Tag: Mobilità umana e migrazioni

Cei e Ferrovie Stato: convenzione per la presenza dei cappellani nelle stazioni

20 Luglio 2020 -

Roma - Nei giorni scorsi la Conferenza Episcopale Italiana e le Ferrovie dello Stato hanno siglato una convenzione che garantisce la presenza dei cappellani per l’assistenza pastorale del personale ferroviario, delle loro famiglie e dei fedeli che frequentano le chiese nelle stazioni.

La Convenzione, firmata da Gianfranco Battisti, Amministratore Delegato e Direttore Generale del Gruppo FS Italiane, e dal Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, evidenzia l’importanza del servizio religioso, morale e formativo svolto dai cappellani e dai loro collaboratori, chiamati a farsi prossimi a quanti lavorano nel comparto ferroviario e a quanti viaggiano attraverso la presenza nelle chiese delle stazioni, ma anche con ritiri spirituali, pellegrinaggi, cerimonie, incontri di formazione e di confronto su questioni organizzative, metodologiche e pastorali. FS Italiane si impegna ad assicurare la manutenzione delle chiese degli impianti ferroviari, favorire la libera partecipazione dei dipendenti a celebrazioni e manifestazioni religiose, autorizzare l’allestimento del presepio aziendale nella sede centrale e sul territorio. Attualmente sono 36 i luoghi destinati al culto ubicati nelle stazioni. Cappelle più o meno grandi si trovano, infatti, ad Acireale, Agrigento, Alessandria, Ancona, Avellino, Bari, Bologna Centrale, Cagliari, Caltanissetta Centrale, Canicattì, Catania Centrale, Ceprano-Falvaterra, Cosenza, Enna, Firenze, Foggia, Foligno, Formia-Gaeta, Genova, Messina Centrale e Marittima, Milano, Napoli, Palermo Centrale e Palermo Notarbartolo, Reggio Calabria Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina, Taranto, Terni, Torino, Torre Annunziata Centrale, Trieste Centrale, Udine, Verona, Villa Literno, Villa San Giovanni.

R.I.

Carta di Leuca: dall’11 al 14 agosto l’edizione 2020 su “Mediterraneo, una rete di solidarietà”

15 Luglio 2020 -

Roma - Si svolgerà dall’11 al 14 agosto la “#cartadileuca2020 – Mediterraneo, una rete di solidarietà”. La manifestazione, organizzata dalla diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca con il Parco culturale ecclesiale “Terre del Capo di Leuca – De Finibus Terrae”, giunge alla quinta edizione. Un laboratorio permanente, interculturale e interreligioso, che si concluderà con la marcia notturna “Verso un’Alba di Pace”, che, nella notte tra il 13 e il 14 agosto, dalla tomba di don Tonino Bello raggiungerà la basilica santuario di Santa Maria di Leuca. Al cammino, a causa dell’emergenza Covid-19 e nel rispetto del protocollo di sicurezza del distanziamento sociale, parteciperanno solo 25 persone.

L’edizione di quest’anno della Carta di Leuca si svolgerà prevalentemente in diretta web (su zoom, sul sito, sulla pagina Facebook e sul canale Youtube). Anche in questa edizione, a confrontarsi per redigere il documento saranno le centinaia di ragazzi che dai vari Paesi d’Europa e del Mediterraneo si collegheranno virtualmente con il Capo di Leuca, per ascoltare riflessioni ma soprattutto per incontrarsi e confrontarsi. Ogni venerdì, a partire dal 17 luglio fino al 7 agosto, sempre alle 19, in diretta web, da vari luoghi del paese natale di don Tonino Bello, in preparazione a “Carta di Leuca 2020”, si svolgeranno degli incontri virtuali sul tema della “solidarietà”.

E subito riprende il viaggio: a fine novembre la quinta edizione del Festival della Migrazione a Modena

14 Luglio 2020 -

Roma - Torna a Modena il 26, 27 e 28 novembre il Festival della Migrazione che quest’anno ha per tema: “E subito riprende il viaggioGiovani generazioni, nuove energie per superare le fragilità”.

L’appuntamento, che si svolgerà in presenza e online, metterà al centro i giovani migranti, sia coloro che arrivano in Italia sia i nostri connazionali che si spostano in altri Paesi.

“La sfida delle migrazioni non riguarda più tanto l’accoglienza ma la capacità di costruire un Paese dove le diversità, la presenza di persone di Paesi, culture e religioni differenti, sappiano comporsi in una realtà più ricca”, sottolinea don Giovanni De Robertis, Direttore Generale della Fondazione Migrantes, per il quale “per troppo tempo abbiamo pensato che fosse sufficiente salvare chi annegava (e purtroppo continua anche oggi ad annegare nell’indifferenza di troppi) e portarlo in un porto italiano: questo è solo il primo passo”. La vera sfida, osserva don De Robertis, “è, come ci ha ricordato papa Francesco, proteggere, promuovere, integrare. Senza queste azioni non c’è vera accoglienza, anzi questa può essere addirittura controproducente”.

Nel corso del Festival, che prevede approfondimenti, dibattiti e tavoli tematici su cooperazione, economia e lavoro, sarà presentato in anteprima il “Rim Junior” della Fondazione Migrantes (il Rapporto Italiani nel Mondo dedicato ai ragazzi). È in programma anche un flash mob al quale parteciperanno i responsabili delle associazioni impegnate nella formazione dei giovani.

L’obiettivo “è quello di rappresentare la diversità, le sfumature e l’esperienza soggettiva all’interno della migrazione, partendo dal comune denominatore dell’appartenenza all’umanità. Vogliamo sfidare la retorica che riduce i migranti a categorie semplicistiche: nemici attivi o vittime passive. Quest’anno abbiamo anche arricchito il comitato scientifico di figure di alto livello e abbiano nominato Edoardo Patriarca portavoce della manifestazione”, rileva Luca Barbari, presidente di Porta Aperta.

“Quando parliamo di migranti parliamo di persone, di storie, di volti. E puntare l’attenzione sui giovani è ancora più importante: sono migranti che approdano in Europa per cercare un futuro migliore, sono italiani che qui non trovano prospettive e le cercano altrove”, aggiunge da parte sua il portavoce del Festival, Edoardo Patriarca.

Il Festival della Migrazione è promosso da Fondazione Migrantes con le diocesi del territorio emiliano, il Terzo settore (con Porta Aperta come capofila di una cinquantina di organizzazioni), l’Università di Modena e Reggio Emilia e il Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e Vulnerabilità, con il patrocinio e il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Comune di Modena e altri enti locali.

R.I.

Migrantes: oggi le conclusioni del corso di formazione

10 Luglio 2020 - Roma - Con una riflessione sul "Cambia la pastorale migratoria dopo la pandemia Covid19?", afidata a  don Bruno Baratto,  direttore Migrantes di Treviso si apre, questa mattina, l'ultima giornata del corso di formazione “Linee di pastorale migratoria” della Fondazione Migrantes che si è svolto a Roma da lunedì scorso. Dopo l'intervento di don Baratto spazio al dibattito e poi alle conclusioni affidate al direttore generale della Fondazione Migrantes, don Gianni De Robertis che indicherà anche le prospettive e i prossimi impegni Migrantes. All’incontro hanno partecipato  circa 40 persone provenienti dalle diverse diocesi italiane e dalle Missioni cattoliche Italiane in Europa. Il Corso di formazione si rivolge anzitutto ai nuovi direttori Migrantes regionali e diocesani e ai loro collaboratori, ai cappellani etnici che svolgono il ministero nelle diocesi italiane e ai missionari per gli italiani all’estero, di nuova nomina.

