Roma - Questa mattina, Giovedì 8 ottobre, mons. Stefano Russo, Segretario generale della CEI, è intervenuto alla presentazione del Rapporto Immigrazione redatto da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes dal titolo “Conoscere per comprendere”.
Ecco il testo del suo saluto.
Buongiorno a tutti! Senatore Di Piazza, carissimi amici di Caritas e Fondazione Migrantes, accogliamo con grande attenzione, che si rinnova di anno in anno – ormai siamo al 29° -, la pubblicazione del Rapporto Immigrazione, curato da due organismi della Chiesa italiana (Caritas e Fondazione Migrantes). Il volume di quest’anno concentra le riflessioni attorno al tema Conoscere per comprendere, una delle sei coppie di verbi proposte dal Santo Padre nel suo messaggio per la 106a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, celebrata pochi giorni fa. Si tratta di un impegno reso ancora più necessario dalla complessa congiuntura che stiamo vivendo, determinata dalla pandemia, che ha posto nuove difficoltà, aggravato tante problematiche già esistenti e ulteriormente indebolito le già precarie condizioni economiche e relazionali della società. In questo senso si stanno recependo le ultime modifiche normative che stanno portando una serie di previsioni in discontinuità con il recente passato. Queste sono una prima risposta alle situazioni di crisi registrate nel tempo. La pandemia ha precarizzato ancora di più la condizione di tanti migranti e di tanti italiani. Pertanto, oggi più che mai sono necessarie risposte immediate che mettano al centro l’umanità che ci unisce. Le incessanti statistiche che si sono susseguite negli ultimi mesi hanno reso evidente come nessuno possa essere considerato semplicemente un numero – lo abbiamo più volte ribadito – ma una persona con una dignità, dei legami affettivi, una storia e uno sguardo al futuro che talvolta rischia di rimanere inespresso o addirittura d’interrompersi precocemente. Questo è vero anche per le persone migranti, che alla propria storia personale aggiungono l’esperienza del viaggio e della permanenza in territori estranei, per cambiare la propria vita e spesso quelle dei propri cari. Il Rapporto Immigrazione ci aiuta a mettere a fuoco le coordinate fondamentali delle migrazioni, un fenomeno che attraversa pressoché il mondo intero e tutti gli ambiti del vivere sociale, e che papa Francesco, nell’enciclica firmata pochi giorni fa ad Assisi, Fratelli tutti, definisce «un elemento fondante del futuro del mondo» (n. 40). Una caratteristica di questa pubblicazione è l’interconnessione esistente fra i diversi contributi che la compongono, che restituisce la complessità degli attuali fenomeni migratori. «Il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta – scrive il Santo Padre nell’enciclica Fratelli tutti, al n. 96 – rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri». È un richiamo importante. Non sarebbe possibile, infatti, realizzare un’efficace accoglienza dei migranti – né, tantomeno, la loro protezione, promozione e integrazione – se si curassero solo gli aspetti economici o lavorativi, ignorando la dimensioni antropologiche, sociali e relazionali. Né, ancora, si darebbe una risposta adeguata – vale a dire integrale – ai bisogni di ogni persona se si ricercasse esclusivamente una soluzione ai problemi abitativi o alimentari, senza prestare un’eguale attenzione agli aspetti culturali e religiosi, che costituiscono dimensioni essenziali nella vita di ogni persona. Qualsiasi concezione di accoglienza che la concepisse soltanto come impegno materiale sarebbe una pericolosa riduzione. Anche per questo, la visione fornita dal Rapporto Immigrazione si spinge a considerare l’intimo legame fra i diversi ambiti che caratterizzano la vita di ogni persona, senza i quali essa non potrebbe esprimere appieno il proprio essere e la propria personalità. Solo così, fra l’altro, si può realizzare quell’autentica integrazione della persona migrante nel nuovo contesto sociale, la quale può dirsi compiuta quando, da ospiti, coloro che sono stati accolti diventano soggetti partecipi e attivi, offrendo un contributo personale alla crescita del tessuto sociale, del quale ormai sono divenuti parte. Tale obiettivo rappresenta un’autentica sfida e una scommessa per l’Europa, per il nostro Paese e per i singoli territori che lo compongono, chiamati a vedere in coloro che chiedono ospitalità non un peso, bensì una ricchezza dal punto di vista umano, lavorativo, culturale e, non ultimo, spirituale. Certo, «quando il prossimo è una persona migrante si aggiungono sfide complesse», come scrive con realismo il Santo Padre in Fratelli tutti (n. 129). È evidente, però, come uno sguardo interessato a conoscere l’altro, a incontrarlo, pur con tutte le difficoltà e gli ostacoli che questo implica, dia vita a una prospettiva che si colloca a grande distanza dall’opinione, diffusa a più livelli, che vede nel migrante solo un’insidia, e nell’opera di coloro che lo soccorrono un pericolo. Si tratta di sentimenti contrari alla vita cristiana, che nella fede ci