Primo Piano

Card. Zuppi: “la risposta alle pandemie e alle guerre è nella passione per l’uomo che aiuta a ricostruire”

22 Agosto 2022 - Rimini -  “Non dobbiamo abituarci in tanti modi all’orrore della guerra, della disumanità, a guardare gli altri come se non ci interessassero. Non possiamo accettare che la guerra possa rappresentare una soluzione. Il male ci divide dagli altri”. La risposta, l’antidoto alle pandemie, come il Covid e la guerra, che attraversano il nostro tempo è “la visione offerta dalla Fratelli Tutti, la consapevolezza di essere nella stessa casa comune”. Lo ha ribadito con forza il card. Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, dialogando ieri 21 agosto, al Meeting di Rimini con Berhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia dei popoli. Tema della conversazione “Una passione per l’uomo” che è anche il tema di questa 43ma edizione della kermesse di Comunione e Liberazione. “Noi abbiamo una riserva di umanità, una passione per l’uomo che – ha spiegato il cardinale – ci aiuta a ricostruire un ‘pensarsi insieme’ che non è scontato per le paure, per il ‘salva te stesso’, per l’individualismo. Pensiamo di essere noi stessi se prendiamo, se possediamo; non capendo che, al contrario, le risposte vanno cercate e trovate nella connessione con gli altri”. La passione per l’uomo fa parte dell’esperienza dei cristiani che sanno vedere negli altri un fratello. Una visione che guarda oltre e che ci coinvolge oggi nelle difficoltà drammatiche e reali nelle quali ci troviamo a vivere. Queste difficoltà ci hanno fatto riscoprire che la vita è questa e che abbiamo creduto ad un benessere che non esisteva. La compassione vede il male che ci è entrato dentro. La Fratelli tutti è una risposta che chiede l’impegno di tutti quanti”. Tante le sfide da affrontare: una su tutte l’educazione dei giovani. “I giovani hanno bisogno di testimoni veri, che hanno passione, che sognano, che non si fanno esami continuamente ma fanno il grande esame della vita. Di questo hanno bisogno i giovani, non solo di istruzioni per l’uso ma di giocare il bellissimo gioco della vita”. Infine un cenno al dialogo interreligioso che, ha spiegato il card. Zuppi, “rafforza e non spegne le identità. Dal dialogo si esce rafforzati nella consapevolezza che con l’altro posso vivere insieme e che c’è qualcosa di più profondo e umano che mi lega”.  

La porta stretta

22 Agosto 2022 - Città del Vaticano  - “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” Ancora una volta una domanda lungo il cammino che lo porterà a vivere la sua Pasqua a Gerusalemme. Ma ciò che salta subito agli occhi, nel brano di Luca di questa domenica, è l’immagine che diventa risposta: la porta stretta attraverso cui passare. La domanda è posta nello stile tipico delle dispute tra scuole di rabbini di diverso orientamento, e viene posta in termini volutamente astratti. Chiedere quanti saranno coloro che si salveranno, nasconde la convinzione di poter stabilire criteri, confini riguardo alla salvezza e al giusto rapporto con Dio. La risposta di Gesù va contro chi pensa in questo modo per poter decidere chi sta dentro e chi è fuori, chi ha torto e chi ha ragione. Gesù non risponde offrendo cifre né elencando regole cui attenersi, ma spiazza l’interlocutore con la logica della misericordia: vi sono ultimi che saranno primi e primi che saranno ultimi. È il messaggio che torna più volte nei racconti degli evangelisti, è quell’andare contro corrente, non cedere alle mode del tempo; messaggio che sintetizza la predicazione delle beatitudini e invita a scoprirsi fratelli nonostante le differenze. La sua risposta è soprattutto in quella porta stretta: “molti cercheranno di entrare ma non ci riusciranno”. La porta è sì stretta, ma non si tratta di “un’immagine che potrebbe spaventarci come se la salvezza fosse destinata solo a pochi eletti o ai perfetti” dice Papa Francesco all’Angelus. Infatti, Luca chiarisce bene il concetto: “verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”. Cosa significa, allora, la porta stretta. Chi è stato al monastero di Santa Caterina sul Sinai – o a Gerusalemme è entrato nel sepolcro di Gesù nella basilica – ha ben presente quella piccola porta attraverso la quale si accede. Voluta così per impedire, ad esempio, che si entrasse a cavallo, con le armi. In sostanza bisognava spogliarsi di tutto ciò che connotava l’identità del cavaliere e del guerriero. La porta stretta è, dunque, invito a spogliarsi delle “armi” dell’orgoglio, è fatica e lotta personale. Ma è porta aperta a tutti. Così Francesco ricorda il Vangelo di Giovanni – Gesù che dice “io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato” – per affermare che “per entrare nella vita di Dio, nella salvezza, bisogna passare attraverso di lui, non di un altro; accogliere lui e la sua Parola”. Quella del cristiano, afferma ancora Francesco, è una vita “a misura di Cristo, fondata e modellata su di lui”, sul suo Vangelo, “non quello che pensiamo noi, ma quello che ci dice lui. Si tratta di una porta stretta non perché sia destinata a pochi, ma perché essere di Gesù significa seguirlo, impegnare la vita nell’amore, nel servizio e nel dono di sé come ha fatto lui, che è passato per la porta stretta della croce. Entrare nel progetto di vita che Dio ci propone, chiede di restringere lo spazio dell’egoismo, di ridurre la presunzione dell’autosufficienza, di abbassare le alture della superbia e dell’orgoglio e di superare la pigrizia per attraversare il rischio dell’amore, anche quando comporta la croce”. Una vita fatta di gesti concreti, gesti d’amore: “pensiamo ai genitori che si dedicano ai figli facendo sacrifici e rinunciando al tempo per sé stessi; a coloro che si occupano degli altri e non solo dei propri interessi” dice Papa Francesco. “Pensiamo a chi si spende al servizio degli anziani, dei più poveri e dei più fragili; pensiamo a chi va avanti a lavorare con impegno, sopportando disagi e magari incomprensioni; pensiamo a chi soffre a motivo della fede, ma continua a pregare e ad amare”, a coloro che “rispondono al male con il bene, e trovano la forza di perdonare e il coraggio di ricominciare”. Qui il pensiero, nel dopo Angelus, va alla chiesa del Nicaragua dove sono stati arrestati il vescovo di Matagalpa insieme a sacerdoti, seminaristi e laici. Il Papa esprime “preoccupazione e dolore” e auspica “un dialogo aperto e sincero”, attraversi il quale “si possano ancora trovare le basi per una convivenza rispettosa e pacifica”. Senza dimenticare il popolo ucraino che “sta vivendo un’immane crudeltà”. (Fabio Zavattaro - SIR)

Vangelo Migrante: XXI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 13, 22-30)