Migrantes: immigrazione e diritto di asilo oggi al corso di formazione

9 Luglio 2020 - Roma - Spazio al tema migratorio, al diritto d’asilo e al dialogo ecumenico ed interreligioso nella cura pastorale dei migranti nella terza giornata del corso di formazione “Linee di pastorale migratoria” della Fondazione Migrantes che si aprirà questa mattina a Roma . Domani le conclusioni con una riflessione su come cambia la pastorale migratoria dopo la pandemia.

Migrantes: gli ambiti della pastorale della mobilità umana al corso di formazione in corso a Roma

8 Luglio 2020 -  Roma – I lavori del corso di formazione “Linee di pastorale migratoria” della Fondazione Migrantes proseguiranno oggi con i lavori di gruppo dedicati ai vari settori della mobilità umana: Si parlerà del ruolo dei cappellani etnici, dell’organizzazione degli uffici diocesani Migrantes e dei missionari con gli italiani all’estero. Nel pomeriggio delle cappellanie etniche e del magistero sociale sulle migrazioni Nei prossimi giorni spazio al tema migratorio, al diritto d’asilo e al dialogo ecumenico ed interreligioso nella cura pastorale. Non mancheranno alcune testimonianze. I lavori saranno conclusi venerdì da una riflessione su come cambia la pastorale migratoria dopo la pandemia.

Migrantes: prosegue il corso di pastorale migratoria

7 Luglio 2020 -

Roma - E’ stato il card. Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli a concludere, ieri sera, la prima giornata dei lavori del corso di formazione “Linee di pastorale migratoria” della Fondazione Migrantes . All’incontro partecipano circa 40 persone provenienti dalle diverse diocesi italiane e dalle Missioni cattoliche Italiane in Europa. Il Corso di formazione si rivolge anzitutto ai nuovi direttori Migrantes regionali e diocesani e ai loro collaboratori, ai cappellani etnici che svolgono il ministero nelle diocesi italiane e ai missionari per gli italiani all’estero, di nuova nomina. Ad aprire l’edizione 2020 del corso il saluto di don Gianni De Robertis e una introduzione di mons. Guerino Di Tora,  rispettivamente direttore generale e presidente della Fondazione Migrantes mentre alla biblista,  sr. Elizangela Schaves Dias delle Scalabriniane è stato affidata la prima relazione sul tema “Il forestiero nella Sacra Scrittura”.

Questa mattina i lavori proseguiranno con gli interventi di Simone Varisco della Fondazione Migrantes che traccerà un quadro sulla storia dell’organismo pastorale mentre don De Robertis illustrerà lo statuto della Fondazione. nel pomeriggio Caterina Boca si soffermerà su “Cittadinanza e integrazione: politiche migratorie in Italia” e Marco Omizzolo si soffermerà su “le condizioni dei migranti e l’impegno per la giustizia”. In serata uno spettacolo di Vincenzo Sorrentino”.

R.I.

Migrantes: da oggi il corso “linee di pastorale migratoria”

6 Luglio 2020 - Roma - Con un saluto di don Gianni De Robertis e una introduzione di mons. Guerino Di Tora – rispettivamente direttore generale e presidente della Fondazione Migrantes -  si è aperto a Roma il Corso di formazione “Linee di pastorale migratoria” 2020. All’incontro partecipano circa 40 persone provenienti dalle diverse diocesi italiane e dalle Missioni cattoliche Italiane in Europa. Il Corso di formazione si rivolge anzitutto ai nuovi direttori Migrantes regionali e diocesani e ai loro collaboratori, ai cappellani etnici che svolgono il ministero nelle diocesi italiane e ai missionari per gli italiani all’estero, di nuova nomina. La partecipazione è obbligatoria per la validità della nomina stessa e al termine sarà rilasciato un attestato. La prima relazione è stata affidata alla biblista,  sr. Elizangela Schaves Dias delle Scalabriniane che si è soffermata sul tema “Il forestiero nella Sacra Scrittura”.

Migrantes: dal 6 al 10 luglio il corsi di pastorale migratoria

30 Giugno 2020 - Roma - Si svolgerà dal 6 al 10 luglio 2020 presso Casa La Salle (Via Aurelia 472, Roma) il Corso di formazione "Linee di pastorale migratoria" 2020. Il Corso di formazione si rivolge anzitutto ai nuovi direttori Migrantes regionali e diocesani e ai loro collaboratori, ai cappellani etnici che svolgono il ministero nelle diocesi italiane e ai missionari per gli italiani all'estero, di nuova nomina. La partecipazione è obbligatoria per la validità della nomina stessa e al termine sarà rilasciato un attestato. Il corso è aperto, però, anche ai religiosi, alle religiose e ai laici impegnati nel volontariato e interessati alle migrazioni, ai seminaristi e alle juniores, nonché a coloro che desiderano aggiornarsi sulle tematiche della mobilità umana.  

Migrantes Andria: un rifugio ospitale anche per la notte

10 Giugno 2020 - Andria - Durante l’emergenza sanitaria per contenere il contagio l’Ufficio Migrantes della Diocesi di Andria ha allestito un rifugio per dare sostegno concreto alle situazioni di maggiore fragilità sociale ed economica. La Casa di Accoglienza “Santa Maria Goretti”, spiega il direttore Migrantes, don Geremia Acri, ha assicurato sinora servizi diurni e non vi sono sul territorio luoghi per un’accoglienza notturna di persone che vivono per strada. Offrire un posto accogliente per la notte è l’ennesima risposta della Chiesa, un segno di attenzione nei confronti di tutte quelle persone che nel momento del bisogno non trovano soluzioni in grado di rispondere a esigenze materiali immediate. Il tempo vacillante di questa stagione ci mette di fronte al bisogno sempre più impellente di aiutare quelli della 'prima volta': quelli che la ripresa del lavoro è dura; quelli che hanno contratto mutui, affitti onerosi per le loro attività commerciali e artigianali che stentano a decollare nuovamente; quelli che il peso delle troppe incognite hanno reso fragili dal punto di vista psicologico; e quelli che hanno bisogno di trovare una nuova strada per sostenere la propria vita e quella dei propri cari. Ora chi è rimasto senza un tetto sa di non essere dimenticato. Grazie ai volontari che prestano il loro servizio presso la Casa di Accoglienza. (Sabina Leonetti -  Avvenire)

