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Ismu: i tassi di infezione Covid 19 tra i migranti in Italia

14 Maggio 2020 - Milano - L'Istituto Superiore di Sanità ha reso noto che il 5,1% dei casi di Covid-19 con indicazione della nazionalità e notificati fino al 22 aprile 2020 riguarda cittadini stranieri, per un totale di 6.395. L'8 maggio poi il Ministero dell’Interno e l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) hanno reso pubbliche le principali 10 collettività per numero di casi di Covid-19 in Italia presenti all'interno dei tre sottogruppi individuati dall'Human Development Index (Indice di sviluppo umano) che classifica i paesi in base al reddito (alto, medio e basso). Tali dati mostrano che tra i paesi con più di cento casi di Covid-19 accertati con Hdi “alto” c'è soltanto la Romania, che occupa la prima posizione assoluta con 1.046 casi; tra i paesi con Hdi “medio” i casi accertati afferiscono in maggioranza a cittadini – nell'ordine – di Perù, Albania, Ecuador, Marocco, Ucraina, Egitto, Moldova e Filippine; tra i paesi con Hid “basso” il maggior numero di contagi riguarda India, Bangladesh, Nigeria e Pakistan. Passando ai tassi di contagio La Fondazione ISMU calcola che i collettivi con i valori più elevati sono quelli degli ecuadoriani e soprattutto dei peruviani, rispettivamente pari al 4,2 per mille e all’8,1 per mille delle proprie popolazioni, mentre tutti gli altri gruppi nazionali oscillano in un range molto più limitato e più basso compreso tra l’1,8 per mille dell’Egitto e lo 0,7 per mille del Marocco. L’Ismu segnala, invece, l’assenza fra i principali gruppi nazionali affetti da Covid-19 dei cinesi, che hanno un’incidenza di presenza in Lombardia superiore a quella media fra tutte le nazionalità straniere (23,1% contro 22,5%). Essi, con 299.823 residenti, rappresentano il quarto gruppo nazionale per presenze residenti in Italia, dietro solamente a Romania, Marocco e Albania, ma non risultano fra le principali nazionalità affette da Covid-19 e dunque hanno, al 22 aprile, un tasso sicuramente inferiore allo 0,3 per mille, più basso della metà di quello di qualsiasi altro gruppo nazionale in Italia. Ritornando alla classifica delle nazionalità con più casi di contagi, India, Bangladesh e Pakistan si collocano su livelli d’affezione da Covid-19 dell’1,1 per mille o dell’1,2 per mille, comunque non superiori alla media complessiva fra gli stranieri provenienti da ogni parte del mondo in Italia (pari all’1,2 per mille). Ma in generale le persone provenienti dal continente asiatico sono state fino al 22 aprile 2020 quelle meno colpite dal virus in Italia, quantomeno considerando i casi noti all’Iss.

Viminale: 4.237 i migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2020

14 Maggio 2020 - Roma – Sino 4.237 i migranti che nel 2020 sono sbarcate in Italia. Il dato è aggiornato dal Ministero degli Interni alle ore 14 di ieri. La maggioranza delle persone sbarcate sul territorio italiano è di nazionalità bengalese (830, 20%). Gli altri provengono da Costa d’Avorio (571, 13%), Sudan (390, 9%), Algeria (323, 8%), Marocco (309, 7%), Tunisia (270, 6%), Somalia (211, 5%), Guinea (206, 5%), Mali (162, 4%), Egitto (88, 2%) a cui si aggiungono 877 persone (21%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Fino ad oggi sono stati 750 i minori stranieri non accompagnati ad aver raggiunto il nostro Paese via mare.  

