11 Dicembre 2025 - La nuova National Security Strategy degli Stati Uniti descrive l’Europa come un continente esposto a declino economico, pressione migratoria e rischi di “erosione civile”. Il documento sollecita gli Stati europei a rafforzare sovranità, identità e responsabilità strategica in un quadro instabile. Riccardo Benotti (SIR) ha intervistato Andrea Possieri, docente di storia contemporanea all’Università degli Studi di Perugia, che analizza le implicazioni politiche e culturali di questa lettura americana per il futuro del continente e per il rapporto transatlantico.
Nel documento statunitense di strategia nazionale emerge una lettura severa dell’Europa, fino a evocare il rischio di una “cancellazione della civiltà europea”. Che cosa indica questa espressione e quale idea di Europa trasmette il nuovo corso americano?
Quelle parole hanno suscitato sconcerto ma sono l’evoluzione di quanto affermato da James D. Vance a Monaco nel 2025. Più che una rottura con l’Europa, emerge una critica durissima all’Unione europea. Il riferimento ai valori è una presa di distanza dall’Europa tecnocratica e dall’egemonia progressista nel discorso pubblico. Si auspica il ritorno a un’Europa delle patrie, a dispetto dell’Europa di Bruxelles.
Quali elementi nuovi introduce la NSS rispetto a queste critiche già note?
L’idea non è nuova, ma oggi assume due forme inedite: viene formalizzata in un documento politico statunitense con tratti nazional-sovranisti, centrato su sicurezza, identità culturale e un forte culto della leadership; inoltre, in nome della stabilità tra Europa e Russia, si accompagna a una sostanziale legittimazione dell’operato di Putin in Ucraina. A quella terra serve pace, ma una pace giusta.
Il documento contrappone un’Europa delle patrie all’integrazione sovranazionale. Che idea di Unione europea emerge?
L’NSS mostra sfiducia verso l’integrazione europea sviluppatasi dagli anni Novanta. L’accento sulla sovranità nazionale suggerisce una preferenza per un’Europa composta da Stati forti e meno per un’unione politica. È un’impostazione che ridimensiona il ruolo dell’Unione europea nei processi decisionali e mette in discussione la sovranità condivisa.
L’impianto “America First” ridisegna i rapporti transatlantici. La tradizione del cattolicesimo democratico può offrire criteri utili?
Quella stagione è stata feconda per l’Italia e per l’Europa, pur non essendo riproponibile. Molte intuizioni restano attuali. De Gasperi richiamava la “Patria Europa” come argine agli eccessi nazionalistici. Le difficoltà che impedirono una vera Europa politica negli anni Cinquanta si ripresentano oggi.
Nonostante lo sconcerto per le parole americane e l’allarme provocato dalla Russia, non emergono forti capacità politico-culturali per un’autonomia strategica europea. Conservo però una speranza nelle generazioni cresciute dopo il 1989, più libere dalle pastoie ideologiche del Novecento: giovani pragmatici che possono contribuire a un nuovo patto fondato su solidarietà, dialogo e reciproco rispetto, come ricordava Montini.
Trump parla di migranti come “erosione civile”. Come si concilia questa narrazione con la visione cristiana dell’ospitalità?
Non si concilia. Il mondo cattolico ha sempre unito dignità umana, accoglienza e legalità. Oggi, invece, l’atteggiamento verso i migranti è spesso condizionato da visioni ideologiche o emotive e da scarsa conoscenza del fenomeno. Il discorso pubblico è segnato da due fattori: da un lato, la critica dell’immigrazione è diventata una risorsa simbolica a fini elettorali, leggendo i flussi come minaccia all’ordine pubblico e all’identità etnica; dall’altro, politiche migratorie poco efficaci hanno generato problemi nelle periferie, alimentando insicurezza e ostilità. Il nodo del futuro sarà l’integrazione, dunque la cittadinanza.
Se il rapporto transatlantico si indebolisse, quali spazi resterebbero all’Europa come mediatrice globale?
Per proporre una “terza via”, l’Europa deve essere un attore politico a tutti gli effetti. L’integrazione economico-istituzionale non è più sufficiente. Servirebbe un sussulto d’anima, altrimenti si rischia l’irrilevanza. Questo momento potrebbe favorire una nuova proposta politica, ma è necessaria una volontà dal basso che lavori, per esempio, a un’Assemblea costituente dell’Europa. Le difficoltà sono molte, ma il mutamento nasce solo dalla politica. L’unico modo per reagire al declino è prendere l’iniziativa, recuperando il progetto dei padri fondatori per un’Europa unita e solidale, modellata non dalla paura ma dalla responsabilità.
