Tag: Immigrati e rifugiati

Jaime e il “di più” che cambia tutto quando il male si trasforma in bene

6 Maggio 2020 - Milano – “Gli uomini sanno che moriranno, ma non ci credono”. Queste parole di Fabrice Hadjadj mi sembrano un ottimo modo per descrivere l’attuale fase del mondo e della nostra vita, i mesi che abbiamo alle spalle e, purtroppo, quelli che ancora ci aspettano. In questi giorni abbiamo imparato tanto su virus e coronavirus. Non sapevamo che, dietro le nostre tranquille influenze, ci fossero dei killer così temibili, ma l’abbiamo scoperto da quando abbiamo visto come la morte può passare molto vicino a noi e ai nostri cari. Le conoscenze che si sono ampliate però, non sono solo quelle della biologia e della medicina. Abbiamo anche scoperto di avere esistenzialmente uno sguardo “religioso” e, poiché la fine di tutto ciò non sarà rapida, abbiamo l’occasione, approfondendolo, di liberarci da quella cappa resistentissima con la quale prima, quasi senza volerlo, ci immunizzavamo così facilmente dalle grandi domande. Il senso religioso è il nerbo della nostra vita, ce lo ritroviamo in ogni gesto anche minimo della giornata. Non è solo quello che sta dietro l’accoglienza degli immigrati o la riapertura delle Messe, ma è quello che anima l’altruismo, il sacrificio, l’impegno, di medici e infermieri, di tutti quelli che si impegnano per combattere la pandemia. Ciascuno di noi, come accade ai reduci di guerra, può raccontare storie drammatiche e bellissime, di dolore e di vita. Come quella che lega tante persone a Jaime Mba Obono, cittadino palermitano nato in Guinea equatoriale. Si era recato in Africa a gennaio per trovare la famiglia di origine e, ammalatosi di coronavirus, si è ritrovato intubato in gravissime condizioni all’ospedale di Malabo, non attrezzato per curare quell’emergenza pur essendo quello della capitale. Chiara, la moglie di Jaime, non si è rassegnata ed è nata una cordata meravigliosa di semplici cittadini e di autorità dello Stato: gli uni hanno raccolto più di 100mila euro, i secondi – e cioè il Ministero degli Esteri insieme al ministero della Difesa – hanno organizzato un volo militare per riportare in Italia il nostro connazionale, che, nel momento in cui scrivo, versa in condizioni critiche non avendo le medicine necessarie per essere curato. Una vicenda come questa – a prescindere dalla conclusione che speriamo positiva – mostra come scienza medica, ricerca, organizzazione, siano necessarie, ma non siano sufficienti. Cure e vaccini servono e non bastano: è il di più del personale sanitario, è il sacrificio di chi assiste i malati, di chi si occupa della logistica, di chi sa servire il prossimo a costo della propria vita, ciò che, in Italia e in tutto il mondo, contrasta la pandemia. È l’altruismo di chi si coinvolge in vicende che sapevamo esistere come lontane e che invece, ora, ci toccano da vicino perché ci riguardano. Le decine di persone che si sono implicate in prima persona, come privati cittadini o come pubblici ufficiali, in una vicenda come quella di Jaime Mba Obono, lo hanno fatto perché la scienza e la fede, l’umano e il divino, il senso religioso e il più schietto senso antropologico si sono incontrati e si sono dati la mano. Questa è la miglior risposta alla domanda se Dio c’entra o meno con il coronavirus, sul perché permetta il male o addirittura se “crea Lui” la pandemia. Se Gesù avesse fatto il prodigio di scendere dalla Croce, come gli chiedevano alcuni, avrebbe fatto un miracolo in più, ma l’essere umano sarebbe rimasto solo, con il suo dolore e con la sua morte. Restando sulla croce, Gesù non spiega nulla, ma accompagna, soffre insieme all’uomo. Le infinite catene di solidarietà che abbiamo scoperto in questi giorni e che ci sforziamo di raccontare e documentare, raccontano sempre, in mille modi diversi, la storia di Cristo. Quella storia per cui solo passando attraverso il male, lo si può trasformare in bene. Si capisce così che il male non è un prezzo da pagare ma spesso, ciò che noi chiamiamo male, è solo un cammino che porta al bene dell’uomo che si stringe all’uomo, dell’uomo che, unendosi a Cristo, può trasformare il male in bene. (Mauro Leonardi - Avvenire)  

Lampedusa: ieri tre sbarchi

6 Maggio 2020 -     Lampedusa - Tre sbarchi in poche ore, a Lampedusa, l’ultimo alle tre di lunedì notte, quando dieci tunisini sono arrivati al molo Favaloro e si sono confusi con gli altri 138 migranti di due precedenti sbarchi. L’hotspot dell’isola, infatti, ospita già 116 extracomunitari (20 in più della capienza massima consentita) da 27 giorni. Ma non è solo questione di numeri: al tempo del coronavirus, i nuovi arrivati non possono unirsi a chi ha già trascorso la quarantena in isolamento e attende di andare altrove. Farlo significherebbe far ripartire da capo la conta dei giorni. E così, ieri mattina, 82 dei nuovi arrivati sono stati imbarcati sul traghetto di linea per Porto Empedocle; altri 64 sono tuttora sul molo, mentre 44, dopo una notte all’addiaccio, tre giorni fa sono stati portati nella Casa della Fratellanza, gestita dalla parrocchia. Dell’emergenza di Lampedusa, ha parlato anche l’arcivescovo di Agrigento, cardinale Francesco Montenegro, durante la Messa per il patrono di Licata, Sant’Angelo. “Non dobbiamo disprezzare chi arriva da altri continenti. Cristo non ci vuole eroi, gli vanno bene anche i piccoli gesti”, ha detto.

