Primo Piano

Ismu: nel 2021 tornano a crescere le richieste d’asilo in Italia

13 Aprile 2022 -
Milano - Dopo la significativa riduzione del numero di richiedenti asilo, iniziata tra il 2017 e il 2018, e l’ulteriore contrazione delle domande di protezione avvenuta del 2020 nel periodo della pandemia Covid-19, Fondazione ISMU segnala che nel 2021 le richieste di protezione sono tornate a crescere.  Infatti oltre 56mila migranti hanno fatto domanda di asilo nel nostro paese durante il 2021, più del doppio rispetto al 2020 quando le domande pervenute erano state 27mila. Tra i richiedenti asilo del 2021 spicca il dato relativo ai minorenni, che costituiscono un quinto di tutti i richiedenti, di cui 3.257 non accompagnati e 8.312 al seguito di adulti. La crisi afghana dell’agosto 2021 in particolare ha determinato un flusso importante di migranti in cerca di protezione: sono stati oltre 6mila i cittadini afghani che hanno fatto domanda di asilo in Italia l’anno scorso, mentre furono “solo” 600 del 2020. Nel complesso dei paesi UE gli afghani hanno presentato circa 97.800 domande di asilo, il doppio rispetto al 2020. Nel nostro paese spiccano durante il 2021, oltre alle provenienze asiatiche ormai consolidate quali quelle da Pakistan (7.513) e Bangladesh (7.134), anche le domande presentate da cittadini tunisini, al terzo posto in graduatoria (7.102 richiedenti asilo). Sul fronte degli esiti in prima battuta va segnalato come il numero di domande esaminate ha risentito dell’andamento delle richieste: le domande esaminate nel corso del 2020 sono state 42mila e quasi 53mila nel 2021, numeri ben diversi rispetto agli anni 2016-2019 quando le commissioni territoriali hanno esaminato in media 90mila domande all’anno. Nel corso dell’ultimo biennio è diminuito il numero di esiti negativi (56% nel 2021 contro 75% del 2020), mentre nel 2021 è cresciuta la quota di coloro che hanno ricevuto lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria (oltre 16mila persone) ed è aumentata significativamente la risposta positiva delle Commissioni per la concessione di protezione speciale (6mila persone, pari al 12% di tutti gli esiti). A determinare gli esiti positivi con massima protezione sono soprattutto le domande presentate da cittadini afghani, che nel 2021 hanno ricevuto nel 97% dei casi lo status di rifugiato o quantomeno la protezione sussidiaria, e da cittadini somali (95%). Gli esiti negativi alle domande esaminate nel 2021 sono invece determinati soprattutto dai dinieghi riguardanti cittadini provenienti da: Tunisia (92%), Bangladesh (85%) e Marocco (83%).

Ucraina: l’accoglienza come strada per la pace

13 Aprile 2022 -
Roma - Kiev, dove "segnali di pace" e forza d'animo della popolazione si confrontano con la sofferenza e I timori per i combattimenti nell'est dell'Ucraina, e Roma, che lancia il suo messaggio di pace accogliendo e tutelando I fragili, provando a immaginare percorsi di integrazione anche in ascolto della sua comunità di origine ucraina. Un legame, quello tra Kiev e Roma, tra l'Ucraina e l'Italia, a ormai 48 giorni dall'inizio dell'offensiva militare russa il 24 febbraio, ieri al centro di un dibattito pubblico nella sede dell'agenzia di stampa Dire. I temi sono in evidenza nel titolo, 'Roma Ucraina. Gli aiuti, l'accoglienza, le diaspore: una città per la pace'. A partecipare anche anche due religiosi ucraini, uno di base a Roma, don Marco Yaroslav Semehen, rettore della basilica minore di Santa Sofia degli ucraini greco-cattolici e direttore Migrantes dell'Esarcato Apostolico dei cattolici ucraini, e uno in videocollegamento da Kiev, don Maksim Ryabukha, salesiano. Apre i lavori, sollecitato dal moderatore, il giornalista Vincenzo Giardina, proprio don Ryabukha. "Kiev sta piano piano tornando in una condizione normale, ma è pur sempre la normalità di uno stato di guerra" scandisce il sacerdote anche in riferimento al recente ritiro delle forze armate russe dai sobborghi della capitale. "La consapevolezza che il conflitto imperversa nel sud e nell'est del Paese provoca molta tristezza". Sentimenti forti, quelli che animano gli abitanti di Kiev, che come luci e ombre dialogano con "la presenza di Dio, molto forte in questi giorni qui", e con "i segnali che ci fanno credere alla pace" e che fanno pensare che "non è vero che il conflitto durerà mesi o anni, come dicono in molti". L'orizzonte temporale torna anche nelle riflessioni di don Semehen. Se è vero infatti che in circa un mese e mezzo 4,6 milioni di persone hanno già lasciato l'Ucraina e oltre 83mila sono già giunte in Italia, il sacerdote guarda anche al futuro e riflette sul presente. "Il Comune di Roma e la Regione Lazio, insieme alle comunità ecclesiastiche, stanno facendo uno sforzo immenso per accogliere" dice don Semehen, che però si chiede: "Dove alloggeranno in futuro queste persone? Perché gli alloggi al momento sono temporanei e questo crea vari problemi, per esempio le famiglie ospitate in hotel non possono iscrivere I figli a scuola". Tre le priorità da affrontare per il dopo, secondo il rettore della basilica di Santa Sofia, un riferimento per i circa 15mila cittadini ucraini residenti a Roma già da prima dello scoppio della guerra: "Assistenza psicologica, perché tante persone stanno manifestando disagio e malanni psico-somatici; tutela dei minori; alloggi permanenti". Ad attraversare trasversalmente questi tre aspetti, si intuisce, è la cura e l'assistenza dei più fragili. Di questo aspetto, inteso come "priorità", dice Barbara Funari, assessore alle Politiche sociali di Roma capitale. "Siamo felici di aver potuto fornire un rifugio sicuro a persone in condizioni di vulnerabilità, come persone non vedenti o genitori anziani con figli disabili", sottolinea la dirigente, che pure guarda alla prossima fase, quella della seconda accoglienza anche per molte delle "2mila persone ospitate in strutture alberghiere convenzionate con il Comune che fra poco si troveranno ad affrontare la stagione turistica". Riferisce Funari: "Al momento stiamo lavorando in stretto coordinamento con la Regione Lazio per provare a tutelare le persone più vulnerabili nelle fasi di trasferimento che potrebbero seguire, provando a chiedere che rimangano a Roma qualora abbiano già avviato un percorso di integrazione, iscritto i bambini a scuola o abbiano necessità sotto il profile socio-sanitario". E' una prova di accoglienza, che secondo Mario Giro, esponente della Comunità di Sant'Egidio già viceministro degli Esteri, dimostra una volta di più che "gli europei sono molto più accoglienti di quanto la politica racconti". E a confermarlo, dice Giro rispondendo implicitamente alle polemiche sul presunto "doppio standard" dell'accoglienza dei Paesi europei, anche "quello che abbiamo visto coi tanti siriani fatti arrivare con I corridoi umanitari", organizzati dal 2016 da Sant'Egidio e dale Chiese protestanti in partnership con le istituzioni italiane. "Ora - sottolinea Giro - lo vediamo ancora con i tanti ucraini accolti in Polonia e nei Paesi del continente".