18 Agosto 2022 - Gesù si rifiuta di rispondere ad un tale che chiede: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” Domanda quanto meno sospetta che sembra cercare più nelle statistiche la sicurezza della propria salvezza che non nella misericordia di Dio. Il pensiero sotteso è che se la maggior parte o addirittura tutti si salvano, facilmente ci si può confondere nella massa, evitando di assumersi le proprie responsabilità. Per Gesù la questione della salvezza non si pone in termini generali o per gli altri, ma si pone “per me”. Argomento tutt’altro che datato. L’opinione diffusa che Dio è buono e quindi tutti, in un modo o nell’altro, si salveranno indipendentemente dalla qualità buona o cattiva della loro vita, non trova conferma nelle Sue parole. Gesù non dice se siano pochi, tanti o tutti quelli che si salvano. Sia chiaro, l’universale predestinazione alla salvezza è il nucleo essenziale della Sua predicazione: tutti sono chiamati, senza alcuna eccezione e senza alcun privilegio, a far parte del regno dei cieli; ma la possibilità di salvarsi, offerta a tutti indistintamente, richiede un’impegnativa risposta personale. E allora formula un invito molto chiaro: “sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Non è un immagine ‘lacrime e sangue’ o un’impresa fuori della nostra portata. Il Vangelo porta solo belle notizie e, quindi, la porta è stretta, è un’entrata piccola, come lo sono i piccoli, i bambini e i poveri, veri prìncipi del regno di Dio; è stretta ma a misura d’uomo, di un uomo nudo ed essenziale che ha lasciato giù tutto ciò che lo gonfiava: ruoli, portafogli, l’elenco dei meriti, i bagagli inutili, il superfluo; la porta è stretta, ma è aperta. L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo e la porta si farà grande! E va oltre. Attenzione: non è la stessa cosa stare dentro o fuori! Il rischio di rimanere esclusi dal regno esiste ed ha delle conseguenze: “là ci sarà pianto e stridore di denti”. Nè servirà bussare e dire: “Signore aprici!” o vantarsi di cose di poco conto: “abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Quanti non sono passati per la porta stretta a motivo della propria ignavia e falsa coscienza, si sentiranno rispondere: “non so di dove siete”. Dio non riconosce per formule, riti, simboli religiosi o perché si fanno delle cose per Lui, ma perché con Lui e come Lui si fanno delle cose per i piccoli e i poveri. Il resto o sono alibi o false credenziali che normalmente poggiano su un Dio a misura d’uomo. Non mancheranno sorprese. Oltre quella porta Gesù immagina una festa multicolore: verranno da oriente e occidente, dal nord e dal sud del mondo e siederanno a mensa. La porta stretta non è porta per pochi, o per i più bravi. Tutti possono passarvi, per la misericordia di Dio. Il suo sogno è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza. Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo; il Suo regno ammette quelli che il mondo reputa clandestini; e se arrivati ultimi, Lui li considera primi. Attrezzarsi a passare quella porta, non è ‘fare di meno’ … ma darsi da fare con un Vangelo che travalica tutti i confini, non solo quelli geografici! (p. Gaetano Saracino)  

Italiani nel mondo: il miracolo di Casablanca

16 Agosto 2022 - Casablanca - Sì, sembrava fosse accaduto un vero miracolo. Già dal mattino del 15 agosto la Chiesa italiana 44, boulevard Abdelmoumen era in fibrillazione. A Casablanca da sempre è il cuore della comunità cristiana italiana. Dove pregare, ritrovarsi e ritrovare insieme la propria identità. Per incanto, il grande piazzale antistante era diventato una … inedita e suggestiva cattedrale ! Con tutti i suoi banchi allineati, le belle piante tutt’attorno solide come colonne, le bandiere del Marocco e dell’Italia, intrecciate all’entrata come un simpatico benvenuto. A tutto un popolo che, sul far della sera, alla presenza del vescovo emerito Giovanni D’Ercole, celebra la tradizionale Madonna di Trapani. Questa, infatti, troneggia grandiosa, incoronata e restaurata da poco dal Coasit accanto all’altare. Al calar del sole, ecco arrivare alla spicciolata fedeli da tutta la città… Una corale filippina ci fa la sorpresa di animare i canti in lingua italiana. Ed è sempre bello ritrovare la propria lingua sulla bocca degli altri ! La santa messa corre veloce, non manca la voce emozionata del vescovo nel ricordare la nostra storia di emigrazione e di fede, di incontro di popoli, di un avvenire costruito a più mani. Per questo si è voluto portare proprio da Trapani, quasi cent’anni fa, un’enorme statua di Maria. « La mamma rassicura, accompagna, dà pace e serenità » sottolinea il vescovo. Lo è soprattutto per chi cambia mondo, per chi è in prima linea come un migrante, allora, in particolare, erano siciliani. E poi alla fine, una cascata infinita di… Ave Maria ! Ognuno, allora, mette la sua voce e la propria lingua, chi dal Rwanda, chi dal Libano, chi dalla Spagna, dalla Francia, dall’Etiopia… mentre l’assemblea, in ascolto con il fiato sospeso, ripete ogni volta, con intima gioia, « Amen ! ». Perfino il Console di Spagna,  con emozione interviene in lingua italiana, mettendosi a servizio per qualsiasi cosa della comunità. Sì, la chiesa italiana di Casablanca, chiusa da troppo tempo ormai, questa notte si è aperta al mondo. Ed è il miracolo più grande di Maria, venuta da Trapani ! Andandosene, infine, ognuno, dopo un rinfresco con i fiocchi e al suono continuato dell’Ave Maria, porterà con sè le sfide e le speranze dell’umanità intera.  Anche questo, in fondo, è oggi esseri italiani a Casablanca !   (p. Renato Zilio)

Mons. Perego: mettere al primo posto l’accoglienza

16 Agosto 2022 - Ferrara - “La donna è il segno della vita, una vita sempre minacciata – è il segno del drago – dal male, dalla violenza, dalla prepotenza. Ieri come oggi, sempre.  Ma la vita trionfa, anche se deve fuggire lontano, nel deserto”. E’ quanto ha detto ieri l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, mons. Gian Carlo Perego, in occasione della Festa dell’Assunta nell’Abbazia di Pomposa. La pagina dell’Apocalisse, letta durante la liturgia, “la vediamo rappresentata in tante madri che fuggono dalle guerre, dai disastri ambientali, dalla violenza, dalla miseria e desiderano far nascere il proprio figlio e proteggerlo”. Una pagina che aiuta ad immaginare la casa del padre “ricca dei simboli della storia della salvezza, in particolare l’arca dell’alleanza, segno di un Dio che ha accompagnato il cammino del suo popolo passo dopo passo. Accanto all’arca c’è una donna, che sta per avere un figlio e grida per le doglie. Voi madri presenti comprendete queste parole, questo grido di dolore che accompagna la vita”. Questa pagina dell’Apocalisse - ha aggiunto il presule che è anche presidente della Fondazione Migrantes - è “rappresentata in tante madri che fuggono dalle guerre, dai disastri ambientali, dalla violenza, dalla miseria e desiderano far nascere il proprio figlio e proteggerlo. Madri che talora subiscono violenze, abbandoni, rifiuti dai nuovi draghi, che mettono al primo posto l’interesse più che l’accoglienza, il rifiuto più che l’incontro, il profitto più che il lavoro, la guerra più che la pace, la morte più che la vita. Il mare, il deserto diventano per loro talora luoghi di morte e non di vita, in una fuga che non ha approdo. Dio, invece non abbandona, ma dona rifugio: in questa e nell’altra vita. E’ il nostro rifugio, la nostra vita”. (R.Iaria)