I dimenticati della pandemia

14 Maggio 2020 - Roma - Fino a tre mesi fa l’emergenza erano — impropriamente — considerati loro. Gli immigrati. Quando poi un’emergenza vera è piombata a sconvolgere le vite tranquille di molti di noi, loro non sono stati semplicemente retrocessi, ma scomparsi. Parliamo dei migranti, i trasparenti, i dimenticati, le vittime anonime della pandemia. «Mai l’immagine dello scarto così spesso evocata da Papa Francesco è risultata così appropriata a descrivere la condizione sociale di questi uomini e donne» esordisce così il vescovo Guerino Di Tora, che del fenomeno ha un osservatorio privilegiato in quanto presidente della Fondazione Migrantes. «La pandemia ci ha messo nella condizione di fare a meno dei loro servizi, e ce ne siamo sbarazzati, come appunto si fa con gli scarti». Monsignor Di Tora, che è membro del Consiglio permanente della Cei, è appena reduce da una serie di incontri con i suoi collaboratori sul territorio che gli hanno fornito un quadro tanto deprimente quanto allarmante. «Sì, ho appena terminato di incontrare on line i vari responsabili delle Migrantes diocesane, ma anche i nostri referenti all’estero perché come sapete noi ci occupiamo anche degli emigrati italiani all’estero. E oltre questi incontri di ricognizione siamo in contatto pressoché quotidiano con le strutture diocesane della Caritas e con i cappellani delle varie comunità nazionali. Soprattutto il collegamento con le Caritas è fondamentale, perché in fondo la nostra organizzazione è maggiormente dedicata all’orientamento pastorale e gode di poche risorse per il sostentamento, per cui il vero braccio operativo sono le Caritas diocesane, con le quali debbo dire stiamo lavorando sinergicamente molto bene». Un mondo quello della Caritas che Di Tora conosce molto bene, essendo succeduto a don Luigi Di Liegro alla guida della Caritas di Roma per diversi anni. «Il problema principale che registriamo è la perdita del lavoro di moltissimi migranti. Nel settore agricolo, ma soprattutto nel settore della collaborazione familiare e dell’assistenza agli anziani. Non è solo questione di restrizioni alla mobilità, che in teoria non si sono mai verificate per badanti e colf. Piuttosto per evitare ogni possibile rischio di contagio dall’esterno molte famiglie hanno deciso di fare a meno del loro aiuto. O anche peggio: molte collaboratrici familiari come è noto lavorano al nero: il timore di molti datori di lavoro è stato che se le colf fossero state fermate ai controlli e avessero dichiarato l’indirizzo dei posti di lavoro verso cui si dirigevano avrebbero determinato il rischio di una denuncia all’Inps: così sono state licenziate dalla sera alla mattina, senza alcun indennizzo». «Sì. È proprio così — gli fa eco Lucia Montebello che, in quanto responsabile dell’Emporio Caritas di Roma ha una nitida immagine della situazione —. Gli accessi all’emporio centrale della Caritas romana sono cresciuti del 150 per cento, e di questi almeno il 70 per cento è costituito da famiglie di immigrati. Ma soprattutto quello che ci sorprende è l’affacciarsi di nazionalità che raramente si rivolgevano a noi: per esempio molti filippini, che tradizionalmente si occupano appunto delle faccende domestiche, ed ora hanno perso il lavoro». «La cappellania degli Ucraini — continua Di Tora — sta facendo un gran lavoro per aiutare le tante badanti rimaste disoccupate, almeno a pagare gli affitti e le bollette». «Forse anche peggiore è la situazione nell’agricoltura, nella raccolta di pomodori e prodotti stagionali, perché alle diffuse situazioni di sfruttamento e caporalato ora si aggiunge la minaccia “o accetti quel poco che ti diamo o te ne vai”». Il ricatto funziona soprattutto nei confronti degli irregolari, i quali ovviamente non usufruiscono di nessuna forma di supporto tra quelle varate dal governo in questa fase emergenziale. Su questo l’opinione del vescovo Di Tora è lapidaria: «Una pronta regolarizzazione delle situazioni in sospeso è un fatto di civiltà. Peraltro è conveniente, perché regolarizzando si argina il rischio di una deriva malavitosa per le frange più deboli». Don Gianni De Robertis, che della Migrantes è il direttore e motore delle tante iniziative in cantiere, aggiunge al proposito: «Spesso ci scordiamo che le situazioni di irregolarità sono prodotte dalle normative e non dalla cattiva volontà dei migranti. E che è in forza delle irregolarità che si generano situazioni non solo di sfruttamento ma di vero e proprio stato di schiavitù. Intollerabile ai giorni nostri in Europa. Vi sono poi situazioni di estrema debolezza che sono oggettivamente difficili da far emergere a regolarità, penso per esempio a due ambiti su cui stiamo lavorando molto in questi giorni, quello dei nomadi e quello dei giostrai e dei circensi. I giostrai stanno ormai fermi da tre mesi, hanno il serio problema del mangiare quotidiano, e ai circensi si aggiunge anche il problema del mangiare per gli animali. È un problema che non riguarda solo i circensi e giostrai stranieri in Italia, ma anche i giostrai italiani all’estero, che hanno spesso difficoltà a rientrare. Nelle città deserte dei giorni passati le uniche figure che si scorgevano per strada erano quelle dei Rom che esploravano nei cassonetti dei rifiuti». «Finora abbiamo parlato solo dei migranti già residenti in Italia — riprende il vescovo Di Tora — ma non dobbiamo dimenticare il problema dei nuovi arrivi, anch’esso sottaciuto. Mentre qui si moriva di coronavirus, in Libia, indifferenti alla pandemia, i bombardamenti sono continuati nella totale indifferenza internazionale. C’è gente che continua a scappare dai teatri di guerra e non possiamo immaginare che per via della pandemia questa gente possa essere lasciata al suo destino richiudendo i porti». Dal centro alla periferia. Don Sergio Gamberoni è il responsabile della Migrantes nella città più martoriata d’Italia dal virus, Bergamo. «In questi 80 giorni si sono ribaltati tanti preconcetti sulla presenza dei migranti nei nostri territori. Il virus ci ha messi tutti sulla stessa barca. Con gare di solidarietà reciproca. Nell’immaginario collettivo ora gli extracomunitari sono anche i medici cubani e albanesi venuti generosamente ad aiutarci. Sono la comunità islamica che ha raccolto e donato 30 mila euro al nostro ospedale. E hanno suscitato reazioni e iniziative che qualche mese fa erano impensabili, e che hanno visto le nostre comunità produttive alla ricerca di un dialogo e di un sostegno. L’imperativo che ci ha guidati è stato “rimanere vicini, mantenere relazioni, indifferentemente dalla provenienza, cultura e credo. Figli di un solo Dio. Fratelli nella sventura”. I cappellani delle comunità nazionali si sono spesi oltre ogni limite, tanto che tre di essi hanno dovuto condividere la malattia. Abbiamo supportato anche con trasmissioni in streaming le preghiere degli altri riti cristiani. Abbiamo cercato di aiutare le parrocchie che hanno avuto defunti stranieri e sostenere le loro famiglie, anche musulmani. Quando è morto un imam di soli 41 anni abbiamo aiutato perché la popolazione islamica potesse seguire i funerali in una diretta seguita da 900 persone. Abbiamo dato spazio sul nostro sito a un diario quotidiano del Ramadan che consentisse alle comunità islamiche di mantenersi in contatto in un digiuno che non ha precedenti. Digiuno, peraltro, che quest’anno è iniziato sotto la stessa luna nella quale noi abbiamo celebrato la nostra Pasqua. Le diffidenze, le chiusure si sono sciolte come neve al sole. Molti bergamaschi hanno riconosciuto in quegli stranieri “quelli che ci hanno permesso di continuare a mangiare”. Quando un fruttivendolo musulmano ammalato di covid è ritornato per fortuna salvo dall’ospedale, i suoi vicini e clienti lo hanno accolto con affetto con una pergamena di “attestato di cittadinanza: se non te la dà lo stato, te la diamo noi”». E queste sono solo una piccola parte delle storie che don Sergio ha vissuto e può testimoniare di queste settimane a Bergamo. «È proprio vero che nel male alberga sempre un germe di bene. Io sono convinto che alla fine di questa terribile storia si volterà pagina nelle relazioni tra italiani e stranieri. Tutto sarà diverso». Un ottimismo quello di don Sergio da apprezzare ma che rimane in sospeso per quella parte del paese che presentava fasce di grave debolezza socio-economica già prima della pandemia, e che presumibilmente si aggraveranno nei prossimi mesi di sofferenza economica. «In quelle zone, soprattutto nel meridione, il pericolo di una guerra tra poveri è sempre dietro l’angolo» conclude don Gianni De Robertis. «Per questo una maggiore attenzione ai più poveri e ai migranti conviene a tutti». (Roberto Cetera – Osservatore Romano)