Viminale: circa 8mila le persone migranti sbarcate sulle coste italiane

12 Aprile 2022 - Roma - Sono 7.937 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane dall'inizio dell'anno. Di questi 1.750 sono di nazionalità egiziana (22%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Bangladesh (1.308, 16%), Tunisia (997, 13%), Afghanistan (586, 7%), Costa d’Avorio (459, 6%), Eritrea (345, 4%), Siria (291, 4%), Guinea (253, 3%), Sudan (218, 3%), Camerun (149, 2%) a cui si aggiungono 1.581 persone (20%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. I minori stranieri non accompagnati ad aver raggiunto il nostro Paese via mare sono 911. I dati sono del Ministero dell'Interno.

Ucraina: 91 mila i profughi in Italia

12 Aprile 2022 -
Roma - Sono 91.137 a oggi le persone in fuga dal conflitto in Ucraina arrivate in Italia, 87.217 delle quali alla frontiera e 3.920 controllate dal compartimento Polizia ferroviaria del Friuli Venezia Giulia. Ne dà notizia il Viminale precisando che “si tratta di 47.112 donne, 10.229 uomini e 33.796 minori” e che “l’incremento, rispetto a ieri, è di 1.217 ingressi nel territorio nazionale”. Sono confermate come principali città di destinazione Milano, Roma, Napoli e Bologna.

Card. Hollerich (Comece): “protezione umanitaria a ucraini dimostra che Ue può garantire diritti di tutti i rifugiati”

12 Aprile 2022 -
Roma - “La terribile disumana e ingiusta guerra in Ucraina rende più che mai valida l’idea che non possiamo dare la pace per scontata”. L’approccio dei politici europei che hanno concesso la protezione umanitaria a 4 milioni di sfollati ucraini dimostra che, “volendo, si possono garantire i diritti fondamentali dei rifugiati”. Lo ha affermato oggi il card. Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali Ue (Comece), in un collegamento on line alla presentazione del Rapporto annuale 2022 del Centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati con sede a Roma. Il card. Hollerich non è potuto essere presente perché ha contratto il Covid. Nel suo intervento ha ricordato i 24.600 migranti che hanno perso la vita in Europa dal 2014 ad oggi, soprattutto nel Mediterraneo: “Questo è inaccettabile, è uno scandalo per la coscienza umana, una vergogna per la nostra civiltà”. Come pure “inaccettabili sono i maltrattamenti, le torture, gli stupri e gli abusi sessuali in Libia”. “I nostri Paesi europei – ha sottolineato – non possono cooperare con questo processo di disumanizzazione dei migranti e rifugiati che disumanizza anche noi” e “non possiamo fare accordi con malviventi che schiavizzano le persone”. Ha infine lanciato un appello ai “fratelli cristiani, ai cittadini, alle istituzioni dell’Unione europea, ai leader politici, ad unirsi per rendere la nostra Europa un posto migliore per tutti, dimostrando che i nostri principi universali si incarnano nelle nostre politiche, promuovendo una cultura dell’incontro che ci permetterà di superare differenze e divisioni”.

Centro Astalli: nel 2021 67mila migranti arrivati in Italia

12 Aprile 2022 - Roma - I profughi ucraini arrivati in Italia in poche settimane – 89.920 persone (dati Unhcr) – sono molti di più dei migranti e richiedenti asilo sbarcati durante tutto il 2021. La guerra in Ucraina dimostra che queste presenze non rappresentano “un’invasione, né una minaccia alla nostra sicurezza”. Lo afferma il Centro Astalli nel suo Rapporto annuale 2022 sulla situazione dei rifugiati in Italia, quest’anno in un’edizione rinnovata in occasione dei 40 anni di attività. La denuncia è chiara: “Le migrazioni spariscono dai media ma non cessano gli abusi in Libia, le morti in mare e i respingimenti indiscriminati alle frontiere”. Sono stati infatti 67.040 i migranti arrivati in Italia via mare nel 2021, quasi il doppio rispetto ai 34.154 dell’anno precedente. Raddoppiano anche i minori stranieri non accompagnati: 9.478, a fronte dei 4.687 del 2020. Dal rapporto emerge che “gli effetti socio-economici della pandemia hanno acuito le vulnerabilità dei rifugiati e la marginalità sociale”. Inoltre, nonostante siano stati superati da due anni i decreti sicurezza, “non si riesce ancora ad uscire dalla logica dell’emergenza”. Durante il 2021 si sono rivolte al Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, 17.000 persone di cui 10.000 a Roma (le altre 7 sedi territoriali sono Bologna, Catania, Grumo Nevano, Palermo, Padova, Trento, Vicenza). 46.000 i pasti distribuiti, una media di 190 al giorno. Aumentano i rifugiati dalla Somalia (+7%). Sono 600 i volontari, 54 gli operatori. Oltre alle attività di prima e seconda accoglienza il Centro Astalli svolge progetti didattici sul diritto d’asilo e sul dialogo interreligioso nelle scuole per sensibilizzare al tema: lo scorso anno ha incontrato 20.330 studenti in 17 città italiane. Alla presentazione sono intervenuti, tra gli altri, il card. Jean-Claude Hollerich, presidente della Comece, e padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli.