Don Bruno Nicolini: 10 anni fa la morte di uno dei pionieri della pastorale dei rom e sinti

16 Agosto 2022 - Roma - Ricorrono domani, 17 agosto, dieci anni dalla morte di don Bruno Nicolini, uno dei sacerdoti pionieri nella pastorale con il mondo dei rom. Aveva 85 anni e aveva dedicato a questo mondo oltre 50 anni della sua vita. Fin dal lontano 1958, infatti, quando vice parroco a Bolzano, aveva iniziato ad occuparsi dei Rom e Sinti nella sua diocesi. Qui aveva fondato l’Opera Nomadi. Fu chiamato a Roma da Papa Paolo VI per continuare ad occuparsi della pastorale dei Rom nella diocesi capitolina nel 1964 dove aveva preparato, nello spirito del Concilio Vaticano II, il primo grande incontro europeo tra il popolo Rom e Papa Paolo VI, a Pomezia nel 1965. Ha creato il Centro Studi Zingari, punto di riferimento culturale per molti per la comprensione della lunga storia dei Rom in Europa. Dalla fine degli anni ’80 è stato responsabile per la Diocesi di Roma della cappellania per la pastorale dei Rom e Sinti. “Con la morte di don Bruno Nicolini i rom hanno perso un padre e un amico, la Chiesa in Italia un pastore attento a riconoscere e tutelare il popolo rom, la Migrantes un collaboratore fedele e intelligente fino agli ultimi incontri degli operatori rom e sinti nei mesi scorsi”, dice oggi il presidente della Commissione Cei per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego. Don Nicolini – ha aggiunto il presule - è stato “un protagonista della nuova stagione conciliare della Chiesa, aiutando a sentire i rom ‘di casa nella Chiesa’, valorizzando percorsi di giustizia e di cittadinanza dei rom attraverso l’Opera Nomadi da lui fondata e la conoscenza storica e culturale del popolo rom attraverso il Centro Studi zingari, fondato con Mirella Karpati”. I funerali si sono svolti il 18 agosto di dieci anni fa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere presieduti dall’attuale presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi che nell’omelia ha  sottolineato che il sacerdote nella sua vita “si è fatto nomade. Ha camminato molto, in tanti modi. Si è messo in viaggio con attenzione intelligente e libera, appassionata e profonda; con una carità esigente, mai pigra e soddisfatta di sé, sempre, sempre alla ricerca, inquieta perché innamorata. Ha amato quanto Gesù e la Chiesa stessa il popolo dei rom e dei sinti”. “In questo giorno lo accogliamo in questa casa di amore, dedicata all’Assunta, dove ha celebrato, quando i suoi passi si erano fatti lenti e incerti, negli ultimi anni, il giorno del Signore”, ha aggiunto l’allora vescovo ausiliare Zuppi ripercorrendo la vita del sacerdote che ha trascorso gli ultimi anni in una casa della Comunità di Sant’Egidio: “lo accompagniamo con molto affetto nell’ultimo tratto del suo cammino. Peraltro morto nel giorno della memoria di san Rocco, santo pellegrino, che superava anche la frontiera più difficile, quella che allontana dalla sofferenza e dalla malattia. Bruno ha cercato di superare la frontiera del pregiudizio”. Di mons. Nicolini il card. Zuppi  ha ricordato, nell'omelia per i funerali di dieci anni fa, il dialogo con le istituzioni sempre improntato “alla ricerca di soluzioni giuste e soprattutto durature e rispettose della dignità della persona”, anche se “non possiamo non constatare come incredibilmente, ed è un’amarezza e anche una promessa a don Bruno, la condizione dei rom è ancora tanto lontana da condizioni minime di rispetto” a causa di scarsa determinazione e lungimiranza, “come se occuparsi di rom sia una concessione mal sopportata e non un diritto da garantire”. Per  Zuppi il sacerdote ha lasciato “la passione per la Chiesa, per il Vangelo e per gli ultimi. E gli zingari purtroppo sono spesso gli ultimi perché in molti casi nei confronti degli zingari il pregiudizio è forte. Noi, ci insegna don Bruno, dobbiamo amare i poveri per quello che sono, il Signore ci chiede di amare i poveri e di riconoscere i fratelli più piccoli, senza chiedergli né certificati penali né certificati fiscali né certificati di bontà o di cattiveria, bisogna volergli bene e basta. In don Bruno dobbiamo riconoscere un testimone che ci ha insegnato e ci ha aiutato ad amare e a conoscere e anche a valorizzare la grande tradizione, la grande cultura dei Rom". (R.Iaria)          

Afghanistan…un anno dopo

15 Agosto 2022 - Brescia - Abbiamo passato il Ferragosto del 2021 vedendo le immagini dell’immane operazione umanitaria e militare scatenata dalla ripresa di Kabul da parte dei Talebani; 4.890 afghani arrivarono in Italia in pochi giorni, mentre scatenavamo una gara di parole per dire che “l’accoglienza era un dovere”, nonostante fosse chiaro per tutti, soprattutto per gli “addetti ai lavori” nel campo dell’accoglienza, che era difficile esercitarla perché alcuni decreti rendevano impossibili l’applicazione di misure straordinarie per persone costrette a fuggire e poter esser accolte “per motivi umanitari”. Ma poco importa, era importante condannare il regime talebano e il fallimento di una lunga operazione militare in quella terra in corso da decenni da nazioni diverse e da schieramenti diversi. L’accoglienza venne gestita in larga parte dal nostro Esercito, lasciando “a bocca asciutta”, in prima battuta, tutti quelli che volevano prodigarsi. Riprese il lavoro e la scuola, una nuova ondata di covid fece spostare la nostra attenzione; a inizio 2022 il conflitto in Ucraina calamitò la nostra attenzione e ci scontrammo nuovamente con le difficoltà nella macchina di accoglienza che non prevedeva più la doverosa accoglienza per chi scappava da una guerra. L’impegno del mondo ecclesiale, del Terzo Settore, degli enti locali e della generosità di tanti ha reso possibile ciò che abbiamo fatto. Ma in questo Ferragosto di un anno dopo la tragedia dell’Afghanistan, mi chiedo cosa ci rimane di quella esperienza? Un anno fa scrivevo commentando quella esperienza e il moto di accoglienza vissuto in quei giorni: […] si tratta adesso di non vivere così solo per qualche giorno, ma di allargare questo stile a tutti i fratelli e le sorelle che per motivi diversi hanno bisogno di essere accolti”. Sono passati 365 giorni e non so se ci siamo mai chiesti che fine hanno fatto le 4.890 persone arrivate, dove sono, se hanno ancora bisogno di aiuto. Non so se sappiamo che all’11 Agosto 2022 tra il mare e la terribile rotta balcanica sono arrivati altri 3.504 afghani (dati del Ministero dell’Interno), ma questi non erano collaboratori dei nostri governi occidentali e hanno dovuto soffrire molto di più per riuscire a scappare, ma di questi non parleremo mai; non fanno notizia e non ci disturberanno in questo Ferragosto con immagini drammatiche, abbiamo ben altro a cui pensare con le prossime elezioni alle porte, sperando che almeno ci ricorderemo l’importanza dell’accoglienza quando sceglieremo chi ci governerà. Come un anno fa’ voglio riscrivere le stesse parole: “In questo caldo tempo estivo voglio augurarmi che la vicenda dell’Afghanistan ci aiuti ad accorgerci maggiormente che il fenomeno della mobilità umana è dettato da storie di vita reali caratterizzate dalla sofferenza, dall’ingiustizia e dalla mancanza di libertà. Non ci si muove per comodità ma per poter vivere realmente; cosi come oggi, quasi tutti, anche coloro che non avevano progetti di accoglienza, dicono “che è un dovere morale accogliere”, mi auguro che non dimentichiamo che questa scelta è vera: l’accoglienza fa vivere chi la esercita e fa vivere chi la riceve”. Speriamo che in Agosto 2023 avremo imparato a interessarci di chi accogliamo e far nascere scelte concrete dall’accoglienza e non a nutrire solo la nostra emotività; speriamo che questo tempo ci insegni che la storia della mobilità umana va’ conosciuta e non usata a propria comodità. (don Roberto Ferranti)    

