Tag: Mobilità umana e migrazioni

C’è un oltre l’8 marzo

8 Marzo 2021 - Roma - In prima pagina quattro immagini di donne: Ann Nu Thawng, la suora birmana inginocchiata davanti alla polizia, dietro le sbarre il volto della giornalista bielorussa Katerina Borisevich in lotta contro le menzogne del presidente Lukashenko, la regista cinese Chloe Zhao che ha destinato il prestigioso premio cinematografico Golden Globe ai nomadi, Hatice Cengiz compagna del giornalista Jamal Khashoggi massacrato il 2 ottobre 2018 nella sede del consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul. Alle quattro immagini apparse sui giornali nella prima settimana di marzo si è affiancata quella della diciannovenne Angel ritratta poco prima di venire uccisa dagli agenti birmani: indossava una maglietta con la scritta “Andrà tutto bene”. Donne in prima linea nella difesa e nella promozione dei diritti umani, i diritti di tutti. Con loro altre donne che nelle loro terre hanno cambiato e stanno cambiando la direzione della storia. Donne che contestano con la forza della non violenza e sfidano in ginocchio o in carcere la stessa violenza. Le donne, di cui parlano le immagini di questi giorni, sapevano e sanno di avere di fronte un potere dato per incrollabile. Non si sono arrese, sono vissute e vivono l’attesa di un “oltre”, un’attesa fatta di custodia di un sogno in piccola parte diventato realtà e in gran parte da realizzare. Le radici del sogno sono nell’accoglienza, dentro sé stesse, di una vita nuova. Sono dentro un’esperienza che suscita uno sguardo lucido sul presente e sul futuro. «La lucidità - si legge nel mensile di marzo “Donne Chiesa Mondo” de L’Osservatore Romano - è quella capacità di vedere chiaramente la realtà, alla luce della verità, non di ragionare per emozioni, sotto il giogo di percezioni errate. Si può dedurre che le donne hanno questa qualità in dotazione, fin dalla nascita? Più degli uomini?». Le risposte non possono che essere il frutto di una riflessione limpida, libera da ideologie, da luoghi comuni, da pregiudizi. C’è un “un oltre l’8 marzo” da mettere in agenda. È un oltre da coltivare nella coscienza del mondo perché i giovani e le giovani crescano senza essere prigioniere di dualismi alimentati da diversi poteri. Le immagini delle donne dell’oltre che pagano a caro prezzo la loro passione per la dignità di ogni persona confermano che il cammino è ancora lungo ma è possibile e vale la pena continuarlo. Quei volti si rivolgono all’opinione pubblica per scuoterla, avvertono che la società sta cambiando, annunciano al mondo nuovi orizzonti di senso. (Paolo Bustaffa)    

Scalabriniane nella Giornata internazionale della donna: Covid non faccia chiudere gli occhi sulle violenze e sugli abusi

8 Marzo 2021 - Roma - «Il Covid non può far chiudere gli occhi davanti a una crisi economica e sociale senza precedenti e a un traffico di esseri umani che continua a contraddistinguere i Paesi più poveri del mondo. Più di una donna migrante su due è vittima di abusi psicologici e fisici, quasi quattro su dieci sono state colpite da torture. Sono questi numeri che devono far capire come l’aiuto alle donne che si trovano in situazioni che le rendono vulnerabili, in Italia, come nel resto del mondo, sia una delle priorità da seguire. Anche durante questo periodo di pandemia». A dirlo è suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Suore missionarie Scalabriniane in occasione della Giornata internazionale della donna che si celebra oggi, 8 marzo. “Questi numeri testimoniano che nell’agenda dei decisori politici non può esserci solo la gestione dell’emergenza coronavirus, pur se prioritaria e importante – ha aggiunto – Le donne hanno un ruolo fondamentale nella famiglia, nello sviluppo dei figli, della voglia di riscatto e crescita che deve contraddistinguere questo momento storico. Grazie alle intenzioni del Santo Padre abbiamo creato case di accoglienza ‘a tempo’, come quelle aperte a Roma del progetto ‘Chaire Gynai’, dove diamo modo a persone in condizioni di fragilità e semi-autonome di potersi integrare e vivere una nuova vita tutta a colori. Se da una parte la rete sociale vuole accogliere, integrare, proteggere e promuovere, dall’altra è opportuno che gli Stati di tutto il mondo decidano una linea chiara nella lotta contro la tratta, il traffico e la violenza contro le donne. Proteggerle vuol dire proteggere la vita, sempre, perché un mondo senza le donne sarebbe sterile, perché loro sanno guardare ogni cosa con occhi materni che vedono oltre e sono capaci di fare nascere la solidarietà e la fraternità universale dal di dentro dello stesso dramma dell’emigrazione, in vista di cieli nuovi e una terra nuova! Grazie a tutte le donne che si dedicano per difendere la vita e la dignità della condizione femminile, rese vulnerabili dallo sfruttamento e dall'ingiustizia».  

Regione Puglia: una seduta straordinaria del Consiglio Regionale per celebrare il trentennale dell’emigrazione albanese

5 Marzo 2021 - Bari - Il 7 marzo del 1991 la città di Brindisi si risvegliò con decine di navi, con a bordo 27mila albanesi, provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico. E poi lo sbarco a Bari della nave Vlora, l’8 agosto del 1991, con l’arrivo di 20mila albanesi. Avvenimenti che hanno segnato profondamente i rapporti tra il popolo pugliese e il popolo albanese. La Regione Puglia nel trentennale dell’emigrazione albanese, oggi ricorderà questi eventi con una seduta straordinaria del Consiglio regionale alla quale parteciperanno il Primo Ministro dell’Albania Edi Rama ed il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio Insieme al presidente della Regione Michele Emiliano ed alla presidente del Consiglio Loredana Capone saranno presenti in aula capigruppo e presidenti di Commissione, la delegazione del governo albanese con il Ministro di Stato per la Ricostruzione Arben Ahmetaj, il Ministro della Salute e dell'assistenza sociale Ogerta Manastirliu, il Ministro dell'istruzione, dello Sport e della Gioventù Evis Kushi, e Fate Velaj, Membro del Parlamento, il vice ministro sen. Teresa Bellanova ed i sottosegretari on. Assuntela Messina, Anna Macina, Rosario Sasso, Ivan Scalfarotto e Francesco Paolo Sisto. Presenti anche i massimi rappresentanti diplomatici, l’Ambasciatore d’Italia a Tirana Fabrizio Bucci, l’Ambasciatore della Repubblica d’Albania Anila Bitri Lani e la Console generale della Repubblica d’Albania in Italia Gentiana Mburimi. Il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli interverrà in video Tra gli eventi che precederanno la seduta consiliare è prevista l’inaugurazione della mostra “Exodus”, a cura di Nicola Genco, allestita nell’Agorà del Palazzo del Consiglio regionale e l’esibizione del violoncellista Redi Hasa. Negli stessi spazi è allestita la mostra “Compagni e Angeli” a cura di Alfredo Pirri. I Rettori delle Università Pugliesi consegneranno al Primo ministro Rama una copia del Manuale per la ripartenza “Regioni Sicure” tradotto in lingua albanese e redatto grazie al lavoro di 130 personalità del mondo scientifico delle quattro Università con il coordinamento dell’associazione culturale “L’Isola che non c’è”.  