Brescia: preghiera corale per l’epidemia

5 Maggio 2020 - Brescia - Riuniti in cerchio con al centro un braciere, simbolo delle rispettive comunità vive che non potevano essere fisicamente presenti. Nei giorni scorsi nel giardino della Curia di Brescia è stata celebrata una preghiera ecumenica e interreligiosa: hanno partecipato alcuni ministri del culto residenti nei confini del Comune di Brescia; idealmente erano presenti anche i monaci buddisti e i rappresentanti Sikh che non potevano raggiungere Brescia in quanto residenti fuori città. Erano presenti: il vescovo Pierantonio Tremolada; Sheik Amen Al-Hazmi, Imam del Centro Culturale Islamico di Brescia; la pastora Anne Zell, della Chiesa Valdese di Brescia; padre Porubin, padre Timis e padre Cirlan delle Chiese Ortodosse presenti in città; don Roberto Ferranti della Migrantes diocesana e don Claudio Zanardini. I ministri, nelle rispettive tradizioni, hanno elevato una preghiera di suffragio per i defunti di questo tempo di emergenza e di protezione per le nostre comunità, condividendo le fatiche vissute per la nostra gente e per il nostro pregare senza comunità che ha caratterizzato tutto questo tempo. Al termine di ogni preghiera, hanno posto sul braciere dei grani di incenso simbolo della preghiera che sale al cielo in nome delle rispettive comunità. Gli ortodossi hanno fatto una preghiera e un canto; la Pastora Valdese ha portato la sua riflessione, l’Imam ha recitato una preghiera così come il Vescovo di Brescia, mons. Tremolada, che ha letto il Salmo 22 (Il Signore è il mio pastore) e una preghiera di suffragio per i defunti. Il Vescovo ha mandato anche un messaggio per l’inizio del Ramadan (23 aprile), il mese di digiuno e preghiera: “Sono sicuro che saprete anche voi imparare da questo ‘digiuno forzato’ della vita comunitaria a riscoprire i valori più grandi dell’ascolto di Dio, Clemente e Misericordioso, nella forma della preghiera personale”. “Mi viene spontaneo – ha commentato don Roberto Ferranti, direttore dell’Ufficio per il dialogo interreligioso e della Migrantes diocesana – ripensare ancora alle parole di Papa Francesco la sera del 27 marzo, parole pronunciate per la città di Roma e per il mondo intero: ‘Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti’. Mi tornano in mente queste parole per descrivere il momento di preghiera che il vescovo Pierantonio ha condiviso con i ministri delle altre chiese cristiane e con i rappresentanti delle altre religioni”. La fede sostiene tutte le religioni nel momento della prova che stiamo vivendo. “Questo esserci trovati tutti sulla stessa barca ci ha fatto sperimentare come la preghiera è stato il denominatore comune che ci ha sostenuto nella fatica che abbiamo affrontato. Noi per la quaresima e la Pasqua, la stessa cosa per i fratelli ortodossi e per la comunità islamica che inizia il mese sacro di Ramadan… Tutti abbiamo dovuto ritrovare un modo per pregare insieme, stando a distanza. Ognuno ha trovato un modo per accompagnare i propri defunti….e per sostenere la fiducia della propria comunità. Per un momento abbiamo sentito l’esigenza di farlo insieme, perché insieme abitiamo questa città e insieme abbiamo guardato verso lo stesso cielo per ritrovare la forza del cammino”. Incontrarsi per dialogare, incontrarsi per conoscersi. “La fraternità che da tempo viviamo nei rapporti reciproci tra chiese cristiane, comunità islamica e altre religioni, si rafforza anche nelle situazioni difficili. Non risolveremo noi i dibattiti teologici delle divisioni, ma sperimenteremo come l’abitare la stessa città ci educa a capire la fraternità concreta dell’essere prima di tutto uomini e donne credenti.

Santa Sede: la presentazione degli Orientamenti pastorali sugli sfollati interni

5 Maggio 2020 - Città del Vaticano - “Dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha ritenuto urgente che la Chiesa accompagnasse tutti coloro che per un motivo o per un altro sono costretti a migrare”. Lo ha ricordato il card. Michael Czerny, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, durante la conferenza stampa di presentazione degli Orientamenti pastorali sugli sfollati interni, curato dal citato dicastero e pubblicato oggi. “In questo tempo di pandemia – ha attualizzato il porporato – il virus non distingue tra coloro che sono importanti e coloro che sono invisibili, coloro che hanno una sede fissa e coloro che sono sfollati: ognuno è vulnerabile, e ogni infezione è un pericolo per tutti”. “Il virus ci mette tutti nella stessa barca, come ha detto Papa Francesco il 27 marzo scorso”, ha affermato Czerny rispondendo alle domande in streaming dei giornalisti: “Assicurare i servizi di base agli sfollati interni non è solo una questione di giustizia e di dignità, ma una questione di salute pubblica, per impedire la diffusione del contagio”. “Nel post covid-19 il contributo degli sfollati interni sarà molto necessario”, ha detto il cardinale, che ha ripercorso le tappe che hanno portato al volume di oggi – a partire dei 20 punti di azione pastorale per i migranti e i rifugiati suggeriti nel 2017 dal suo dicastero alla Chiesa universale per i migranti e i rifugiati – e ha annunciato che “a breve” ci sarà anche un documento sui migranti climatici, un “capitolo nuovo e sempre crescente” non incluso nella pubblicazione odierna. “Gli sfollati interni non possono essere dimenticati perché c’è un’altra urgenza”, ha detto p. Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale: “in molte pratiche la collaborazione tra cristiani ed esponenti di altre religioni è molto reale e molto forte”, ha fatto notare Baggio, sottolineando che “da qualche anno l’interesse per il dialogo interreligioso è diventato ormai una caratteristica del nostro lavoro”. “Vogliamo documentarlo, dobbiamo imparare molto dalle buone pratiche”, ha assicurato il religioso. “La crisi del Covid-19 è ormai entrata – ha commentato Baggio – e ha il vantaggio di averci dato maggior tempo di riflessione su tante questioni attinenti alle grandi questioni dell’umanità. Il multitasking non è un optional, ma è necessario per gestire tutte le emergenze che stanno venendo  alla luce. Il virus ci ha fatto vedere come le debolezze sono davvero debolezze, le vulnerabilità sono davvero vulnerabilità, le fragilità sono davvero fragilità . A volte non ci accorgiamo di chi sta a fianco a noi e sta male e non  viene generalmente incluso”. “Il problema maggiore degli sfollati interni è la loro invisibilità”, ha aggiunto Amaya Valcárcel, coordinatrice internazionale di advocacy del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati. Il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (Jrs), ha ricordato la relatrice, è presente in 56 Paesi per “accompagnare, servire e difendere i diritti dei migranti forzati” ed opera con le popolazioni interne di 14 Paesi. “La crisi sociale ed economica prodotta dal Covid-19 – può causare una  maggiore invisibilità e una maggiore restrizione per gli sfollati interni”. Di qui la necessità di “dare risposte diverse a seconda delle necessità della popolazione”. Il caso della Colombia, per l’esperta, è ”paradigmatico”, perché la cifra degli sfollati interni supera i 5 milioni e mezzo di persone, che diventano “sfollati cronici”, vulnerabili e “non integrati nelle dinamiche sociali ed economiche delle città”. “Lavorare con le popolazioni locali è molto importante”, ha spiegato Valcárcel,  anche garantendo “educazione di qualità” ai bambini e favorendo processi di riconciliazione”.    