Centro Astalli: “con guerra in Ucraina si arriverà a 90 milioni di sfollati nel mondo”

12 Aprile 2022 - Roma - “La guerra in Ucraina farà sicuramente aumentare il numero degli sfollati nel mondo, si ipotizza intorno ai 90 milioni”. Lo ha detto oggi a Roma padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, presentando il Rapporto annuale 2022 del servizio dei gesuiti per i rifugiati, con sede a Roma. “A metà del 2021 si stimavano già oltre 84 milioni di persone contro gli 82,4 milioni di fine 2020”, ha proseguito padre Ripamonti, di cui “circa 48 milioni sfollati interni. I primi 5 Paesi da cui partono le persone erano, a metà del 2021 gli stessi rispetto all’anno precedente: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. Ma probabilmente gli avvenimenti dell’agosto 2021 avvenuti in Afghanistan, che la maggior parte di noi fa fatica a ricordare così come fatichiamo a ricordare le persone che continuano a vivere questo dramma, aumenteranno il numero dei rifugiati afghani, già oltre i 2,5 milioni”. Padre Ripamonti ha chiesto all’Europa di avere il “coraggio della pace”, ma di una pace che doveva avere radici lontane, quando invece “abbiamo lasciato nei centri in Libia  migliaia di persone”, oppure “li abbiamo abbandonati in mare” (1.496 morti nel 2021), o “sulla rotta balcanica e sul confine tra Polonia e Bielorussia” o “rimandati indietro nel Paese di primo arrivo a causa del Regolamento di Dublino e di una riforma che tarda ad arrivare”, come pure quella “per il riconoscimento della cittadinanza ai ragazzi stranieri in Italia”. Tra le persone assistite nelle strutture del Centro Astalli, ha ricordato, “oltre il 40% sono state vittime di violenza e tortura, molte passate dalla Libia”. “In questi anni – ha sottolineato – il diritto d’asilo è stato gravemente indebolito da una cultura europea che ha giocato sempre in difesa, mai con il coraggio della pace. Speriamo che la solidarietà di questo periodo nei confronti degli ucraini non sia solo un entusiasmo momentaneo. E di poter ricostruire una Ue più altruista: servono regole che umanizzino”. Ha poi messo in guardia sul tema della digitalizzazione in Italia – citando lo Spid e il Green pass – che “se non gestita adeguatamente rischia di essere un ulteriore elemento di disuguaglianza”.  

Migrantes Vicenza: un documento che fa il punto di solidarietà e accoglienza

12 Aprile 2022 - Vicenza - "Verso un NOI sempre più grande. Reti in corso d'opera e Buone Pratiche da migliorare", è una pubblicazione dell'Ufficio Migrantes di Vicenza, disponibile gratuitamente, diretta in particolare agli educatori e agli operatori delle comunità. E' uno strumento aperto, che sollecita ulteriori precisazioni e proposte che arriveranno camin facendo in una prospettiva di percorso educativo, spiegano alla Migrantes di Vicenza sottolineando che il documento intende segnalare almeno alcune tra le molte Reti di solidarietà e Buone Pratiche già in atto nelle "nostre 'comunità educanti, ma che verificate e migliorate alla luce del nuovo tessuto sociale post-Covid e del nuovo drammatico contesto internazionale, possono stimolare i tanti operatori della società civile a trarre frutto dalle esperienze anteriori e a consolidare le interrelazioni, eliminando le dispersioni e favorendo una maggiore coordinazione e sinergia tra le istituzioni pubbliche e private presenti nel territorio di Vicenza.

Integrazione, arriva la serie Rai “Bangla”

12 Aprile 2022 -

Roma - Arriva domani su RaiPlay Bangla La serie (dal 27 aprile al 6 maggio anche su Rai 3 alle 20.20), commedia che tratta la questione dell’integrazione in modo divertente: un giovane italiano di seconda generazione racconta cosa vuol dire essere musulmano praticante e vivere in un mondo lontano dai precetti dell’islam.

Gli 8 episodi sono la prosecuzione del diario di Phaim, ventenne nato e cresciuto a Torpignattara, a Roma.

Corridoi umanitari Cei-S. Egidio: 42 arrivi da Etiopia

12 Aprile 2022 - Roma - Sono atterrati questa mattina a Fiumicino, con un volo di linea dell’Ethiopian Airlines proveniente da Addis Abeba, 42 profughi del Corno d’Africa. Il loro ingresso in Italia è stato reso possibile grazie a un Protocollo d’intesa con lo Stato italiano, firmato nel 2019 dalla Conferenza Episcopale Italiana (che opera attraverso la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes) e dalla Comunità di Sant’Egidio, che prevede l’arrivo di 600 persone vulnerabili con i corridoi umanitari. La partenza è stata facilitata dalla fattiva collaborazione dell’Ambasciata d’Italia ad Addis Abeba, del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno e della Direzione Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. Le 42 persone, in maggioranza giovani singoli, erano da tempo rifugiati nei campi in Etiopia. Tra loro anche due nuclei familiari: una donna somala, vedova con sette figli, e una donna yemenita, con due minori. Ad accoglierli a Fiumicino all’alba sono stati i volontari ed alcuni familiari, da anni residenti nel nostro Paese, in qualche caso già cittadini italiani. Saranno ospitati a Roma e in ben sette regioni italiane (Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Lombardia, Puglia, Sicilia, Toscana) presso associazioni, parrocchie, appartamenti di privati e istituti religiosi, con il supporto di famiglie italiane che si occuperanno di accompagnare il percorso d’integrazione sociale e lavorativa sul territorio, garantendo servizi, corsi di lingua italiana, inserimento scolastico per i minori, cure mediche adeguate. Tutto ciò grazie a un progetto totalmente autofinanziato con l’8x1000 della Cei, fondi raccolti dalla Comunità di Sant’Egidio e la generosità non solo di associazioni e parrocchie ma anche di cittadini che hanno offerto le loro case e il loro impegno gratuito e volontario.

Cei: il 21 aprile incontro nazionale dei giovani in servizio civile del Tavolo ecclesiale

12 Aprile 2022 - Roma - Dal 2003 il Tavolo Ecclesiale sul Servizio Civile - che annovera tra gli enti promotori Caritas Italiana, la Fondazione Migrantes, l’Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese, l’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro e il Servizio Nazionale per la pastorale giovanile organizza ogni 12 marzo, nel giorno in cui si ricorda San Massimiliano di Tebessa, martire per obiezione di coscienza al servizio militare nel 295 d.C., l’incontro nazionale dei giovani in servizio civile. Quest’anno l’appuntamento si terrà ad Assisi giovedì 21 aprile sul tema scelto da papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio: “Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura”.

