Italia, solo il 7% nelle strutture
Fondazione Migrantes-Transiti: la condizione psicologica degli expat italiani nel 2018: come, questa comunità, viveva la complessità della distanza?
Il secondo gruppo di soggetti dichiarava di essere emigrato per una proposta lavorativa ricevuta da terzi. Il ruolo “passivo” ricoperto dalla scelta della destinazione è un aspetto importante, come evidenziano i risultati dello studio che esporremo in maggior dettaglio in un secondo momento.
In questo senso, le maggiori cause di sofferenza emotiva sperimentata da coloro che sceglievano di partire inseguendo un proprio progetto, erano rappresentate dalla mancanza dei familiari e degli amici, dal senso di solitudine esperito in determinati momenti del proprio percorso d’espatrio e da tutta una serie di sintomi che venivano indicati come “uno stato di malessere generalizzato”. A cui però risultava difficile dare una forma e un nome precisi.
L’aggiunta di questa sensazione risultava essere la più importante causa di sofferenza nel gruppo di chi emigrava per una proposta lavorativa non cercata. La difficoltà a nominare e dare una forma al malessere si accompagnava ad un sentimento di insoddisfazione verso le relazioni sociali instaurate e da difficoltà di apprendimento della lingua del paese ospitante non commisurate al grado di difficoltà linguistica. Queste criticità risultavano maggiori rispetto a quelle dichiarate da chi sceglieva la propria traiettoria migratoria.
Di che cosa parlano gli italiani all’estero. Il nostro team di ricerca si è impegnato a indagare se queste tematiche di condizione psicologica fossero in qualche modo condivise e socializzate nelle conversazioni con altri expat nel medesimo contesto. E alla domanda “Di che cosa parlano gli italiani all’estero quando sono con altri italiani?”, la risposta non poteva essere più scontata… ovviamente, di cibo!
Ebbene sì, come da tradizione e stereotipo il tema del cibo è stato indicato come l’argomento principale in entrambi i gruppi. Un dato, questo, che fa riflettere su come il cibo sia uno strumento dotato di tantissimi significati culturali, sociali, nonché psicologici, che spesso vanno oltre la mera soddisfazione dei bisogni primari.
Altri importanti e ricorrenti argomenti di conversazione risultavano essere la famiglia, la cultura d’origine e, più in generale, l’Italia. Tutte queste tematiche riguardano le varie sfere dell’identità e toccano la condizione psicologica.
Il secondo gruppo (gli expat per proposta lavorativa ricevuta) si differenziava dal primo per il tema della difficoltà di apprendimento della lingua. I ricercatori ipotizzano che questo dato derivi dal fatto che chi emigra aderendo ad una proposta lavorativa esterna difficilmente sceglie la propria destinazione. Di conseguenza, è plausibile che abbia una differente preparazione linguistica e culturale relativa al contesto d’arrivo rispetto a coloro che espatriano per un progetto personale. Questi ultimi soggetti potrebbero probabilmente essere maggiormente motivati a studiare la nuova lingua e ad apprendere e comprendere alcuni aspetti chiave del contesto culturale che incontreranno una volta partiti.
Per quanto riguarda le aspettative delle persone che hanno scelto di partecipare a questa indagine si può dire che, seguendo i risultati presentati, siano state ampiamente attese.
Nella maggior parte dei casi, chi si aspettava di trovare un lavoro migliore rispetto a quello che aveva prima del trasferimento lo ha effettivamente trovato. Chi credeva che la partenza avrebbe migliorato la propria condizione economica, non ha avuto delusioni. Anzi, alcuni expat che da questo punto di vista avevano delle basse aspettative, si sono poi ricreduti.
Un discorso a parte va fatto per le aspettative nei confronti del sistema sanitario. Sembrerebbe che gli expat interpellati avessero diverse difficoltà ad interagire con questo aspetto della nuova vita e che in qualche modo rivalutassero i servizi di sanità pubblica offerti dal proprio contesto d’appartenenza.
Il profilo di expat che ricercatrici e ricercatori hanno elaborato alla luce dei risultati estratti da questa indagine sembra parlarci in maniera chiara rispetto ad alcuni punti di vista.
Come la dott.ssa Di Girolamo, autrice della ricerca, afferma: “Sembra che gli expat intervistati prima del Covid-19 avessero in qualche modo deciso di incontrare la propria identità personale in un contesto altro da quello d’origine. Nel fare ciò, sembravano aver sacrificato, in varia misura, l’incontro con gli aspetti culturali e contestuali della propria identità. Una frase di una ragazza da noi intervistata era particolarmente eloquente. Parlando della sua esperienza di post-doc all’estero, si è rivolta a noi con una riflessione personale: ‘Ho paura che alla fine della giostra non valga la pena aver scelto di sacrificare le mie persone più care per stare qui da sola a lavorare’.”
È interessante come questa affermazione, anche se apparentemente incentrata su una valutazione negativa dell’esperienza di espatrio, in realtà ponesse l’accento non tanto sul tema del fallimento del progetto, quanto sulla paura e sull’indeterminatezza di questa condizione psicologica.