Il volto del pastore

8 Giugno 2020 - Loreto – Loreto: i fedeli uscivano lenti dalla Basilica, ancora intorpiditi dal lungo lockdown, a tutte le messe di domenica 31 maggio. Erano numerosi, nonostante tutto. Mascherina sul volto, aria incerta, ma distesa, guardie del corpo in livrea blu presso le porte più numerose del solito. Maria, la "donna del sì" - donna forte e fedele in ogni vicissitudine - all’interno, li aveva consolati. Era come se avesse strappato  loro, ad ognuno, un “sì”: un nuovo gesto di fiducia. Un atto di coraggio e di serenità. Sì, in questa tormentata pandemia, venuta quasi come un segno di Dio, “Colui che viene sempre di sorpresa”. Ma tutto concorre al bene, per chi è amato da Dio. Ricominciare, ora, sarà un grande, umile gesto di forza interiore... Uscendo, così,  non immaginavano di imbattersi ancora in un'altra sorpresa. Un segno del cielo. Il beato vescovo Giovanni Battista Scalabrini sorrideva là ad ognuno... Di lui “Padre dei migranti”, ora, alla vigilia della sua festa, - del tanto  atteso incontro con il suo Signore il 1 giugno 1905, solennità dell’Ascensione - veniva consegnato ad ognuno  il suo volto. Un ricordo con il suo bel profilo di pastore, insieme a un messaggio. I suoi sofferti “sì” alla volontà del Padre, le sue infinite preoccupazioni per il gregge, per i suoi migranti che partivano per le Americhe,- con la testa piena di speranza e di vane illusioni - il suo “farsi tutto a tutti”, e i suoi viaggi al Nuovo Mondo per consolarli, avevano scavato il suo volto, come uno scalpello di scultore. L'avevano reso forte e dolce, come non mai. Traspariva misericordia ma, allo stesso tempo, una segreta forza interiore. “E venne un uomo. Il suo nome era a molti sconosciuto, - diceva il messaggio - amò Piacenza e la sua diocesi, in opere e in parole. La gente, la vita e i problemi che l’abitavano. Ma con il cuore amò coloro che se ne andavano. Perseguitati dalla miseria. Da quel bisogno inarrestabile di essere uomini. Partivano in massa dalla sua terra. E migravano”. Era alla fine dell’800, inizi ‘900. Il suo sguardo si posava pensoso e riflessivo su questa immensa tragedia collettiva per milioni di uomini. Ed erano i nostri italiani. Fondò la Congregazione dei missionari scalabriniani per accompagnare questa avventura migratoria, che lo colpiva fino in fondo all'anima. Oggi, i suoi missionari sono ormai dispersi in 30 nazioni dei 5 continenti per ogni emigrante senza distinzione: latinoamericani, filippini, portoghesi, capoverdiani… oltre che italiani. Il messaggio termina con un grido, una preghiera:  “Con te oggi i tuoi missionari gridano - in nome di Dio - per quanti hanno bisogno ancora di diventare esseri umani. Loro, che hanno perduto una terra. Ma anche voi, che non condividete la vostra. Come fratelli” . I fedeli, uscendo dal Santuario, ricevevano cosí un messaggio, un volto. E una nuova, forte responsabilità. (p. Renato Zilio, Migrantes Marche) ​    

Floyd: flash-mob dei giovani per la pace contro il razzismo

8 Giugno 2020 - Roma - “Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli”. Ispirati dalle parole di Martin Luther King, domani, martedì 9 giugno alle ore 21, i Giovani per la Pace daranno vita ad un flash-mob sull’Isola Tiberina, per affermare la necessità di contrastare ogni forma di razzismo, discriminazione sociale e violenza, aderendo così al movimento “Black Lives Matter”. Durante l’evento, che sarà preceduto da una preghiera per la coesistenza pacifica negli Stati Uniti, i Giovani per la Pace esporranno uno striscione dalla facciata della basilica di San Bartolomeo e illumineranno la piazza con centinaia di candele.  

Padilla Castro: da badante a Roma a missionaria laica nel suo Perù

8 Giugno 2020 - Roma - "Il Covid ha fermato l’angelo degli Uchugaguinos, ma non ne potrà fermare il sogno, il dispensario medico, i cui lavori inizieranno a novembre". Giuseppe Rogolino, presidente dell’associazione di promozione sociale “Cascada”, sorta nell’ambito del movimento dei Laici Salvatoriani, racconta così Eloida Celina Padilla Castro, morta a 70 anni il 28 maggio, alle 22.30 ora italiana, in un ospedale di Lima, in Perù. La prima laica salvatoriana ad aprire una missione all’estero. Erano gli anni ’80 quando Eloida Celina arriva a Roma con un bagaglio di belle speranze. Donna, badante, straniera, con il volto dai lineamenti indigeni. Da un piccolo villaggio sulle montagne andine a una grande città come Roma. È forte nel fisico e tenace nella fede: si appoggia a un’organizzazione cattolica che offre sostegno agli immigrati provenienti dall’America Latina dove conosce Bianca Emperatriz, con la quale instaura un bel rapporto di amicizia. Qualche tempo dopo è proprio Bianca a donarle i primi 300 dollari con i quali realizzare il suo obiettivo: migliorare le condizioni di vita dei bambini della sua terra, il villaggio di Uchugaga, in Perù. La prima necessità impellente è la mensa scolastica. Se la scuola non provvede al cibo, igenitori non mandano i figli. Celina dona il suo unico pezzo di terra per costruirvi la struttura. Ma ora manca il denaro per la costruzione. Quanto potrà mai mettere da parte una badante? Dopo una notte e un giorno di preghiera e riflessione, nel santuario della Divina Misericordia, la chiesa Santo Spirito in Sassia a Roma, avviene il “miracolo”: l’incontro con la laica missionaria Betty Tocco le apre le porte della famiglia salvatoriana. Comincia per Eloida Celina un doppio percorso: quello che la porterà a diventare anch’essa laica missionaria e quello che si concluderà il 14 maggio 2010, con l’inaugurazione della mensa scolastica alla quale afferiscono i bambini poveri del borgo di Uchugaga e dei villaggi di Colcabamba, Parobamba, Huaracuy, Huayllabamba, Pirpo. La struttura è intitolata a “Padre Francesco Maria della Croce Jordan e Beata Maria degli Apostoli”: il primo, al secolo Johann Baptist Jordan (1848-1918), è il fondatore dei Salvatoriani, la seconda, al secolo Therese von Wullenweber (1833-1907), fondatrice delle Suore Salvatoriane.Grazie ai fondi raccolti in due concerti del gruppo musicale giovanile pugliese Heaven’Sound, Uchugaga viene dotata di una cisterna per l’acqua. Il 9 febbraio 2012 Eloida Celina viene nominata direttrice della Missione Perù. Ormai tornata in pianta stabile nella sua terra, nelle sue scelte si lascia guidare dalla mano del Signore. «Un pilastro per la nostra associazione, che ha saputo trasmettere la sua capacità dirigenziale con umiltà, dolcezza e amore per i bambini. La sua presenza ci mancherà, ma faremo in modo di far crescere quello che lei ha seminato», conclude Giuseppe Rogolino. (Romina Gobbo)      

Mediterraneo …. Quanto resta della notte?