Istat: peggiorano le condizioni di famiglie sia con stranieri sia di soli italiani

5 Marzo 2021 -

Roma - Peggiorano le condizioni di famiglie sia con stranieri sia di soli italiani. Lo sottolinea l'Istat nel report sulle "stime preliminari povertà assoluta e elle spese per consumi". Nel 2020, l’incidenza di povertà assoluta passa dal 4,9% al 6,0% tra le famiglie composte solamente da italiani, dal 22,0% al 25,7% tra quelle con stranieri, che conoscono una diffusione del fenomeno molto più rilevante e tornano ai livelli del 2018. Tuttavia, tra il 2019 e il 2020 si riduce la quota di famiglie con stranieri sul totale delle famiglie povere, passando da oltre il 30% al 28,7% (più del 31% nel 2018). Questo seppur limitato cambiamento strutturale si può imputare al considerevole incremento di famiglie povere composte solamente da italiani che rappresentano circa l’80% delle 335mila famiglie in più che si contano nel nostro Paese nel 2020. 

La missione della famiglia

4 Marzo 2021 - Roma - La Chiesa, illuminata dalla fede, che le fa conoscere tutta la verità sul prezioso bene del matrimonio e della famiglia e sui loro significati più profondi, ancora una volta sente l'urgenza di annunciare il Vangelo, cioè la "buona novella" a tutti indistintamente, in particolare a tutti coloro che sono chiamati al matrimonio e vi si preparano, a tutti gli sposi e genitori del mondo. (Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, n.3, 22 novembre 1981)   Con queste parole, in uno dei suoi primi numeri, si apre Familiaris Consortio la grande Esortazione Apostolica sui compiti della famiglia cristiana. Un pilastro del magistero sul matrimonio che Giovanni Paolo II scrisse a seguito del Sinodo dei Vescovi, dedicato allo stesso argomento che si tenne a Roma dal 25 settembre al 25 ottobre del 1980. Il Papa che da anni stava già tenendo le sue catechesi sull’amore umano, decide di dedicare un intero documento al tema della famiglia dando dimostrazione di avere molto a cuore che gli sposi cristiani si sentano investiti di una missione specifica di evangelizzazione a partire dal dono di grazia del sacramento ricevuto. Nei primi paragrafi il Papa riprende la dottrina espressa nelle catechesi secondo cui nel matrimonio gli sposi devono poter tornare sempre alla origine, alla volontà del Creatore “in principio” perché lì, secondo le parole di Cristo, si trova la “realizzazione integrale del disegno di Dio”. Siamo in un momento storico, diceva il Papa agli inizi degli anni ottanta, in cui la famiglia è sotto la pressione di forze che cercano di snaturarne il senso o di deformarla. Una tendenza che non è mai andata scemando nel tempo e che anzi, oggi a quarant’anni di distanza possiamo percepire ancora più forte e pervasiva. L’approccio della Chiesa, però, allora come adesso è sempre quello di non perdere la speranza e analizzare il suo tempo con un’indagine attenta ed onesta della situazione reale. Per questo la prima parte dell’Esortazione è dedicata a passare in rassegna le luci e le ombre della famiglia nel contesto attuale. Ai laici cristiani che hanno intrapreso la via del matrimonio è chiesto di intraprendere la via di un discernimento attento che essi per primi possono fare in virtù della loro particolare vocazione. Essi “hanno il compito specifico di interpretare alla luce di Cristo la storia di questo mondo”. A fronte di “visioni e proposte anche seducenti ma che compromettono in diversa misura la verità e la dignità della persona umana”, gli sposi con la Chiesa sono chiamati a prendere posizione, a mettere in campo il loro carisma specifico. Il Papa riconosce che nel mondo vi è una coscienza più viva della libertà personale, un’attenzione maggiore alle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla dignità della donna e all’educazione dei figli, A fronte di ciò, però, vi sono segni di “preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali”. Per esempio una errata concezione dell’indipendenza dei coniugi fra di loro, il mal interpretato principio di autorità nei rapporti coi figli, il numero crescente dei divorzi, la piaga dell’aborto, una mentalità contraccettiva. A ciò si aggiunga che mentre nei Paesi del benessere prevale quasi la paura nei confronti della vita, vista come un pericolo da evitare, nei Paesi del Terzo Mondo mancano i mezzi fondamentali per la sopravvivenza e i discorsi da rivolgere alle famiglie di quei luoghi non possono che essere completamente diversi rispetto a quelli dei Paesi Occidentali. In questo contesto così variegato, il Papa, che deve tener conto di dover parlare al mondo intero, non rinuncia a richiamare tutti ad un esame di coscienza, che faccia riscoprire il primato dei valori morali. In quest’ottica l’invito è ad una sempre rinnovata conversione, non estemporanea, non una volta per tutte, ma in un “processo dinamico che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”. Un processo questo che si deve avvalere anche del metodo dell’inculturazione, quel principio, affermato dal Concilio, secondo il quale la Chiesa potrà camminare verso una conoscenza sempre più completa della verità acquisendo da tutte le culture quei germi di sapere che contribuiscono a esprimere le inesauribili ricchezze di Cristo. Questo, dunque, l’intento della esortazione apostolica che andremo a leggere in alcuni suoi passi, consapevoli che essa è una pietra miliare della dottrina e della pastorale famigliare e si colloca come architrave tra l’enciclica Humanae Vitae che abbiamo già visitato e la più recente esortazione apostolica Amoris Laetitia scritta da papa Francesco nel 2016 anch’essa all’indomani di un altro sinodo sulla famiglia. (Giovanni M. Capetta - Sir)