Ancora naufragi e salvataggi

12 Aprile 2022 -

Milano - Oltre 800 persone arrivate a Lampedusa con barchini, in modo autonomo nell’ultimo fine settimana. Due naufragi al largo della Tunisia con decine di dispersi e solo pochi corpi recuperati, un altro dramma di fronte alle coste libiche con 4 morti e 19 dispersi e una nave Ong con a bordo 205 persone salvate da soccorsi in mare. Il bollettino che arriva dal Mediterraneo racconta ancora una volta la drammaticità dei flussi migratori che partono dal Nord Africa diretti in Europa. Dopo il naufragio di sabato, una seconda tragedia è avvenuta domenica al largo di Sfax, sempre in Tunisia. A denunciarlo è Alarm Phone, spiegando che sabato scorso una barca è affondata al largo della Tunisia. «Venti persone sono state soccorse, ma 6 sono ancora disperse e sono stati recuperati quattro corpi». Altre 30 persone non ce l’avevano fatta il giorno prima nell’altra tragedia raccontata. «Bisogna fermare il regime di frontiera omicida dell’Ue», dice l’Ong. E sempre domenica un’altra imbarcazione di legno con 20 migranti a bordo ha fatto naufragio al largo della libica Surman. Due persone sono state salvate – riferisce l’Oim in Libia – mentre sono stati recuperati quattro corpi senza vita; altre 14 persone sono date per disperse. Intanto chiede ripetutamente di poter raggiungere terra, in un porto sicuro, la nave Sea Watch con a bordo 205 persone salvate in una serie di soccorsi (anche drammatici) negli ultimi giorni al largo della costa libica. Ma l’Ong tedesca teme che diversi altri profughi siano annegati. In particolare, ha spiegato Sea Watch in un tweet, è stato fatto un salvataggio per un gommone che stava affondando con la guardia costiera libica presente sul posto. Molti migranti erano già in acqua e «su almeno 50 persone in difficoltà, ne abbiamo salvate 34», ha fatto sapere l’Ong, sottolineando che molte delle persone recuperate hanno bisogno di cure urgenti. «I sopravvissuti raccontano di aver visto annegare dei parenti – spiega la Ong –. Le esperienze traumatiche hanno lasciato segni fisici e psicologici. Lo staff medico sta curando molti naufraghi, ma la nave non è un ospedale. Il diritto alla vita deve valere per tutti». Cinque persone con gravi problemi di salute sono state evacuate dalla nave che ora si trova a poco più di dieci miglia a est dell’isola di Lampedusa. Oltre ai cinque migranti, tra cui due donne in gravidanza, anche una sesta persona ha lasciato la nave per accompagnare la moglie. A bordo restano 205 migranti: «Hanno urgente necessità di essere portati a terra e ricevere cure adeguate», dicono dalla Ong.

Intanto è corsa contro il tempo a Lampedusa per svuotare l’hotspot di contrada Imbriacola, al collasso dopo la raffica di arrivi dello scorso weekend quando sull’isola sono sbarcati oltre 800 migranti. Domenica in 127 sono stati imbarcati sul traghetto di linea diretto a Porto Empedocle, stessa sorte ieri per altri 104 migranti, che in serata hanno raggiunto la cittadina dell’Agrigentino. In rada a cala Pisana c’è anche la nave quarantena Moby Dada: 300 i posti disponibili a bordo. Nel centro dell’isola, con i nuovi trasferimenti, restano in più di 400 a fronte di una capienza massima di 250. La prefettura, nelle prossime ore, predisporrà altri trasferimenti. Le avverse condizioni del mare, intanto, per il momento hanno fermato gli sbarchi. Sono 6.938 i migranti giunti in Italia, via mare, da inizio anno. In calo rispetto agli 8.505 di un anno fa ma il doppio rispetto ai 2.971 del 2020 (primo anno fra l’altro della pandemia). Aumentano anche le persone che non ce la fanno a raggiungere le coste dell’Europa. Sono complessivamente 475 i migranti morti in mare da inizio anno. Numeri purtroppo destinati ad aumentare con le persone scomparse durante la navigazione e di cui non si è mai saputo nulla. La rotta più letale resta quella del Mediterraneo centrale, tra Libia e Italia e Malta. Ed è proprio lungo questa rotta che è tornata in mare la nave Ong Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans. «Torniamo in mare per salvaguardare la vita umana, proteggere e accogliere chi fugge dalla Libia. La nostra nave Mare Jonio è salpata da porto di Mazara del Vallo verso la zona Sar del Mediterraneo centrale» ha annunciato nei giorni scorsi l’organizzazione umanitaria. (Daniele Fassini - Avvenire)

Ucraina: circa 90mila i profughi in Italia

11 Aprile 2022 -
Roma - Sono 89.920 a oggi le persone in fuga dal conflitto in Ucraina arrivate in Italia, 86.048 delle quali alla frontiera e 3.872 controllate dal compartimento Polizia ferroviaria del Friuli Venezia Giulia. Si tratta di 46.491 donne, 9.984 uomini e 33. 445 minori.  Le città di destinazione dichiarate all'ingresso in Italia sono ancora Milano, Roma, Napoli e Bologna.