Mazara del Vallo: donne mazaresi e tunisine donano mascherine al comune

13 Maggio 2020 - Mazara del Vallo - Le donne del “Progetto Donna”, il laboratorio di cucito della “Fondazione San Vito Onlus” di Mazara del Vallo -, hanno preparato 50 mascherine di protezione in stoffa che sono state donate al Comune di Mazara del Vallo. Le donne mazaresi e tunisine hanno voluto mettere al servizio della solidarietà la propria competenza acquisita durante le attività laboratoriali del progetto. L’idea è nata proprio nel momento in cui era difficile trovare mascherine. Così le donne, nonostante costrette rimanere a casa, si sono organizzate per fare le mascherine in stoffa da donare poi al Comune.

Centro Astalli: “i diritti e la dignità delle persone non sono stagionali”

12 Maggio 2020 - Roma - “I diritti non sono stagionali, non c’è un tempo in cui sono maturi, non c’è un tempo di saldi dei diritti”. Lo afferma padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, a proposito del dibattito in corso sulla regolarizzazione di circa 600.000 migranti che lavorano senza diritti in Italia. “Un tema cruciale per la vita di tante persone – prosegue – rischia di diventare un insopportabile gioco di potere e di consensi”. “Come sempre – osserva al Sir – trattiamo la questione nella sua parzialità: come gestire l’attuale periodo di raccolta di frutta e verdura, per quanto tempo concedere il permesso di soggiorno, solo per il tempo strettamente necessario al bisogno di manodopera? Dimentichiamo che abbiamo a che fare con persone con la loro dignità, che non è stagionale”. Padre Ripamonti cita le parole di Papa Francesco al termine dell’udienza generale del 6 maggio: “È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata. Perciò accolgo l’appello di questi lavoratori [i braccianti agricoli] e di tutti i lavoratori sfruttati e invito a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e la dignità del lavoro”.

Cattolici, evangelici e ortodossi critici sulle politiche migratorie Ue: “condizioni incompatibili con la dignità umana”

12 Maggio 2020 - Berlino - Le Chiese cristiane in Germania sono critiche nei confronti della politica migratoria e dei rifugiati dell’Unione europea. Sebbene l’Ue sia stata premiata solo pochi anni fa per il suo contributo alla promozione della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani con il premio Nobel per la pace, oggi invece – affermano le Chiese – si circonda di nuovi muri e recinti e stabilisce campi di sosta alle sue frontiere esterne. “Le condizioni sono incompatibili con il rispetto della dignità umana”, sostiene una dichiarazione congiunta pubblicata dalle Chiese cattolica, evangelica e ortodossa tedesche. Nel documento viene chiesto di “misurare ogni individuo nella sua dignità” nell’ambito della politica dei rifugiati e delle migrazioni. Con il documento comune, il presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), mons. Georg Bätzing, il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (Ekd), il vescovo Heinrich Bedford-Strohm, e il presidente della Conferenza episcopale ortodossa in Germania, il metropolita Augoustinos, invitano a prendere parte alla conferenza per la 45ª Settimana interculturale che si svolgerà dal 27 settembre al 4 ottobre prossimi e riguarderà il tema “Vivere insieme, crescere insieme”. Numerosi singoli eventi decentrati sono previsti in tutta la Germania. I rappresentanti delle Chiese indicano Gesù Cristo come modello, perché si era avvicinato ai disprezzati, ai più poveri, ai malati e agli emarginati: tutti sono invitati a seguire questo esempio. I vescovi, coscienti dei problemi nati dall’epidemia di Covid-19, invitano gli organizzatori della Settimana interculturale ad agire con molta creatività, perché si “può dare un forte segnale di spirito comune, soprattutto in tempi difficili”.    

