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Cattolici e sciiti a confronto: un convegno promosso dalla Comunità di Sant’Egidio
Dalla beatificazione di un sardo in Argentina una lezione sull’essere Chiesa
La beatificazione il 2 luglio scorso a Oran, in Argentina, di padre Giovanni Antonio Solinas, nativo di Oliena nella diocesi di Nuoro, e con lui di don Pietro Ortiz de Zarate, non può essere configurata solo come una splendida testimonianza di un martire della fede, risalente tra l’altro al 1683. Non sappiamo molto di loro, e neanche dei 18 indios che hanno pagato il loro stesso prezzo di sangue. Eppure il giorno della beatificazione, nella gente, sembrava emergere non un sentimento di distacco, frutto della lontananza dal tempo del martirio, ma piuttosto un’appartenenza viscerale e un coinvolgimento emotivo verso l’evento che mi ha interrogato come vescovo, e con me anche tutto il gruppo della Diocesi di Nuoro, composto da venti persone tra laici, sacerdoti e seminaristi.
Interroga non solo la suggestiva e festosa partecipazione – che in America Latina non è una novità – ma il senso di Chiesa che in essa vi era presente e si manifestava. Noi occidentali, generalmente attrezzati con una razionalità imperturbabile, siamo stati letteralmente spiazzati, persino travolti emotivamente davanti a uno spettacolo di popolo, a uno spettacolo ecclesiale. Sì, perché a emergere e a manifestarsi è stata una Chiesa, un popolo di battezzati convinti e, in mezzo a loro e con loro, i pastori - vescovi, sacerdoti e diaconi - riconosciuti spontaneamente come guide, senza fatica e senza logiche divisive.
Uno spettacolo di fede, prima di tutto, perché a emergere è stato il popolo. Parole e gesti, nella preghiera come nel canto, non facevano altro, ogni volta, che rivelare una sintonia genuina e intensa tra la fede e la vita della gente. Ho riscoperto nuovamente che la fede semplice non è un’assurdità. La fede semplice è sempre vitale, una linfa – nutrimento e vigore insieme – che colma spazi e copre interstizi irraggiungibili dalle sole logiche della razionalità. Essa è passionale perché coinvolge, autentica perché non ha calcoli né maschere. E ricorda l’insegnamento di sant’Agostino, quando scrive: «Se non hai capito, credi! L’intelligenza è il frutto della fede. Non cercare dunque di capire per credere, ma credi per capire, perché se non crederete non capirete».
Questa fede, lo dico come europeo, ci manca. E recuperarla ci farebbe bene, anche perché non stride con la sapienza della mente, se questa è ispirata dal cuore. Il nostro popolo di battezzati va oggi aiutato a recuperare la fede come un investimento 'popolare', cioè carico di segni e simboli che, nell’affidamento semplice a Dio, ne riscoprano anche il suo senso comunitario e l’esigenza dell’aggregazione ecclesiale e sociale.
In Argentina, nella sua parte forse più povera – quella del nord, che confina con la Bolivia – ho visto gente felice di appartenere al popolo di Dio. Ho incontrato molti volti provati a causa della povertà materiale, quanto mai reale ed evidente, ma ho sempre visto volti che si accendevano di luce quando sentivano parlare di Dio; facce libere e accoglienti, piene di gratitudine.
Ecco perché una Chiesa di popolo ci salverà sempre. Una Chiesa dove non si applicano le logiche del mondo – quelle che ci dicono che l’istituzione e il carisma non vanno mai d’accordo – ma piuttosto che crede in quello che ci insegna il Concilio Vaticano II, quando ci ricorda che il popolo di Dio è sempre un popolo profetico.