Libertà di migrare: via alla formazione dei docenti africani sulla migrazione

11 Aprile 2022 - Roma - Il 4 aprile il team di Educare Senza Confini ha tenuto in Senegal una lezione sui dati della migrazione africana e europea per 20 docenti di istruzione superiore di Dakar. Mor Amar, formatore del progetto educativo per la Cooperativa Sophia di Roma, ha trasmesso ai docenti il metodo di formazione necessario per riuscire a rispondere alle domande dei giovani africani che vogliono emigrare ma non hanno informazioni corrette su cosa comporti questa scelta nella realtà.  "Educare Senza Confini" è un progetto educativo della Cooperativa Sophia che si svolge in Italia e in Africa, con la missione di generare occasioni di incontro e di lavoro fra persone di paesi, culture e religioni diverse per accrescere la consapevolezza del fenomeno migratorio e dei rischi della migrazione irregolare. In particolare, il progetto all'estero intende far sentire gli studenti meno soli nella scelta del proprio futuro, rendendoli più capaci di decidere e farsi domande sul proprio futuro.  Il progetto ha coinvolto in totale più di 13.500 studenti, di cui 12.000 in Italia dal 2015; e 1500 studenti di 5 istituti di istruzione superiore di Dakar, Senegal e Conakry, Guinea. Per il 2022, il team coinvolgerà ulteriori 6.600 studenti e 20 docenti di 10 istituti di istruzione superiore nella periferia di Dakar per trasferire alle scuole locali le conoscenze e le competenze per diventare dei punti di riferimento per i giovani che vogliono partire.  L’iniziativa di concentrarsi sulla formazione dei docenti è nata in risposta ad un bisogno che il team di Sophia ha rilevato durante la prima edizione del progetto in Africa. I docenti erano rimasti colpiti dal progetto e dal fatto che loro stessi non erano a conoscenza delle informazioni sull'immigrazione portate da Sophia. Per questo avevano espressamente richiesto di poter partecipare al progetto loro stessi. Uno dei docenti formati si chiama Moustapha Dieng del liceo pubblico Ouakam di Dakar e, dopo aver imparato il metodo di Sophia, porterà il progetto nelle sue classi. Sull’utilità del progetto educativo commenta: "Veramente... Penso che questo laboratorio sia stato molto interessante. Nel senso che è stato senza precedenti, mi ha permesso di avere una conoscenza molto più diversificata e più precisa sui criteri di scelta per emigrare, su come uno emigra, il perché, i mezzi che si trovano per la via. Neanche io queste cose le sapevo. "

Papa: ultimi tratti della Via Crucis a famiglie russa e ucraina e migrante

11 Aprile 2022 - Città del Vaticano - "Ormai siamo qui. Siamo morti al nostro passato. Avremmo voluto vivere nella nostra terra, ma la guerra ce lo ha impedito. È difficile per una famiglia dover scegliere tra i suoi sogni e la libertà. Tra i desideri e la sopravvivenza. Siamo qui dopo viaggi in cui abbiamo visto morire donne e bambini, amici, fratelli e sorelle. Siamo qui, sopravvissuti. Percepiti come un peso. Noi che a casa nostra eravamo importanti, qui siamo numeri, categorie, semplificazioni. Eppure siamo molto di più che immigrati. Siamo persone. Siamo venuti qui per i nostri figli. Moriamo ogni giorno per loro, perché qui possano provare a vivere una vita normale, senza le bombe, senza il sangue, senza le persecuzioni. Siamo cattolici, ma anche questo a volte sembra passare in secondo piano rispetto al fatto che siamo migranti. Se non ci rassegniamo è perché sappiamo che la grande pietra sulla porta del sepolcro un giorno verrà rotolata via". Sarà questa l'ultima meditazione della tradizionale Via Crucis al Colosseo, presieduta da papa Francesco e durante la quale la Croce sarà portata da una famiglia migrante. Nele ultime stazioni anche una una famiglia russa insieme ad una famiglia ucraina porteranno la Croce. La  meditazione che sarà letta durante il tratto  quando Gesù muore sulla croce, dice: "La morte intorno. La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi. L'esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d'inverno, l'andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie… tutto. Tutto perde improvvisamente valore. 'Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Vogliamo la nostra vita di prima. Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?'. Le lacrime sono finite. La rabbia ha lasciato il passo alla rassegnazione. Sappiamo che Tu ci ami, Signore, ma non lo sentiamo questo amore e questa cosa ci fa impazzire. Ci svegliamo al mattino e per qualche secondo siamo felici, ma poi ci ricordiamo subito quanto sarà difficile riconciliarci. Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare". (Raffaele Iaria)

Cercare rifugio nell’Europa che allontana le frontiere

11 Aprile 2022 - Roma - L’8 e il 9 aprile, docenti, giuristi, giornalisti, esponenti politici e delle organizzazioni si sono incontrati  per domandarsi cosa resta del diritto d’asilo quando si esternalizzano le frontiere. La domanda viene naturale: come si fa a garantire l’accesso ad una procedura effettiva ed equa per il riconoscimento della protezione internazionale – diritto tutelato dalla Convenzione di Ginevra del 1951, dai Trattati e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché, nell’accezione più estesa di tutte, dall’art. 10 della Costituzione italiana – quando, ormai da anni, la politica migratoria europea si sostanzia nell’affidare l’attività di ostacolo delle partenze e trattenimento dei migranti a Stati terzi economicamente e politicamente instabili e non in grado di garantire i diritti umani basilari? Il confronto per cercare una risposta si è alimentato di tre contributi: la testimonianza di chi ha visto o vissuto sulla pelle gli effetti dello spostamento della frontiera; la sapienza giuridica di chi studia il diritto d’asilo o gli dà tutela nelle aule di giustizia; la capacità politica di raccogliere le istanze e trasformarle in decisione di cambiamento. Il titolo dell’incontro era “Il diritto di asilo in tempo di guerra”. Quando l’idea è nata, nessuno poteva immaginare che giorni sarebbero stati quelli in cui si sarebbe concretizzata. E invece, la sorte dell’Ucraina aggredita è diventata la bussola dei lavori. Ha offerto un’immagine dolorosamente vivida da sovrapporre alle parole di Adal Neguse, sopravvissuto eritreo alla rotta del Mediterraneo centrale: Mariupol è la Aleppo di oggi, ha detto Giota Masoridou, che da avvocato ha conosciuto i campi sulle isole egee, dove i migranti sono bloccati per mesi aspettando l’esito della domanda d’asilo o la “riammissione” in Turchia. Ma ha anche finalmente mostrato che una gestione diversa è possibile: una protezione temporanea automatica, confini aperti e solidarietà tra Stati, redistribuzione ma anche possibilità di scegliere il Paese in cui stare, sostegno all’integrazione sanitaria, alloggiativa, scolastica, linguistica, lavorativa. I relatori, pur disillusi da anni di esperienza nella materia, non hanno voluto escludere una timida fiducia nell’inizio di un cambiamento. Vedremo. Tangibile per ora è solo lo stridore col passato, con le guerre di cui non abbiamo saputo nulla – in Mali, Sierra Leone, Burkina Faso – e persino con quelle che hanno scosso le nostre coscienze, in Siria o in Afghanistan. Hanno provocato fosse comuni e bambini in fuga esattamente come quella ucraina. Può la sola vicinanza spiegare una disparità così ingiusta? Eppure, nelle teche che a Trastevere esponevano gli oggetti dei naufraghi del 3 ottobre 2013, c’erano orologi, occhiali da sole, piccole fotografie, rosari per pregare. Quelle 368 persone, morte a mezzo miglio da Lampedusa, erano davvero così lontane da noi? La deriva dell’umanità cui assistiamo in Ucraina serva almeno a ravvivare una discussione sulla questione migratoria. Il convegno ha raccontato tutte le rotte della regione mediterranea: dall’Egeo al canale di Sicilia, dai Balcani, dove il giornalista Valerio Cataldi ha incontrato Aziz, separato dal papà dalla polizia croata dopo due anni di viaggio insieme dall’Afghanistan, alla meno visibile Cipro, dove Ilaria Della Moretta raccoglie le voci dei richiedenti asilo, fino alle Canarie. “Le isole non possono diventare carceri”, ha avvertito Txema Santana, che si occupa di rotta atlantica come consigliere del governo. La spaventosa conta dei morti di tutte queste rotte finirà solo quando le persone non saranno più costrette a percorrerle: quando potranno ottenere dall’ambasciata del Paese di destinazione un visto per chiedere protezione o quando potranno fare ingresso in Europa grazie ad una sponsorship per legami familiari o per ricerca di lavoro. I giuristi al convegno hanno proposto queste e altre soluzioni pratiche. I politici, europei e italiani, devono ora dimostrare la volontà di applicarle. (Livia Cefaloni)