Covid19: come la Chiesa continui ad aiutare le persone in movimento

12 Maggio 2020 - Città del Vaticano - Sebbene l’intera umanità sia impegnata a combattere il COVID-19, tale impegno non dovrebbe andare a detrimento delle attività di assistenza delle persone che avevano prima ed hanno ancora bisogno di aiuto e protezione. Gran parte del mondo è in lockdown al fine di limitare la diffusione del virus e questo rappresenta una sfida particolarmente dura per i migranti. Papa Francesco ha posto in evidenza la minaccia rappresentata dal Coronavirus su migranti e civili che vivono in zone di guerra. Per tale ragione, il Santo Padre ha chiesto l’immediato cessate il fuoco globale in ogni angolo della terra, per proteggere i più vulnerabili. Le Sue parole sono state riprese da diverse autorità cattoliche, tra cui il Cardinale Bo in Birmania (https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-06/card-bo-porre-conflitti-armati-myanmar.html)
Tra coloro che si battono per le persone sfollate, le Suore missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane sono da sempre impegnate nell’assistenza dei migranti. Secondo Suor Neusa de Fatima Mariano, la Superiora generale, l’appello del Santo Padre di vivere accanto agli ultimi e servirli non va dimenticato; l’emergenza Coronavirus non deve interrompere il lavoro fatto finora per proteggere le persone in movimento. In diversi casi, la pandemia è stata usata per giustificare restrizioni nell’accoglienza e protezione di migranti e rifugiati. La Commissione delle conferenze episcopali della Comunità Europea (COMECE) ha lanciato un appello agli Stati Membri dell’Unione Europea affinché i migranti non siano abbandonati alla morte nel Mediterraneo. Con riferimento ai molti migranti che non sono stati tempestivamente salvati e fatti sbarcare nel porto UE più vicino nei giorni scorsi, la COMECE ha chiesto che il diritto umanitario internazionale e il diritto internazionale dei diritti umani vengano applicati, specialmente in situazione di elevata vulnerabilità e pericolo. LA COMECE ha invitato l’UE a trovare "un meccanismo di solidarietà prevedibile concordato tra gli Stati membri".

Adam è morto tra il fango del campo di Moria, senza ricevere cure

12 Maggio 2020 - Milano - Per due lunghe sere, lo scorso ottobre a Smirne, sulla costa occidentale della Turchia, avevano raccontato ad Avvenire i dettagli del loro viaggio, i progetti, i costi, persino gli accordi presi con i trafficanti, quelli di cui aspettavano da un momento all'altro la chiamata, rigirandosi il cellulare fra le mani. Abdinasir e Adam, entrambi trentenni, amici di nazionalità somala, attendevano il momento giusto per salire su un gommone e attraversare, in piena notte, il tratto di mar Egeo che li separava dall'isola greca di Lesbo, porta d'ingresso per l'Europa. Già centinaia di migliaia di persone avevano fatto lo stesso prima di loro, all'imbocco della rotta migratoria attraverso i Balcani che da anni è la via più battuta per il vecchio continente. Ai due amici avevamo chiesto se fossero consapevoli delle condizioni terribili in cui versano i campi rifugiati dell'Egeo, in particolare quello di Moria a Lesbo, il peggiore hot spot di identificazione che l'Unione Europea sia riuscita a mettere in piedi, con 19mila persone in un'area che dovrebbe accoglierne 2.800. «Certo, ma non ci resteremo a lungo» ci aveva risposto Abdinasir, anche per conto dell'amico che non parlava inglese. Non è stato così, almeno non per Adam. In questi ultimi sette mesi, in attesa che le autorità analizzassero la sua domanda d'asilo, è sempre rimasto sull'isola, al campo o ricoverato all'ospedale del capoluogo Mitilene, affetto da gravi problemi cardiaci. Tre sono stati i ricoveri, ma poi è sempre stato rimandato nella sua tenda igloo piantata nel fango, dove ha passato un inverno con temperature sotto lo zero, piogge torrenziali, servizi igienici ridottissimi, acqua fredda, file per il cibo, risse, accoltellamenti e persino attacchi anti-migranti di frange estremiste locali. Alla fine, mercoledì 29 aprile, Adam si è accasciato fra le tende ed è morto. “Infarto”, ci ha comunicato un operatore di Kitrinos Healthcare, il presidio medico di volontari che ha ricevuto il referto dall'ospedale. «Aveva decine di documenti rilasciati dai medici sulla sua patologia cardiaca, con tutti gli incartamenti siamo andati ripetutamente alla “Reception” (le autorità greche addette all'immigrazione, ndr). L'hanno sempre ignorato» ci dice l'amico Abdinasir che non si dà pace. Anche nel caos di Moria, esistono specifici programmi per il trasferimento dei malati e dei casi più vulnerabili: com'è possibile che Adam, dopo tre ricoveri, fosse ancora nella sua misera tenda, senza medicinali? «Abbiamo centinaia di persone nelle stesse condizioni» è la risposta di un operatore di Kitrinos. Ora dal 3 maggio, a seguito delle pressioni della Commissione Europea, preoccupata che l'emergenza da coronavirus trasformi i campi in una bomba di contagi, il governo greco ha avviato una serie di trasferimenti verso la terraferma. Si conta di far partire 2.380 richiedenti asilo sul totale dei 38.300 bloccati nelle isole. «Hanno cominciato a trasferire ogni domenica gruppi di persone, anche individuandole dalla nostra lista di malati cronici, più altri casi di vulnerabilità, come le donne incinte», dicono da Kitrinos. Non sappiamo se Adam fosse su quella lista o su quella dell'Acnur o delle autorità greche. Oggi non fa alcuna differenza per lui, per la moglie Mulki e per i suoi cinque figli, che si trovano a centinaia di migliaia di chilometri dal padre. Adam resterà nel cimitero di quell'isola che avrebbe dovuto essere solo la prima tappa per una vita nuova, l'unico lembo di Europa che, invece, gli sia stato concesso di vedere. (Francesca Ghirardelli – Avvenire)  

La Chiesa di Gaeta sostiene la proposta di regolarizzazione degli immigrati in Italia