Card. Zuppi: riaprire vita e speranza

14 Agosto 2022 -

Nel cuore del mese di agosto, in quasi tutti i paesi e le città del nostro Paese, si celebra la festa dell’assunzione di Maria al cielo. Un mistero che ci dice qual è la nostra destinazione: ossia essere assunti con il nostro corpo risorto nel cielo di Dio.

Maria, la prima che ha creduto alla Parola del Signore, è la prima a entrare nel cielo di Dio con il suo corpo. Questa festa è celebrata da tutti i cristiani di tutte le confessioni, ovunque nel mondo. In Occidente la chiamiamo, appunto, Assunzione. In Oriente l’iconografia la trasmette con l’icona della 'Dormizione': gli apostoli circondano in preghiera la madre di Gesù 'addormentata' nel suo letto di morte (la morte dei credenti non è mai da sola, ma sempre circondata dalle presenze degli amici di Gesù). Gesù è raffigurato sopra di lei e tiene tra le sue mani una piccola Maria - quasi 'bambina'. Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli. Per tanti anni l’ho contemplata nel mosaico absidale della Basilica di Santa Maria in Trastevere. Ed è bello che la prima persona che transita direttamente al cielo di Dio, anima e corpo, sia l’anziana madre di Gesù: lei che ha inaugurato la storia della nostra fede e ospitato il Figlio del nostro riscatto, entra per prima, con un corpo risorto, nella pienezza del Regno.

Il corpo risorto vuol dire che non perderemo la sensibilità umana: al contrario, essa diventerà così pura, così profonda, così fine, da renderci capaci di intercettare direttamente la sensibilità di Dio per tutto il creato e per tutte le creature, dalle più piccole alle più emozionanti che abitano l’eterna fantasia dell’amore di Dio che genera e ispira da sempre i ritmi e i riti della vita che ha creato. E Maria è il simbolo reale del legame profondo della generazione e dell’ispirazione divina della vita con l’origine e la destinazione. In Gesù risorto questo legame irrevocabile abita per sempre l’intimità divina da cui proviene e la condizione umana nella quale si irradia. L’intera storia dell’uomo e quella dell’umanità, lungi dall’essere abbandonata al suo destino mortale, vi appare destinata al riscatto di ogni abbandono che la umilia, la ferisce, la perde: nell’anima e nel corpo.

La cultura moderna ci ha resi gelosi della nostra libertà di vivere: e persino di morire. Ma siamo anche diventati molto rassegnati al corto respiro del nostro modo di godere la vita. Possiamo chiamarlo disincanto, per dare un tono molto adulto e molto razionale a questo pensiero. Di fatto, da quando abbiamo abbassato il cielo dei nostri desideri restringendolo all’orizzonte del nostro io, anche la terra ci sembra più avara di vere soddisfazioni e di autentici entusiasmi. A ragione si parla di passioni tristi. Non sappiamo più stupirci del tanto che pure abbiamo e scoprire l’incanto che è ogni persona che nasconde il riflesso di Dio.

Ci affanniamo giustamente ad aggiustare la società e l’habitat per tanti individui, ma non crediamo più nella comunità e nel mondo che dovrebbero ospitare la fraternità di cui abbiamo bisogno e alla quale apparteniamo.

Dobbiamo chiederci se per caso non ci stiamo rassegnando a essere una sorta di colonia di insetti, certo, evoluti e ingegnosi. La società che stiamo costruendo rischia di avere paura della vita e diffidare della speranza.

Scopriamo di avere politiche da amministrazione di condominio, aspettative di vita giovanilistiche, distanze umilianti e in crescita: fra ricchi e poveri, uomini e donne, vecchi e bambini, mediatici e anonimi, onesti e furbi. Nello spaesamento dell’incertezza, cresce il fascino della chiusura in spazi ristretti e orizzonti chiusi e angusti

L’autoreferenzialità porta a ripiegarci su noi stessi e contagia le persone, i popoli e le culture, anche noi credenti: non di rado appariamo senza idee, senza parole, senza azioni che riaprano i cuori al senso della destinazione dell’esistenza nostra e del mondo. Come Maria troviamo forza facendo nostra la visione di Dio che si fa uomo per iniziare il suo Regno di amore, che sarà di tutto il popolo. La rassegnazione a un mondo ingiusto non è l’effetto – che ora diventa particolarmente visibile – di una certa depressione escatologica che affligge lo stesso cristianesimo?

Il mistero dell’Assunta ci ri-apre al cielo della nostra destinazione. Mercoledì scorso il Papa, riferendosi proprio alla nostra destinazione finale, ha affermato con efficacia: «Il meglio deve ancora venire ». Il cielo – che pure pensiamo pieno di santi rimane forse povero di Vita. E quindi poco attrattivo. Gesù quando parla del Regno lo descrive come un pranzo di nozze, una festa con gli amici, il lavoro che rende perfetta la casa, le sorprese che rendono il raccolto più ricco della semina. Tutto ciò lo iniziamo già sulla terra. Con il 'sì' di Maria a divenire la madre del Figlio. Con il nostro sì a farlo nascere e crescere in noi. Il Signore è «nato da Donna », scrive l’Apostolo. Come ogni essere umano: certo, la sua destinazione è il grembo di Dio; ma il rispetto per la qualità spirituale del grembo che l’ha portato da Dio a noi è la discriminante della qualità umana della nostra esistenza.