Sfollati interni: un documento della Santa Sede

5 Maggio 2020 - Città del Vaticano - La Santa Sede fa il punto sugli sfollati interni cin un documento della Sezione Migranti del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale che questa mattina ha diffuso e presentato un volume dal titolo “Pastoral Orientations on Internally Displaced People” – “Orientamenti Pastorali sugli sfollati interni”. Il volume cita i dati del 2018 dell’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), secondo il quale gli sfollati interni sono 41.3 milioni in tutto il mondo, il più alto numero registrato nella storia. Nel volume, si accoglie  la definizione di sfollati interni (Internally Displaced People, IdP) fornita dai Principi guida sugli sfollati (1998) delle Nazioni Unite: “Quelle persone o gruppi di persone che sono stati forzati o obbligati a fuggire o a lasciare le loro abitazioni o i luoghi abituali di residenza, in particolare come conseguenza di un conflitto armato o per evitarne gli effetti, di situazioni di violenza generalizzata, di violazioni dei diritti umani o di disastri naturali o provocati dall’uomo, e che non hanno valicato un confine di Stato internazionalmente riconosciuto”.  In più, il Dicastero pontificio aggiunge un’ulteriore causa scatenante dello sfollamento interno: “Governi e soggetti del settore privato, incluse milizie private, gruppi estremisti e multinazionali sono talvolta responsabili dell’acquisizione, pianificata o arbitraria, di certi territori. Lo scopo è spesso la realizzazione di infrastrutture o altri progetti immobiliari, ma anche attività estrattiva, coltivazioni intensive e appropriazione di terreni. L’esproprio potrebbe verificarsi senza una corretta consultazione e un’equa compensazione delle comunità colpite o senza provvedere al loro reinsediamento e riabilitazione, così creando uno sfollamento interno”. “La Chiesa cattolica riconosce e apprezza gli sforzi della comunità internazionale per costruire un quadro normativo finalizzato alla protezione degli Idp, così come l’impegno di molti operatori della società civile nel rispondere all’emergenza dello sfollamento interno”, si legge nell’introduzione: “Nondimeno, questi non possono sostituire il ruolo primario dei governi nazionali e delle autorità locali”. “Fornire una serie di considerazioni chiave, che possano essere utili alle Conferenze episcopali, Chiese locali, congregazioni religiose e organizzazioni cattoliche, così come agli agenti pastorali e a tutti i fedeli cattolici nella pianificazione pastorale e nello sviluppo di un programma per l’effettivo aiuto agli sfollati interni”, lo scopo del documento, in cui si ribadisce che “la Chiesa riconosce e reitera il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza delle persone nel loro paese d’origine”: “Le persone tutte, indipendentemente dal loro status migratorio, dovrebbero poter rimanere nelle loro case in pace e sicurezza, senza il pericolo di essere forzosamente sfollate”. “Si Anche se sono spesso costretti a fuggire allo stesso modo e per le medesime ragioni dei rifugiati”, gli sfollati interni “non rientrano nel sistema di protezione internazionale previsto dal diritto internazionale dei rifugiati”, denuncia il documento: “”finché non sono costretti a oltrepassare un confine internazionalmente riconosciuto alla ricerca di sicurezza e protezione”, gli Idp – si legge nella prefazione – “rimangono cittadini sotto la giurisdizione legale del loro Paese d’origine, aventi gli stessi diritti e garanzie di qualsiasi altro cittadino di quello specifico Stato”. Nel documento del dicastero vaticano  si fa presente che “il riconoscimento che uno Stato abbia l’obbligo primario di proteggere tutti i suoi cittadini, in qualsiasi circostanza, insieme al rispetto della sovranità statale da parte della comunità internazionale, ha avuto, finora, come risultato l’assenza di un regime giuridico vincolante a livello internazionale e di una definizione globalmente riconosciuta di sfollamento interno”. Per questo, “la responsabilità primaria nel proteggere i diritti umani degli sfollati interni e nel garantire loro assistenza umanitaria rimane in capo al governo della nazione d’appartenenza, anche qualora quel governo non sia sempre disposto o in grado di adempiere i propri obblighi”.  Lo scopo del volume è quello di “offrire suggerimenti e linee guida per un’azione basata su quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare”, i  quattro imperativi di Papa Francesco per i migranti e i rifugiati. Gli Orientamenti sono a uso delle diocesi, parrocchie e congregazioni religiose, scuole e università cattoliche, delle organizzazioni cattoliche e di altre organizzazioni della società civile e di “qualsiasi gruppo che voglia darvi seguito”.

I campi profughi focolai di una doppia emergenza

5 Maggio 2020 - Milano - I più poveri e sfortunati sono quelli che patiscono maggiormente le restrizioni imposte dalla pandemia di Covid-19. Vite portate all’esasperazione, che nei campi per rifugiati più grandi del mondo stanno dando luogo a episodi di violenza sempre più difficili da contenere. Il numero di migranti solo sulle cinque isole greche di fronte alla Turchia (Lesbo, Samos, Kos, Chios, Leros), supera le 40mila unità. Il campo più sovraffollato è quello di Moria, a Lesbos, concepito per accogliere non più di 3mila persone e che ne contiene oltre 14mila, che vivono in condizioni igieniche oltre il precario. Non va meglio sulla rotta balcanica. I campi fuori dalla città di Belgrado in Serbia e a Bihac e Velika Kladusa, in Bosnia Erezegovina, ospitano attualmente oltre 2.000 migranti ormai di fatto in stato di segregazione, ammassati all’inverosimile nei container, in modo tale che l’infezione non esca da quegli spazi angusti. Anche fuori dal Vecchio Continente le immagini e le notizie che arrivano sono desolanti. In Bangladesh c’è il Cox’s Bazar, uno dei campi profughi più grandi del mondo. Ci vivono i Rohingya, la minoranza musulmana scappata dalle persecuzioni in Myanmar: 40mila persone per chilometro quadrato per un totale di oltre 800mila che, dopo essere scampati alla violenza, oltre a patire la fame e vivere di stenti adesso devono anche stare attenti che il coronavirus non si diffonda fra loro. In Yemen non ci sono ancora casi di Covid-19 accertati, ma il timore è che lì l’epidemia possa essere ancora più devastante perché, al sesto anno di guerra, solo la metà degli ospedali è ancora attiva e ha un numero di respiratori molto risicato. Non va meglio oltreoceano. Anche in America Latina ci sono diversi campi per rifugiati, soprattutto lungo la frontiera fra il Messico e gli Stati Uniti, dove vengono inviati i richiedendo asilo negli States, a cui si devono aggiungere quelli nei Paesi confinanti con il Venezuela, in particolare in Colombia e Brasile. Storie di povertà e privazione alle quali adesso si è aggiunta la paura, anche che la situazione possa precipitare. Con l’arrivo della bella stagione, la Grecia teme che riprendano gli sbarchi in massa dalla Turchia, dove il tasso di contagio da Covid-19 è ancora molto alto e la situazione fra i rifugiati poco sotto controllo. Già nel fine settimana scorso, secondo la Mezzaluna, un barcone con 48 persone a bordo sarebbe stato respinto mentre cercava di raggiungere l’isola di Lesbo. Atene due settimane fa, ha già denunciato un tentativo di parte di Ankara di inviare migranti affetti da coronavirus, anche attraverso la frontiera di terra (Marta Ottaviani - Avvenire)

Mediterranea Saving humans: “accogliere subito i 78 naufraghi del mercantile Marina”

5 Maggio 2020 - Roma - “Chiediamo che l’Italia accolga subito i 78 naufraghi salvati dalla nave mercantile ‘Marina’ che sta attendendo da più di 24 ore l’assegnazione di un porto sicuro. Chiediamo che il Governo italiano si occupi innanzitutto della salvaguardia delle vite umane e poi del contenzioso politico-diplomatico con Malta”. Lo afferma oggi l’associazione Mediterranea Saving humans: “Non è più accettabile che il governo italiano si presti al gioco criminale del formalismo, quando si tratta di salvare vite umane. Anche se questo significa soccorrere fuori dalle acque territoriali italiane e nella zona Sar maltese. Non si può stare a guardare mentre vengono commessi crimini come quelli dell’omissione di soccorso e della deportazione in Libia. L’Italia, e con essa l’Unione europea tutta, non possono essere complici di tutto questo”. Mediterranea chiede che “l’Italia si comporti da Paese che mette al centro i diritti umani e le Convenzioni internazionali sul soccorso in mare e sul diritto di asilo, che pratichi quella solidarietà che in questo momento chiede giustamente all’Europa”. “Nessuna trattativa sulla ricollocazione dei profughi, che fuggono da torture e guerra e che vengono salvati dalla morte in mare – precisa –, avvenga utilizzandoli come ostaggi”. L’associazione chiede inoltre che la difficile situazione dell’isola di Lampedusa, “con il sovraffollamento dell’hotspot e i naufraghi tenuti in condizioni non accettabili sul molo di sbarco, venga affrontata e risolta con soluzioni efficaci e razionali, che permettano il rispetto della dignità delle persone soccorse e degli abitanti dell’isola, e insieme misure di prevenzione e contrasto del contagio”. “Chiediamo che Lampedusa non sia lasciata sola, o peggio trasformata in un palcoscenico per giustificare assurde chiusure dell’accoglienza di chi ha tutti i diritti di essere accolto”, conclude Mediterranea.    

