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Dietro le parole ostili

20 Settembre 2021 - Roma - Male parole, insulti, frasi intrise di disprezzo e di odio, minacce verbali che annunciano gesti violenti sono un giorno sì e un giorno no sui media. Ai tradizionali soggetti destinatari di pietre verbali si sono aggiunti quelli che nel tempo della pandemia ricordano che non esiste una libertà individuale senza una libertà collettiva. Quello che accade nei social è noto. Cosa sta succedendo nell’uomo? La domanda ritorna ogni qual volta i media notiziano parole che offendono, feriscono e vanno oltre la volgarità. Qualcuno denuncia la pericolosità e la contagiosità di un virus che indebolisce il pensiero e le relazioni. Sembra impossibile opporsi all’onda. Minimizzare la portata di battute offensive e spesso intimidatorie può diventare una connivenza. Il linguaggio dà la misura culturale ed etica di chi lo utilizza, mette in evidenza altezze ma anche bassezze e mediocrità che hanno rispettivamente riflessi positivi e negativi sulla formazione della coscienza. La storia e la cronaca sono stracolme di tragedie che hanno avuto origine dalla banalizzazione delle parole ostili. Il linguaggio infettato dal disprezzo, che non è neppure più quello dell’osteria o del porto, colpisce soprattutto i diversi, i più fragili, i più soli. Gian Marco Centinaio, ex ministro, riferendosi a un caso locale di male parole, ha scritto: “Chi fa politica deve rendersi conto che quando parla o scrive ha delle responsabilità, anche quando magari fa battute. C’è un’etica da rispettare anche se scrivi al tuo migliore amico”. Dunque, non tutti sono disposti a sminuire la pericolosità di parole scagliate come pietre. Un esempio: l’associazione non profit “ParoleO_stili”, nata a Trieste nel 2017, è impegnata in un percorso di “sensibilizzazione ed educazione contro l'ostilità delle parole, online e offline”. Coinvolgendo diversi soggetti è giunta alla redazione e alla diffusione del “Manifesto della comunicazione non ostile”. (www.paroleostili.it). “Si tratta - si legge nella presentazione - di un'esortazione civile alla scelta responsabile delle parole che si usano, all'ascolto, alla discussione, financo al silenzio”. La giornalista Fabiana Martini che di questa associazione è l’ideatrice afferma: “La violenza verbale resta un tema che le comunità locali sentono di dover affrontare con urgenza, poiché tutti viviamo le sue conseguenze sociali. E se le cose non sono così tanto migliorate su scala globale, è pur vero che sta crescendo una consapevolezza locale diffusa sul fatto che le parole non sono mai neutre, ma hanno delle conseguenze di cui siamo responsabili”. Il percorso culturale ed educativo non sarà troppo lungo se si costruiranno alleanze tra genitori, insegnanti, educatori, istituzioni. (Paolo Bustaffa)        

Barche a vela e barconi

16 Giugno 2021 - Roma - In questi giorni dodici barche a vela sono giunte nel porto di Genova provenienti dal nord della Francia dopo aver gareggiato nel mar Baltico.  Sono le prime vele europee che si preparano al “The Ocean Race” (La corsa oceanica) che avrà inizio nell’autunno del 2022 per concludersi nel giugno 2023. Una gara assai impegnativa che correrà sulle onde nel fruscio delle vele e nel soffio del vento. Potrebbe sembrare fuori luogo guardare attraverso un evento così lontano dagli sport ordinari la storia che l’uomo e il mondo stanno vivendo. C’è però un messaggio che potrebbe essere colto anche se non si conosce o si pratica questa disciplina. Innanzitutto ci sono la determinazione e il coraggio nell’affrontare un mare in burrasca governando le vele perché non subiscano ma sfruttino la forza del vento. In questa immagine si coglie il cammino dell’uomo di fronte al male, agli ostacoli, alla mancanza di riferimenti sicuri. Un cammino che si è aperto non solo con la pandemia perché molti altri sono le ferite del pianeta e il cuore dell’uomo è ogni giorno messo alla prova da piccoli e grandi egoismi, da piccole e grandi offese che puntualmente la cronaca registra. Un giornale, cartaceo o elettronico, è come un mare in burrasca, le pagine appaiono come onde violente e a volte non bastano quelle distese per riprendere fiducia. Si avverte sempre più frequente l’esigenza di un riferimento per continuare la navigazione verso un porto sicuro. Si comprende quanto sia forte a angosciante questa esigenza in coloro che attraversano il mare nella notte con la speranza di incontrare l’alba. La dodici barche a vela accolte nel porto di Genova al termine del “The Ocean Race Europe” possono essere dunque uno splendido evento sportivo per pochi addetti ma possono anche far nascere pensieri nuovi sul futuro dell’umanità e del pianeta. A partire dall’ascolto del silenzio mentre si naviga quale esperienza che intreccia il valore di una competizione sportiva con il valore della vita dell’uomo. Le vele e il vento sono i simboli di una postura intellettuale che nella complessità e nell’incertezza consente di scoprire e vivere l’alleanza tra la fragilità e la forza nel costruire il bene comune. Anche le barche a vela ricordano che il mare è una grande scuola di umanità per i velisti come per quei pescatori che nei giorni scorsi a Lampedusa si sono buttati in acqua per soccorrere alcune persone in pericolo durante il trasbordo dal barcone che li stava trasportando dall’Africa. La barca a vela può stare accanto al relitto del barcone naufragato il 18 aprile 2015 che, ha ricordato Papa Francesco, è stato accolto domenica 13 giugno nel porticciolo di Augusta. (Paolo Bustaffa)    