A fianco dei ministri di Dio più minacciati

3 Marzo 2021 - Roma - Padre John Gbakaan, parroco di Sant'Antonio di Gulu, nella diocesi nigeriana di Minna, è stato rapito il 15 gennaio scorso e poi brutalmente assassinato a colpi di machete. Il corpo senza vita di Padre Rodrigue Sanon, parroco nella diocesi di Banfora in Burkina Faso, è stato ritrovato il 21 gennaio scorso a tre giorni dal sequestro i cui autori, secondo fonti locali, sarebbero vicini ai militanti islamisti. Il successivo 24 gennaio Don Rene Regalado è stato assassinato nei pressi del monastero carmelitano di Malaybalay, nelle Filippine. Non sono titoli di cronaca nera bensì un estratto del tragico bollettino, nel solo scorso gennaio, delle vittime appartenenti al clero delle comunità cristiane minacciate in questi tre Paesi, inclusi da Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) nella lista delle venti nazioni più rischiose per i nostri fratelli nella fede. Gli ostacoli all'evangelizzazione sono molteplici, e non provengono solo dalla persecuzione o dalla criminalità. Facciamo qualche altro esempio concreto. La diocesi di Tezpur si trova nello stato indiano nord-orientale dell'Assam. I circa 195.000 cattolici locali rappresentano una piccolissima minoranza tra gli 84 milioni di abitanti. Le famiglie vivono in piccole capanne in condizioni igieniche precarie. I sacerdoti cattolici annunciano loro la Buona Novella, ben accolta da molti. Dato che anche la diocesi è molto povera il vescovo Michael Akasius Toppo si è rivolto ad ACS: «Stiamo cercando di portare il messaggio redentore di Cristo ma abbiamo bisogno di una mano. Confido nella vostra generosità, e vi chiedo offerte per la celebrazione di Messe. I nostri sacerdoti saranno per sempre grati e ricorderanno i benefattori sull'altare». Molte richieste ci giungono anche dall’Africa. Don Henry Saileri Mauawa, ad esempio, è un insegnante del seminario di San Kizito, in Malawi. «Le scuole sono state chiuse il 23 marzo 2020 a causa della diffusione del coronavirus» e ciò, prosegue, «è stato un duro colpo perché ha fatto scomparire il piccolo sostegno per noi sacerdoti in servizio nel seminario». Anche per loro le offerte per la celebrazione di Messe sono essenziali. Mons. Richard Kitengie, amministratore diocesano di Kabinda nella Repubblica Democratica del Congo, ci ha scritto che «con le ultime misure assunte per limitare la diffusione del Covid-19 i nostri sacerdoti che vivono essenzialmente grazie alle offerte domenicali stanno sperimentando grandi difficoltà e non sono più in grado di far fronte ai propri bisogni primari». Per questo motivo le offerte per la celebrazione di Messe secondo le intenzioni dei benefattori «vengono accolte come un intervento celeste», come uno «strumento della Provvidenza». Non può mancare una voce dal martoriato Medio Oriente. Fra le tante abbiamo scelto quella di mons. Denis Antoine Chahda, arcivescovo di Aleppo in Siria: «Nel corso delle nostre numerose visite in diverse nazioni del mondo abbiamo visto di persona quanti stanno contribuendo a salvare migliaia di persone attraverso le loro semplici donazioni». Non solo grandi e facoltosi donatori ma anche «lavoratori, impiegati e anche persone con reddito molto basso», tutti accomunati da un sentimento: «Loro avvertono quanto sta accadendo in Paesi che sono sotto il peso della guerra e che sperimentano la carestia», racconta il prelato. Anche per i sacerdoti siriani le offerte per Messe sono fondamentali. Nel corso del 2020 i benefattori di ACS hanno donato generosamente consentendo la celebrazione di 1.782.097 Messe in tutto il mondo. Le offerte hanno complessivamente sostenuto 45.655 sacerdoti e molto spesso anche i fedeli più poveri che ordinariamente si rivolgono a loro. Per contribuire a questa grande comunità di fede e carità cristiane, per essere concretamente a fianco dei ministri di Dio più minacciati, può utilizzare il materiale di Aiuto alla Chiesa che Soffre allegato a questo numero. Nessuna persecuzione, nessuna carestia potranno fermare l’azione apostolica della Chiesa se, con l'aiuto della Provvidenza, la nostra concreta solidarietà sosterrà lo sforzo di tanti eroici ministri di Dio. (Massimiliano Tubani)    

Pakistan: questa sera preghiera in ricordo di Shahbaz Bhatti

2 Marzo 2021 - Roma – Questa sera, alle 20, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma, durante la preghiera serale della Comunità di Sant’Egidio, sarà ricordato il ministro pakistano cristiano Shahbaz Bhatti, ucciso a Islamabad dieci anni fa, il 2 marzo 2011, a causa del suo impegno nella difesa dei cristiani e di tutte le minoranze. La preghiera sarà presieduta da mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone, presidente della Commissione Episcopale per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI. Amico e fratello di Sant'Egidio, uomo di pace e di preghiera, collaborava per promuovere il dialogo tra le religioni nel suo paese. La sua Bibbia, sulla quale sostava ogni giorno, è custodita nel Santuario dei Nuovi Martiri della basilica di San Bartolomeo all'Isola Tiberina.  

Congolesi a Roma: domenica celebrazione eucaristica per ricordare l’ambasciatore e il carabiniere e pregare per la pace in Congo

26 Febbraio 2021 -

Roma - «Di fronte a questa tragedia che ha causato la morte del nostro caro Ambasciatore d’Italia nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e di Mustafa Milambo, autista congolese, la comunità congolese a Roma è rimasta profondamente sconvolta e addolorata». Lo dice a http://www.migrantesonline.it don Sylvestre Adesengie, Cappellano della Comunità cattolica Congolese di Roma, dopo la tragedia dei giorni scorsi. «Per l'ennesima volta, la comunità congolese piange delle morti innocenti e piange tanti congolesi - aggiunge il sacerdote  - uccisi nel paese senza motivo e si chiede il perché di questa violenza.  La nostra comunità, costituita da famiglie, lavoratori, studenti, religiosi e religiose, preti, che considera l’Italia come suo secondo Paese, prega per la pace nel mondo e in modo speciale per il Congo tanto martoriato».  E domenica nella chiesa della Natività del Nostro Signore Gesù Cristo a Roma, alle ore 11, una celebrazione eucaristica per ricordare in modo particolare «il nostro caro ambasciatore Luca e Vittorio uccisi in Congo». Per questa celebrazione la comunità cattolica congolese in Italia ha invitato le autorità comunali di Roma e i  due ambasciatori a Roma.  «La comunità congolese - dice don Sylvestre - presenta le sue sentite condoglianze alle famiglie dell’Ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Iacovacci, alle istituzione italiane e all’intero Paese Italia  e condanna questo gesto vile, barbarico e crudele, chiedendo chiarezza e verità su  ciò  che è accaduto». (R. Iaria)