28 Maggio 2020 - In questi mesi segnati dalla crisi sanitaria causata dalla pandemia COVID-19, tanti altri drammi, che pure continuano a consumarsi su questa nostra terra, sono rimasti ancora più invisibili. Come Fondazione Migrantes, insieme all’accompagnamento di alcune fra le categorie più colpite da questa crisi perché già in condizioni di lavoro ed economiche precarie (le colf, i giostrai e i circensi, i Rom), abbiamo cercato di mantenere viva l’attenzione su almeno due di questi drammi, firmando anche un documento insieme alle altre associazioni che fanno parte del tavolo asilo.
  1. La condizione dei tanti stranieri senza titolo di soggiorno (si stima siano almeno 600.000) presenti nel nostro paese, persone senza diritti, condannati all’invisibilità, esposti allo sfruttamento lavorativo e di altro genere, e ora anche al contagio. Papa Francesco li ha ricordati più volte in questi mesi, e anche il Cardinal Bassetti si è pronunciato, proprio nei giorni in cui si discuteva in parlamento della norma per consentire l’emersione dal lavoro nero e dalla irregolarità. La legge approvata non corrisponde a quanto avevamo chiesto, e cioè la regolarizzazione di tutti gli “invisibili” presenti sul nostro territorio, indipendentemente dal contratto di lavoro, come condizione indispensabile per il riconoscimento della loro dignità e la tutela della salute loro e di tutti. Tuttavia è un passo in questa direzione e permetterà a molte migliaia di persone una vita più giusta.
  2. La condizione di tante persone che fuggono dalla guerra e dalla miseria e che continuano ad essere costrette ad affidarsi a trafficanti senza scrupoli perché non ci sono vie di fuga legali e sicure. Ad essere torturati e violentati nei campi di detenzione libici e a morire lungo il viaggio: “La catastrofe umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale” (Papa Francesco). E questo ormai come se fosse una cosa normale, inevitabile, senza un sussulto di umanità.
Nella sua visita a Lesbo del 16 aprile 2016 Papa Francesco diceva: Oggi vorrei rinnovare un accorato appello alla responsabilità e alla solidarietà di fronte a una situazione tanto drammatica. Molti profughi che si trovano su quest’isola e in diverse parti della Grecia stanno vivendo in condizioni critiche, in un clima di ansia e di paura, a volte di disperazione per i disagi materiali e per l’incertezza del futuro. Le preoccupazioni delle istituzioni e della gente, qui in Grecia come in altri Paesi d’Europa, sono comprensibili e legittime. E tuttavia non bisogna mai dimenticare che i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie. L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere. Purtroppo alcuni, tra cui molti bambini, non sono riusciti nemmeno ad arrivare: hanno perso la vita in mare, vittime di viaggi disumani e sottoposti alle angherie di vili aguzzini. E ancora: Per essere veramente solidali con chi è costretto a fuggire dalla propria terra, bisogna lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà: non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali. Prima di tutto è necessario costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove. Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza Colgo qui l’occasione per ringraziarvi e per incoraggiarvi a continuare a denunciare l’orrore della guerra, fino a quando non forgeremo le nostre spade in vomeri e le nostre lance in falci. Questa è la meta che dobbiamo avere sempre davanti, ma poi vanno individuati i passi possibili oggi e su cui cercare le convergenze più ampie possibili:
  • Occorre moltiplicare le occasioni di ascolto e di incontro, perché impariamo a riconoscerci parte di una stessa umanità. Giustamente qualcuno ha notato che fra il lasciar morire nel Mediterraneo i profughi e il lasciar morire i vecchi, come cinicamente si è fatto in alcuni paesi, il passo è breve. Si tratta di esercitarci in quelle sei coppie di verbi che ci ha suggerito il Papa nel suo messaggio per la prossima GMMR.
  • Il prossimo 3 giugno saranno tolti i limiti agli spostamenti fra le regioni e con gli stati esteri, per favorire l’afflusso dei turisti. I nostri porti resteranno vietati solo a quanti fuggono dalla morte?
  • Basta con la criminalizzazione delle navi delle ONG accusate di essere complici dei trafficanti e di attentare alla sicurezza del paese. Esse fanno quello che l’Europa dovrebbe fare, garantire l’accesso a un porto sicuro ai richiedenti asilo.
Perché il Mediterraneo finalmente non sia più un grande cimitero ma frontiera di pace, come recitava il titolo dell’incontro di Bari del febbraio scorso.

Don Gianni De Robertis

direttore generale Fondazione Migrantes

 

Giovanni Paolo II e il mondo della mobilità umana

18 Maggio 2020 - Città del Vaticano - Un pontificato ricco e fecondo quello di Papa Wojtyla. La data della sua elezione sul soglio di Pietro, 16 ottobre 1978, e quella della sua morte, le 21.37 del 2 aprile 2005, sono entrate nella storia non solo della Chiesa cattolica. Tutti ricordano quel grido “Santo Subito” che si levò in Piazza San Pietro in occasione dei suoi funerali. Un grido diventato realtà domenica 27 aprile del 2014 con la canonizzazione in piazza San Pietro presieduta da papa Francesco. Oggi papa Wojtyla avrebbe compiuto un secolo di vita da quel 18 maggio 1920: per 27 anni ha guidato la Chiesa. Anni durante i quali non ha mancato di portare l’attenzione sul mondo della mobilità umana: dai migranti, ai fieranti, agli immigrati, etc.  Ma anche al mondo dell’emigrazione italiana come ha fatto visitando Canale d’Agordo, il paese natale del suo predecessore, Giovanni Paolo I. In quell’occasione, era il 26 agosto 1979, parlò di una terra  che dopo la prima guerra mondiale fu di “perdurante e sempre triste necessità dell’emigrazione, sia essa permanente o stagionale”. Siamo a circa un anno dalla sua elezione sul soglio di Pietro. Dopo  qualche mese, all’ONU ricorda, tra i diritti fondamentali della persona, “il diritto alla libertà di movimento e alla migrazione interna ed esterna”. Un tema ripreso anche nella sua prima  enciclica Laborem exercens dove scrive che “l’uomo ha il diritto di lasciare il proprio paese d’origine per vari motivi – come anche di ritornarvi – e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese”. E nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, sottolinea il necessario impegno che si deve dare a diverse categorie “di famiglie di migranti per motivi di lavoro; di famiglie di quanti sono costretti a lunghe assenze, quali ad esempio i militari, i naviganti, gli itineranti d’ogni tipo; delle famiglie dei carcerati, dei profughi e degli esiliati”. E sottolineava che le famiglie dei migranti “devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità”. E poi tanti i riferimenti al tema nei messaggi per le Giornate Mondiali del Migrante e del rifugiato. Tanti anche gli incontri con il mondo dello spettacolo viaggiante. Alle sue udienze non sono mancati lunaparkisti, circensi, etc che rappresentano “uno spazio di festa e di amicizia”. E poi i rom e sinti a partire dal suo viaggio al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove si inginocchiò davanti alle lapidi e disse: “Mi inginocchio davanti a tutte le lapidi che si susseguono e sulle quali è incisa la commemorazione delle vittime di Oswiwcim nelle seguenti lingue: polacco, inglese, bulgaro, zingaro, ceco, danese, francese, greco, ebraico, yddish, spagnolo, fiammingo, serbo-croato, tedesco, norvegese, russo, rumeno, ungherese e italiano”, quasi a ricordare e riconoscere il popolo rom tra i popoli d’Europa. Un papa, come ha detto questa mattina papa Francesco, uomo di preghiera, di vicinanza e giustizia anche per il mondo della mobilità umana. ​

Raffaele Iaria

   

Lori Chesser: “Il Covid-19 ha aperto la questione della protezione dei diritti umani negli Usa”