Migrantes Savona-Noli: la scuola di italiano diventa on line

4 Maggio 2020 - Savona - La scuola di italiano Migrantes della diocesi di Savona-Noli lancia le lezioni di lingua on line per i suoi allievi. E’ la novità decisa dall’Ufficio pastorale missioni e Migrantes della diocesi dopo che i corsi si erano fermati da fine febbraio per l’emergenza sanitaria. “Ci siamo interrogati su come poter continuare ad offrire il nostro servizio agli stranieri – spiegano i responsabili Davide Carnemolla e don Michele Farina – stranieri che vivono in questa situazione di paura, di incertezza e di attesa come tutti noi, ma che a differenza nostra spesso non hanno gli strumenti e i mezzi adeguati per affrontare questa prova. Siamo finalmente riusciti a studiare qualche novità da proporre agli studenti per permettere di non bloccare del tutto i loro progressi nell’apprendimento della lingua italiana”. Da fine aprile l’ufficio diocesano si è attivato principalmente sulla pagina Facebook (facebook.com/missionimigrazionisavona/) per pubblicare brevi video lezioni. A partire da questo mese, in maniera più consistente e per tutto il periodo in cui la scuola non potrà riaprire, l’ufficio cercherà di condividere brevi lezioni on line sperando di incontrare il gradimento degli studenti. Gli artefici tre ragazzi che svolgono il Servizio civile universale presso la sede della Migrantes. Azucena, Stefano e Stella, sono coordinati da Cecilia Vaira, operatrice della Fondazione ComunitàServizi onlus per la parte didattica. “A loro vanno il ringraziamento e l’augurio che questa situazione così anomala possa essere un banco di prova per scoprire e aumentare le proprie competenze nell’insegnamento della lingua italiana e nella conoscenza del mezzo informatico – spiegano i responsabili – e soprattutto che possa accrescere in loro la capacità di collaborare in gruppo e di mettersi in gioco per gli altri, come il Servizio civile universale insegna”.

Santa Sede: domani la presentazione degli “Orientamenti Pastorali sugli sfollati interni”

4 Maggio 2020 - Città del Vaticano- Sarà presentato domani, in una conferenza stampa in streeming, il volume “Pastoral Orientations on Internally Displaced People” - “Orientamenti Pastorali sugli sfollati interni” a cura della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Alla presentazione interverranno il card. Michael Czerny e p. Fabio Baggio, sottosegretari della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e Amaya Valcárcel, Coordinatrice Internazionale di advocacy, Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati.  

Srilankesi in Italia: la solidarietà del card. Ranjith “all’amato popolo” italiano

2 Maggio 2020 - Roma - La “solidarietà” e la “vicinanza” dal “lontano” Sri Lanka arriva all’Italia dall’arcivescovo di Colombo, Malcolm Ranjith. Attraverso il coordinatore nazionale dei srilankesi in Italia, don Perera Neville, il messaggio video è arrivato alla Fondazione Migrantes e a www.migrantesonline.it. Il porporato sottolinea la “tragedia” che ha colpito, a causa del coronavirus, “l’amato popolo italiano” e la solidarietà e vicinanza in questo “momento difficile”. Italia e Sri Lanka sono “molto vicini: abbiamo costruito dei ponti” a causa anche della forte presenza di lavoratori srilankesi in Italia che “curano gli ammalati, gli anziani e che sono presenti nelle vostre case”. Anche alcuni di loro sono stati colpiti da questa epidemia, ha detto il porporato che ringrazia le famiglie italiane per la fiducia che hanno avuto per i srilankesi i quali hanno la possibilità di inviare soldi nel Paese e quindi aiutare le proprie famiglie. Nello Sri Lanka ci sono zone, “piccole Italie” dove vivono famiglie che hanno i propri congiunti in Italia e questo “ci fa sentire parte dell’Italia”. Il card. Ranjith ricorda anche la devozione dei fedeli del suo paese a Sant’Antonio, molto amato. In Italia, infatti, ogni anno, i srilankesi si ritrovano, in pellegrinaggio, a Padova, alla Basilica del Santo.

Raffaele Iaria

Il Tribunale di Ferrara: buoni spesa agli stranieri

2 Maggio 2020 -

Ferrara - L’assistenza e la solidarietà sociale devono essere riconosciute non solo al cittadino italiano ma anche a quello straniero. È il principio introdotto dal giudice del tribunale di Ferrara Mauro Martinelli, nell’ordinanza in cui definisce «discriminatoria» la delibera del Comune emiliano dove si fissava il permesso di soggiorno tra i criteri per la concessione dei buoni spesa per l’emergenza Covid.

"Nei limiti in cui poi si rifletta sul diritto alla alimentazione, quale bisogno primario di ogni essere umano, la disciplina normativa finisce per incidere", prosegue il giudice, su "quel 'nucleo irriducibile' di diritti fondamentali della persona che lo Stato deve riconoscere a tutti".

La magistratura ha accolto così un ricorso presentato da Asgi (Associazione degli studi giuridici sull’immigrazione) e dai sindacati e ha ordinato quindi all’amministrazione "di riformulare i criteri e le modalità di accoglimento delle richieste consentendo la presentazione di nuove domande".

Migrantes Sicilia: è morto p. Filippo Bonasera

1 Maggio 2020 - Palermo - È venuto a mancare p. Filippo Bonasera, un pezzo di storia della Migrantes siciliana. Presbitero della diocesi di Caltanissetta e attualmente rettore della chiesa del Carmelo in Serradifalco. È stato direttore regionale dell’Ufficio Migrantes della  Conferenza Episcopale Siciliana e per tanti anni punto di riferimento per tutti gli operatori impegnati in questa pastorale. “Don Filippo è in Paradiso” è stato il messaggio che è arrivato alla Migrantes regionale da Pina Palumbo. Negli ultimi due anni il sacerdote è stato molto male, tra ricoveri e sofferenze; ultimamente faceva pure dialisi. Pina ha detto che è andato "via serenamente senza soffrire e che l'ultima volta l'ha salutato tre giorni fa mentre usciva dall'ospedale di Caltanissetta". Nato a Santa Caterina Villarmosa il 4 febbraio 1949 p. Filippo era stato ordinato sacerdote nel 1976 dopo gli studi presso il Seminario di Caltanissetta, Messina e Napoli.  Ha retto la chiesa Madonna del Carmelo di Serradifalco dal 1979. Nel 1984 delegato diocesano Migrantes a Caltanissetta  e poi direttore del SeRES e direttore regionale Migrantes visitando gli emigrati italiani in tutti i continenti. Non mancava mai di sottolineare che i migranti vanno considerati "persone che la provvidenza manda fra noi e che abbiamo il dovere di accogliere. Così come altri popoli facevano con gli italiani quando eravamo noi a migrare".  Per i migranti, ricorda la diocesi di Caltanissetta, sin dai primi anni di incremento degli sbarchi sulle coste siciliane, aveva organizzato le prime raccolte di bene di prima necessità, così come si era sempre sempre attivato nell'organizzare gli interventi d sostegno ai più poveri e alle famiglie in difficoltà del territorio in cui operava. "Uomo umile e semplice, attento ai migranti. Suo papà era emigrato in Germania e lui per molti anni passava le estati nelle missioni cattoliche di quel paese acquisendo una grande coscienza e consapevolezza del fenomeno.Uomo, sacerdote e pastore", dice il direttore regionale Migrantes, Mario Affronti:  "uomo di frontiera così mi piace descriverlo e ricordare; con dolore ma con immensa gratitudine e gioia per saperlo accanto ai suoi cari, Gesù, Maria e Giuseppe pellegrini, in primis, ai quali ha dedicato la vita. Ah! dimenticavo, aveva un grande senso dell’ironia. Indimenticabili le sue barzellette ed i suoi aneddoti! Anche così si vive la frontiera!". Le esequie si svolgeranno a Santa Caterina nei prossimi giorni. La Fondazione Migrantes esprime la propria vicinanza ai familiari, alla diocesi di Caltanissetta e alla Chiesa di Sicilia.