Podcast per raccontare l’integrazione

25 Febbraio 2021 - Roma - Racconti, testimonianze, analisi e proposte per far conoscere le gioie e le fatiche del percorso di integrazione dei cittadini stranieri in Italia. Prendono il via oggi i podcast realizzati dalla Caritas di Roma, dal Centro Astalli e dall’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo nell’ambito del Progetto «Rafforzare #Integrazione, Costruire #Ospitalità. 2». L’iniziativa mira a fornire un sostegno concreto all’inclusione socio-lavorativa e abitativa dei titolari di protezione internazionale usciti da non più di 18 mesi dal circuito dell’accoglienza pubblica, attraverso un sistema di accoglienza diffusa gratuita presso parrocchie e istituti religiosi del territorio di Roma, dicono i promotori. Per ognuno dei destinatari viene attivato un "Piano di intervento", insieme composito di strumenti e misure, anche di carattere finanziario, di integrazione ai quali attingere in base ai propri bisogni. Il progetto si pone anche l’obiettivo di promuovere e rafforzare la cultura dell’accoglienza intesa come capacità della società civile di attivarsi e mettersi in gioco per superare le disuguaglianze sociali, le diffidenze e i pregiudizi reciproci favorendo in un contesto di prossimità la conoscenza l’uno dell’altro. Una campagna di comunicazione promuoverà le buone pratiche messe in atto attraverso l’utilizzo dei social network. Sono previsti 20 podcast, con diffusione quindicinale, ai quali faranno seguito anche pubblicazioni, webinar e altre iniziative di sensibilizzazione. I podcast sono disponibili nella web-radio “On the move” (https://www.onthemoveradio.it).  

Incontrare e accogliere, per una comunicazione ospitale

25 Febbraio 2021 - Roma - La comunicazione ha una qualità connaturata: l’ospitalità. Molto spesso contesti e indole interiore soffocano questa caratteristica, con deviazioni etiche e deontologiche. Comunicare non è solo trasmettere notizie: è disponibilità, arricchimento reciproco, relazione. Solo con un cuore libero e capace di ascolto attento e rispettoso, la comunicazione può costruire ponti, occasioni di pace senza infingimenti. E l’ospitalità è una possibilità perché ciò avvenga: questa, infatti, agisce non solo su chi viene accolto ma anche su chi accoglie. Nella comunicazione gli incontri da persona a persona sono indispensabili. L’incontro permette inoltre di capire meglio le proprie radici e approfondire la propria identità. Una sfumatura importante con cui rileggere il messaggio di Papa Francesco per la 55ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. (Vincenzo Corrado)

Brasile: venti anni fa la morte di don Lanciotti, gravemente ferito in un attentato

22 Febbraio 2021 - Roma - Una “vita donata” è la sintesi della vita di don Nazareno Lanciotti, morto 20 anni fa, il 22 febbraio 2001, in Brasile dopo essere stato ferito gravemente da alcuni sicari undici giorni prima, l’11 febbraio, nella sua canonica di Jauru, dove era arrivato nel novembre 1971, all’età di 31 anni. Nelle stesse ore in cui padre Nazareno tornava alla casa del Padre, papa Giovanni Paolo II creava nuovi cardinali durante il quale parlava della testimonianza fino al martirio. Tra i nuovi porporati Jorge Maria Bergoglio. La vita e le opere del missionario sono oggi all’esame della Congregazione per la Causa dei Santi dopo lo svolgimento della fase diocesana a São Luiz de Cáceres. Nato a Roma il 3 marzo 1940, dopo gli studi nel seminario di Subiaco, e ordinato sacerdote nel 1966, svolge i suoi primi anni di ministero a Roma. In Brasile trova una realtà di povertà estrema e il suo impegno a sostegno della popolazione fu immediato. In appena tre anni riesce a costruire un ospedale con annessa la chiesa di “Nostra Signora del Pilar”. E poi ancora la casa per anziani “Cuore Immacolato di Maria”, chiesette e cappelle nella foresta per l’assistenza in piccoli gruppi dei tanti fedeli, gruppi di preghiera e una scuola dedicata a San Francesco d’Assisi per 400 bambini. Tra le sue preoccupazioni anche la carenza di sacerdoti che lo spinge a iniziare un seminario minore dove si formarono le prime vocazioni locali, come ci dice il postulatore della causa, don Enzo Gabrieli raccontando che la dimora di p. Nazareno fu la vecchia chiesa cadente presso la quale vi era arrivato a dorso di un mulo. La prima notte che vi trascorse aveva trovato un’immagine della Vergine dalla quale si sentì dire, in cuor suo, “ti stavo aspettando”. E lui si mette subito all’opera a servizio degli altri: “l'amore per il Signore non è scindibile da quello per il suo popolo”, spiega don Gabrieli sottolineando che padre Nazareno “si è consacrato alla missione secondo quello spirito di Chiesa in uscita di cui parla papa Francesco. Non si è risparmiato ed è partito per rispondere alle esigenze della Chiesa che è nel Mato Grosso e in Amazzonia. Una esigenza ancora viva e forte”. Il sacerdote aveva come punti di riferimento la Madonna, l'Eucarestia e l'amore per il Papa e la Chiesa. Prima di morire “ha saputo perdonare i suoi attentatori così come fecero i grandi martiri”. Il suo impegno “attento al bene di ciascuno”, lo porta ad essere accanto ai giovani che incontrava ogni sabato, dopo la Messa, mettendoli in guardia dai pericoli della droga e della prostituzione. Un’attività che “dava fastidio” dice don Gabrieli. Infatti l’11 febbraio del 2001 due uomini con il volto coperto fecero irruzione nella canonica dove il missionario stava cenando con i suoi collaboratori e alcuni ospiti. “Puntando una pistola contro i presenti, chiesero loro soldi per inscenare una rapina finita male”, racconta il postulatore sottolineando come, grazie ai testimoni, si è potuta fare una vera a propria ricognizione di quanto avvenuto. “Nel corso dell’atto criminale loro stessi rivelarono che erano stati mandati da alcuni personaggi locali ai quali l’azione della Chiesa e del prete dava fastidio”, dice ancora il postulatore don Gabrieli. “Sono venuto ad ammazzarti perché ci dai troppo fastidio”, disse uno dei killer. La parrocchia era diventata “l’argine e la protezione per tanti giovani dai pericoli della droga e della prostituzione”. Il sacerdote fu immediatamente soccorso e portato in ospedale ma morì undici giorni dopo con in bocca parole di perdono per i killer. Dalla sua vita emerge “un sacerdote innamorato che ha difeso la vita e la famiglia e quei valori cristiani che sono alla base della vita cristiana. Il cristiano non è un eroe, ha avuto anche paura, sapeva di rischiare ma l'amore è più forte di ogni paura”. (Raffaele Iaria)      