spinge invece ad avere il coraggio di riconoscere in chi è bisognoso del nostro aiuto un fratello, e, nel più piccolo di essi, il Cristo stesso. La fragilità non caratterizza solo gli “altri”, ma ognuno di noi: ognuno di noi può essere quel “piccolo”. Raggiungere una simile consapevolezza è segno di speranza, poiché contribuisce allo sviluppo di una cultura più matura e meno portata ad essere sviata dai preconcetti, più aperta a quanto di buono può esserci nell’altro e meno incline a difendersi pregiudizialmente, più consapevole della necessità e delle opportunità dell’incontro, più disposta a fare autocritica e a condividere. Il Signore guidi i nostri passi in questo cammino di pace e di convivenza, che ci vede tutti fratelli e sorelle. Un ringraziamento a Caritas e Fondazione Migrantes per la cura che, ogni anno, mettono in questa pubblicazione. Ripeto: non è una semplice raccolta dati, ma una narrazione di storie. Grazie!Mons. Stefano Russo - Segretario generale della CEI
Tag: Immigrati e rifugiati
Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes: “soddisfatti per modifiche” Decreti Sicurezza, ora “legalità e integrazione”
Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes: favorire i percorsi di regolarità dei cittadini migranti nel nostro Paese
Mattarella: medaglia d’oro al merito civile a don Roberto Malgesini
Peruviani in Italia: quest’anno niente processione per il Signore dei Miracoli ma preghiere in tutte e comunità
Centro Astalli: “bene le modifiche, ora un atto di coraggio
Rapporto Immigrazione Caritas Italiana e Fondazione Migrantes: domani a Roma la presentazione
Roma – Sarà presentato domani, 8 ottobre, a Roma, nel centro congressi Aurelia, il “Rapporto Immigrazione” elaborato dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes e giunto alla sua 29esima edizione, dal titolo “Conoscere per comprendere”. Alla presentazione interverranno mons. Stefano Russo, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana; Stanislao Di Piazza, sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con delega all’immigrazione e alle Politiche di integrazione; Igiaba Scego, scrittrice. Introdurrà e modererà: Oliviero Forti, responsabile Ufficio Politiche migratorie e Protezione internazionale Caritas Italiana.
I dati saranno presentato da Manuela De Marco, Ufficio Politiche migratorie e Protezione internazionale Caritas Italiana. Le conclusione sono affidate a Simone Varisco della Fondazione Migrantes. La presentazione può essere seguita anche in diretta streaming, tramite YouTube e Facebook della Conferenza Episcopale Italiana: https://www.youtube.com/ChiesaCattolicaItaliana ; https://www.facebook.com/conferenzaepiscopaleitaliana .
Papa Francesco: “Fratelli tutti”, un “cuore aperto al mondo intero” per accogliere chi ha bisogno
Raffaele Iaria
Giornata Vittime Immigrazione: ieri la celebrazione a Lampedusa
Lampedusa - "Mai più!". Sette anni dopo l’isola ricorda i 368 morti in uno dei più disastrosi naufragi del Mediterraneo e promuove in Europa la Giornata della memoria e dell’accoglienza. Sette anni fa avvenne il naufragio dopo il quale l’Europa decise: «Mai più!». Invece di stragi e naufragi ce ne sono stati ancora tanti, troppi.
Il 3 ottobre 2013, a poche centinaia di metri da Lampedusa, naufragava un barcone con a bordo 500 migranti, 368 dei quali perdevano la vita. In loro memoria (e degli altri 18.000 che sono morti tentando di attraversare il Mediterraneo negli ultimi 7 anni) ieri, dopo un momento di preghiera interreligiosa davanti alla Porta d’Europa cui ha assistito una piccola folla, il sindaco dell’isola Totò Martello ha lanciato una corona di fiori in mare nel punto esatto della sciagura. Il Comune di Lampedusa e Linosa è anche capofila del progetto europeo 'Snapshots fromthe Borders', che coinvolge 35 partner di 13 Paesi Ue (comprese 19 città e isole di confine) e punta a far dichiarare il 3 ottobre Giornata europea della memoria e dell’accoglienza. "Il 3 ottobre non è un giorno come tutti gli altri" recita infatti il titolo di un video diffuso per ricordare ciò che avvenne in quell’alba tragica.
Don De Robertis: compiere gesti di vicinanza
Giornata morti Immigrazione: Campagna “Io accolgo,“introdurre vie legali e sicure, riformare Regolamento Dublino”
Ricordiamoci per davvero e interamente del 3 ottobre
Roma - È il caso ad ancorare un evento a una data, come la pallina cade nella casella numerata della roulette. Così nella storia di una comunità o di un singolo individuo, quel determinato giorno conserva per sempre l’impronta di ciò che vi è successo e diventa la chiave che ne riapre la memoria. E degli innumerevoli avvenimenti che si sono accalcati nel tempo su ogni giorno dell’anno, per uno che riemerge un altro cade nell’oblio a seconda del momento, perché come ci ha mostrato bene Italo Svevo il presente vince sempre sul passato e lo reinventa in base alle proprie necessità. Sempre per caso capita poi che una sovrapposizione di eventi conferisca a una certa data una singolare valenza simbolica, e il 3 ottobre è di certo una di queste.