11 Maggio 2020 - New York – Sospendere tutti i permessi di lavoro almeno per un anno per chi emigra temporaneamente negli Stati Uniti è la proposta che quattro senatori repubblicani hanno presentato al presidente Donald Trump. La norma dovrebbe rimanere in vigore fino a quando i livelli dell’occupazione non tornino alla normalità e, di fatto, non si scopra un vaccino. Le regole però dovrebbero essere meno rigide per medici ed infermieri chiamati a colmare i vuoti occupazionali nel settore generati dalla crisi sanitaria del Coronavirus. La richiesta arriva mentre alcuni dei consiglieri del presidente stanno pianificando un nuovo ordine esecutivo per sospendere nuovi visti di lavoro temporaneo verso laureati stranieri in tecnologie e scienze, che sono autorizzati a cercare e trovare lavoro per tre anni, e verso i lavoratori stranieri dell’hi-tech che, qualora perdessero il lavoro, dovrebbero lasciare gli Usa in 60 giorni insieme alle famiglie, anche se i figli sono regolarmente iscritti a scuola. Lori Chesser è avvocato per l’immigrazione in Ohio e segue da vicino l’evoluzione delle politiche migratorie statunitensi. Intervenendo ad un panel on line su diritti umani e Covid-19, organizzato per la Settimana mondo unito dai giovani del Movimento dei Focolari, ha chiarito che la legge Usa non riconosce un “diritto” di immigrazione per nessuno, al contrario le norme consentono al presidente di prevenire ingressi di persone e gruppi contrari agli interessi nazionali. Tutto questo non è in contraddizione con la lunga tradizione di accoglienza del Paese? L’unica eccezione a questa norma sono i rifugiati. Chiunque arrivi ad un porto d’ingresso statunitense dichiarando che il ritorno nel Paese di origine porterebbe a persecuzioni a causa della razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale ha il diritto di emigrare negli Usa. Questa legge può essere modificata dal Congresso e interpretata in maniera più o meno restrittiva dalle varie agenzie amministrative che si occupano di migrazioni. Per tutti gli altri immigrati, c’è un sistema di leggi complesso che determina chi può entrare temporaneamente o permanentemente. La prima risposta alla crisi del Covid-19 è stata la restrizione degli ingressi. Perché?  L’iniziale azione del presidente è stata dettata da motivi di salute e riguardava i cittadini stranieri che erano stati in Cina, poi la norma si è allargata a parti dell’Europa, Iran, Regno Unito e Irlanda. E solo ai lavoratori essenziali era consentito l’ingresso da Canada e Messico. A queste misure ne sono seguite altre dettate più dalla minaccia economica e cioè che gli stranieri potessero occupare posti di lavoro riservati agli americani. Preoccupazione legittima ma che non rispecchia una realtà economica e sociale interdipendente come è quella del Paese. Quindi, una legge che non rispecchia la realtà ha già una legittimità ridotta. Queste ultime restrizioni sono estremamente significative e se diventassero permanenti diminuirebbero di un terzo l’immigrazione negli Usa. Seppur temporanee queste restrizioni influenzano però la vita di tante famiglie, come hanno denunciato i vescovi più volte. Certamente. Una norma esistente afferma che solo i ragazzi di età inferiore ai 21 anni possono immigrare nel Paese su richiesta dei genitori. Questa norma sta di fatto impedendo l’ingresso a ragazzi che si trovano alla soglia dei 21 anni e che, di conseguenza, non potranno ricongiungersi con la famiglia per parecchi anni ancora. Inoltre, invocando una legge degli anni ‘40, il presidente ha rifiutato l’ingresso a tutti i migranti che arrivano dalla frontiera sud. Parlando delle frontiere, come è la situazione ai confini con il Messico? La “buona” notizia è che, a causa della nuova politica di rifiuto d’ingresso, il numero di persone presenti nei centri di detenzione temporanea, che di fatto sono prigioni dove le condizioni sono disumane, è molto diminuito. In questo momento sono documentati 34mila immigrati. Naturalmente, come tutti i prigionieri, sono persone vulnerabili al Covid-19 perché non si rispettano le distanze sociali e non ci sono protezioni di alcuni tipo. Varie organizzazioni per i diritti umani, dove anche io sono impegnata gratuitamente, hanno fatto causa al governo federale per ottenerne il rilascio, poiché queste persone, di fatto, non hanno commesso crimini. Abbiamo avuto successo, ma non è una battaglia conclusa. Certamente il Covid-19 ha aperto la questione della protezione dei diritti umani nel nostro Paese. Ci spieghi meglio… Basta guardare ai lavoratori essenziali nel settore agricolo, nella lavorazione delle carni e degli alimenti, nelle pulizie degli ospedali e delle città. Tutti questi settori sono coperti da immigrati. La crisi sanitaria ha colpito pesantemente gli impianti di imballaggi delle carni e i lavoratori di queste aziende continuano a rischiare la vita senza equipaggiamenti di protezione e senza test poiché potrebbero perdere il lavoro. Per loro non vale il lockdown ma non sono state emanate leggi per la loro protezione. Molti di loro lavorano illegalmente e non hanno ricevuto nessun beneficio dal governo in termini di riduzione delle tasse, perché, anche se illegali, le tasse le pagano ugualmente. Nessuno di loro può beneficiare di assistenza sanitaria, tranne se si reca al pronto soccorso per un’emergenza. In un contesto di pandemia tutto questo diventa pericoloso per i soggetti coinvolti e per tutte le comunità dove vivono. Anche il sistema sanitario dipende in parte da migranti eppure anche questi sono i meno garantiti. Proprio così. Molti dei nostri medici arrivano dall’India e hanno seguito la lunghissima trafila degli uffici dell’immigrazione prima di lavorare qui. Se questi medici perdessero il lavoro o morissero per Covid, anche le loro famiglie dovrebbero tornare a casa. Il Congresso non ha garantito loro nessun sistema di protezione. Se quindi, dal punto di vista politico e giuridico, lo status dei diritti umani per gli immigrati non è certamente migliorato, devo dire che la crisi ha mobilitato persone e gruppi della società civile, che stanno lavorando duramente per migliorare la loro condizioni attraverso contenziosi pubblici, patrocini gratuiti e assistenza. Molti di loro sono volontari.  

Un corso on line sulle migrazioni in Italia

3 Aprile 2020 - Roma - Un corso on line intitolato "Un secolo di migrazioni in Italia, 1920-2020" è stato promosso, in questo momento di permanenza a casa a causa del coronavirus. Si tratta di un progetto pensato soprattutto a fini didattici ma non solo e vuole rispondere ad alcune domande sul tema delle migrazioni oggi nel nostro Paese: quando, come e perché sono emigrati all’estero i cittadini italiani? Da chi e come è composta l’immigrazione straniera in Italia? Quali sono le principali traiettorie delle migrazioni interne? Risponderanno a queste e ad altre domande i ricercatori del Cnr – Ismed in collaborazione con Biblioteche di Roma. Ogni lezione dura circa 20 minuti, avrà inizio alle 12 ed è corredata da suggerimenti bibliografici e tabelle esplicative. Le lezioni resteranno a disposizione sul canale You Tube del Cnr Ismed. A partire da martedì scorso, 31 marzo, ogni martedì per sei settimane verrà caricata una lezione sulle piattaforme comunicative di Biblioteche di Roma e dell’Ismed Cnr. I ricercatori forniranno i propri indirizzi di posta elettronica per rispondere alle domande del pubblico. Il coordinamento scientifico di questa iniziativa è composto da Michele Colucci, Francesco Di Filippo e Stefano Gallo.  