9 Maggio 2020 - Gaeta - L’Arcidiocesi di Gaeta e Libera Sud Pontino sostengono la proposta di regolarizzazione degli immigrati che lavorano nel nostro paese aiutando le nostre famiglie, raccogliendo i prodotti della terra e, più in generale, contribuendo al “benessere di noi tutti”. La proposta non riguarda solo il tema del lavoro, ma va sostenuta innanzitutto in nome del principio di umanità sancito dalla Costituzione italiana che, all’articolo 2, afferma: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo”. La regolarizzazione è necessaria anche per questioni di sicurezza sanitaria, sostiene una nota della diocesi di Gaeta aggiungendo che il “nostro sostegno si basa sul rispetto della dignità di ogni persona, in un rapporto solidaristico, e come cristiani, ce lo impone la nostra fede nel Vangelo. “Nell’esperienza della pandemia abbiamo compreso – si legge nella nota diffusa oggi - come non ci siano confini o steccati che possono ostacolare il percorso dei virus, siamo tutti nella stessa tempesta”. Gli immigrati non regolari in Italia sono “troppo spesso sfruttati, marginalizzati e spinti a diventare manovalanza per gruppi criminali per poter sopravvivere”: “a partire dai più fragili e vulnerabili vogliamo – conclude la nota - remare insieme, chiedendo la regolarizzazione per contribuire a costruire insieme una società basata sulla giustizia e sul rispetto della dignità di ogni singola persona”. Le aperture di questi giorni circa l’ipotesi di regolarizzazione sono “incoraggianti, ma sentiamo la necessità di far sentire la nostra voce affinché tale ipotesi si trasformi in realtà e quest’opportunità di giustizia non sia persa”. Da qui la richiesta che la regolarizzazione temporanea di immigrati, proposta per assolvere alle esigenze lavorative più immediate, possa “tradursi in un permesso di soggiorno che dia loro la possibilità di risiedere legittimamente e stabilmente nel Paese. Questa è non solo un’istanza di legalità, ma una forma di riconoscenza verso chi ci sta aiutando nel momento del bisogno”.

R.I.

Campagna Io Accolgo: prevedere permessi della durata di un anno, convertibili e rinnovabili” ai lavoratori immigrati

9 Maggio 2020 -
Roma - “Sembra che finalmente le forze di maggioranza abbiano raggiunto un accordo sulla regolarizzazione dei migranti impegnati nei campi, nei lavori domestici e di cura, oggi privi di un permesso di soggiorno. Si tratta di un passaggio fondamentale per consentire a centinaia di migliaia di persone di sottoscrivere un contratto di lavoro, sottraendosi ai ricatti e allo sfruttamento del lavoro in nero, potendo accedere a tutte quelle opportunità che garantiscono una vita dignitosa: il diritto a un salario equo, la possibilità di affittare una casa abbandonando i ghetti in cui oggi molti sono costretti, il diritto di accedere al servizio sanitario pubblico, ricevendo informazioni e cure, tanto più indispensabili in tempi di pandemia, a garanzia delle salute loro e della comunità tutta”. Lo affermano le decine di organizzazioni cattoliche e laiche promotrici della campagna “Io Accolgo”, tra cui Caritas italiana, Acli, Fondazione Migrantes, Centro Astalli, Focsiv. “Alla regolarizzazione – si legge in una nota – si arriva dopo settimane di pressione e appelli da parte di campagne come Ero straniero, di organizzazioni sociali, religiose e sindacali, di molti degli stessi datori di lavoro bisognosi di manodopera. Purtroppo l’obiettivo pare raggiunto solo in parte, sia per quanto riguarda il periodo di validità del permesso di soggiorno, sia per le categorie comprese nel futuro provvedimento”. “Per questo chiediamo al governo un ulteriore passo in avanti, prevedendo permessi della durata di un anno, convertibili e rinnovabili, anche per ricerca di lavoro”, proseguono le associazioni: “È stato detto che la pandemia avrebbe costretto tutti a un ripensamento sul tipo di società in cui viviamo. Cominciamo da qui, con un atto di civiltà che rimetta al centro la dignità di ogni essere umano e i suoi diritti”.

Tirocini nei campi anti-sfruttamento

9 Maggio 2020 - Bari - Solidarietà e impegno sul campo per sottrarre i giovani immigranti dallo sfruttamento dei caporali. È l’idea della cooperativa sociale Altereco di Cerignola, in Capitanata, che ha realizzato il progetto 'Un’altra opportunità' per aiutare e sostenere alcuni ragazzi africani che vivono nelle baracche del ghetto di Tre Titoli. Mounir e Mamadou sono stati i primi due attori principali dell’iniziativa (ma altri stanno per seguirli) che in questi mesi hanno avuto la possibilità di imparare dopo un periodo di formazione, come potare ulivi e viti. Attraverso un tirocinio ben articolato i migranti hanno acquisito le necessarie nozioni tecniche e pratiche per affrontare il lavoro agricolo reimpiegando così tutte le proprie competenze nella coltivazione della cosiddetta Terra Aut, un terreno confiscato alla mafia e restituito alla collettività nel 2011 su cui si generano diversi percorsi finalizzati al contrasto del caporalato. Legalità e inserimento sociale sono i capisaldi dell’opera svolta dalla cooperativa che da oltre dieci anni cerca di arginare il sommerso e gli abusi, creando i presupposti per tutelare i diritti dei lavoratori, non solo quelli che arrivano da Paesi lontani. Una risposta forte contro i trafficanti di braccia, un raggio di sole per quanti cercano di conquistare attraverso il lavoro nei campi libertà e lavoro in regola. (Nicola Lavacca – Avvenire)    