Parlare a cuore aperto

19 Febbraio 2021 - Loreto - «Ma tu non ti confessi mai?» faccio un giorno al mio unico confratello, a bruciapelo. Mi risponde con un’occhiata un po’ incattivita. Come se mi fossi avventurato incautamente nell’intimior intimo meo. «Ma no! – gli ribatto – Non la confessione sacramentale, cosa tua sacrosanta, ma dire quello che ti sta a cuore. Quello che in fondo ti fa male. O che ti fa star male». Ogni tanto parler vrai direbbero i francesi. Parlare a cuore aperto. Dialogare. Non chiudersi in un mutismo che non sappia condividere, preso dai propri pensieri. Senza dimenticare che «quando lanci le frecce della verità – come esorta un proverbio arabo – intingi sempre la punta nel miele». Il 2020 è stato l'anno del Dialogo per la nostra congregazione scalabriniana. Senz’altro questo comincia a germogliare in noi stessi, tra di noi, coltivato nel proprio hortus conclusus. «Devi essere tu il cambiamento che vorresti vedere nel mondo» raccomanda un indimenticato leader indiano. Un giovane ex-confratello ci sorprendeva, invece, per l’entusiasmo disinvolto nel confessare le persone, facendolo alla domenica fino a qualche istante prima della sua Messa. Ciò ci interrogava: «Ha uno strano piacere di confessare gli altri, però lui non si confessa mai, non si apre mai, non parla mai di sé…». Ricordo che una congregazione francese aveva prodotto una suggestiva immagine o un segnalibro, che ti trovavi sempre tra le mani. Vi stava scritto «Questi sono i nostri valori» e giù un elenco di qualità spirituali o non. Altrettanti segnali stradali sul cammino delle differenti comunità. Nel nostro segnalibro si potrebbe scorrere: Dialogo – al primo posto – Empatia, Spirito di humour e chissà quante altre sfaccettature di un carisma in cui la perfezione è un cammino, e non un fine. E dove la novità e la sorpresa dell’altro sono di casa. Per dialogare bisogna trovarsi in tre. Non solamente a due, in comunità. Lo vedo qui e altrove. Il dialogo a due arriva spesso a un binario morto. Ognuno rischia di restare seduto, anzi paralizzato sulle proprie posizioni. La presenza di un terzo missionario, anche solamente per fare comunità, sarebbe particolarmente salutare. Sorge per incanto, tra l’altro, il senso di bene comune, e non quello dell’ognuno per sé. L’anno del Dialogo dovrebbe anche stimolare incontri e formazioni per l’area europea, arenata in secche preoccupanti, da qualche tempo. Le nostre diocesi o servizi pastorali vari, invece, si sono lanciati nel dialogo a distanza via ZOOM, che si rivela una realtà sorprendente. Lanciati alla grande. E poi, il tempo per dialogare. La cultura zulu ha messo in campo una tecnica chiamata indaba, il parlare su un argomento spinoso, e questo per ore e ore. Riprendendolo in volte successive. Perché lo scopo è arrivare a un punto di incontro, mai a una rottura. Ricordo come il sinodo dei vescovi anglicani, che si riunisce ogni dieci anni, tempo fa avesse adottato proprio la tecnica zulu dell’indaba per le sue discussioni più ardue. Da noi invece quando si profila il tempo dell'incontro, dello scambio e del dialogo: «Ma il sorriso dov'é mai ti é scappato?» mi é sfuggito l’ultima volta, vedendo volti tesi, già in anticipo, per questo tempo di scambio. Per dialogare bisogna sapersi svuotare. Lo faccio fare ai ragazzi a scuola, per introdurli in una dinamica interculturale. Quando chiedo di farmi tutti un vero bel respiro e subito, con la faccia rossa, si riempiono i polmoni per poi sbuffare. No, è proprio il contrario. In Estremo Oriente – dove si é affinata una plurimillenaria sapienza del respiro – si comincia per svuotarsi il più possibile. Il primo movimento è la kenosi. E preciso loro che una persona piena di sé non avrà nulla da accogliere, nulla da ascoltare dagli altri. Nessun dialogo. Svuotarsi di sé: grande lezione a livello fisico, psichico e spirituale. «Deve solo sciogliersi un po’» mi confidava qualcuno che lo conosceva bene, parlando del nuovo parroco. Serio, preciso, pedagogo. Ma troppo ingessato, inquadrato. Coltivare allora lo spirito di humour, soprattutto su sé stessi. L’arte del relativizzarsi, di non prendersi troppo sul serio. E la trovo una dote squisitamente scalabriniana, aiuta il dialogo. E, per questo, da parte mia, a volte, con la fisarmonica mi faccio artista di strada. Paradossale, ma attraverso la musica faccio vivere la Fratelli tutti! e un bel senso di comunione... in fondo tutte ottime vitamine per il dialogo. (p. Renato Zilio - Direttore Migrantes Marche)  

“Al cuore della missione: quando l’arte incontra la fede”: gli artisti raccontano la loro esperienza

19 Febbraio 2021 - Roma - C’è feeling tra arte e missione? Si può comunicare la fede attraverso l’arte? Questo è l’interrogativo che si pongono le suore missionarie Scalabriniane che hanno partecipato a una iniziativa del giornale missionario online “Terra e Missione”, oggi 18 febbraio. Si tratta di un evento che si terrà nel corso della puntata della rubrica live “Al cuore della missione”, che sarà trasmessa in diretta streaming alle ore 19, sulla pagina Facebook Terra e Missione. Tra i protagonisti: Massimiliano Bertuzzi, scultore appassionato alla forgiatura del ferro, e Alessandro Rametta, scultore e maestro del metallo, che per le suore missionarie Scalabriniane hanno realizzato nel 2020 l’opera d’arte di un candelabro che rappresenta il mondo, ora esposta nel Duomo di Piacenza; Fabrizio Coniglio, attore e regista, noto al grande pubblico per la recente partecipazione alla fiction “L’allieva”, che ha preparato uno spettacolo teatrale insieme alle missionarie Scalabriniane; Miho Imazato, cantante lirica giapponese, che per la congregazione ha animato il coro “Le Valigie musicali”. Una puntata dunque interamente dedicata all’arte che, nelle sue diverse forme, da sempre ha manifestato la sua continua capacità di espandere le menti e i cuori degli artisti ma anche dei suoi fruitori e contemplatori, portandoli con cammini diversi al senso più profondo della vita, che trova il suo compimento in Dio. In questo modo si rivela la grande missione dell’arte: toccare i cuori, rivelare l’infinito, ispirare le persone, ridare loro dignità affinché possano svolgere al meglio la loro missione. “Ringraziamo Terra e Missione per aver voluto dare questa insolita chiave di lettura della nostra opera missionaria – spiega suor Milva Caro, superiora della Provincia San Giuseppe delle suore scalabriniane – L’arte è un modo per avvicinarsi a Cristo e alla spiritualità e rafforza il nostro carisma di suore ‘con la valigia’, perché con un messaggio artistico, con una musica, con una scultura, con un dipinto, con il teatro, è possibile creare un messaggio universale capace di coinvolgere tutti. E’ un messaggio senza frontiere”.