“Cammina umilmente con il tuo Dio”: una testimonianza missionaria

18 Marzo 2020 - Loreto - L’immagine mi ha sempre colpito. Quella del dialogo come un ponte che si oltrepassa per entrare nel territorio dell’altro, per poi rientrare, sano e salvo, nella propria terra. Ritornare, tuttavia, trasformato, cambiato. Vi trovo il valore della curiositas, un’attitudine che mi ha sempre inseguito e stimolato. L’attenzione e l’interesse per un altro mondo, per altre culture mi hanno accompagnato a lungo e in varie occasioni. E mi ricorda che chi ama veramente la propria cultura (per me la cultura veneta, con tutti i suoi sapori, dissapori e valori) riesce a valorizzare la cultura dell’altro e comprendere quanto l’altro la possa amare. Questa apertura di cuore e di mente all’alterità mi sembra una qualità essenziale del carisma scalabriniano. Anche se il nostro carisma muove i suoi primi passi dal "principio di identità ", dalla cura e dall’interesse per  "i nostri", per la gente della nostra terra, della nostra lingua e cultura. Ma l’apertura all’altro sa costruire degli esseri "porosi", non impermeabili. Sensibili, empatici e capaci di dialogo. Ricordo ancora con riconoscenza l’ormai lontana esperienza fatta nel primo anno di teologia all’Università teologica di Friburgo, dove mi trovavo: un viaggio di studi in Cina e Giappone. Esperienza intensa, accuratamente preparata durante un anno dal Dipartimento di Missiologia e da noi studenti. Sì, mettersi in ascolto e in dialogo con una civiltà altra, totalmente differente, esige tempo. Mi ha dato la convinzione che l’intelligenza non è tanto il riempirsi di nozioni e di conoscenze, quasi un insediarsi in una torre d’avorio, rifiutando forse il novum, la sorpresa e l’alterità. Quanto, piuttosto, il trovarsi sempre sulla pista di decollo, pronti a partire… di fronte a ogni evento o incontro. Non restare, quindi, accampati sulle proprie posizioni, ma essere disposti a mettersi in cammino con l’altro, per ascoltare le sue ragioni di vita. La chiamerei "mobilità del pensiero" e la trovo una grande dote scalabriniana, una premessa ad ogni dialogo. Un vero cammino di Emmaus, in fondo, l’arte di farsi interrogativo… Dal punto di vista della fede e della religione, invece, scoprivo che non si poteva dirsi veramente "cattolici" se non si conosce la religione di milioni e milioni di altri esseri umani. Meditare tra i monaci buddisti zen per ore, tutti insieme allineati di fronte alle pareti del monastero fu esperienza intensa, esigente, indimenticabile. Come rivestirsi di un’altra umanità, di un’altra spiritualità. Ammirare, poi, quei paesaggi montuosi tipici di laggiù, che sfumano su orizzonti e profili di montagne azzurrine, impercettibili, all’infinito… quasi facendo comprendere come il mistero fa parte della realtà. Ed è questa una regola d’oro per l’antica cultura cinese, innervata profondamente nel principio ying e yang, a cominciare dal respiro. Dove l’espirazione, lo svuotarsi, ne è movimento chiave, fondamentale. La respirazione acquista in Oriente una valenza fisica, psichica e perfino spirituale. Punto di partenza sempre il vuoto, il silenzio. Un essere pieno di sè, per esempio, non avrà nulla da imparare, alcun interesse al dialogo… Come scalabriniano, questo senso del mistero come parte della realtà, dell’ascolto, della kenosi e dello sguardo contemplativo mi è rimasto dentro, quasi in un dialogo interiore. Il trovarmi di fronte a una cultura antichissima sorta migliaia di anni prima di Cristo, mi faceva vivere il senso dello stupore di fronte all’alterità. Non di giudizio o di condanna. Ma di apertura dei sensi, di fronte a qualcosa più grande di sè. Mi faceva comprendere, pure, come una cultura è semplicemente un punto di vista – perchè situata in uno spazio/tempo particolari - sulla vita, la morte, il tempo, l’educazione, il corpo e l’amore, … maturato per secoli nel cammino di un popolo. Come, in un altro caso, l’osservare una città : lo si può fare da tre punti di vista differenti, dal di dentro, dall’alto o dal di fuori, punti tutti ugualmente importanti e complementari. Ridursi a un unico punto di vista, impoverisce lo sguardo. In questo senso, il carisma scalabriniano tenderà a valorizzare la cultura di una comunità. Ma, allo stesso tempo, a relativizzarla. A metterla in relazione con altre, con altri punti di vista. "La differenza crea il senso", ricorda una regola d’oro della semiotica. E così, penso ai giovani universitari della nostra Missione, che, dopo aver compreso questo, venivano spontaneamente a chiedermi – per una loro personale iniziativa, progetto o idea – il mio punto di vista, anche se esterno. Non assolutizzare il proprio punto di vista, ma ricostruirlo continuamente con l’apporto dell’altro, dell’alterità, lo trovo una grande conquista, un’esemplare prova di umiltà, un tratto interessante del carisma. La missione, poi, mi ha portato a vivere una decina d’anni in un Centro di accoglienza a Ecoublay, in regione parigina, per gruppi di giovani di varie nazionalità, di parrocchie, di movimenti o di migranti. Era il tempo di vivere il dialogo nelle sue dimensioni di spogliazione di sè, di far posto all’altro, di disponibilità senza limiti. Trovando, pure, i modi e i tempi per far conoscere il senso di un carisma, di entrare in dialogo. Ho imparato a coltivare la nostra humilitas, a mettere in valore l’altro nell’atteggiamento di servizio, a praticare in ogni suo aspetto l’ospitalità. A far sentire l’altro "a casa sua", nota tipica e benefica della sensibilità scalabriniana, nella sua erranza. Erano i miei primi anni di missionario e le energie, dieu merci! non mancavano, assieme al DNA veneto come attivismo e contatto umano. Mi sono trovato per vari anni in terra francese e francofona in comunità di emigranti, - italiani, portoghesi e capoverdiani - come leader. Questa figura la definirei "colui che cammina accanto, un passo innanzi". Colui che accompagna una comunità, ma che la precede con lo sguardo, il pensiero, la progettualità, non restandovi in full immersion. È vero, il ritrovarsi per una comunità di emigranti è vitale, nel duplice movimento di dispersione e di comunione, come sistole e diastole nel movimento del cuore. Ritrovare i propri simili, in fondo, è ritrovare se stessi. Ma dovrebbe a volte aggiungersi anche una dinamica di avanzamento verso il Regno, ritrovandosi con altri, di ogni cultura e nazionalità. Come missionario, trovavo importante avere una presenza nella comunità migrante, ma anche nella comunità di accoglienza, con una duplice responsabilità e reconnaissance. Una posizione scomoda, ambivalente, dialogica, ma particolarmente feconda. Dove le attese, le speranze, i progetti degli uni potevano, così, intessersi con quelli degli altri. Dove l’incontro con l’altro diventa il senso della propria opera, nel costruire Chiesa, cioè una comunità di comunità. Ricordo la gioia di un vescovo francese quando per la metà della sessantina di giovani cresimandi erano i nostri portoghesi, dopo un lungo cammino di preparazione tutti insieme, affiancati da animatori per metà francesi e portoghesi. Adulti e giovani di comunità differenti erano, così, impegnati a tessere le fila della comunione, del dialogo tra sensibilità spirituali diverse : i francesi più riflessivi, i portoghesi più oranti. Maturavo la convinzione che il missionario scalabriniano ha il compito del direttore d’orchestra, colui che fa suonare strumenti, talenti differenti e ne sa creare l’armonia. Fa vivere un insieme, la sua presenza fa nascere l’unità, la sua missione è la comunione delle diversità. Mettendo in valore, così, una minoranza, ma relativizzando una presenza preponderante. Questo tratto mi ha sempre accompagnato e stimolato: la valenza spesso profetica e pedagogica di una minoranza, qualsiasi essa sia. E ció puó connotare, pure, il nostro stesso carisma. Il passaggio, poi, dal mondo francofono a quello anglosassone, da Ginevra