Modena: Richiedenti asilo realizzano mascherine per bambini e non udenti

8 Maggio 2020 - Modena – Tante le iniziative di solidarietà in questo periodo di pandemia come la confezione di dispositivi di protezione individuale per i bambini più piccoli o per i non udenti. A realizzarle a Modena i richiedenti asilo e volontari di diverse associazioni di volontariato del territorio. Il progetto, riferisce l’agenzia Dire, vede collaborare fra loro richiedenti asilo ospiti dei Cas di Modena, alcune comunita' straniere, come quella bengalese, quella filippina e la comunità turca tramite l'associazione Milad, il Csv Terre Estensi, Arci Solidarietà di Castelfranco Emilia, il gruppo anziani degli orti di Sant'Agnese e San Damaso e Croce Blu di Modena. Il progetto promosso dall'assessorato alle Politiche sociali del Comune di Modena attraverso il centro stranieri, e l'attività è inserita tra quelle finalizzate a promuovere l'integrazione.

Fondazione Moressa: rimesse degli immigrati in continuo aumento

8 Maggio 2020 - Venezia - Oltre 6 miliardi di euro inviati in patria nel 2019 dai migranti in Italia. E’ quanto emerge da uno studio della Fondazione Leone Moressa su dati Banca d’Italia. Per il secondo anno, il Bangladesh è il primo paese di destinazione delle rimesse, con 856 milioni di euro complessivi (14,1% delle rimesse totali). Il Bangladesh nell’ultimo anno ha registrato un +20,6%, mentre negli ultimi dieci anni ha più che triplicato il volume. Il secondo paese di destinazione è la Romania, con un andamento opposto: -10,4% nell’ultimo anno e -35,7% negli ultimi dieci. Da notare come tra i primi dieci paesi ben cinque siano asiatici: oltre al Bangladesh, anche Filippine, Pakistan, India e Sri Lanka. Proprio i paesi dell’Asia meridionale sono quelli che negli ultimi anni hanno registrato il maggiore incremento di rimesse inviate. Il Pakistan ad esempio ha registrato un aumento del +15,6% nell’ultimo anno. Praticamente scomparsa la Cina (oggi in 47^ posizione, con 11 milioni inviati), che fino a pochi anni fa rappresentava il primo paese di destinazione. Mediamente ciascun immigrato in Italia ha inviato in patria poco meno di 1.200 euro nel corso del 2019 (quasi 100 euro al mese). Valore che varia fortemente a seconda del paese di destinazione: molto basso per le due nazionalità più numerose (Romania 42,37 euro mensili e Marocco 64,66 euro). Tra le comunità principali, invece, il valore più alto è quello del Bangladesh: mediamente, ciascun cittadino ha inviato oltre 500 euro al mese. Anche Senegal, Filippine, Pakistan e Sri Lanka registrano oltre 200 euro mensili pro-capite. A livello locale, le regioni con il maggior volume di rimesse inviate sono Lombardia (1,4 miliardi) e Lazio (939 milioni). Entrambe hanno registrato un lieve aumento nell’ultimo anno (rispettivamente +1,7% e +2,7%). Seguono Emilia Romagna e Veneto, entrambe con oltre 500 milioni di euro inviati. A livello provinciale, i volumi più significativi sono quelli di Roma (815 milioni) e Milano (694 milioni), che insieme concentrano quasi il 25% del volume complessivo. Tra le prime province si ha una forte concentrazione di province del Centro-Nord, in cui si ha la maggiore incidenza di residenti stranieri.    

Mons. Moraglia: “non è possibile ignorare l’esistenza” di migliaia di persone senza diritti

8 Maggio 2020 - Venezia - “Quello che in questi mesi saremo chiamati a riconoscere è la dignità della persona; siamo chiamati ad una vera traversata del deserto, la traversata della ‘speranza-difficile’; è il tempo dell’ottimismo della volontà, non dobbiamo assolutamente cedere al pessimismo che è strada senza sbocco; solo insieme e con l’aiuto di Dio, sarà possibile uscire da questo guado terribilmente insidioso”. Lo scrive il Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, in una lettera sull’emergenza economica e sociale dal titolo “Antonio, i braccianti e la dignità della persona umana”. Il presule cita la storia di Antonio, l’imprenditore che si è tolta la vita in questi giorni e sottolinea che si “deve fare il possibile per evitare che angoscia e solitudine s’impossessino, come per il passato - e in crisi anche meno gravi dell’attuale -, di tanti onesti lavoratori che hanno ritenuto di non potercela fare”. Tragedie come quella di Antonio “non devono ripetersi” afferma mons. Moraglia secondo il quale la dignità della persona è “la stella polare che deve accompagnarci in questa traversata, che non è solo della speranza difficile ma anche della dignità della persona, di tutte le persone”. “Sì – scrive - la dignità della persona! Essa non può prescindere dal quadro dei diritti che la legislazione le attribuisce, quindi dare diritti a chi non li ha è riconoscere concretamente tale dignità; non ci si può limitate ad affermare un principio, bisogna fare in modo che tale principio diventi reale”. Oltre a quella di Antonio, ci sono anche questioni che riguardano centinaia di migliaia di persone, “italiani e stranieri, di cui non è possibile ignorare l’esistenza”: “chi non ha diritti diventa socialmente invisibile finendo per costituire una triste risorsa per la malavita, o come potenziale soggetto che pone in essere azioni delittuose o come potenziale oggetto che diventa bersaglio e vittima di tali azioni. I braccianti agricoli non devono essere considerati solo una risorsa economica, e quindi regolamentati in un’ottica di mera produttività, ma vanno considerati, appunto, come persone degne di ogni rispetto, con tutte le conseguenze”.  