CCEE: la Chiesa in preghiera per le vittime della pandemia

16 Febbraio 2021 - 16 Febbraio 2021 - Roma – Da domani, Mercoledì delle Ceneri, e per tutto il tempo di Quaresima, i Presidenti delle Conferenze Episcopali d’Europa invitano a pregare per le vittime della pandemia. In molte occasioni, i vescovi dell’Europa intera hanno unito la loro voce a quella di Papa Francesco per ribadire la vicinanza della Chiesa a tutti coloro che lottano a causa del coronavirus: le vittime e le loro famiglie, i malati e gli operatori sanitari, i volontari e tutti coloro che sono in prima linea in questo momento così delicato. Ora, per tutto il tempo di Quaresima, lanciano una rete di preghiera, una catena eucaristica, per le oltre 770.000 persone che in Europa sono morte a causa del Covid-19. «Abbiamo valutato insieme l’opportunità, anzi il dovere di ricordare nella Santa Messa, le vittime, le tantissime vittime della pandemia», dichiara il card. Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, nel suo messaggio per lanciare questa iniziativa: «ogni Conferenza Episcopale d’Europa si è impegnata nell’organizzazione almeno una Messa: sarà come creare una catena di preghiera, una catena eucaristica in memoria e in suffragio di tante persone. In questa preghiera vogliamo anche ricordare le famiglie che hanno subito dei lutti e tutti coloro che ancora in questo momento sono colpiti dal morbo e sono incerti sulla propria vita». L’iniziativa, che vedrà coinvolte tutte le Conferenze Episcopali d’Europa vuole offrire un segno di comunione e di speranza per l’intero Continente: «noi vescovi d’Europa – aggiunge il Presidente del CCEE – siamo tutti uniti accanto alle nostre comunità cristiane, ai nostri sacerdoti, grati a tutti coloro che continuano a dedicarsi alle persone più bisognose, per sostenere con la nostra parola e soprattutto con la nostra preghiera il loro impegno affinché possiamo guardare insieme ad un futuro migliore”.    

Card. Parolin: ieri la visita a Rondine

16 Febbraio 2021 - Arezzo - «Dirò al Papa che qui si sta costruendo la pace, a poco a poco, mattone dopo mattone”. Queste le parole del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, in occasione della breve visita alla Cittadella della Pace di Rondine che si è tenuta ieri. Il card. Parolin, ad Arezzo per le Celebrazioni della Madonna del Conforto, ha voluto incontrare i giovani della World House di Rondine provenienti da luoghi di conflitto di tutto il mondo, ma anche i nuovi arrivati, gli undici giovani selezionati per il progetto “Mediterraneo: frontiera di pace, educazione e riconciliazione”, l’Opera segno lanciata dalla Conferenza Episcopale Italiana, in occasione delle giornate di Bari esattamente un anno fa. «Parlando con voi scopro che venite da zone piene di tensioni e di conflitti e sapere che qui ci sia questo sforzo per costruire la pace è una cosa bellissima – afferma il porporato salutando gli studenti di Rondine - dirò al Papa che ho fatto questo incontro oggi e porterò a lui i vostri saluti ma soprattutto riferirò del vostro impegno». Parole che incoraggiano il lavoro degli studenti di Rondine ma anche dei giovani dell’Opera Segno che dopo un anno di formazione nella Cittadella della Pace centrato sul Metodo Rondine e sulla leadership, saranno chiamati a intervenire nei contesti di provenienza, in collaborazione con le Chiese locali del bacino mediterraneo (dai Balcani alla Penisola Turca, fino al Medio-Oriente e al Nord Africa), per gestire i cambiamenti socio-culturali in atto, avviare interventi di cooperazione, progettare iniziative di peacebuilding e di impresa sociale. «Nonostante il difficile anno passato siamo molto felici di essere riusciti a venire in Italia per lavorare sui nostri progetti e per dimostrare che è possibile convivere e dialogare – afferma la giovane bosniaca Amina a nome di tutti i giovani del Mediterraneo –   i progetti che realizzeremo nei nostri paesi al rientro hanno come obiettivo il dialogo, la riconciliazione e la pace e continueremo a sviluppare la rete, che qui stiamo costruendo, di giovani che vogliono promuovere la coesione sociale nel Mediterraneo». Il percorso sarà affiancato dal progetto di ricerca-azione condotto dall’équipe del Centro d’Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per misurare i cambiamenti prodotti dal percorso formativo e sull’effettivo impatto generato nei territori al rientro dei ragazzi nei Paesi di origine. «Siamo onorati di questa visita del Cardinale che oggi ha potuto incontrare di persona i giovani leader che Rondine sta formando perché possano incidere nei contesti di conflitto – afferma il Presidente di Rondine Franco Vaccari - già due anni fa dette il suo supporto alla campagna Leaders for Peace presentata poi alle Nazioni Unite per sensibilizzare i Governi sulla necessità di formare i giovani a nuova leadership globale capace di generare pace. Il suo apprezzamento è un grande stimolo per questi giovani che si impegnano per diventare ambasciatori di pace”.    