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(Foto Siciliani-Gennari/SIR)[/caption]
La National Security Strategy 2025 Il documento propone una visione centrata sulla sovranità nazionale, sulla sicurezza dei confini e sul rafforzamento industriale. L’Europa è descritta come vulnerabile sul piano economico e demografico, con il rischio di “erosione civile”. La strategia chiede agli Stati europei maggiore responsabilità nella sicurezza e indica come priorità una rapida stabilizzazione del conflitto ucraino. Forte attenzione anche alla competizione con la Cina e alla protezione delle filiere strategiche.
(Foto Siciliani-Gennari/SIR)[/caption]
Un momento dell'intervista di Chris Lamb (CNN) al card. McElroy[/caption]
BAC exam in Farchana, Chad (foto: JRS).[/caption]
Possiamo davvero ridurre la sopravvivenza al solo accesso a cibo e acqua? Per noi, anche l’istruzione e il supporto alla salute mentale, che aiutano a curare i traumi e ricostruire il futuro, sono essenziali per vi- vere con dignità e sono spesso salva vita.
Eppure, viste le dichiarazioni di disimpegno da parte di un numero crescente di governi, la politica sarà sempre meno incline a finanziare attività di questo tipo. Stiamo già osservando un drammatico incremento della vulnerabilità di un numero incredibile di persone, costrette a pagare il prezzo di tali decisioni. Inoltre, la progressiva riduzione di risorse e opportunità non farà che acuire le tensioni, sia tra i rifugiati che tra le comunità locali. Altrettanto preoccupante è la crescente tendenza all’abbandono della cooperazione multilaterale, un pilastro fondamentale degli aiuti umanitari globali.
Il progressivo smantellamento di un sistema basato sulla solidarietà e su valori condivisi sta portando a un mondo frammentato, dove prevale la logica della forza. La politica tende sempre più a ridursi alla tutela del proprio tornaconto a scapito dell’impegno per il bene comune. Lo vediamo nell’ormai diffusa narrazione di odio e divisione che va ben oltre le semplici misure amministrative, nelle politiche migratorie e di accoglienza sempre più restrittive, nell’isolamento di governi autocratici che stringono accordi esclusivamente tra simili.
Stiamo assistendo a un passaggio verso un nuovo ordine globale, in cui le relazioni transazionali e l’interesse nazionale avranno la precedenza sulla dignità umana. A mio avviso, è questo l’aspetto più preoccupante di tutti: se non ci sono relazioni basate sul riconoscimento dell’altro e sulla pari dignità di ogni individuo, la strada verso il conflitto e la violenza è inevitabile.
Come JRS, sosteniamo
Delfina Licata (Fondazione Migrantes)[/caption]
Le conclusioni sono state affidate, oltre che al presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, a mons. Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Cei e della Fondazione Migrantes.
In questi giorni, mons. Perego ha presieduto anche due celebrazioni eucaristiche in italiano: la prima, il 15 marzo a Montclair (New Jersey) - una delle più radicate e antiche comunità di emigrati italiani negli Stati Uniti - presso la chiesa di Nostra Signora del Monte Carmelo; la seconda, subito prima della presentazione del RIM, il 16 marzo presso la Saint Patrick’s Old Cathedral School.
In entrambe le occasioni ha commentato le letture della II domenica di Quaresima, seguendo il filo tematico delle "promesse di Dio" che "trasfigurano l’uomo". Tra le altre cose ha voluto ricordare il patto e le benedizioni di Dio ad Abramo (Gn 15,5-12.17-18) in questo modo: "«Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle», soggiungendo immediatamente «Tale sarà la tua discendenza». È la prima delle tante benedizioni che Dio darà al suo popolo assicurandogli fecondità, un popolo numeroso e potente sulla terra. Una ‘benedizione’ – ci ricorda papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti è anche la lunga schiera, il popolo dei migranti, tra i quali il popolo degli emigranti italiani a New York e nelle Americhe". Commentando, invece, la pagina di Paolo ai Filippesi (Fil 3,20-4,1) mons. Perego ha sottolineato la presenza di "un tema interessante e d’attualità, il tema della cittadinanza. Gli abitanti di Filippi erano orgogliosi di alcuni diritti particolari ricevuti dai romani. Paolo pone qui, come altrove – lui che è cittadino ebreo e cittadino romano - l’accento sull’aspirazione tutta spirituale a un’altra 'cittadinanza' di cui poter vantarsi dinanzi a Dio: quella celeste, conquistata in forza della grazia di Cristo, Signore dell’universo".