Mci Germania-Scandinavia: nuovo missionario a Solingen-Remscheid

11 Aprile 2022 - Francoforte - Con decreto del 4 marzo 2022 dell’arcivescovo di Colonia, il card. Woelki, don Cyprien Dukuzumuremyi, è stato nominato nuovo missionario nella Missione Cattolica Italiana  di Solingen-Remscheid. Si affianca come collaboratore a don Aphrodis e succede a don Patrizio, rientrato a fine anno nella sua diocesi di San Miniato. Proviene dal Ruanda e tra le sue esperienze pastorali ha operato 5 anni a Mirabella Eclano (2009-2014) nella diocesi di Avellino. Ne da notizia la Delegazione delle Missioni cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia.

Rom e sinti: presentato report su “Il Paese dei campi”

11 Aprile 2022 -

Roma - L’8 aprile si è celebrata in tutto il mondo la Giornata Internazionale dei diritti dei rom. Alla sua vigilia, in un evento promosso dalla Commissione per la promozione dei Diritti Umani del Senato, Associazione 21 luglio ha presentato il report digitale “Il Paese dei campi” (www.ilpaesedeicampi.it). All’iniziativa sono intervenuti: il senatore Giorgio Fede; Triantafillos Loukarelis, direttore dell’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali e mons. Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma e segretario della Commissione Cei per le Migrazioni - Migrantes.

Malgrado le politiche nazionali e locali promosse da decenni nei confronti delle comunità rom e sinte, il nostro Paese - spiega l'associazione - "paga la cronica carenza di informazioni statistiche affidabili relative agli insediamenti monoetnici presenti sul territorio nazionale. Tale deficit è riconosciuto come il principale limite laddove, per implementare politiche sociali, risulta fondamentale cogliere in maniera puntuale le problematiche che interessano gli abitanti dei 'campi'. Con cadenza periodica, si invocano 'censimenti' arrivando a cogliere l’assenza di informazioni come occasione per amplificare i numeri invocando l’emergenza oppure per spingerli al ribasso al fine di enfatizzare, ad esempio, l’impatto positivo di politiche espulsive. Per svariate ragioni risulta impossibile oggi definire quanti siano i rom e sinti in Italia. Al contrario è però possibile da oggi, grazie al lavoro presentato da Associazione 21 luglio, fotografare nitidamente la realtà di quanti – identificati dalla autorità come rom e sinti – risiedono in insediamenti monoetnici appositamente realizzati per loro".

Attraverso il sito www.ilpaesedeicampi.it, curato da "21 luglio", è possibile da oggi cogliere, in tempo reale, informazioni aggiornate che interessano ognuno dei 121 insediamenti formali, all’aperto e al chiuso, abitati da comunità identificate come rom e sinte. In Italia sono presenti 45 “campi rom” formali abitati da 7.128 persone. L’insediamento più grande si trova a Roma, in via Candoni, dove sono accolte 795 persone. La massima concentrazione si rileva nell’area metropolitana di Napoli, con 8 insediamenti e 1.336 persone.  Nei Comuni di Pisa, Gioia Tauro e Cosenza si registrano invece le presenze di quartieri di “case popolari” realizzati appositamente per un’accoglienza di 930 rom. A Brescia e a Napoli gli unici due “centri di raccolta rom”, dove risultano presenti 218 persone. Sono invece 66 i “campi sinti” presenti sul territorio nazionale, abitati da 4.814 persone con il più grande che insiste nel Comune di Pavia, con 265 persone. I Comuni di Villafalletto, in provincia di Cuneo, di Padova e di Carmagnola, in provincia di Torino sono caratterizzati dalla presenza di aree residenziali monoetniche. Aggregando i dati che interessano i soli insediamenti formali è possibile affermare che sono 113 i “campi rom” e “campi sinti”, presenti in 73 Comuni e 13 Regioni, per un totale di 12.096 persone. Ad essi vanno aggiunti 2 “centri di raccolta rom” e 6 aree residenziali monoetniche. Un totale di 13.405 soggetti concentrati in strutture, al chiuso o all’aperto, progettate e realizzate dalle istituzioni secondo un criterio segnatamente etnico. Se ad essi volessimo aggiungere i circa 5.500 rom stimati negli insediamenti informali, si raggiungerebbe la cifra complessiva di 18.760 rom e sinti in emergenza abitativa.

Tali numeri sembrano confermare la tendenza al ribasso già registrata negli ultimi anni. Ad oggi, come riportato nel dettaglio sul sito, sono infatti 21 gli insediamenti rom e sinti che risultano in superamento mentre, dal 2018 ad oggi sono 26 quelli chiusi o superati.