Tutti i diversi colori essenziali

8 Maggio 2020 -

Milano - Aprendo la porta di casa una volta la settimana trovo una cassetta di frutta e una di verdura, provenienti da un produttore ecologico del territorio e depositate prima dell’alba da un trasportatore di cui conosco solo il nome: Marcos. Chiara l’origine, ispanica.

È passato il 1° maggio, e in vari commenti sono stati ricordati i lavoratori oggi giustamente definiti 'essenziali' che stanno assicurando servizi di vitale importanza per la nostra sopravvivenza in questo tempo sospeso. Lavoratori spesso umili, malpagati, dall’occupazione precaria se non addirittura irregolare. I riflettori però non si sono accesi compiutamente sulle origini di questi lavoratori: su quanto cioè tra i lavoratori essenziali incida la componente di origine straniera.

Se complessivamente gli immigrati rappresentano il 10,6% dell’occupazione regolare del nostro Paese (in cifre, 2,45 milioni), proprio nei settori cruciali per il funzionamento quotidiano della società e nei lavori manuali che li sostengono il loro lavoro è ancora più determinante. L’agricoltura è il caso più noto: 17,9%, senza contare l’occupazione non dichiarata. Allo stesso livello i servizi alberghieri. Ma il dato s’impenna in quelli che l’Istat definisce 'servizi collettivi e personali': 36,6%. Troviamo qui il fenomeno delle assistenti familiari, dette riduttivamente badanti, ma anche altre categorie non adeguatamente riconosciute: in molte regioni, per esempio, gli addetti alle mansioni ausiliarie della sanità e dell’assistenza residenziale. Ricordiamo giustamente i medici in prima linea, spesso gli infermieri (in Lombardia, anche fra di loro uno su tre è immigrato), ma se gli ospedali e le Rsa funzionano è anche grazie al lavoro semi-nascosto di questi operatori di base, che pure si sono esposti al rischio di contagio per attendere ai loro compiti. Pulizie, magazzini, servizi di recapito sono altri settori a elevata incidenza di lavoro immigrato: di tutti stiamo scoprendo la necessità, la scarsa visibilità pubblica, le modeste ricompense. Non sempre l’origine di chi li svolge: se si vuole, il colore.

Negli Stati Uniti, un rapporto del Center for Migration Studies di New York uscito proprio il 1° maggio ha reso noto che gli immigrati stranieri forniscono 19,8 milioni di lavoratori ai settori strutturalmente essenziali, concentrati proprio negli Stati più colpiti dalla pandemia. Sono per esempio il 33% dei lavoratori della sanità dello Stato di New York e il 32% in California. «Nel mezzo della pandemia e nei luoghi in cui sono più necessari, gli immigrati stanno lavorando per fermare la diffusione del Covid-19 e per sostenere i loro concittadini statunitensi, spesso con grande rischio personale – ha dichiarato Donald Kerwin, direttore esecutivo del Centro. Questi stessi lavoratori saranno essenziali per la ripresa economica. Meritano il nostro sostegno e la nostra gratitudine».

Impegniamoci anche noi: prima di tutto, a riconoscere ora il loro apporto più di quanto non sia fin qui avvenuto; poi, a non dimenticarcene quando usciremo dall’emergenza; e infine, a rimuovere ingiustizie e discriminazioni. Per esempio nelle norme sulla cittadinanza. La società sta insieme e funziona se le sue diverse componenti collaborano e si sostengono a vicenda. (Maurizio Ambrosini - Avvenire)

 

Il grazie dei “nuovi schiavi” a papa Francesco

8 Maggio 2020 - Milano - Nei giorni scorsi attraverso la voce del sindacalista Aboubakar Soumahoro i braccianti immigrati sfruttati nelle campagne di tutta Italia hanno inviato un appello al pontefice perché raccogliesse il loro grido e le loro speranze. Le condizioni in cui migliaia di "nuovi schiavi" vivono sono al di sotto dei più basilari diritti umani. Le parole dei braccianti hanno colpito il pontefice che nel corso dell'udienza del mercoledì ha voluto rivolgere un saluto rilanciando le loro istanze. "Ringraziamo papa Francesco per aver accolto e risposto al nostro appello, lanciato il Primo maggio dalle baraccopoli di lamiere nelle campagne del foggiano, per chiedere - ha detto Soumahoro - diritti e dignità per noi braccianti schiacciati dallo strapotere della Grande distribuzione organizzata e dall’avidità dei giganti del cibo". “In occasione del 1° maggio – ha rivelato Francesco durante l'udienza – ho ricevuto diversi messaggi riferiti al mondo del lavoro e ai suoi problemi. In particolare, mi ha colpito quello dei braccianti agricoli, tra cui molti immigrati, che lavorano nelle campagne italiane. Purtroppo tante volte vengono duramente sfruttati”. Poi il pontefice ha aggiunto: “È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata”, il monito del Papa: “Perciò accolgo l’appello di questi lavoratori e di tutti i lavoratori sfruttati e invito a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e del lavoro”. Intervistato da Avvenire alla vigilia del 25 Aprile, parlando della regolarizzazione degli sfruttati costretti all'irregolarità che alimenta la schiavitù, Soumahoro aveva detto che "abbiamo bisogno di una rivoluzione spirituale, di una solidarietà nuova, di ripartire dall’altro mettendo da parte il modello di avidità e di egoismo. Quando il Primo maggio dell’anno scorso il Papa mi ricevette in udienza, mi disse: ‘Vai avanti e non ti fermare mai’. Si riferiva a quella ricerca che stiamo facendo del ‘noi’ contro l’egoismo, fino alla difesa della sacralità della vita". Il video con l'appello dei braccianti e la risposta di Papa Francesco viene diffuso in queste ore in varie lingue, perché il messaggio che parte dalla campagne italiane è, purtroppo, la testimonianza di un sopruso siffuso in tutto il mondo. (Nello Scavo - Avvenire)    