R.I.

Coronavirus: indagine di Ars su popolazione straniera positiva al virus in Toscana

30 Aprile 2020 - Firenze - "I dati riferiti alla nostra regione sembrano confermare che la giovane età e la mancanza di comorbidità dei cittadini stranieri rappresentano fattori protettivi nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, nonostante questi lavorino in ambienti particolarmente attaccati dal virus, come le Rsa e gli ospedali”. Lo afferma Fabio Voller, coordinatore dell'Osservatorio di epidemiologia di Ars Toscana, nel commentare i dati emersi dallo studio condotto dall’Agenzia regionale di sanità. Dalla ricerca emerge che alla data del 27 aprile 2020, delle 8.017 infezioni da SARS-CoV–2, 6.781 sono a carico di cittadini italiani (84,6%) mentre 347 interessano stranieri (4,3%). Per 889 persone (11,1%) la cittadinanza risulta invece mancante. In linea con quanto osservato fra gli italiani, il rapporto di genere maschio/femmina vede le donne più coinvolte dall’infezione ma, a differenza di queste ultime, le straniere risultano in percentuale maggiore (straniere: 60,5%; italiane: 53,1%). I Paesi di provenienza riflettono le etnie che maggiormente risiedono sul nostro territorio, ad eccezione di quella cinese. I dati mostrano infatti ben 64 nazionalità presenti nella casistica toscana: il 18,4% dei casi Covid positivi provengono dall’Albania, il 15,3% dalla Romania, il 14,1% dal Perù, il 5,5% dalle Filippine e il 3,7% dal Brasile, India e Marocco. Solo 11 i casi che sono riconducibili a Paesi con un sistema economico sviluppato. Fra i cittadini cinesi (che rappresentano il 13% dei residenti stranieri in Toscana) è stato registrato soltanto 1 caso. Quest’ultima informazione risulta oltremodo interessante, alla luce del fatto che la città di Prato ospita una delle più grandi comunità cinesi d’Europa e che, dato l’esordio dell’infezione, sembrava destinata a diventare un epicentro del virus. Venendo alla composizione socio anagrafica della popolazione straniera positiva per Covid, l’età media è di 45,9 anni (italiani: 60,9 anni) con soltanto il 4,2% delle infezioni registrate fra gli over 70 (italiani: 36% hanno più di 70 anni). Fra le possibili spiegazioni, la giovane età della popolazione straniera residente. Trattandosi di persone giovani, non stupisce nemmeno la presenza di un minor numero di comorbidità che interessano soltanto il 18,2% degli stranieri (italiani: 32,4%). Per quanto riguarda l’indice di letalità, lo studio ci dice che rispetto agli italiani, è molto più basso (1,7% vs. 8%) con valori che, in linea con l’andamento italiano, risultano più elevati nel genere maschile (maschi: 2,9%; femmine: 1%). L’età mediana delle persone decedute è di 77 anni (italiani: 83 anni). Per quanto riguarda le comorbidità, soltanto 2 delle persone decedute presentavano almeno una patologia cronica concomitante (stranieri: 33,3%; italiani: 68,3%). Infine in merito al quadro clinico, gli stranieri positivi in condizioni meno gravi, ovvero gli asintomatici, i pauci-sintomatici e i pazienti con sintomatologia lieve, rappresentano l’84,7% del totale (italiani: 78%), il 14,1% sono coloro che si trovano in uno stato clinico severo (italiani: 18,5%) mentre l’1,2% è in condizioni critiche (italiani: 3,5%). La giovane età di questa popolazione e le migliori condizioni di salute, spiegano anche il minor ricorso al ricovero ospedaliero sia in reparti di degenza ordinaria (stranieri: 15,3%; italiani: 24%) che di terapia Intensiva (stranieri: 1,7%; italiani: 2,1%). Daria Arduini - ToscanaOggi

Firenze: la comunità bengalese raccoglie 5mila euro per l’ospedale

30 Aprile 2020 - Firenze - Un gesto di amore per la città che li ha accolti e che sta affrontando l’emergenza sanitaria. Così la comunità del Bangladesh ha donato ieri alla sanità fiorentina un assegno di 5mila euro raccolti attraverso i contributi volontari delle persone che vivono e lavorano in città. All’ospedale di Santa Maria Nuova, la console onoraria Giorgia Granata ha così consegnato la cifra all’assessore alla Sanità del Comune Andrea Vannucci e alla Fondazione Santa Maria Nuova Onlus che sta gestendo gli acquisti di strumentazioni e dispositivi di protezione per le strutture dell’azienda Usl Toscana Centro utilizzando i fondi raccolti per l’emergenza Covid-19. “È un bel gesto di solidarietà e riconoscenza - ha detto l’assessore alla Sanità Andrea Vannucci - che la comunità del Bangladesh fa nei confronti della nostra città e della sanità fiorentina, che sta facendo un lavoro eccellente. Firenze è orgogliosa di questa donazione alla Fondazione Santa Maria Nuova Onlus, impegnata fin da subito con varie iniziative di raccolta fondi per gestire al meglio l'emergenza sanitaria da Covid-19”. “Ringraziamo la comunità bengalese per questo gesto che gli fa onore - ha commentato il presidente della Fondazione Santa Maria Nuova Onlus Giancarlo Landini -  il loro contributo per affrontare l’emergenza sanitaria è un abbraccio alla città e un segno di rispetto verso il lavoro degli operatori sanitari che operano instancabilmente per salvare vite. Siamo orgogliosi di essere stati coinvolti in questa bellissima catena di solidarietà” “La solidarietà e la generosità non hanno limiti né confini - ha affermato la console Giorgia Granata - Questo gesto nasce dal cuore della comunità bengalese per ringraziare la sanità fiorentina che c’è sempre stata per loro. Hanno voluto dare un segnale di vicinanza e gratitudine in questo momento di difficoltà. Personalmente sono onorata di rappresentare la comunità del Bangladesh in Toscana e Umbria”.  

Cile: 700 migranti boliviani respinti dal loro Paese e il sostegno della Chiesa

30 Aprile 2020 - Roma - Dopo giorni di disagi, proteste e incertezze, è stato trovato un accordo tra le autorità politiche per dare soluzione in Cile alla questione dei 770 migranti boliviani (tra cui molte donne e bambini), alcuni dei quali si erano inizialmente accampati, in territorio desertico, ai confini con il loro Paese d’origine, che ha rifiutato loro l’ingresso temendo un propagarsi del contagio di Covid-19. La maggioranza, negli ultimi giorni, si trovava a Santiago, sotto l’ospitalità della parrocchia italiana. Le 770 persone vivranno una quarantena di 14 giorni nella città di Iquique, e potranno poi rientrare in Bolivia. Ad adoperarsi per la soluzione la rete Clamor, che riunisce le principali organizzazioni cilene che operano per i migranti, come l’Istituto cattolico cileno per le migrazioni (Incami), l’arcidiocesi di Santiago, la Pastorale sociale, la Pastorale della mobilità umana, la Caritas, il Servizio gesuita ai migranti. Sul sito della Conferenza episcopale cilena, il vicepresidente dell’Incami, Lauro Bocchi, conferma l’accordo: “il primo gruppo si sta già spostando nel nord del Paese. Si è trattato di un’esperienza molto dura e coinvolgente, ci sono donne, bambini, una persona malata di cancro”. La Rete Clamor coordinerà l’assistenza e gli aiuti per queste persone, garantendo appoggio alimentare, sanitario e giuridico.