a Londra, non fu semplice. Mi diede, tuttavia, altre possibilità, aprì altre finestre nella dinamica del dialogo con l’altro in un nuovo contesto multiculturale e multireligioso. Come il vivere nel nostro quartiere di Brixton Road l’annuale interreligious walk, quando buddisti, musulmani, induisti, anglicani del quartiere si visitano reciprocamente in una marcia comune nei differenti luoghi di culto del quartiere (templi, chiese, pagode o moschee...) per far esprimere ad ognuno il senso di una presenza e gli aspetti della propria comunità. Originale pareva, per davvero, spiegare il carisma di Scalabrini a dei buddisti o a dei musulmani convenuti nella nostra Missione cattolica di migranti italiani, portoghesi e filippini. Raccontando che all’origine vi era la missione cattolica degli italiani, poi, allargando la sua tenda, accoglieva una comunità filippina e successivamente una portoghese. Ognuno trovandosi nei vari spazi come "own at home", ma svolgendo anche iniziative o processioni comuni : il miracolo di sentirsi tutti migranti ! Le religioni o le culture si sono costruite come realtà autonome, sicure di sè, centrate in sè stesse. Come un superbo grattacielo ogni religione ha sviluppato radici profondissime, grandi fondamenti e svetta nel cielo con i suoi insegnamenti, i suoi testi sacri. Ma oggi, in cui l’uomo si incontra con l’altro in maniera nuova, rapida, sorprendente, ogni religione è invitata a farsi tenda : spazio aperto, accogliente, ricco di senso per l’umanità. Dove si viva, in fondo, il mistero di Dio e il suo incontro.  "Per comprendere l’altro non bisogna conquistarlo - scriveva Louis Massignon - bisogna farsi, invece, suo ospite : la verità si trova nell’ospitalità". Non mi sarà facile dimenticare l’invito a Chennai (Madras), metropoli di 7 milioni di abitanti (India), dell’anziano pastore anglicano indiano nostro vicino, con cui si collaborava, Rev. Canon John, e trovarmi a mezzanotte dell’ultimo giorno di dicembre in una cattedrale anglicana stracolma per la preghiera del thanksgiving, mentre lui stesso teneva il sermone. E con lui conoscere parrocchie, associazioni e iniziative di solidarietà del mondo anglicano, in terra indiana. Il carisma scalabriniano mi sembrava spingere sempre alla frontiera, con la sua valenza di "ponte-fice" del costruire ponti, del coltivare l’ospitalità. La frontiera è luogo teologico, che relativizza le costruzioni dell’essere umano, l’assoluto delle sue conquiste, la centralità totalizzante del suo mondo. La frontiera è luogo per eccellenza dell’incontro e del confronto, dell’autonomia e della simbiosi, dell’identità e dell’alterità che si danno appuntamento. In fondo, è occasione di scoprire nell’altro un dono e "lo straniero come un fratello  che non hai mai incontrato" dice un proverbio africano. Tuttavia, come scalabriniano dove mi sembra avere vissuto maggiormente il dialogo e l’incontro è stato nel Maghreb, terra di emigrazione : emigrazione di partenza, di arrivo e di transito. Ho avuto la possibilità di passarvi anche periodi relativamente lunghi, o di accompagnare nel Sahara per il ritiro quaresimale per vari anni gruppi di giovani, figli di emigranti, ma nati all’estero. Educarli, così, all’incontro con l’alterità, al dialogo con un’altra cultura. Era per loro fare il salto mortale dei loro genitori nell’avventura migratoria : cambiare mondo. Entrare nel mondo musulmano, dove ogni città è come un grande monastero, dove lo spazio e il tempo sono segnati dalla presenza di Dio. Avere, così, come facilitator - ma anche oasi di riposo, di accoglienza e di scambio - piccole comunità cristiane in terra d’Islam. Veri discepoli del Signore sulla terra del Profeta. Coscienti della loro fragilità, ma anche della forza del dialogo, della preghiera e dello spirito di servizio, vissuti senza misura. Consapevoli, pure, che l’unico vangelo che i musulmani possono leggere è la loro stessa vita. I nostri giovani comprendevano, in questo modo, come viaggiare non era tanto "conoscere nuove terre, ma avere nuovi occhi" (Proust). Si celebrava, allora, l’eucaristia sulla duna più alta, nel silenzio più assoluto del deserto del Sahara... una messa sul mondo! Come dimenticare quando al momento del perdono posavano l’orecchio su questa sabbia rossa, in pieno Sahara, per auscultare la terra... Era per provare a sentire il pianto di milioni di uomini, di donne e bambini, di esistenze infelici sulla terra, impossibili da vivere, miserabili, sradicate dagli eventi e forse migranti. Per chiedere perdono a Dio di avere un cuore insensibile alle tragedie del mondo : Signore, pietà ! Al momento della pace era vedere questi giovani affondare le mani e le braccia il più possibile nella sabbia tenerissima, nel tentativo, in mezzo al deserto, di dare la mano a tutti gli uomini della terra, per esprimere le lunghe solidarietà che avrebbero voluto far nascere... Penso con commozione a questi tanti giovani che il deserto ha consolidato o trasformato nei loro aspetti più sani e più belli. Alcuni sono ritornati in Africa per un periodo di volontariato, altri, per lo stesso motivo, in Brasile,... Una lezione del deserto, che in loro ha saputo fiorire e dare frutto. Un dialogo interiore con se stessi e con l’alterità, che si è fatto realtà. "La Chiesa del Marocco - ci spiegava il vescovo di Rabat - è insignificante per numeri, ma significativa. I cattolici, tutti stranieri (ma non stranieri a questo popolo !) provenienti da 100 nazionalità differenti, sono 25-30mila su 37 milioni di musulmani, pari allo 0,08%. Come dice il Papa, non è un problema essere pochi, il problema sarebbe essere insignificanti, essere sale che ha perso il suo sapore, essere luce che non illumina. Il problema è non essere autentici". Una Chiesa a servizio del Regno di Dio, non di se stessa, aggiungeva, poi, con forza, non autoreferenziale e questo insieme ai musulmani stessi, per costruire tutti la pace, la dignità della donna, un avvenire migliore. Insomma, una Chiesa del dialogo e dell’incontro, come si autodefinisce volentieri e con convinzione. Particolarmente impegnata nella sua passione e compassione per le migliaia di migranti subsahariani, che, d’altronde, fanno rinascere le comunità cristiane in terra d’Islam. Un lavoro immane per la Caritas Maroc, ma anche in tutte le parrocchie. In quella di Oujda, per il sovrafollamento, trovavo ogni volta una coppia di subsahariani accampata anche in sacrestia, mentre sul tappeto dell’altare vi era sempre disteso qualcuno nel sonno, appena arrivato da un lungo viaggio e crollato per la fatica. Mi resta profondamente nello spirito questa fraternità universale, che proviene dalla spiritualità di Charles de Foucauld, eredità per tutto il Maghreb e che struttura l’anima di questa Chiesa : i musulmani sono fratelli e sorelle da amare, semplicemente. I migranti, invece, sono due volte fratelli, anche per la loro doppia marginalizzazione in questo Paese musulmano (essere neri ed essere cristiani). Quanto prezioso per il missionario scalabriniano il sentirsi fratello universale, al di là di appartenenze etniche, culturali, religiose ! Risponde, anche, all’affermazione del Fondatore che "per il migrante la patria è il mondo". E l’umanità la sua famiglia. "O caminho se faz caminhando", infine, mi sembra profondamente un’assioma scalabriniano. E dopo una lunga itineranza mi sembra di aver costruito in me una identità plurale, fatta di culture, di spiritualità e di volti incontrati. In dialogo continuo tra di loro. A volte mi risuonano le parole del mistico arabo Ibn Arabi : "Il mio cuore è divenuto capace di accogliere ogni forma: è un pascolo per le gazzelle, un convento per i monaci cristiani, un tempio per gli idoli, la Ka’ba del pellegrino, le tavole della Torah, il libro del sacro Corano. Io seguo la religione dell’amore, quale sia la strada che prende la sua carovana: questo è mio credo e mia fede".                                          