La donna comunica al corpo umano la sua sensibilità spirituale, fin dal concepimento, fin dalla gestazione. La donna che diventa madre non è una donna violata, consumata, di seconda scelta. La maternità deve apparire – ed essere trattata – come un valore aggiunto dell’autodeterminazione femminile, non come un uso e un abuso che le fa perdere valore. La società civile, la politica e tutta la comunità cristiana debbono impegnarsi a riconoscere il prestigio della maternità e il valore che la natalità rappresenta per i nostri tempi e per il Paese di cui siamo cittadini e cittadine. L’Assunta è Vergine e Madre, senza pregiudizio di entrambe. Il riscatto dall’attuale depressione escatologica della vita cristiana (e dell’umano che ci è comune) incomincia forse proprio da qui: da una madre che, proprio perché umile, ha saputo dire di sé: «grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente ». Il nostro Paese – il mondo – ha sempre più bisogno di grandi visioni e di uomini e donne umili che se ne lasciano appassionare e non hanno paura di donare la vita per trovarla. ( card. Matteo Maria Zuppi - presidente della Cei)

Vangelo Migrante:XX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 12, 49-53)

10 Agosto 2022 - Gesù non usa giri di parole: “sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! (...) Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”. Ma cosa sono questo fuoco e questa divisione di cui parla? Il Vangelo non è ottundimento e illusione ma “morso del più”: visione, coraggio, creatività, appunto, fuoco! Altro che oppio dei popoli! Dio non è neutrale: vittime o carnefici non sono la stessa cosa davanti a lui, tra ricchi e poveri, Dio ha delle preferenze e si schiera. Il Dio di Gesù Cristo non porta la falsa pace della neutralità o dell’inerzia, ma “ascolta il gemito” di chi lo invoca e prende posizione contro i faraoni di sempre. La divisione che porta evoca il coraggio di esporsi e lottare contro il male. Perché si può uccidere anche stando alla finestra, muti davanti al grido dei poveri e di madre terra, mentre soffiano il vento dell’odio, si chiudono approdi, si alzano muri, avanza la corruzione. Non si può restarsene inerti a contemplare lo spettacolo della vita che ci scorre a fianco, senza alzarsi a lottare contro la morte e ogni forma di morte. Altrimenti il male si fa sempre più arrogante e legittimato. Quel fuoco è l’alta temperatura morale che rende possibili le trasformazioni positive del cuore e della storia. Come quella fiammella che a Pentecoste si è posata sul capo di ogni discepolo e ha sposato una originalità propria, ha illuminato una genialità diversa per ciascuno. Abbiamo bisogno estremo di discepoli geniali, con fuoco. È questo che intende papa Francesco quando nella Evangelii Gaudium invita i credenti a essere creativi, nella missione, nella pastorale, nel linguaggio. Propone instancabilmente non l’omologazione, ma la creatività; invoca non l’obbedienza ma l’originalità dei cristiani. Fino a suggerire di non temere eventuali conflitti che ne possono seguire perché senza conflitto non c’è passione (EG 226). Un invito pieno di energia a non seguire il pensiero dominante, a non accodarci alla maggioranza o ai sondaggi d’opinione. Essere discepoli significa essere profeti: invito forte, anche se molte volte disatteso! Essere profeti anche scomodi, per Gesù significa far divampare quella goccia di fuoco che lo Spirito ha seminato in ogni vivente. (p. Gaetano Saracino)

Padre Kolbe e Magis: 17 profughi ucraini accolti al Cenacolo mariano di Bologna

11 Agosto 2022 - Bologna - 17 profughi ucraini sono stati ospitati, dallo scorso 3 marzo, presso il Cenacolo mariano delle Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe, a pochi chilometri da Bologna. Al progetto di accoglienza ha partecipato anche la Fondazione Magis contribuendo a renderlo concreto. I profughi ucraini sono stati messi nelle condizioni di poter maturare diverse scelte riguardo al loro futuro e hanno lasciato il Cenacolo in tempi diversi, tra metà giugno e fine luglio. Dal primo agosto è rimasta ospite solo una persona adulta. Le persone ospitate normo-udenti sono state 3 adulti e 4 minori. A fine luglio, le due mamme con i rispettivi figli hanno raggiunto i loro mariti in Ucraina. Sperano di poter rimanere nel loro Paese ma hanno già fatto richiesta di poter ritornare al Cenacolo mariano qualora dovessero sentirsi in pericolo. Sono state anche ospitate persone audiolese (8 adulti e 3 minori). Una famiglia i cui membri sono tutti sordomuti (marito, moglie al 7° mese di gravidanza al momento dell’arrivo al Cenacolo, ma ora con figlia neonata ed una figlia di 6 anni); un’altra mamma con la figlia di 10 anni, entrambe sordomute; un fratello e una sorella sordomuti; infine tre adulti (un uomo e due donne). La famiglia composta da marito, moglie e due bambine (la più piccola nata a Bologna a giugno) e la famiglia composta da 1 fratello ed una sorella hanno richiesto la protezione internazionale. I primi a metà giugno e i secondi a metà luglio si sono trasferiti nel centro di Bologna presso strutture Sai  (Sistema accoglienza integrazione). Intendono cercare lavoro e prendere la residenza a Bologna. Nel mese di giugno sono partiti anche gli altri ospiti non udenti: uno ha raggiunto la nonna in Francia, una mamma e la figlia invece hanno raggiunto parenti in Israele. Due donne adulte risiedono a Bologna, in attesa di rientrare in Ucraina appena possibile. In collaborazione con i medici sanitari dell’Usl di Sasso Marconi e Casalecchio di Reno si sono svolte visite, vaccinazioni, ed esami clinici.  

Il Complesso della Cattedrale accoglierà i ragazzi ucraini ospiti a Savona

11 Agosto 2022 -
Savona -  Nella mattinata di domani, 12 agosto, i bambini e ragazzi ucraini ospitati a Savona  parteciperanno ad una visita guidata con annessi laboratori artistici e musicali promossa dal Complesso Museale della Cattedrale. La presenza di una comunità ucraina affidata alla sede della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù ha infatti messo in moto l’interesse della Direzione e lo staff di animatori che già in primavera hanno accolto tanti gruppi scolastici per attività didattiche e di laboratorio, anche con la collaborazione dell'associazione Pro Musica Antiqua.
Alle ore 9 il gruppo di giovani e giovanissimi e i loro accompagnatori saranno accolti in piazza del Duomo. Dopo una visita animata alla Cattedrale Nostra Signora Assunta, al suo coro ligneo e al Chiostro Francescano verranno guidati in un laboratorio creativo sotto il fresco porticato e ad uno musicale nella Cappella Sistina con i suoni rinascimentali di Pro Musica Antiqua. L’iniziativa è stata pianificata dalla Direzione museale e da Maria Volvhak. "L'opportunità di visitare il patrimonio storico, artistico e culturale di Savona, per eccellenza il più identitario, ci sembra una forma di accoglienza completa e insieme essenziale per dare il benvenuto a chi è costretto a lasciare con violenza il proprio Paese e condividere almeno l’identità di una casa e di radici", dichiara la Direzione stessa.