Chris: canto la mia Africa in Sicilia

30 Aprile 2020 - Milano - Obehi in lingua Esan vuol dire “mano dell’angelo”. E l’angelo custode ha fatto bene il suo lavoro con Chris Obehi, che cinque anni fa, appena 16enne, era sbarcato da solo a Lampedusa dopo una odissea durata 5 mesi: fuggito dalla Nigeria è stato in carcere in Libia, ha attraversato il Mediterraneo su un barcone e arrivato a Lampedusa e poi a Palermo. Ma non ha mai smesso di perseguire il suo sogno: diventare un musicista. Oggi, appunto, il sogno si concretizza con l’uscita del suo primo album, Obehi, pubblicato il 20 marzo in digitale per 800A Records. Nove tracce in inglese, italiano, dialetto esan e siciliano tra brani originali e un omaggio a Rosa Balistreri, con quella Cu ti lu dissi gli è valsa la notorietà sui social. Da lì un percorso cantautorale in crescita che lo ha portato a vincere nel 2020 il premio Rosa Balistreri e Alberto Favara e la Targa Siae Giovane Autore a Musica contro le Mafie. “Mia mamma canta gospel e mio zio suona il pianoforte nella chiesa evangelica del mio paese in Nigeria dove anche io suonavo la batteria da autodidatta, poi il pianoforte e la chitarra – ci racconta Chris oggi 21enne – Mio nonno è stato un grande chitarrista e il mio sogno era quello di diventare un grande musicista che viaggia in tutto il mondo. In Nigeria suonavo in una band, prima musica afro beat, poi musica pop americana. In Italia ho scoperto Ligabue”. Quando Chris è arrivato nella comunità per minori “La Zattera” a Palermo, ha deciso di riprendere la propria passione per la musica. “Quella comunità è un posto bellissimo – ci racconta – Un professore mi ha regalato un pianoforte, ho cominciato a suonare dentro la stanza, poi mi hanno spinto a frequentare il Conservatorio dove ho cominciato a studiare il contrabbasso”. Scopre Rosa Balistreri grazie a un un amico musicista che una sera gli fece sentire Cu ti lu dissi. Quando Chris comincia a suonare e cantare le canzoni di Rosa Balistreri in pubblico, la gente resta stupita da questo ragazzo africano così innamorato della musica siciliana e lo supporta nella campagna di crowdfunding per realizzare l’album. Pop, folk, afrobeat, reggae si intrecciano in Obehi, con l’unico episodio in italiano, Non siamo pesci, nel quale Obehi racconta la propria traversata nel Mediterraneo. “E’ il mio inno per la difesa dei diritti umani, il mio modo di ricordare a chi ascolta di restare umani, di vivere liberamente nel rispetto degli altri e di abbattere confini di qualsiasi genere tra le persone – spiega –. Questa canzone è nata da un’esperienza che ho vissuto in prima persona durante il mio viaggio verso l’Europa. Sul gommone eravamo in 105, bambini in maggioranza, due giorni in mare terribili. C’era un bambino che stava morendo di freddo e l’ho tenuto stretto a me finché una nave ci ha salvati. Un miracolo”. Negli occhi di Chris immagini che non vuole più ricordare. “Questo viaggio non me l’aspettavo così brutto – ci racconta –. Sono stato in una prigione libica dove ho visto persone che erano li da cinque anni, fra torture e violenze”. Il disco apre con Mama Africa, una canzone che parla della terra di Obehi, della colonizzazione subita e delle migrazioni: “Il messaggio che voglio trasmettere è la libertà di movimento di ogni essere umano”, racconta Chris che nell’afro beat Mr Oga tratta il tema degli abusi di potere. Il testo è in pidgin, una lingua che unisce africani di diverse nazioni. Walaho è il racconto del legame tra madre e figlio: “Ho scritto questa canzone in Esan per mia madre, raccontando di come una mamma sia un esempio e abbia il compito di indicare al proprio figlio la strada giusta da seguire”. Voice of the wind parla di chi è obbligato a stare lontano dalla propria casa, non per sua volontà. Infine il brano “portafortuna” di Chris Obehi, Cu ti lu dissi di Rosa Balistrieri: “Interpretarla è il mio modo di ringraziare questa terra che mi ha accolto come un figlio”. E anche se la tournée è slittata, il ragazzo è ottimista: “Dio è il mio tutor. Io credo, ho fede, io ho visto le cose che Lui ha fatto per me. In questi giorni di Coronavirus, io prego sempre. In questo momento cristiani, musulmani, ebrei, tutti quanti dobbiamo stare insieme. E’ questo che Dio vuole, e questo Coronavurus finirà presto”. “Obehi”, è il primo album del cantante nigeriano arrivato, a 16 anni, a Lampedusa Nel cd un brano di Rosa Balistrieri in siciliano: “Ringrazio questa terra che mi ha accolto come un figlio”. (Angela Calvini – Avvenire)

Papa Francesco alla Fai Cisl: “regolarizzare migranti auspicabile

29 Aprile 2020 -

Città del Vaticano - “È certamente condivisibile la necessità di venire incontro a quanti, privati di dignità, avvertono in modo più acuto le conseguenze di un’integrazione non realizzata, venendo ora maggiormente esposti ai pericoli della pandemia. È dunque auspicabile che le loro situazioni escano dal sommerso e vengano regolarizzate, affinché siano riconosciuti ad ogni lavoratore diritti e doveri, sia contrastata l’illegalità e siano prevenute la piaga del caporalato e l’insorgere di conflitti tra persone disagiate”.

È un passaggio della risposta recapitata al segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota, da parte della Segreteria di Stato a nome del Sommo Pontefice. Il sindacato agroalimentare aveva infatti scritto nei giorni scorsi a Papa Francesco chiedendo conforto e incoraggiamento per i lavoratori della filiera agroalimentare e per sottoporre il tema della regolarizzazione dei braccianti irregolari come priorità. “Il cibo sulle nostre tavole ha sempre continuato ad arrivare, e in parte è proprio per via del lavoro di queste persone; oggi questa contraddizione rischia di esplodere in tutta la sua enorme portata, soprattutto davanti all’emergenza sanitaria, che rischia di creare nuove guerre tra poveri e rappresenta una minaccia reale per tutti, ancora di più per i braccianti stranieri”, afferma la lettera del sindacato al Papa:  “Bisogna avere il coraggio di decidere sul tema della regolarizzazione, che da tempo stiamo promuovendo per far emergere il lavoro nero, per riconoscere diritti e doveri ai tanti immigrati lasciati ai margini della società. Il tema è stato scansato per tanto tempo, ora le conseguenze emergono in tutta la loro gravità a causa del Coronavirus, tra rischio pandemia, nuove opportunità per i caporali, mancanza di manodopera”. “A nome del Sommo Pontefice – si legge  nella risposta al sindacato, firmata dal Sostituto della Segreteria di Stato Edgar Peña Parra – mi pregio di riferirle la Sua vicinanza ai tanti lavoratori che, nell’ambito della filiera agroalimentare, si stanno notevolmente impegnando, tra non pochi rischi e difficoltà, per provvedere i necessari generi alimentari alla comunità. Il Papa li ricorda nella preghiera, mentre porta nel cuore la dolorosa situazione dei braccianti provenienti da vari Paesi, che si vedono relegati ai margini della società e patiscono condizioni di sfruttamento inaccettabili”.