L’habitus alla fedeltà

16 Febbraio 2021 - […] l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo si sente chiamato, in modo adeguato, concreto, irripetibile: perché appunto Cristo fa appello al “cuore” umano, che non può essere soggetto ad alcuna generalizzazione. Con la categoria del “cuore”, ognuno è individuato singolarmente ancor più che per nome, viene raggiunto in ciò che lo determina in modo unico e irripetibile, è definito nella sua umanità “dall’interno”. (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, mercoledì, 6 agosto 1980). Nel secondo ciclo, che comprende quaranta catechesi, papa Giovanni Paolo II si ripromette di svolgere una spiegazione-commento del detto di Gesù riferito dal capitolo 5 del Vangelo di Matteo, ai versetti 27 e 28: “Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico. Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Come nel richiamo “al principio” di Genesi nelle parole di Gesù, oggetto delle catechesi del primo ciclo, anche in questo caso ci troviamo davanti ad una chiarificazione, un approfondimento della norma, in cui il Signore va oltre l’obbligo di evitare l’adulterio nel corpo, invitando a spegnere in sé quello sguardo di concupiscenza che ne è la sorgente. Sono parole molto esigenti, che non ammettono fraintendimenti: questa parte del Discorso della Montagna interpella la persona nel suo profondo, si rivolge al suo cuore ed è per questo che ogni uomo, di ogni tempo e ogni luogo, in ogni situazione e stato di vita non può nascondersi, ma si sente chiamato “per nome”. In particolare le parole di Gesù sono un ammonimento rivolto al cuore degli uomini e delle donne, non una legge fissata dall’esterno, non un precetto a cui aderire in modo formale, ma un principio che si innesta nella verità più profonda della vita delle persone, ancora prima del loro accogliere o meno la fede. Un presupposto che fonda l’antropologia cristiana che in quanto tale dice la verità sull’uomo e sulle sue più intime pulsioni. Il Papa dedica molto spazio a definire questo nuovo piano su cui Gesù innesta il suo discorso, il piano del cuore umano, il piano della redenzione del cuore. È nel cuore che il principio morale va coltivato ed alimentato: è lì che, prima il singolo credente e poi la coppia di sposi può esercitare la propria libertà scegliendo di tenere viva la fiamma dell’amore rifuggendo la concupiscenza, il desiderio di possesso dell’altro, lo sguardo non limpido ma intorbidito dalla dimensione di peccato che ci affianca inevitabilmente. Quanto più il cuore dei coniugi è allenato a palpitare secondo la lunghezza d’onda di Dio, tanto più la fedeltà, l’indissolubilità e l’unione del matrimonio che essi vivono risplendono e portano frutto nella vita di quella famiglia. Anche in altre occasioni Gesù ha modo di dire che il peccato non viene dall’esterno, ma dall’interno del cuore dell’uomo ed è qui che si gioca il conflitto drammatico. Gli sposi quando hanno deciso di unirsi in matrimonio hanno scelto di unirsi anima e corpo, hanno desiderato di rivelarsi in tutta la loro dimensione di persona, si sono donati uno al cuore dell’altro, con l’intenzione di alimentare nella verità il loro amore. È chiaro allora quello che Gesù dice, tutti i coniugi lo possono condividere: anche un desiderio può essere adultero, anche un’intenzione può necessitare di essere sanata, corretta, perdonata. La fedeltà coniugale non è una questione di regole di comportamento, ma più profondamente un atteggiamento interiore, un habitus e come fare per vivere questa “abitudine” protraendola nel tempo e nella quotidianità dei giorni? Bisogna tornare alla fonte, far abbeverare il cuore alla Grazia dei sacramenti. Non ci sono altre strade, perché sarebbe arrogante o ingenuo pensare di cavarsela da soli, con una perseveranza fondata solo sui nostri sforzi volontaristici. Una coppia fedele ed unita è il frutto, coltivato con passione, di una vita di preghiera quotidiana e costante. Anche preghiera delle piccole cose, dei piccoli ringraziamenti e delle piccole o grandi richieste d’aiuto. Una preghiera che non si stanca di chiedere il dono dello Spirito Santo – anche attraverso il sacramento della Riconciliazione – come compagno di strada nel discernimento. Ma una coppia che vive il dono dell’indissolubilità è anche una famiglia che rende grazie attraverso l’Eucarestia domenicale e magari anche più frequentemente. Davvero il matrimonio così può diventare a sua volta rendimento di grazie. Una coppia unita sa ascoltarsi e dialogare nel profondo, riconosce le zone d’ombra, non lascia che i cuori celino parti di sé ed evita che il Divisore si insinui con la tentazione del male. Gli sposi cristiani si guardano negli occhi e guardano a Gesù, così vincono la deriva dell’adulterio perché si amano dello stesso amore del Signore per ciascuno di loro. (Giovanni M. Capetta – Sir)  

Vescovi Basilicata: San Giustino De Jacobis patrono dei lucani nel mondo

9 Febbraio 2021 - Matera San Giustino De Jacobis è il protettore dei Lucani nel Mondo. La decisione è della Conferenza Episcopale di Basilicata. Il progetto è stato sottoposto all’attenzione dei vescovi lucani da mons. Ciro Fanelli, vescovo della diocesi di Melfi -Rapolla-Venosa e dal parroco di San Fele, Don Michele Del Cogliano ed ha visto l’approvazione della fase finale del progetto che richiama la missionarietà della chiesa nella figura di un santo, San Giustino De Jacobis nativo proprio di San Fele. Un «santo anticipatore di tutto ciò che sarebbe stato alla base delle odierne tematiche quali intercultura, ecumenismo e mediazione culturale facendosi semplicemente promotore dell’amore di Cristo», scrive la Conferenza Episcopale della Basilicata in una nota. Il progetto ha preso vita per «sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto delle culture diverse dalla propria, allo sviluppo del senso civico, alla tolleranza, all’accoglienza e soprattutto alla promozione del bene comune», si legge ancora: tutti questi valori sono «la sintesi dell’amore che genera persone nuove e coraggiose, pronte a varcare i confini dell’egoismo». Già la Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa aveva dato vita a molteplici iniziative per far conoscere la figura del Santo:  concorsi letterari rivolte alle scuole; benedizione della statua da parte di Papa Francesco nell’Ottobre del 2019 nella cui occasione Papa Francesco aveva donato ai sanfelesi parole di incoraggiamento nel saper essere “generosi annunciatori del Vangelo”; donazione di una lampada da tenere accesa in tutte le parrocchie della diocesi; borsa di studio sulla ricerca della figura di San Giustino in collaborazione con il Comune di San Fele e l’Università di Basilicata; accoglienza della reliquia del Santo, conservata nella cappella Santa Maria dei Vergini a Napoli, presso la chiesa madre di San Fele per la durata di un mese; commemorazione della nascita di San Giustino a livello diocesano il 9 Ottobre a San Fele con la partecipazione di tutta la regione ecclesiastica della Basilicata, del vescovo metropolita mons. Salvatore Ligorio e del presidente del Consiglio regionale di Basilicata, Carmine Cicala. Un modello, San Giustino, «non solo per le nuove generazioni ma anche per i lucani nel mondo che, pur avendo lasciato la propria terra, vivono ancora forte il legame con le origini. San Giustino de Jacobis ci insegna che l’uomo può essere cittadino del mondo». Da qui la proposta alla Conferenza Episcopale di Basilicata nel promuovere, come  patrimonio culturale immateriale della Basilicata, la figura del Santo lucano compatrono della Basilicata insieme con San Gerardo Maiella  istituzionalizzando, a  San Fele, la giornata di “San Giustino De Jacobis – protettore degli emigranti e in particolare dei lucani nel mondo” -  affinché intorno a questa figura «possano incontrarsi e riconoscersi tutti i migranti, in segno di unità e di appartenenza  esplicitando il concetto “il mondo casa di tutti”». È previsto inoltre la creazione di un ponte di solidarietà con l’Etiopia, terra in cui San Giustino si è fermato per evangelizzare, dando vita a un’opera di carità che porterà il nome del Santo lucano, in maniera tale da «concretizzare l’amore per i fratelli mettendosi al servizio dei più deboli». (R. Iaria)  