A Edirne, lungo la “rotta impossibile”

11 Agosto 2022 -

Edirne  - Quaranta chilometri di cammino solo con i calzini ai piedi, senza le scarpe, sottratte oltrefrontiera durante il respingimento. Nessuno le ha più ridate a Yassine, cittadino tunisino di 49 anni, né agli altri che con lui avevano tentato di attraversare illegalmente il confine turco per entrare in Bulgaria. Intercettati e ricacciati indietro, hanno patito dalla polizia bulgara il trattamento che da anni i richiedenti asilo vanno descrivendo. Da aprile Yassine ci ha provato tre volte. In tutte e tre è stato picchiato. Ora negli occhi ha l’espressione di chi non si spiega tanta violenza, incredulo che quella sia l’Europa. «Potrebbero dirci che siamo illegali e che perciò non ci fanno passare, ma che bisogno c’è di picchiare la gente? Perché farla spogliare, derubarla di tutto, anche delle scarpe?». L’appuntamento con lui è all’ombra del porticato della Eski Cami, la moschea vecchia della città di Edirne, punta estrema della Turchia nord occidentale, a un passo dal confine con Grecia e Bulgaria, da anni tappa obbligata di chi percorre la rotta migratoria orientale cercando di entrare in Europa via terra. Da questa placida cittadina passano afghani, siriani, nordafricani, subsahariani. Quelli giunti in Grecia, dopo innumerevoli tentativi, sono 3.200 da gennaio. Erano stati 4.800 nel 2021, ma 14.800 nel 2019. I respingimenti, agli occhi di chi li compie, devono apparire efficaci.

«Eccole le nostre storie» ci dicono ragazzi di varie nazionalità, fuori da una tavola calda di Edirne. Si sollevano gli orli di pantaloni e magliette per mostrare i segni dei morsi dei cani della polizia bulgara, le manganellate di quella greca. «Nell’ultimo tentativo mi hanno preso lo zaino, i soldi e la giacca. È qualcosa che fa male, no? Poi avevano i cani. Non erano solo bulgari, tra gli agenti c’era chi parlava tedesco e polacco. Ci hanno picchiato senza ragione, alcuni ridevano. L’Unione Europea troverà una soluzione? La sentite la sofferenza delle persone?», riprende con le domande incalzanti Yassine. Sul versante greco, stessi rischi, uguale pericolo. Questa è la frontiera in cui a febbraio 19 uomini semisvestiti sono stati trovati morti congelati. La Turchia ha accusato Atene di averli respinti lasciandoli senza abiti, ma per i greci è solo «falsa propaganda». Dei respingimenti verso la Turchia riferiscono da anni Ong e stampa. Il 30 giugno la commissaria Ue agli Affari Interni Yl- va Johansson ha avvertito la Grecia che le «deportazioni violente e illegali » devono cessare. Già a ottobre era intervenuta in una plenaria della Commissione: «La violenza ai nostri confini non è mai accettabile. Soprattutto se è strutturale e organizzata ». Peccato che le parole non bastino, e i respingimenti continuino. A fine luglio, per giunta, sono emersi i dettagli di un rapporto “riservato” dell’Olaf, l’ufficio antifrode dell’Unione, in cui si documenta il coinvolgimento dell’agenzia europea Frontex nelle attività illegali della guardia costiera greca.

Ci raggiunge alla moschea anche Firas, siriano di Deraa, che oltre il confine non è mai arrivato. «La polizia turca mi ha catturato prima, e mi ha trattenuto in un campo per 65 giorni. Gli agenti turchi non si prendono soldi né vestiti, ma sono duri durante le detenzioni». All’ingresso della pensione dove alloggia incontriamo Amredka, un giovane somalo con un occhio gonfio e un taglio sopra lo zigomo. «È stata la polizia di frontiera», sussurra. «Sono qui da un anno e mezzo e non so più quante volte ci ho provato. Almeno nove, senza trafficanti. Quelli vogliono soldi, noi non li abbiamo. Perché dev’essere così difficile? ». Chi ha denaro si affida a contrabbandieri che da Istanbul garantiscono il trasporto a bordo di van. È l’esperienza di Wassim, afghano di Herat. Dopo cinque anni in Turchia, ne ha abbastanza di pregiudizi e vessazioni. «Se lavori vieni pagato la metà dei locali. A volte non sei considerato nemmeno un essere umano». Il 13 luglio ha raggiunto altre 35 persone in un cimitero di un sobborgo di Istanbul, punto d’incontro con il trafficante. 1.800 euro per arrivare oltreconfine, 3.500 per un posto sicuro in Grecia. Con 10 o 12mila euro (per le bustarelle ad agenti corrotti) ci si imbarca su navi dirette in Italia. Wassim, però, non possiede tanto denaro. «Alle 3 del mattino eravamo a Edirne. Una guida a piedi ci ha condotti al fiume (Evros, il confine, ndr). Lì abbiamo atteso le barche, piccole, a remi. Ci hanno trasportato a due a due». Una volta di là, i trafficanti hanno indicato il punto della boscaglia da cui passare, fino a una radura. «Ma messo piede allo scoperto si è acceso un faro, e la polizia greca è venuta fuori. Abbiamo fatto marcia indietro, ma alle nostre spalle sono comparsi altri poliziotti. È stata un’imboscata ». Agenti «con la bandiera greca sulle spalline e i passamontagna» hanno iniziato il pestaggio. «Con i manganelli, il calcio dei fucili, gli stivali. È rimasto coinvolto anche un bambino di 7 anni» prosegue Wassim. «Poi, hanno fatto spogliare nudi gli uomini, senza biancheria. Hanno lasciato vestite le donne, ma per perquisirle infilavano le mani dappertutto ». Via i soldi, i gioielli, ciò che aveva valore. «Siccome alcuni cuciono il denaro all’interno degli indumenti, i poliziotti hanno tagliato i tessuti con un coltello. Ci hanno persino detto di aprire la bocca, e hanno guardato dentro». (Francesca Ghirardelli)

Naufragio nell’Egeo: oltre 50 dispersi

11 Agosto 2022 -

Milano -  La strage non si ferma. Coi 50 dispersi nel drammatico naufragio avvenuto nell’Egeo ieri mattina, le acque del Mediterraneo, la “fossa comune” più vasta del Pianeta, hanno inghiottito solo quest’anno più di mille persone che tentavano la traversata verso l’Europa, fuggendo da guerre, miseria e carestie. E, nello stesso bacino, dall’inizio del 2022 oltre 15mila sono stati i migranti localizzati su navi alla deriva dalle unità di soccorso.

I dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) fanno rabbrividire ma la tragedia dei naufragi, col loro quotidiano bilancio di vittime, sembra non avere fine. L’anno scorso le partenze erano diminuite, ma negli ultimi mesi sono decisamente riprese e l’Italia, situata al centro del Mare Nostrum, è l’approdo più frequente dei barconi partiti dall’Africa o dai Paesi più disastrati dell’Asia (la questione, così, è tornata ad essere uno dei temi più divisivi – e strumentalizzati – della campagna elettorale).

Dall’alba di ieri nel Mar Egeo due navi della Marina ellenica coadiuvate da un elicottero dell’Aviazione e dalle motovedette della capitaneria di porto di Rodi cercano una cinquantina di migranti che sono stati sbalzati via da una barca salpata la sera prima da Antalya, sulle coste turche, e diretta in Italia: le forti raffiche di vento avrebbero fatto capovolgere l’imbarcazione, appesantita dal suo carico dolente, che è affondata al largo dell’isola di Karpathos. I soccorritori della Guardia costiera greca sono riusciti a salvarne 29, tra afghani, iraniani e iracheni, ma gli altri occupanti del caicco fino alla tarda serata risultavano ancora dispersi. Poche, purtroppo, le speranze di poterli recuperare ancora vivi, molti di loro infatti sono finiti in mare, secondo le testimonianze dei sopravvissuti, senza indossare i giubbotti di salvataggio.

Sempre secondo l’Oim, dal gennaio scorso sono morte 64 persone solo nel Mediterraneo orientale (Egeo), mentre erano state 111 nel 2021. Il numero di arrivi di rifugiati e migranti in Grecia quest’anno è aumentato, secondo il governo ellenico: si tratta in particolare di esuli provenienti dalla Turchia. Per questo Atene accusa Ankara di aver chiuso un occhio sui trafficanti di uomini e allentato i controlli nei porti e nel mare territoriale permettendo così ai migranti di raggiungere la Grecia in violazione degli accordi del marzo 2016 che prevedevano un impegno da parte delle autorità turche per limitare l’immigrazione dal suo territorio in cambio di aiuti finanziari europei. La Turchia, naturalmente, nega ogni accusa e la polemica con la Grecia – che su questo tema si trascina ormai da anni – continua, mentre le persone muoiono affrontando il salto della traversata, spesso ricattati da scafisti senza scrupoli. Ma non è finita. Sempre ieri sei profughi – tre donne e altrettanti bambini – hanno perso la vita in un naufragio al largo del litorale tunisino: una ventina sono stati tratti in salvo mentre si cercano ancora eventuali altri superstiti. Nelle ultime ore sono proseguiti gli sbarchi sulle coste italiane anche lungo la rotta centrale del Mediterraneo: a Lampedusa se ne sono contati sei, mentre a Roccella Ionica, in Calabria, nel terzo approdo in sei giorni sono arrivati 59 migranti. (Fulvio Fulvi . Avvenire

Marcinelle: Fico, esigenza governare flussi di chi cerca lavoro

8 Agosto 2022 - Roma - In occasione del sessantaseiesimo anniversario della tragedia di Marcinelle e della Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, "desidero unirmi a voi nel ricordo dei centotrentasei lavoratori italiani e dei tanti altri provenienti da numerosi Paesi che persero la vita nella miniera del Bois du Cazier2. Lo scrive, in una nota, il presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico: "fu quella la più grande sciagura sul lavoro della storia del nostro Paese, una pagina dolorosa di cui ancora oggi si ricorda la tragica portata . E che - ha aggiunto - ci fa ripercorrere le storie di sofferenza e di esclusione vissute dai nostri emigrati che, per sfuggire alla povertà, hanno conosciuto sacrifici e umiliazioni. Ancora oggi, in Italia e nel nostro continente, le morti sul lavoro rappresentano una piaga grave ed inaccettabile, in aperto contrasto con i principi comuni ai nostri ordinamenti e con i valori di una società che abbia come priorità la tutela dei lavoratori e della loro dignità. Grazie al processo di integrazione europea, c'è stata un'evoluzione in termini di riconoscimento dei diritti dei lavoratori nell'Unione. Ma altri passi vanno fatti per garantire la convergenza di tutti gli Stati membri verso livelli massimi di sicurezza sul luogo di lavoro. La memoria di Marcinelle - aggiunge il presidente della Camera - e delle storie dell'emigrazione italiana devono inoltre richiamare la nostra attenzione sulla esigenza di governare a livello europeo, con regole e strumenti comuni ed equi, i flussi di persone che cercano nel nostro continente, lontano dal proprio Paese, una opportunità di vita e lavoro dignitosa. La ricorrenza odierna deve infine essere l'occasione per ricordare i tanti italiani, uomini e donne, che operano in molte parti del pianeta in esperienze professionali o di ricerca, in attività di volontariato o nella promozione dei valori della pace, della cooperazione, della solidarietà. Alcuni di loro hanno perso, in tragiche circostanze, la vita nell'assolvimento degli impegni e nella realizzazione dei progetti di vita. È in tutti loro che continua a rispecchiarsi, oggi come sessantasei anni fa, una delle immagini migliori del nostro Paese. Con questi sentimenti, e ringraziando il dott. Jean Louis Delaet, che nel suo ruolo di direttore del complesso museale del Bois du Cazier si è impegnato in questi anni nel dare risalto al contributo degli immigrati italiani in Belgio, invio a voi tutti i miei più sentiti auguri per il pieno successo dell'iniziativa", conclude Fico.

Marcinelle: Casellati, ricordo sempre vivo nella memoria collettiva

8 Agosto 2022 - Roma - Il presidente del Senato,  Maria Elisabetta Alberti Casellati ha voluto rivolgere oggi il suo saluto e quello di tutto il Senato della Repubblica ai partecipanti alla commemorazione dell'anniversario della tragedia di Marcinelle. Il ricordo -ha scritto in un messaggio -  delle 262 vittime di quella terribile sciagura, di cui 136 connazionali, "resta sempre vivo nella memoria individuale e collettiva".  "Le storie  - ha aggiunto - di questi lavoratori sono l'espressione della volontà di riscatto, del coraggio e della tenacia di intere famiglie che, nel secondo dopoguerra, lasciarono il loro paese d'origine per cercare un futuro migliore. Il loro sacrificio e la loro determinazione hanno dato un contributo fondamentale alla costruzione dell'Italia di oggi e al rafforzamento delle radici della stessa Unione Europea. Guardiamo dunque a quel passato doloroso con la consapevolezza che i vincoli di solidarietà tra persone e popoli, e un rinnovato sentimento di condivisione e reciproca fiducia, ci consentiranno di affrontare le sfide così complesse del nostro presente".