Vescovo San Severo: “regolarizzare braccianti è un dovere”

7 Maggio 2020 - Roma -  “La proposta di regolarizzare i braccianti agricoli migranti mi sembra non solo intelligente ma credo anche che sia un dovere. In questo momento chi verrebbe avvantaggiato non sarebbero loro ma saremmo noi”. Lo ha detto il vescovo della diocesi di San Severo in Puglia, mons. Giovanni Checchinato, in un'intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei. “A loro che offrono il lavoro – ha aggiunto mons. Checchinato - noi avremmo dato il riconoscimento per un'assistenza sociale e sanitaria. Ma il treno lo abbiamo perso. Purtroppo adesso nelle nostre campagne non c'è più nessuno a lavorare e oggi abbiamo bisogno di loro altrimenti i raccolti andranno perduti”. “La nostra zona – ha spiegato il vescovo di San Severo in Puglia a InBlu Radio - si regge sull'economia agricola, tanti sono i prodotti che vengono lavorati e raccolti in questo territorio dove c'è bisogno di tanta manovalanza e bracciantato. E chi fa questo lavoro nella maggior parte sono i nostri fratelli e sorelle immigrati che vengono purtroppo sottopagati, sfruttati e trattati malissimo dal punto di vista dell'accoglienza. Ci serviamo del lavoro di questi uomini e donne che vengono qui sapendo di trovare un'occupazione perché in campagna c'è bisogno di loro ma vengono sfruttati e sottopagati senza nessuna regola e rispetto”.

Card. Bassetti (Cei) su appello Papa: “indicare le vie per una regolarizzazione” dei migranti

6 Maggio 2020 - Roma - “È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata. Perciò accolgo l’appello di questi lavoratori e di tutti i lavoratori sfruttati e invito a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e la dignità del lavoro”. Con queste parole, poste oggi a chiusura dell’udienza del mercoledì (https://www.migrantesonline.it/2020/05/06/papa-francesco-appello-a-favore-del-mondo-del-lavoro-e-in-particolare-dei-lavoratori-sfruttati-tra-cui-immigrati/), Papa Francesco si è fatto voce dei braccianti agricoli, tra cui molti immigrati, che lavorano nelle campagne italiane, spesso a prezzo di un duro sfruttamento. “Non possiamo dimenticare che in questo momento, tra i tanti che sono in grave difficoltà nel nostro Paese e ai quali come Chiesa siamo vicini – osserva al Sir il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei – ci sono almeno 600mila persone, molte delle quali lavorano nei campi o nei servizi di cura e assistenza ai nostri anziani e alle nostre famiglie, prive di ogni diritto e di ogni sussidio”. Queste persone, continua il cardinale, sono “gravemente esposte non solo allo sfruttamento lavorativo, ma anche per la loro stessa salute, rischiando di diventare, loro malgrado, fonte di contagio per tutti”. “Crediamo davvero, come ci ha ricordato Papa Francesco, che siamo sulla stessa barca – conclude il Cardinale – partecipi delle stesse preoccupazioni e delle stesse attese: ognuno, qualunque sia la sua provenienza, la sua età o condizione, è degno di rispetto ed è amato da Dio in modo unico. Chiediamo dunque a chi ha il compito di promuovere il bene comune di non dimenticare queste persone, questi nostri fratelli e sorelle, e di indicare le vie per una loro regolarizzazione, non solo di quelli che possono esserci ‘utili’, ma di tutti coloro che sono nel nostro Paese, come premessa indispensabile alla tutela della salute di tutti e al ripristino della legalità”.​    

Viminale: 4069 i migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2020

6 Maggio 2020 - Roma – Sono 4069 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno, secondo i dati del Ministeri degli Interni aggiornati alle 8 di questa mattina: 604 quelle sbarcate nel mese di maggio. Degli oltre 4mila migranti sbarcati in Italia quest’anno 494 sono di nazionalità bengalese (12%) seguita da Costa d’Avorio (468, 11%), Sudan (357, 9%), Algeria (319, 8%), Marocco (239, 6%), Somalia (208, 5%), Tunisia (200, 5%), Guinea (176, 4%), Mali (156, 4%), Egitto (84, 2%) a cui si aggiungono 1.368 persone (34%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. 624 i minori stranieri non accompagnati che hanno raggiunto nel 2020 l’Italia.

Papa Francesco: appello a favore del mondo del lavoro e in particolare dei lavoratori sfruttati tra cui immigrati

6 Maggio 2020 - Città del Vaticano – “In occasione del 1° maggio, ho ricevuto diversi messaggi riferiti al mondo del lavoro e ai suoi problemi. In particolare, mi ha colpito quello dei braccianti agricoli, tra cui molti immigrati, che lavorano nelle campagne italiane”. Lo ha detto oggi Papa Francesco al termine dell’Udienza generale del Mercoledì dalla Biblioteca del Palazzo Apostolico Vaticano. “Purtroppo – ha aggiunto il Papa - tante volte vengono duramente sfruttati. È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata”. Da qui Papa Francesco si dice favorevole all’appello di questi lavoratori e di tutti i lavoratori sfruttati invitando “a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e la dignità del lavoro”.

R.Iaria