“In-attesa”: la costante situazione dei popoli migratori in una mostra a Milano

9 Febbraio 2021 - Milano - Si inaugura oggi una singolare esposizione dedicata alle migrazioni attraverso nove differenti punti di vista quanti sono gli artisti che hanno aderito. “In-attesa”, questo il titolo della rassegna che si tiene presso la Prometeo Gallery di Milano visitabile fino al 19 marzo 2021, vuole, ad un anno dallo scoppio della pandemia da virus, ‘rileggere’ il racconto delle migrazioni dei popoli, diaspore costanti e forzate a cui l'emergenza sanitaria si è andata a sommare con effetti devastanti. La pandemia, proprio per il suo forte impatto mondiale ha di conseguenza offuscato mediaticamente il problema migratorio. “In-Attesa” si prefigge anche questo scopo di continuare a riflettere sui motivi che spingono le persone a migrare e, a volte se non spesso, del loro tragico epilogo. La lettura delle cause che inducono le persone alla scelta di mettersi in viaggio è affidata a video, disegni, installazioni che mettono in risalto le guerre da cui scappano molti migranti, la povertà dei luoghi e la scarsità delle risorse determinata non solo da siccità e morfologia del terreno ma da comportamenti di popoli predatori, nonché da scelte di politiche comunitarie nefande. Il titolo “In-attesa” sottolinea e pone alla lettura dello stato in cui le persone che transitano da un Paese all’altro si trovano costantemente per espletare qualsiasi funzione quotidiana. Gli artisti che hanno aderito sono: Maria José Arjona, Filippo Berta, Regina José Galindo, Edson Luli, Maria Evelia Marmolejo, Ruben Montini, Santiago Sierra, Giuseppe Stampone e Mary Zygouri.  (Nicoletta Di Benedetto)  

Il dono reciproco

9 Febbraio 2021 - […] Il corpo umano, con il suo sesso, e la sua mascolinità e femminilità, visto nel mistero stesso della creazione, è non soltanto sorgente di fecondità e procreazione, come in tutto l’ordine naturale, ma racchiude fin “dal principio” l’attributo “sponsale”, cioè la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo essere ed esistere. (Giovanni Paolo II, udienza di mercoledì 16 gennaio 1980) Impossibile ripercorrere nel dettaglio tutta la complessità delle udienze-lezioni di Giovanni Paolo II, eppure scegliamo un passo da un altro “capitolo” del primo ciclo sull’In principio, ovvero l’udienza del 16 gennaio 1980 dal titolo “L’uomo-persona diventa dono nella libertà dell’amore”. Il Papa intende esplicitare il significato più pieno dell’aggettivo “sponsale”. Con esso si riferisce alla capacità del corpo di esprimere l’amore anche oltre la dimensione procreativa. La comunione dei corpi è elemento intrinseco al matrimonio, lo contraddistingue, ne è parte integrante ma lo è nella misura in cui i coniugi riescono a relazionarsi l’un l’altro liberandosi dalla tentazione del possesso. Quell’egoismo che deriva dal peccato originale ma che non era “in principio”. Dalla caduta dei progenitori è sempre in agguato anche nell’intimità uno scambio in cui a prevalere sono egoismi speculari mal celati dietro il principio della reciprocità. La sessualità subisce da sempre l’aggressione del “do ut des” mentre il disegno originario affida agli sposi la vocazione a donarsi in modo incondizionato. Lui dono per lei, lei dono per lui, entrambi votati a valorizzare in pienezza l’altro cosicché l’uomo sia sempre più uomo e la donna sempre più donna. La corporeità, nel disegno della Creazione, si nutre di questa dimensione sponsale ed è per questo che l’unione sessuale si dà solo nel contesto del patto matrimoniale. Gli sposi si rispecchiano in questo disegno e vivono in pienezza la loro vocazione donandosi vicendevolmente. Un cammino laborioso, fatto di pazienza e di ascolto, quasi un’arte che necessità di artisti cesellatori, disposti a mettersi in discussione e ricominciare ogni volta. Questo donarsi è già di per sé fecondo, prima della procreatività ad esso connesso. Ed è questo il motivo per cui il matrimonio è valido, anche qualora non arrivassero i figli. Un tema importante che intesse la vita dei coniugi in tutte le stagioni della vita. Sia nei primi anni contrassegnati dalla passione che talvolta necessita di essere domata, sia dopo l’arrivo dei figli, sia nell’età avanzata, in cui la tenerezza gioca un ruolo importante nella trasformazione del rapporto fra gli sposi. Sempre a loro è chiesto di dar prova di sapersi donare reciprocamente in modo unico ed esclusivo, declinando così la comune vocazione all’amore a cui sono chiamati tutti i cristiani a prescindere dal loro stato di vita. L’auspicio è che questi argomenti vengano ampiamente trattati nei corsi prematrimoniali, in particolare quelli di preparazione remota. È bene che i fidanzati crescano nella consapevolezza che la dimensione sessuale non è un’opzione neutra che si unisce automaticamente in virtù dell’attrazione. La sessualità come dono subisce continuamente l’aggressione di logiche edonistiche e consumistiche che ne svuotano il significato. Lungi da un puritanesimo d’altri tempi, anche a chi si approssima al matrimonio, oggi, magari anche dopo anni di convivenza, si può annunciare una notizia antica e sempre nuova che valorizzi i corpi e il loro essere fatti per donarsi. (Giovanni M. Capetta – Sir)  

Migranti ed Europa: la Comece in campo

9 Febbraio 2021 - Bruxelles - Avrà per tema “Dignità umana e resilienza: migranti e comunità ospitanti” il seminario online promosso il 17 febbraio dalla Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece) per mettere a confronto le storie di chi ha raggiunto i Paesi europei, l’esperienza di chi ha accolto e le politiche attuate a livello europeo per gestire la situazione. «I migranti e i richiedenti asilo che entrano nell’Ue devono affrontare enormi difficoltà», si legge nella presentazione dell’incontro che si terrà dalle 16 alle 17.30 sulla piattaforma Zoom. Ad aprire i lavori saranno Jan De Volder, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio Europa, e padre Manuel Barrios Prieto, segretario generale della Comece.