Migrantes Campania: costruire il futuro con i migranti e i rifugiati

8 Agosto 2022 - Napoli - Il giorno 01 agosto 2022 al porto di Salerno è attraccata la nave Ocean Wiking che portava in salvo 387 migranti soccorsi nel mar Mediterraneo e provenienti da diversi paesi : Mali, Costa d’Avorio, Nigeria, Eritrea, Egitto, Bangladesh, Gambia, ecc.., terre tormentate da violenza e miseria che, è sotto i nostri occhi, aumentano più che diminuire, complici le crisi internazionali legate anche alla guerra in Ucraina e che ci chiedono di essere pronti a rendere disponibili porti sicuri per poi procedere ad una immediata e attenta gestione degli arrivi sul nostro territorio. La procedura di sbarco e di prima accoglienza ha visto impegnate le diverse istituzioni, l’associazionismo e diverse Caritas diocesane per il ristoro ed i beni di prima necessità. Si è messa in moto una grande macchina di accoglienza che ha permesso di collocare i numerosi fratelli e sorelle migranti in diversi centri di accoglienza nella nostra regione. Dall’incontro con i fratelli arrivati, dai loro sguardi, dalle loro storie emerge fin da subito la necessità di impegnarci con costanza ed attenzione : all’ACCOGLIENZA, intesa come ferma volontà di incontro, di ascolto, di conoscenza, di superamento delle paure reciproche all’ACCOMPAGNAMENTO nella quotidianità della vita in un paese nuovo, diverso per tradizioni, cultura, storia dal loro paese di origine e di partenza all’INTEGRAZIONE nei percorsi di inserimento umano, sociale, scolastico, lavorativo. attraverso la PROMOZIONE del valore della PERSONA ed alla centralità del SOGNO che ha visto questi nostri fratelli partire dalle loro terre di origine nella ricerca di una vita migliore, lontana da guerre, da carestie, da crisi ambientali o difficoltà di vita e nella speranza di aiutare nella terra natia i propri cari. Fare nostra la loro domanda di pace e di speranza aiuterà anche noi a costruire un futuro migliore per tutti. Accanto alle risposte, concrete e corrette, ai bisogni primari a carico dei diversi interlocutori, l’impegno costante che ci vedrà impegnati sarà il “camminare accanto” anche per la CURA di tutti gli aspetti della loro vita, come ad esempio nel curare i legami con affetti lasciati, nel curare la spiritualità e la fede professata Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione. (Papa Francesco – Messaggio per la GMMR 2022) Il Vescovo delegato Migrantes - Mons. Giuseppe Mazzafaro Il coordinatore Migrantes Campania - Antonio Bonifacio

Migrantes: 8 agosto, la giornata del lavoro italiano all’estero

8 Agosto 2022 - Roma - L’8 agosto di ogni anno - giorno del ricordo della tragedia di Marcinelle, in Belgio, dove morirono 262 minatori, oltre la metà dei quali italiani – è diventata la Giornata del ricordo dei lavoratori italiani neòl mondo, di ieri e di oggi. L’Europa è stata ricostruita nel Dopoguerra grazie anche il sacrificio di tanti lavoratori italiani emigrati all’estero: come anche la ricostruzione italiana deve molto ai sacrifici e alle rimesse di milioni di lavoratori italiani emigrati all’estero, soprattutto nei Paesi europei, lontani dai loro familiari. Questo sacrificio, questo lavoro dei nostri emigranti continua anche oggi, con molti giovani e famiglie costretti a lavorare all’estero. L’unica Italia che cresce – come ha ricordato l’ultimo Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes -  è l’Italia all’estero. Anche oggi non sempre il lavoro italiano nel mondo, come quello degli immigrati in Italia, viene riconosciuto nei diritti fondamentali: precarietà, lavoro nero, sfruttamento avvengono anche in altri Paesi nei confronti dei nostri lavoratori. Questa Giornata ricorda i tanti lavoratori di ieri, ma non può dimenticare questi tanti lavoratori italiani di oggi che vivono all’estero. C’è un legame che il nostro Paese non può dimenticare e che deve crescere nell’attenzione alla tutela dei diritti civili e sociali, nelle pari opportunità. Anche l’Italia nel mondo è fondata sul lavoro, e i lavoratori all’estero non possono essere dimenticati, anche dalla Chiesa, che cammina con loro. (Mons. Gian Carlo Perego - Presidente Fondazione Migrantes)

Marcinelle: Cisl, ricordo delle tante vittime un monito forte per tutti

8 Agosto 2022 -
Roma - “Sessantasei anni fa la tragedia di Marcinelle una delle pagine più buie dell’immigrazione italiana nel mondo. Il ricordo dei quei morti continua ancora oggi ad essere un monito forte per tutti. Accoglienza, integrazione , sicurezza , inclusione sono la base di un’Europa davvero coesa e unita”. E’ quanto sottolinea su twitter il Segretario Generale della Cisl Luigi Sbarra ricordando oggi l’anniversario della tragedia di Marcinelle dove morirono 262 minatori di cui 136 italiani.

Marcinelle: Mattarella, l’emigrazione italiana e il sacrificio che questa ha comportato hanno segnato l’identità dell’Italia

8 Agosto 2022 - Roma – “L’emigrazione dei nostri connazionali e il sacrificio che questa ha comportato hanno segnato l’identità dell’Italia e anche lo stesso processo d’integrazione europea”. Lo scrive oggi il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, in occasione del 66°anniversario della tragedia di Marcinelle e della 21° Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo. Il Capo dello Stato ha voluto rivolgere “un commosso pensiero” ai minatori che l’8 agosto 1956 perirono a Marcinelle. Quella tragedia costò la vita, tra gli altri, a 136 italiani. “Le dolorose esperienze dei lavoratori migranti, maturate nei decenni precedenti il Trattato di Maastricht – ha scritto ancora Mattarella - hanno sollecitato la promozione dei diritti dei lavoratori al livello europeo, contribuendo alla creazione di un’Europa coesa, solidale, fondata anche su un pilastro sociale”. Il Presidente della Repubblica, rinnovando ai familiari delle vittime di quella tragedia e di tutti gli altri episodi che hanno “tristemente coinvolto i nostri connazionali in altri contesti, i sentimenti di solidale partecipazione al loro dolore” ha rivolto a tutti gli italiani che lavorano all’estero, “le espressioni della riconoscenza della comunità nazionale”.

Italiani nel Mondo: oggi il 66mo anniversario della tragedia di Marcinelle

8 Agosto 2022 - Bruxelles - Ricorre il 66 anniversario della tragedia avvenuta l'8 agosto del 1956 al Bois du Cazier di Marcinelle che costò la vita a 262 minatori, dei quali 136 italiani. Questa mattina la commemorazione negli spazi della miniera di carbone, oggi patrimonio dell'Unesco. A dare il via alle cerimonia, la lettura dei nomi delle vittime e i 262 rintocchi di campana che scandiscono i minuti che, 66 anni fa, furono teatro della tragedia. Alla cerimonia partecipano, il segretario del Pd Enrico Letta e l'ambasciatore italiano in Belgio Francesco Genuardi, i familiari delle vittime di Marcinelle, una delegazione di lavoratori venuti dall'Italia e impegnati in altre miniere del Belgio, una delegazione degli Alpini e, per la prima volta dopo diversi anni, un gruppo di studenti del liceo romano Francesco Vivona. (R.I.)