Eurostat: cala del 20% numero di minori non accompagnati richiedenti asilo nell’Ue

28 Aprile 2020 - Roma - Pur restando molto elevato, è calato del 20% il numero di minori non accompagnati richiedenti asilo nell’Ue: secondo i dati di Eurostat, l’ufficio di statistica dell’Unione europea, diffusi oggi, nel 2019 sono stati 13.800 gli under 18 soli a chiedere protezione in un Paese Ue, il 7% di tutti i richiedenti asilo. Nel 2018 erano stati 16.800, mentre l’apice di domande si era registrato nel 2015 con 92mila richieste. L’85% dei minori non accompagnati erano maschi; 9.200 i giovani tra 16 e 17 anni, 3.100 tra i 14 e i 15 anni, 1.500 con meno di 14 anni (l’11%). Per quanto riguarda le provenienze, i principali Paesi da cui sono arrivati minorenni soli sono l’Afghanistan (30%), Siria e Pakistan (entrambi 10%), Somalia, Guinea e Iraq (5% ciascuno). Il numero più elevato di minori non accompagnati a chiedere asilo ha presentato la domanda in Grecia (3.300 minori non accompagnati, il 24% di tutti quelli registrati negli Stati Ue), in Germania (2.700, il 19%), Belgio (1.200, il 9%) e Paesi Bassi (1.000, l’8%). In Italia è calato dell’83% il numero di richieste di asilo da parte di minori non accompagnati.  

Hassan: buon esempio di carità

28 Aprile 2020 - Bologna - In periodi come quello attuale raccontare belle storie diventa alquanto difficile. Perché difficili diventano le nostre vite, quelle dei nostri figli, amici, dei nostri cari e genitori. Ma le belle storie ci sono anche in questo momento difficile. Basta solo cercarle. Cercando, ad esempio, noi abbiamo trovato Hassan, 24 anni, occhi castani e sorriso contagioso. Arrivato in Italia nel 2012, è vissuto in comunità per minori per un paio d’anni poi si è mantenuto con lavoretti saltuari fino a quando questi sono venuti a mancare e quindi si è trovato in strada. Hassan Abdul è un ragazzo di origini bengalesi, facente parte da poco più di due anni della Comunità Zoen Tencarari dell’associazione Albero di Cirene odv, che vive presso la casa–canonica di S. Antonio di Savena assieme al parroco don Mario Zacchini, che ogni giorno si preoccupa di fornire un piatto caldo ai senza dimora che vengono a bussare alla porta del n. 59 di via Massarenti. A fronte delle misure prese per contenere la diffusione del coronavirus, infatti, le mense parrocchiali, tra cui quella di S. Antonio di Savena, sono state costrette a chiudere e i volontari, per lo stesso motivo, costretti a rimanere a casa. Da allora Hassan ha deciso di continuare a mandare avanti questo aiuto solidale da solo. “Mi sono detto che in qualche modo dovevamo fare e io, che dovevo rimanere in casa – canonica qui, ero l’unico dei volontari che potesse farlo”. Da più di un mese, quindi, Hassan, alzatosi la mattina, inizia subito a cucinare per quando sarà l’una; l’ora in cui distribuisce il pasto ai bisognosi. Per evitare l’assembramento il giovane prepara sacchetti contenenti un primo abbondante, un dolce, della frutta e una bottiglietta d’acqua, che vengono consegnati alle persone presso il “cancellone” del campo da basket e consumati in spazi aperti e lontani gli uni dagli altri. Lo stesso Hassan, prima di uscire per la consegna dei pasti, indossa guanti, mascherina e occhiali da sole per ricordarsi di non toccarsi gli occhi. “All’inizio preparavo per una quindicina o una ventina di persone… poi sono diventate 30, 35, 40… E per due settimane sono state costantemente sulle 50 unità, per poi riprendere a crescere e toccare tetti di 60, 65 persone”. Questo aumento considerevole è scaturito, come ci spiega Hassan, dalla chiusura delle altre mense che non hanno avuto gli strumenti per continuare ad aiutare queste persone. I numeri hanno iniziato a scendere recentemente da quando la Caritas ha iniziato a distribuire i pasti del pranzo presso i dormitori della città. Ma il contributo di Hassan in parrocchia, per la Comunità, non si ferma al servizio della mensa, poiché infatti le sere del venerdì, del sabato e della domenica, egli si occupa di preparare un piatto caldo da portare ai circa cento senzatetto ospitati in due dei dormitori presenti in città. Al termine della nostra chiacchierata il giovane tiene a sottolineare l’importanza di don Mario Zacchini, il primo a dargli fiducia oltre che la possibilità di poter offrire servizio a chi soffre. “Mi fa piacere poter fare qualcosa per gli altri, soprattutto in questo momento in cui chi ha bisogno ha ancora più bisogno. E mi sento bene a farlo forse perché ci sono passato anch’io: sono stato in strada per due anni, prima di essere accolto in casa–canonica, e so cosa si prova a non avere niente”, e cita, rivelandoci il suo desiderio di essere battezzato, un verso della prima lettera di S. Paolo ai Tessalonicesi che dovremmo riportare alla mente: “fate coraggio a chi è scoraggiato, sostenete chi è debole, siate magnanimi con tutti”. (Parrocchia S. Antonio di Savena – BolognaSette)