La caramella amara

19 Aprile 2021 - “Proviamo a tentare quello che non facciamo mai, leggere la storia con gli occhi del bambino afghano, degli indifesi, dei disarmati di coloro che hanno sopportato questa guerra come hanno sopportato le innumerevoli altre da secoli, come una fatica maledetta, necessaria a campare”. A scrivere è Domenico Quirico, giornalista che ha conosciuto le atrocità di guerre e atti terroristici in molti angoli del mondo. Davanti ai suoi occhi la foto, apparsa nei giorni scorsi su molti giornali, del ragazzino afghano che prende una caramella da un soldato Usa armato di tutto punto. L’immagine è apparsa all’indomani dell’annuncio del presidente Biden che i soldati Usa e altri se ne andranno da Kabul. Le promesse che l’Occidente non abbandonerà comunque l’Afghanistan a sé stesso rimangono parole in attesa di riscontro. Di certo rimane un Paese distrutto non solo materialmente ed esposto al rischio della vendetta talebana. Il tempo concesso da una presenza militare per trovare una soluzione politica e non violenta del conflitto si è consumato senza risultati solidi e senza credibili prospettive di pace. Impegnato com’è nella lotta al Covid 19 l’Occidente non ha tempo per occuparsi di altre tragedie. Neppure di quella, vicina all’Europa, che vede in questi giorni altri bambini annegare nel Mediterraneo. I bambini guardano, i bambini pensano. Anche attraverso una foto riescono a vedere l’ombra dell’ipocrisia. I bambini tengono tutto nel cuore. I bambini giudicano anche se non sono magistrati e non siedono nei tribunali. Una caramella non li trae in inganno, si consumerà in fretta, rimarrà il ricordo di un attimo che segna l’inizio di un tradimento di speranze e di attese. Lui, il bambino afghano, rimarrà indifeso e alla mercé di nuove violenze, altri verranno travolti dalle onde di un mare. Quella caramella amara è il simbolo di una grande bugia. Ci sarà sempre pronta una giustificazione nelle aule dei tribunali o in quelle della politica ma non si non cancelleranno le domande: che cosa ha fatto l’Occidente per le generazioni dei piccoli più a rischio di altre? Ha difeso, l’Occidente, solo i propri interessi oppure ha lottato anche per la verità e per la giustizia? Tra pochi anni quel bimbo che oggi prende la caramella sarà un giovane, conserverà la memoria di quel momento di ipocrisia. A questa immagine se ne affiancano molte altre nel mondo. Anche nel Mediterraneo: le acque del mare lambiscono le coscienze prima ancora che le aule di un tribunale. Depositano la denuncia della grande menzogna di cui i bambini sono stati e sono vittime. (Paolo Bustaffa)  