La Quaresima a un metro di distanza

12 Marzo 2020 - Roma - Come trasformare in una opportunità l’esperienza ansiosa generata dalla presenza del virus, che gira quasi in tutto il mondo, al di là dei confini di ogni Stato? In che modo stiamo vivendo l’invito a rallentare il passo, per poter custodire noi e gli altri? Come ci stiamo rendendo conto del grande dono dell’esistenza ricevuta dal Datore di ogni bene, per viverla integralmente, anche quando sperimentiamo la nostra fragilità? In questi giorni tutti siamo invitati a fissare la distanza di un metro l’uno dall’altro. Ci siamo chiesti: dobbiamo rispettare un metro lineare o un metro quadrato? Se è un metro lineare rischiamo di guardare solo secondo una prospettiva, se quadrato avremo più possibilità di allargare gli orizzonti e renderci più conto in modo reale di chi ci sta vicino, non per difenderci, ma per divenire persone capaci di relazione. Agganciati dalla frenesia dei contatti virtuali con tutto il mondo, spesso ignoriamo chi ci sta vicino, collocato ad un metro di distanza: non vediamo nessuno, non percepiamo la presenza dell’altro. In questo tempo ci sembra si sentir parlare per la prima volta dello spazio salutare, al di là della sua forma geometrica, che può intercorrere tra una persona e l’altra. Sembra che tutti siamo atterrati in questi giorni per la prima volta sulla terra e ci sentiamo incapaci di situarci in uno spazio dove ognuno riconosce la propria esistenza e quella dell’altro. La gente è preoccupata e sta vivendo drammaticamente il disagio, perché causato da un evento che sfugge al controllo: in molti vanno in confusione. Abituati a prevedere e a conoscere anticipatamente tutto, ormai non riusciamo ad accettare che possa accadere qualcosa al di fuori della nostra portata. Mentre alcuni individui sembrano quasi schizzati nei movimenti e si guardano attorno con sospetto, altri minimizzano a tal punto che si rifiutano di riconoscere il pericolo e, per esorcizzare la paura inconscia, negano l’evidenza, bypassando persino le restrizioni indicate per la custodia del bene comune. E se scegliessimo di individuare e di accogliere la realtà così com’è, che comprende anche un’esperienza sgradevole da vivere, che cosa succederebbe? Probabilmente avremmo un contatto diverso con noi stessi e con gli altri: ci scopriremmo persone capaci di gestire con dignità la difficoltà generalizzata, di stare a distanza debita dall’altro, senza oltrepassare il confine fissato. Ad un metro di distanza si può decidere di rispettare la propria e altrui esistenza. Com’è difficile, a volte, fermarsi davanti alla persona che ci sta di fronte, occhi negli occhi, come accadde ad Adamo ed Eva, per riconoscere nella relazione il suo diritto di esistere. In questi giorni non si sa come strutturare il tempo, come riempire i vuoti, in che modo vivere le relazioni ravvicinate e costanti con persone reali e non solo con quelle virtuali. Si ripresenta il “dilemma dei porcospini” (A. Schopenhauer), i quali, un giorno d’inverno, sentendo il bisogno di riscaldarsi, cercarono di avvicinarsi. Si accorsero, però, che la troppa vicinanza causava ferite a causa degli aculei, perciò si sforzarono più volte di trovare la giusta distanza che permettesse loro di riscaldarsi. Il contatto diretto con le persone di carne richiede anche a noi di trovare la distanza che custodisca la vita e, per far questo, occorre allenamento. Dove sta Dio in tutto questo? Lo stiamo cercando? Come ci sta animando la fede, per vivere intensamente questo evento senza sentirci abbandonati da Lui? Dove abbiamo relegato la preghiera? Come valorizzare questo periodo per diventare sempre più persone umane capaci di vivere non solo per se stesse, ma per donarsi agli altri come ci ha insegnato Gesù? In questo tempo di corsa planetaria attraverso i contatti virtuali, gli eventi della storia non determinati da algoritmi programmati, oggi ci interpellano: fermati, riprendi la tua vita tra le mani, ascolta il silenzio e il palpitare dell’esistenza, godi dei momenti di solitudine e ascolta Dio che ti parla, senti la terra sotto i piedi, godi del tuo esserci e dell’esserci degli altri, scopri di essere abitato dall’amore, chiediti che senso ha la tua vita, struttura il tempo vivendolo con te stesso, con gli altri, guarda le stelle, l’alba e il tramonto, vivi l’ordinarietà della vita, senti il profumo dell’altro, dei fiori, guarda e gioisci per la bellezza del creato, porta il tuo contributo responsabile all’umanità, per edificare la società dell’amore fondata sulla giustizia, sulla pace, sulla solidarietà, scopri nella tua vita la presenza di Dio che ti ama. Accogliendo questa Quaresima alternativa come risorsa, possiamo scoprire il ritmo del tempo cadenzato costantemente dall’amore di Dio. Allora tutto acquista un senso, anche il virus che ci spinge a ritrovare i confini dell’esistenza abitata dallo Spirito, mentre riscopriamo la bellezza della vita in profondità e in relazione con gli altri. (Diana Papa - Sir)  

Bogotá: domani vertice degli episcopati della regione boliviariana sull’emergenza migranti

10 Marzo 2020 - Roma - La crisi migratoria, soprattutto per l’emergenza in Venezuela, sarà l’argomento che verrà affrontato dai partecipanti all’incontro delle Conferenze Episcopali della regione bolivariana, previsto per domani, 11 marzo, a Bogotá. Vi prenderanno parte, tra gli altri – informa il Sir - il Presidente del Consiglio Episcopale Latino-Americano (Celam) e della Conferenza Episcopale Peruviana, Mons. Miguel Cabrejos Vidarte, il Segretario generale dello stesso organismo, Juan Carlos Cárdenas Toro, Vescovo ausiliare di Cali, vescovi e rappresentanti degli episcopati di Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia. In tutto saranno presenti nove vescovi. Il fenomeno migratorio, anche alla luce di un recente incontro svoltosi a Cúcuta (città colombiana alla frontiera con il Venezuela), verrà affrontato dal punto di vista pastorale e sinodale, attraverso un dialogo aperto. L’analisi sulla crisi sociopolitica venezuelana e sulla crisi migratoria di portata regionale sarà offerta dal teologo ed esperto del Celam Rafael Luciani. È prevista poi una riflessione sulla rete continentale Clamor e sull’opportunità del suo rafforzamento, come meccanismo di articolazione ecclesiale che consentirà l’elaborazione di una proposta complessiva su tale questione.