La notte fra il 2 e il 3 ottobre del 1935 l’Italia fascista muoveva alla conquista dell’Etiopia. Dovrebbe essere una pagina di storia nota a tutti, ma non è scontato sia così, data la colpevole rimozione attuata sul nostro colonialismo e gli striminziti paragrafi che gli dedicano i manuali di scuola. Basterà ricordare che nei sette mesi del conflitto un esercito dotato di mitragliatrici e cannoni, aerei e blindati, oltre alle armi chimiche di cui fece massiccio uso, si scontrò con quello tribale del Negus che in larga parte disponeva solo di lance e frecce. La schiacciante superiorità numerica e tecnologica avrebbe fatto sì che le battaglie combattute per raggiungereAddis Abeba si trasformassero in autentici massacri, e va sottolineato come nei primi e più sanguinosi assalti venissero lanciati gli Ascari, truppe coloniali reclutate in Eritrea. I piedi scalzi, il fez rosso, sottili ed eleganti accanto a leoni e cammelli come li ritraevano i manifesti liberty, i francobolli e le carte dei cioccolatini dell’epoca, sarebbero stati sacrificati in 5.000, a fronte dei 2.000 caduti italiani, per non dire delle vittime etiopiche quantificate in centinaia di migliaia. E si trattava solo di un primo acconto del costo che il popolo eritreo avrebbe pagato in seguito. Come sappiamo infatti, crollato in poche settimane con l’offensiva inglese del 1941 l’impero di cartapesta voluto dal Duce, l’Eritrea sarebbe divenuta Protettorato britannico, quindi regione autonoma federata ma poi annessa all’Etiopia, e solo con tre decenni di sanguinosa guerra avrebbe raggiunto nel 1993 l’indipendenza.
Mi trovavo allora là per condurre una ricerca e potei toccare con mano l’entusiasmo che regnava per le strade di Asmara, Keren e Massaua. Un intero popolo in festa spingeva al potere i capi dell’esercito che lo avevano guidato alla vittoria. Ma come purtroppo è successo tante volte nelle aree più povere del pianeta, l’auspicato avvento della democrazia non è mai avvenuto e gli acclamati leader si sono trasformati in tiranni. Il presidente Afewerki, incapace di risollevare un’economia ridotta al collasso da mezzo secolo di continue guerre, ha scelto di mantenere uno stato di belligeranza con lo storico nemico etiopico.Il Paese è rimasto militarizzato, con uomini e donne a tutt’oggi tenuti a forza per otto o dieci anni nell’esercito in condizioni disumane, con città soggette a brutali rastrellamenti, senza alcuna speranza di lavoro, libertà o cambiamento. Per questo i giovani scappano, cercano di passare il confine e di raggiungere attraverso un infernale viaggio le coste della Libia, da dove tentare la traversata del Mediterraneo.Siamo così a un’altra notte fra il 2 e il 3 ottobre, questa volta del 2013, al barcone carico di ragazzi quasi tutti eritrei, disperati al punto da incendiare una coperta per segnalare la propria posizione, cosicché il precario natante prende fuoco e si rovescia al largo di Lampedusa. Le 368 vittime ne hanno fatto una delle più immani stragi di migranti fra le tante a cui assistiamo da anni, con uno stillicidio che ha trasformato in un cimitero subacqueo il Canale di Sicilia.
Fin troppo facile, se non pleonastico, evidenziare il rapporto fra le due date in questione. E farlo proprio oggi, mentre a Lampedusa, ancora una volta, con fedeltà, c’è chi ricorda quella strage in mare, a poche bracciate dalla nostra costa. E a chi fosse pronto a contestare i troppo diretti parallelismi, o reputi ingiustificato il senso di colpa dell’Italia e dell’intero Occidente verso i Paesi poveri, basterebbe ricordare il milione di morti in cui gli storici quantificano la presenza coloniale italiana in Africa, che in Eritrea è durata oltre mezzo secolo. Oppure mostrare le immagini degli ascari eritrei morti impugnando il tricolore con lo stemma sabaudo, accanto a quella delle centinaia di loro discendenti chiusi nelle bare messe in fila nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa, parimenti vittime ignare e innocenti di miseria, violenze e conflitti mossi da interessi altrui. (Alessandro Tamburini - Avvenire)
Giornata Vittime Immigrazione: le iniziative della giornata
Migrantes Caltanissetta: per Giornata Vittime dell’Immigrazione una celebrazione al cimitero della città
R.I.