Quel “Ho paura che” ci parla, più che di una sconfitta, di un’indeterminatezza che spesso può rivelarsi positiva, come nei casi di miglioramento della propria condizione lavorativa e remunerativa, ma che comunque chiede in cambio una ristrutturazione dell’identità personale funzionale alla vita nel nuovo contesto.
Questo comporta delle sfide e delle rinunce sul piano dell’identità che spesso veicolano un senso temporaneo di “assenza”, una paura di svanire insieme alle relazioni importanti che abbiamo lasciato indietro. Una nostalgia del passato, del presente e la paura di un futuro indeterminato. Indeterminato come il malessere che molti dichiarano di provare in contesti d’espatrio e che accompagna molto spesso le traiettorie migranti.
Si tratta, tuttavia, di un passo importante. La sua risoluzione gioca un ruolo chiave nella ridefinizione di se stessi come expat ed è in qualche modo necessaria per appropriarsi di un nuovo futuro. (Anna Pisterzi)
Questo articolo anche nella sezione Articoli del sito di Transiti - Psicologia d’espatrio.Ucraina: 76mila i profughi arrivati in Italia
Ucraina: 17 milioni dal Pon legalità per l’emergenza
Rammendare le lacerazioni, ascoltare le angosce
Ucraina: ecco il piano per i bambini ucraini soli
Roma - A integrare la cornice di misure e procedure per l’accoglienza dei profughi ucraini, è arrivato in serata di ieri anche l’atteso «Piano minori stranieri non accompagnati» messo a punto dal ministero dell’Interno. Il documento – 10 pagine che il quotidiano Avvenire ha visionato – è composto da una premessa e da 5 capitoli. Riguardano «obiettivi ed enti coinvolti», presenza di minori soli sul territorio nazionale, modalità di «identificazione e censimento», «accoglienza» e infine «affido temporaneo e tutela». Nel dettaglio, il Piano «mira a fornire le linee guida» per la gestione di bambini e adolescenti giunti dall’Ucraina da soli. Gli enti coinvolti sono il commissario delegato dal governo, ossia il prefetto Ferrandino; tre dipartimenti dell’Interno (Immigrazione; Frontiere; Anticrimine); i ministeri di Politiche sociali e Giustizia; e infine, a livello locale, «prefetture, questure, procure e tribunali per i minorenni, servizi sociali dei Comuni».
Nella definizione di minore non accompagnato, rientrano non solo quelli che arrivano senza genitori, ma anche quelli accompagnati da adulti che però non sono loro «tutori secondo la legge italiana». Il documento cita qualche esempio, includendo nella categoria anche i bambini stranieri accompagnati «da una zia o una nonna o dal direttore dell’istituto dove erano accolti in Ucraina, che non possano dimostrare di esserne legalmente responsabili» secondo le norme italiane. Le tutele comprendono il divieto di respingimento alla frontiera, il divieto di espulsione e il diritto all’accoglienza, ad essere informati sulla propria condizione, al rilascio di un permesso di soggiorno e a indagini per il «rintraccio» dei propri familiari.
Al momento, risultano essere solo 475 i minori stranieri non accompagnati arrivati dall’Ucraina. Una «buona parte è stata affidata alle famiglie, mentre un’altra parte vive in istituti individuati dai comuni che rientrano nei parametri stabiliti», fa sapere la capo dipartimento Libertà civili e Immigrazione del Viminale, Francesca Ferrandino, che sottolinea la necessità di verifiche e segnalazioni: «È importantissimo che chiunque sia a conoscenza della presenza di un minore non accompagnato, lo segnali ai Carabinieri o alla Polizia, affinché scatti quella cordata di interventi che garantiscano l’interesse prioritario del minore».
Il Piano affida alla polizia delle frontiere il compito di effettuare un costante monitoraggio sugli ingressi nel territorio nazionale. Inoltre dispone che chiunque (servizi sociali, forze dell’ordine, protezione civile, associazioni) sia a conoscenza della presenza di un minore straniero non accompagnato abbia «il dovere d’accompagnarlo in questura, dove si provvederà a redigere un verbale di 'consegna-presa in carico' al Servizio sociale o struttura di prima accoglienza » e a «segnalare la presenza» al tribunale dei Minorenni per gli adempimenti e le tutele previste, compresa la nomina di un tutore. Le generalità del minore vengono inserite in una banca dati presso il ministero delle Politiche sociali – il «Sim» (Sistema informativo minori) – per attivare la presa in carico del comune di competenza. Riguardo all’identificazione, se ci sono dubbi sulla documentazione o se il ragazzino ne è sprovvisto, è previsto l’accertamento «socio-sanitario» dell’età. Per chi ha più di 14 anni in una prima fase è previsto il collocamento presso strutture protette del ministero dell’Interno, per non più di 30 giorni, e successivamente nel Sistema Sai. I più piccoli invece vanno in strutture comunali o, in via residuale, regionali. Infine, si specifica come ai minori non accompagnati non sia applicabile la procedura di «affidamento familiare diretto» da parte dei servizi sociali. L’iter compete al tribunale per i minorenni e, «in assenza di tutori volontari disponibili», ne viene nominato uno «istituzionale», ad esempio il sindaco del comune in cui si trova la struttura che ospita il minore. (Vincenzo R. Spagnolo - Avvenire)