Ucraina, Bosnia: nel campo profughi di Usivak dove si ‘gioca’ per vivere

11 Aprile 2022 -  Ušivak - Sahim ha 11 anni e viene dal Pakistan, ma dice di non ricordare da quale città. Grandi occhi neri, come i suoi capelli, si aggira in ciabatte, nonostante il freddo e la neve, nel centro di accoglienza temporanea di Ušivak, vicino a Sarajevo, dove vive, da solo, da poco più di otto mesi. Suo padre è riuscito nel “Game” (il gioco), come viene chiamato da queste parti: il tentativo di attraversare i confini dei Paesi balcanici per cercare, a costo della vita, di entrare in territorio Ue, meta finale, percorrendo sentieri impervi, evitando freddo, fili spinati, animali selvatici, barriere, telecamere termiche, campi minati, droni, polizia, manganelli e formazioni paramilitari. Ora si pensa che sia in Germania. Sahim, invece non ce l’ha fatta: il camion dove il padre lo aveva nascosto per passare clandestinamente il confine croato è stato bloccato dalla polizia di frontiera che, scopertolo, lo ha rispedito a Ušivak. Della madre non si sa molto, “forse è in Francia”, “forse è morta”, dicono gli operatori del campo. Ora Sahim attende che il padre chieda il ricongiungimento familiare per portarlo in Germania. Ma i tempi sono lunghi, prima deve trovare un lavoro, costruirsi una nuova vita e solo allora potrà riabbracciare il figlio. Intanto il piccolo tira calci ad un pallone sgonfio e passa il suo tempo con altri bambini migranti nel ‘Social corner’ del centro, coccolato dai 5 caschi bianchi di Caritas Italiana che svolgono qui il loro servizio civile, tra lezioni di scuola, laboratori manuali, giochi e balli. Dono di Papa Francesco. Il social corner, avviato nell’ottobre del 2020, è il frutto di una donazione di Papa Francesco che ha deciso così di sostenere alcuni progetti di accoglienza lungo la Rotta Balcanica, quel percorso che dalla Grecia risale la penisola balcanica fino ad arrivare nei paesi Ue. Unica porta per migliaia di migranti per entrare in Europa. Tra questi progetti spiccano i Social Corner di due campi di accoglienza temporanea della Bosnia-Erzegovina, Ušivak (Sarajevo) e Sedra, nella zona di Bihac, al confine con la Croazia. Si tratta di un prefabbricato dentro il quale è stato arredato uno spazio per laboratori e attività manuali, corsi di lingua e giochi. Un luogo dove ogni giorno i volontari  distribuiscono tè o caffè caldo. "Game is over". Oggi al Social Corner di Ušivak si canta e si balla al ritmo dei tamburi. I volontari di Caritas Bosnia e i caschi bianchi di Caritas Italiana hanno organizzato una festa sia per i più piccoli e le loro famiglie che per i più grandicelli. Poi pizza per tutti. La gradinata in cemento del vecchio teatrino all’aperto, decorata con i colori della pace, si riempie di persone richiamate dalla musica. I tratti dei volti ne rivelano la provenienza, Iran, Afghanistan, Pakistan, Siria, Iraq, Africa e persino da Cuba. “In questo periodo – dice al Sir Gorana Lovric, coordinatrice del Social Corner – ospitiamo circa 200 persone. Il campo di Ušivak è destinato a ricevere famiglie e minori non accompagnati, fino a un totale di 800 persone. Il nostro compito al Social Corner? Accogliere i migranti, aiutarli, rispettando la loro dignità di esseri umani, come ci insegna Papa Francesco. Lo facciamo con gesti semplici, come offrire loro una tazza di tè o di caffè. In questo modo parliamo, condividiamo le loro storie, capiamo ciò di cui hanno bisogno. Siamo orecchi pronti ad ascoltarli e braccia aperte pronte a stringerli. Sono persone con storie di povertà e di disperazione alle spalle che non ti chiedono nulla, solo essere ascoltati”. In questi anni di attività al Social Corner, Gorana ha conosciuto tanti giovani. Tutti hanno provato il Game, ma solo qualcuno ce l’ha fatta come il ragazzo iraniano di soli 15 anni, con alle spalle tutta la Rotta Balcanica: dalla Turchia alla Bosnia, passando per Grecia, Albania, Montenegro e Serbia. “Dopo aver sostato qui al campo per oltre un anno aveva deciso di seguire alcuni suoi amici più grandi. Voleva provare il Game. Di lui nessuna notizia per molto tempo. Un giorno una telefonata: ‘Teacher, game is over’, “Maestra, il gioco è finito!”, era il suo modo per dirmi che ce l’aveva fatta, era arrivato in Inghilterra. Ho pianto di gioia. Sono giovani che hanno diritto a vivere con dignità, a un futuro. Quando vedo questi giovani che provano il Game penso a mio fratello, a mio figlio, e piangi. Piangi perché sai quanto sia importante per loro arrivare in Europa, lasciarsi dietro povertà e guerra".Bosnia, nel 1992. Sono sopravvissuta. Ma il loro presente oggi è più pesante del mio passato. Così ci mettiamo nei loro panni e siamo pronti ad aiutarli a riavere la dignità che hanno tolto loro”. Una vita di inferno. Gorana parla e Sahim continua a tirare calci al pallone mentre si gusta il suo trancio di pizza. È ora di pranzo a Ušivak. Si avvicina un giovane iraniano, Daniel Hozhabri, viene da Teheran. Con i suoi 34 anni è il veterano del centro di Ušivak. Ha voglia di parlare e racconta di essere qui da 4 anni: “sono scappato dal mio Paese senza portare nulla con me, in tasca solo un sogno, la musica. In Iran ci sono tanti problemi che nessuno vuole risolvere. Non c’è libertà, i cittadini vivono sotto dittatura. Da quando poi nel confinante Afghanistan sono tornati i talebani i problemi sono aumentati”. Racconta di aver trascorso 10 anni in diversi Paesi di transito, “muovendomi in gran parte a piedi, con il rischio di essere respinto ogni volta. Una vita di inferno – dice con voce strozzata – ma non siamo animali, siamo esseri umani. Cerchiamo solo pace e futuro, ne abbiamo diritto”. Per questo Daniel ha provato tante volte il Game senza riuscire mai ad arrivare alla meta. “Mi hanno sempre preso. L’ultima volta pochi giorni fa. Le guardie di frontiera in Croazia mi hanno fermato e sequestrato il cellulare e il power bank. Me li hanno fatti a pezzi sotto i mei occhi. Eravamo in undici, con noi c’erano anche delle donne con sei bambini piccoli. Ci hanno rispedito tutti a Bihac in Bosnia. Da Bihac poi sono tornato qui a Ušivak”. “Questo campo non è la migliore soluzione ma ci adattiamo” afferma il giovane iraniano che dall’alto dei suoi 4 anni a Ušivak conosce ogni centimetro del campo: “Questa è l’area riservata ai contagiati dal Covid, mentre più in basso ci sono i laboratori di sartoria e il centro clinico”. Gli alloggi sono tutti allineati uno dietro l’altro, le finestre parzialmente oscurate con delle coperte per non far filtrare la luce solare. Un campo di calcetto pieno di buche con porte improvvisate ricavato da un vecchio parcheggio, poco distante un container adibito a palestra. Incontriamo alcuni giovani ospiti intenti a scrivere al cellulare. Uscire da Ušivak per andare a Sarajevo chiede tempo, pertanto preferiscono restare all'interno della struttura. Problemi di lingua e la mancanza di soldi, fanno il resto. Uno di loro è salito sopra una collinetta “perché lì c'è più segnale”, rivela  Daniel. La visita termina davanti al suo alloggio: un container con tre letti a castello, una finestra malmessa che lascia passare aria. I pochi effetti personali sparsi sul letto. “Adesso ci vivo da solo, e ho spazio, ma fino a qualche mese fa eravamo in sei. Non ci si poteva muovere". "Nonostante tutte le difficoltà continuo a credere nell’umanità e che ci sarà un futuro dignitoso anche per me”. La voce dell'Oim. Negli ultimi anni la pandemia ha rallentato gli arrivi in Bosnia rendendo più gestibile il flusso dei migranti. “Oggi nei 5 centri di accoglienza temporanea in Bosnia sono ospitate circa 2000 persone – spiega Margherita Vismara, coordinatrice dei programmi Oim (International Organization for Migration) –. La loro permanenza nei campi è varia. A Ušivak, per esempio, il 20% dei migranti si trattiene per sei mesi-un anno, il 20% più di un anno, il restante 60% per meno di sei mesi. Le famiglie attendono di ricongiungersi con i parenti che sono già in Europa, ma le procedure possono essere molto lunghe. Per questo motivo sono in molti a provare il Game. Come Oim cerchiamo di evitare che bambini e donne debbano affrontare camminate notturne in foreste, in terreni pericolosi, in mezzo al freddo e alla neve, per entrare nell’Ue. Questa gente arriva a camminare fino a 20 o 30 km. in una notte portandosi dietro i bambini anche in tenera età. Tante volte si sono smarriti e ci hanno rintracciato al telefono per chiedere aiuto. In alcuni casi Protezione civile e Soccorso alpino sono intervenuti con le moto slitte. Non è facile arrivare anche perché la Croazia non è ancora in Schengen e quindi devono raggiungere la Slovenia”. In lotta per un sogno. Ne sa qualcosa Mazar Sharif, che il Game lo ha provato diverse volte. “Sono afgano – racconta il giovane ospite - ho frequentato fino alla sesta classe, la prima media. Sono fuggito che ero ancora un bambino, insieme a mia sorella e a suo marito, perché non vedevo un futuro. Nel mio Paese non c’è libertà, non c’è lavoro solo tanta povertà. Con i talebani la situazione è peggiorata: ti entrano in casa e ti portano via, come si fa a vivere così. Sono fuggito prima in Iran per cercare di aiutare la mia famiglia, poi in Turchia e in Grecia dove mi sono separato da mia sorella. Ho proseguito per il Montenegro, la Serbia, fino a qui, in Bosnia. Dalla Grecia alla Bosnia ho camminato. Sono stati tre lunghi anni durante i quali ho cercato di vivere con piccoli lavori, con qualche aiuto da casa. Vorrei andare in Francia, mi piacerebbe studiare". "Ricordo sempre quello che mi disse un mio amico, che ora vive in Germania: dobbiamo lottare per il nostro futuro e per realizzare i nostri sogni. È ciò che farò ogni giorno fino a quando avrò la forza”. Si è fatta sera, Daniel e Mazar rientrano nei loro prefabbricati. Lo stesso fa Sahim ma non prima di aver ripreso il suo pallone sgonfio finito sotto un'auto di un addetto alla sicurezza del campo. Giusto il tempo di salutare i suoi piccoli amici. La partita la finiranno domani. In attesa del prossimo Game... (Daniele Rocchi - Sir)