Ho colto dalla gente la consapevolezza che l’Argentina attuale, logorata da una crisi economica drammatica, merita una Chiesa che recuperi la forza di una profezia popolare, a difesa cioè del popolo. Oggi, con un’inflazione galoppante e con un tasso di cambio della moneta libero ma illegale, seppur tollerato dallo Stato, nulla appare certo e nulla di buono sembra promettere il prossimo futuro. La gente, il popolo, sente di poter contare sulla Chiesa come l’unica vera carta di credito, che non va sprecata. Ed è un altro insegnamento, un altro appello che può e deve risuonare in ogni parte del mondo. (mons. Antonello Mura - Vescovo di Nuoro e Lanusei)
Papa Francesco ai giovani: è legittimo ribellarsi alla guerra
Roma - Papa Francesco invita i giovani europei a ribellarsi alla guerra. E addita l’esempio del beato Franz Jägerstätter che fece obiezione di coscienza di fronte all’ingiunzione di giurare fedeltà a Hitler. Lo fa rivolgendosi ai partecipanti alla Eu Youth Conference in corso a Praga, da ieri e fino a domani, sul tema: 'Impegnarsi insieme per un’Europa sostenibile e inclusiva'. I giovani, afferma il Papa nel suo messaggio, devono far sentire la propria voce perché in un mondo governato da loro «non ci sarebbero tante guerre: coloro che hanno tutta la vita davanti non la vogliono spezzare e buttare via ma la vogliono vivere in pienezza». «Cari giovani – scrive Francesco –, mentre voi state svolgendo la vostra Conferenza, in Ucraina – che non è UE, ma è Europa – si combatte una guerra assurda. Aggiungendosi ai numerosi conflitti in atto in diverse regioni del mondo». Il Papa ricorda che «l’idea di un’Europa unita è sorta da un forte anelito di pace dopo tante guerre combattute nel Continente, e ha portato a un periodo di pace durato settant’anni». «Ora – aggiunge usando parole forti – dobbiamo impegnarci tutti a mettere fine a questo scempio della guerra, dove, come al solito, pochi potenti decidono e mandano migliaia di giovani a combattere e morire. In casi come questo è legittimo ribellarsi!».
Di Ucraina Francesco ha parlato anche domenica. «Rinnovo la mia vicinanza al popolo ucraino – ha detto nel dopo Angelus –, quotidianamente tormentato dai brutali attacchi di cui fa le spese la gente comune. Prego per tutte le famiglie, specialmente per le vittime, i feriti, i malati; prego per gli anziani e per i bambini. Che Dio mostri la strada per porre fine a questa folle guerra!».
Richiamandosi a queste parole del Papa, sulla guerra in corso in Europa è intervenuto anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana. «Ascoltiamo il lamento dei popoli dilaniati dalla guerra e onoriamo la memoria delle decine di migliaia di persone uccise in Ucraina. Non smettiamo di interrogarci su cosa dobbiamo fare perché tacciano le armi e prevalga il rispetto della vita!». Così si è espresso l’arcivescovo di Bologna nel giorno della festa del patrono del Vecchio Continente,
san Benedetto, con la preghiera affinché l’Europa «sia unita e giochi un ruolo attivo nella indispensabile ricerca della pace». Il porporato ricorda che san Paolo VI, nella lettera con cui lo dichiarava patrono d’Europa, definiva Benedetto «Messaggero di pace» che fece nascere nel Vecchio Continente «l’aurora di una nuova era». E infine esorta a pregare «perché il suo esempio ci aiuti a costruire fratellanza e speranza, mentre facciamo nostre le parole di Papa Francesco ieri all’Angelus: 'Che Dio mostri la strada per porre fine a questa folle guerra!'». (Gianni Cardinale - Avvenire)
Migrantes: Sri Lanka, “seguiamo con preoccupazione la situazione, in particolare con le comunità cattoliche in Italia”
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Card. Zuppi: ascoltiamo il lamento dei popoli dilaniati dalla guerra
Una porta sempre aperta
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Vedere. E avere compassione
Mons. Damiano: ”urgono vie legali d’accesso”