Nelle mani delle donne

13 Aprile 2021 - Roma - Ci sono donne che, con l’impegno politico, stanno incominciando a disegnare un volto nuovo dell’Africa. Tra loro la presidentessa della Tanzania, la ex presidentessa della Liberia, le ministre degli Esteri di Congo, Centrafrica, Sudan, Sud-Sudan, Kenya e Libia. Anche se non ancora in numero sufficiente stanno ricoprendo ruoli chiave per la stabilizzazione dei loro Paesi e per la tutela dei diritti umani che, per essere pienamente tali, devono valere ovunque e con la stessa intensità per il genere maschile e per il genere femminile. Oggi le donne in politica sono una realtà che sta crescendo anche se i numeri sono bassi, come rivela l’Africa Barometer 2021 documentando che in molti Paesi africani la presenza femminile nelle istituzioni è ancora al 12%. L’Africa sta scrivendo un capitolo nuovo della sua storia? Forse è presto per dirlo ma alcune pagine cominciano a essere scritte dalle donne e in questi giorni alcuni giornali ne stanno scrivendo. L’Africa sarà salvata dagli africani e dalle africane ripeteva Léopold Sédar Senghor, primo presidente del Senegal negli anni ’60-’70 e grande amico di Giorgio La Pira. Il movimento culturale “negritudine”, di cui Senghor era tra i massimi esponenti, si proponeva di affrancare i popoli africani dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori e di restituire dignità e diritti agli uomini e alle donne d’Africa. Quel pensiero oggi si esprime nell’impegno per il bene comune, nella lotta contro una politica corrotta, contro gli sfruttamenti delle risorse naturali da parte di Paesi dell’Occidente e della Cina, contro il disastro umanitario provocato dalle guerre e dai cambiamenti climatici. L’impresa è davvero grande considerato lo scempio che ancora oggi viene fatto dell’Africa e al quale si aggiunge il respingimento di persone e famiglie in fuga dalla disperazione. È importante e urgente un sussulto della coscienza internazionale. Si inserisce in questo percorso la recente elezione di Ngozi Okonojo- Iweala, di origine nigeriana, a direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). In una recente intervista al Guardian aveva detto: “Dobbiamo rompere il tetto di cristallo sulle nostre teste. A noi donne i ruoli di leadership vengono riconosciuti solo quando le cose vanno molto male”. La neo direttrice sta ripensando il ruolo del Wto per il dopo-pandemia tenendo conto delle dinamiche socio-economiche nei Paesi in via di sviluppo e prevedendo per l’Africa un inedito protagonismo. Con le donne africane in politica potrebbe nascere un intreccio di competenze e sensibilità. (Paolo Bustaffa)

C’è un oltre l’8 marzo

8 Marzo 2021 - Roma - In prima pagina quattro immagini di donne: Ann Nu Thawng, la suora birmana inginocchiata davanti alla polizia, dietro le sbarre il volto della giornalista bielorussa Katerina Borisevich in lotta contro le menzogne del presidente Lukashenko, la regista cinese Chloe Zhao che ha destinato il prestigioso premio cinematografico Golden Globe ai nomadi, Hatice Cengiz compagna del giornalista Jamal Khashoggi massacrato il 2 ottobre 2018 nella sede del consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul. Alle quattro immagini apparse sui giornali nella prima settimana di marzo si è affiancata quella della diciannovenne Angel ritratta poco prima di venire uccisa dagli agenti birmani: indossava una maglietta con la scritta “Andrà tutto bene”. Donne in prima linea nella difesa e nella promozione dei diritti umani, i diritti di tutti. Con loro altre donne che nelle loro terre hanno cambiato e stanno cambiando la direzione della storia. Donne che contestano con la forza della non violenza e sfidano in ginocchio o in carcere la stessa violenza. Le donne, di cui parlano le immagini di questi giorni, sapevano e sanno di avere di fronte un potere dato per incrollabile. Non si sono arrese, sono vissute e vivono l’attesa di un “oltre”, un’attesa fatta di custodia di un sogno in piccola parte diventato realtà e in gran parte da realizzare. Le radici del sogno sono nell’accoglienza, dentro sé stesse, di una vita nuova. Sono dentro un’esperienza che suscita uno sguardo lucido sul presente e sul futuro. «La lucidità - si legge nel mensile di marzo “Donne Chiesa Mondo” de L’Osservatore Romano - è quella capacità di vedere chiaramente la realtà, alla luce della verità, non di ragionare per emozioni, sotto il giogo di percezioni errate. Si può dedurre che le donne hanno questa qualità in dotazione, fin dalla nascita? Più degli uomini?». Le risposte non possono che essere il frutto di una riflessione limpida, libera da ideologie, da luoghi comuni, da pregiudizi. C’è un “un oltre l’8 marzo” da mettere in agenda. È un oltre da coltivare nella coscienza del mondo perché i giovani e le giovani crescano senza essere prigioniere di dualismi alimentati da diversi poteri. Le immagini delle donne dell’oltre che pagano a caro prezzo la loro passione per la dignità di ogni persona confermano che il cammino è ancora lungo ma è possibile e vale la pena continuarlo. Quei volti si rivolgono all’opinione pubblica per scuoterla, avvertono che la società sta cambiando, annunciano al mondo nuovi orizzonti di senso. (Paolo Bustaffa)