Ucraina: Acli, “gli ucraini che hanno lavorato in Italia e che ora sono costretti a rientrare qui continueranno a godere della pensione”

11 Aprile 2022 - Roma - "Gli ucraini che hanno lavorato per un’intera vita in Italia e che ora sono costretti a rientrare nel nostro Paese potranno continuare a godere della pensione". Lo ha stabilito il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che ha accolto una delle proposte Acli, presentate ufficialmente lo scorso 17 marzo alla Camera dei Deputati. "Un mese fa l’associazione ha chiesto che per l’intera durata dell’emergenza in Ucraina, l’Inps continuasse ad erogare la pensione da espatriati, quella cioè che spetta a chi abbia regolarmente lavorato in Italia e sia poi espatriato in Ucraina, e che si potesse ritirare la pensione presso le Poste Italiane e su altri canali bancari diffusi a livello internazionale", affermano le Acli. In base all’articolo 18 della legge n. 189/2002, la pensione di espatrio viene erogata solo a chi decide di rientrare nel proprio Paese di origine: il venire meno della condizione di rimpatrio definitivo comporta la revoca della prestazione pensionistica. Ma a partire dal 24 febbraio 2022, a causa della guerra, molti cittadini ucraini, titolari di pensione italiana, sono stati costretti a lasciare l’Ucraina per stabilirsi nuovamente in Italia o in altri Stati. Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha comunicato all’Inps che “fino a quando non verranno a crearsi le condizioni per un rientro nel Paese in sicurezza, le pensioni già in essere potranno continuare ad essere erogate anche in Paesi diversi dall’Ucraina e in Italia”.