Migranti e profughi: i morti che nessuno piange

27 Aprile 2020 - Torino - Tutto sembra essersi fermato. Da settimane le notizie principali riguardano l’emergenza sanitaria che sta affrontando l’Italia con la conta giornaliera dei nuovi contagiati, dei decessi, dei guariti. Ma l’emergenza, nel momento in cui la pressione si allenta sugli ospedali, la si avverte per la strada, tra le persone più vulnerabili. La vita è continuata e per alcuni è diventata ancora più faticosa. In tanti si sono ritrovati più poveri. Certamente la popolazione straniera, con lavori precari già prima di questa crisi, oggi accusa duri colpi. Nelle ultime ore l’esigenza forte, richiamata da più parti, della regolarizzazione delle centinaia di migliaia di persone straniere che vivono in Italia senza permesso di soggiorno si fa pressante. Servono braccia per l’agricoltura: i raccolti sono a rischio e allora si pensa a regolarizzazioni per comparti produttivi. Ma, perché possa essere garantita la tutela della salute collettiva e riconosciuta la dignità alle persone straniere che vivono con noi nel rischio di sfruttamento ed emarginazione sociale, è importante che non solo “qualcuno” possa accedere a provvedimenti di regolarizzazione. Altri paesi hanno intrapreso tali percorsi, in primis per la sicurezza sanitaria dei loro cittadini. Nel frattempo anche in questi mesi decine di morti e dispersi nel Mediterraneo, ma quasi non se ne parla. Eppure sono tragedie umane al pari delle nostre, accomunate dal dolore, dalla solitudine di corpi a cui l’impossibilità di essere restituiti agli affetti toglie la dignità che meritano, rendendo ancor più affilata la sofferenza. Le immagini dei mezzi militari che trasportano i feretri da Bergamo rimarranno nelle nostre menti. A Bergamo come a Lampedusa: il dolore della perdita di un caro e il dolore di non poter celebrare i propri morti è lo stesso ovunque, seppur le storie siano diverse. Oggi la nostra attenzione è tutta rivolta alla ‘fase 2’. La gente ha voglia di uscire, di incontrarsi, di normalità. Dopo un’iniziale euforia per le possibilità che la tecnologia ci offre, da più parti si avverte una certa stanchezza per riunioni in remoto, aperitivi a distanza, lunghe conversazioni mentre si svolgono le faccende domestiche. È indubbio che lo smart working sia una benedizione per quanto riguarda la sfera lavorativa, ma la vita ha bisogno di incontri reali. Siamo in astinenza dell’Altro. Anche quando si ha una casa, da mangiare e si sta bene di salute, figuriamoci come si sente chi invece non può contare neppure su queste sicurezze materiali. Mentre nel mondo si stava diffondendo in modo virale una certa retorica sulla chiusura dei confini, del “bastiamo a noi stessi”, l’invisibile Covid-19 si è insinuato e ha viaggiato ovunque, ci ha costretti a vivere isolati, ci ha impedito di abbracciare i nostri cari, ha rivoluzionato le nostre vite. Abbiamo reagito con una resilienza creativa, ma non possiamo negare le ferite. Le persone morte nella solitudine – la tragedia nella tragedia – la perdita dei nostri anziani, i bambini costretti a vivere in pochi metri quadrati, gli ingenti danni economici subìti… In questo periodo le parole di Papa Francesco ci hanno accompagnato e ci hanno aiutato a rileggere quanto stava accadendo. Le sue parole hanno certo aiutato a non chiudere le nostre coscienze e con l’omelia della Divina Misericordia a metterci in guardia contro un virus ancora peggiore: quello dell’egoismo indifferente. Chissà se da questo virus, che certo lascerà segni nelle nostre vite, impareremo qualcosa? Padre Cantalamessa nell’omelia del Venerdì Santo ci ha ricordato che questa pandemia “ci ha bruscamente risvegliati dal pericolo maggiore che hanno sempre corso gli individui e l’umanità, quello dell’illusione di onnipotenza. Abbiamo l’occasione – ha scritto un noto Rabbino ebreo – di celebrare quest’anno uno speciale esodo pasquale, quello ‘dall’esilio della coscienza’. È bastato il più piccolo e informe elemento della natura, un virus, a ricordarci che siamo mortali, che la potenza militare e la tecnologia non bastano a salvarci”. Nello stesso tempo, proprio in questo periodo, abbiamo colto tanta umanità e generosità: medici, infermieri, volontari, credenti impegnati, presbiteri, religiose e religiosi, genitori fantasiosi nel cercare ogni giorno di rendere meno pesante la vita dei loro bambini. E ancora: forme di solidarietà nuove tra vicini, aiuti economici per rispondere alle carenze delle strutture sanitarie, cassette comparse nella nostra città con messaggi che recitano “chi non può prenda, chi può metta”, sostegni alimentari, raccolte di farmaci. Abbiamo visto medici venire in soccorso alla crisi sanitaria italiana con una grande manifestazione di solidarietà tra popoli. Sono arrivati aiuti dalla Russia, dalla Cina, da Cuba, dall’Albania, ma anche dall’Egitto, dal Kuwait. Ad accoglierli a Caselle il governatore regionale del Piemonte Cirio e la sindaca di Torino Appendino. Il loro arrivo ha significato “ossigeno” per le strutture sanitarie. Eppure in Italia sono presenti migliaia di medici di origine straniera, i quali senza cittadinanza non possono lavorare negli ospedali pubblici. Si veda quanto accaduto a Roma: l’Ospedale Spallanzani, nel pieno della fase di emergenza, ha messo a concorso posti di lavoro a tempo determinato per medici. Requisito necessario la “cittadinanza italiana o di un Paese Ue”. E allora non resta che sperare che, in questo senso, l’emergenza ci contagi, facendoci riscoprire la bellezza della solidarietà e del dialogo fra i popoli, fra Paesi ricchi e poveri. Che ci dia il coraggio di reindirizzare le risorse previste per il settore delle armi a beneficio della sanità, della scuola e del sociale. Che non vengano indeboliti ulteriormente i diritti dei lavoratori. Ci auguriamo che in nessun Paese, per rafforzare ulteriormente la sorveglianza della polizia sulle popolazioni, si restringano permanentemente le libertà personali. Sulla scia dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, vogliamo sperare in un’opportunità per indirizzare le nostre vite e le nostre istituzioni verso una nuova sobrietà e verso il rispetto per il Creato. Non ci resta che sperare, dunque, che la generosità e la solidarietà non si arrestino con la fine dell’emergenza, segno di azioni spinte dalla morsa della paura. Che ci si ricordi che le frontiere aperte hanno permesso a personale e materiali sanitari, di cui necessitavamo con urgenza, di entrare nel nostro Paese. Che i medici di origine straniera già presenti sul nostro territorio ma sprovvisti della cittadinanza italiana vengano valorizzati e considerati alla pari dei nostri concittadini.  Che la stessa angoscia che abbiamo provato ogni giorno nell’ascoltare il numero dei decessi ci colga ancora quando tra una notizia e l’altra ci verrà detto che in altri paesi nel mondo sono morti a causa di guerre migliaia di persone o che nell’attraversare il Mediterraneo per la ricerca di una vita migliore sono annegate decine di persone. Che la stessa tristezza che ci ha pervasi nel vedere immagini di mezzi militari carichi di salme la proviamo nel sentire che un anziano è stato trovato solo e senza vita nella propria abitazione, o che un padre di famiglia si è trovato in condizioni disperate per aver perso il lavoro o che genitori e figli devono vivere anni separati in paesi diversi a causa di leggi o procedure amministrative che impediscono o rendono difficoltoso il loro ricongiungimento.  Che impariamo a capire che non ci sono differenze e confini tra chi soffre. Non ci resta che sperare che le parole di Papa Francesco abbiano scosso le nostre coscienze: “Siamo tutti fragili, tutti uguali, tutti preziosi. Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità! Impariamo dalla comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. Aveva ricevuto misericordia e viveva con misericordia: ‘Tutti i credenti avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno’ (At 2,44-45). Non è ideologia, è cristianesimo”. Ci auguriamo, dunque, di avere occhi per vedere che gli effetti delle disuguaglianze formali e sostanziali diventano ancor più evidenti in questi momenti, così come gli strascichi che lasceranno. Di poter tornare a una vita ‘normale’, nella speranza però che qualcosa nel frattempo sia cambiato. Sicuramente se lo augurano i poveri, gli anziani soli, i lavoratori sfruttati dall’egoismo organizzato, le persone senza fissa dimora, gli stranieri e, in particolare, i richiedenti asilo. Ecco perché un documento firmato qualche settimana fa da tante realtà ecclesiali e sociali, tra cui Fondazione Migrantes, chiedeva al legislatore soluzioni concrete e immediate per garantire a tutte le persone le medesime tutele previste dai provvedimenti per contenere il contagio. Il Documento ci ricorda le riforme che da tempo sono urgenti per le persone straniere e per la democrazia tutta, dal diritto alla cittadinanza, all’abrogazione dei cosiddetti «decreti sicurezza», alla sempre più urgente regolarizzazione dei migranti presenti sul nostro territorio. Il documento non si dimentica neppure della situazione in cui versano le persone migranti che anche in questo periodo raggiungono le coste italiane per cercare di sottrarsi a morte e torture nei campi in Libia o in fuga da situazioni di grave pericolo. Il Covid-19 ha dato modo all’Italia, ancora una volta, di tentare di frenare i flussi migratori che bussano alla nostra porta. Abbiamo dichiarato i porti italiani «non sicuri», negando a centinaia di persone in fuga dalla morte di rifugiarsi nel nostro territorio. «Non pensiamo solo ai nostri interessi, agli interessi di parte. Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti, senza scartare nessuno: di tutti. Perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno», ha ricordato Papa Francesco. Facciamo tesoro delle sue parole. L’egoismo non paga. (Sergio Durando – Direttore Migrantes Torino)