Tag: Rifugiati e richiedenti asilo

A Roma, il 9 dicembre, la presentazione dell’edizione 2025 del Report “Il Diritto d’Asilo” della Fondazione Migrantes

25 Novembre 2025 - Con il 2025 giunge alla nona edizione il Report della Fondazione Migrantes dedicato ai richiedenti asilo e ai rifugiati, che quest’anno è intitolato Richiedenti asilo: le speranze recluse. Verrà presentato a Roma, martedì 9 dicembre 2025, dalle ore 9:30 presso l'Aula magna della Pontificia Università Gregoriana (Piazza della Pilotta, 4). La consapevolezza è che – a livello globale, europeo e nazionale – le convenzioni internazionali e i diritti umani risultano sempre più violati, e con essi si restringe progressivamente anche l’effettiva tutela del diritto d’asilo, mentre il numero di persone costrette a fuggire nel mondo ha ormai superato i 123 milioni. In questo scenario, le parole cambiano significato: tutela, cooperazione, sicurezza diventano sempre più spesso eufemismi che celano pratiche di esclusione, sospensione del diritto e delega di responsabilità. Così, ciò che un tempo sarebbe apparso inaccettabile diventa la “nuova normalità”.
Il programma
Saluti istituzionali
  • p. Pino di Luccio S.J., presidente della Missione Collegium Maximum.
Presentazione del volume
  • Mariacristina Molfetta (Fondazione Migrantes).
  • Chiara Marchetti (Ciac, Centro immigrazione asilo e cooperazione).
Interventi di approfondimento
  • p. Alejandro Olayo Mendez S.J., Boston College.
  • Adele del Guercio, Università di Napoli L’Orientale.
Conclusioni
  • mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes.
Modera: Alessandra Ciurlo, Facoltà di Scienze Sociali – Pontificia Università Gregoriana.

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  Report 2025

Donne in fuga, corridoi umanitari e politica europea

25 Novembre 2025 - Sebbene le informazioni disponibili ci dicano che nella popolazione in situazione di sradicamento forzato nel mondo, in generale, il numero di uomini e donne si equivalgono, tra coloro che affrontano i cosiddetti “viaggi della speranza”, via mare o terra, verso l’Europa, solo poco più del 10% sono donne. Il dato mostra la loro difficoltà rispetto agli uomini, la non pari opportunità di mettersi in cammino e raggiungere Paesi sicuri in autonomia, anche in ragione delle violenze da loro subite, della tratta e della morte che si incontra lungo il cammino. Questa è una delle evidenze emerse da una ricerca qualitativa condotta dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo nel biennio 2022-2024 insieme a 20 giovani donne under 35, provenienti da diversi Paesi. Il frutto della ricerca è un volume dal titolo Libere da, libere di? Storie di giovani donne in Italia con i corridoi umanitari, a cura di Cristina Pasqualini e Fabio Introini (Vita e Pensiero, 2025). Il dramma delle donne in fuga da guerre, disastri ambientali, persecuzioni culturali e religiose ha trovato certamente in questi anni un canale alternativo, quello promosso dalla società civile e dalle Chiese, cattolica e riformate, in collaborazione con il Governo italiano e alcuni altri Governi dei Paesi europei, e denominato “corridoio umanitario”. I corridoi umanitari nascono inizialmente per permettere alle persone più fragili – donne con bambini, anziani, disabili, famiglie –, bisognose di protezione, di poter lasciare un Paese che vive guerre e disastri ambientali, in sicurezza e senza intraprendere lunghi viaggi, di poter usufruire dell’ “accoglienza diffusa”, un modello che prevede l’inserimento in un contesto familiare, associativo o parrocchiale, e di iniziare un percorso di integrazione a carico dei diversi soggetti della società civile. È un percorso reso possibile da una clausola del regolamento visti del Trattato di Schengen. Dal 2016, anno di una prima esperienza, al settembre 2023 sono state 6.473 in Europa le persone rifugiate che hanno ottenuto una forma di protezione internazionale grazie ai corridoi umanitari. L’utilizzo è avvenuto soprattutto in Italia. Le donne sono coloro che hanno maggiormente beneficiato di corridoi umanitari e dei percorsi di protezione attivati, anche se non abbiamo dati statistici elaborati. Le loro provenienze sono diverse: la Siria (67%) soprattutto e, a seguire, l’Eritrea (15%); e poi, con percentuali ancora più ridotte, la Somalia, l’Afghanistan, il Sudan e il Sud Sudan, l’Iraq, lo Yemen, la Repubblica democratica del Congo e il Camerun. Donne tutte diverse, ma animate dalla stessa speranza, la maggior parte delle quali dall’Italia hanno continuato il cammino verso Paesi europei con comunità più numerose, verso gruppi parentali e territori linguisticamente più affini o che proponevano maggiori opportunità rispetto, ad esempio, al titolo di studio da loro posseduto. Certo, potrebbe nascere un problema se la politica italiana ed europea usasse i corridoi umanitari per ridurre il numero di arrivi e selezionare le persone: in questo caso, il corridoio costituirebbe un alibi per nascondere la non volontà di riconoscere il diritto alla protezione internazionale in capo alla persona. In questo senso, preoccupa il Patto europeo per la migrazione e l’asilo, approvato a fine legislatura nel 2024. L’accordo – che non presenta una parola sui corridoi umanitari e non considera la fatica del partire delle donne – entrerà in vigore nel 2026 e segna un’ulteriore limitazione dei diritti dei richiedenti asilo e rifugiati. Il Patto prevede, annualmente, l’accoglienza di 30.000 rifugiati, un numero che è di poco superiore a quelli accolti da 17 Paesi nel 2023 con i reinsediamenti: questo a dimostrare che la politica europea ha di fatto utilizzato i corridoi umanitari come unico canale per stabilire il numero dei richiedenti asilo da accogliere. Sarà anche l’unico canale legale di ingresso in Europa? (S.E. mons. Gian Carlo Perego - "Migranti Press" 9/2025)   Corridoi umanitari donne

Spagna, Servizio gesuita per i migranti, dati su centri internamento per stranieri: “Lunghe e inutili detenzioni”

1 Ottobre 2025 - I rappresentanti dell’ong spagnola “Servizio Gesuita per i migranti” hanno presentato ieri al Congresso dei deputati di Madrid la quindicesima edizione del rapporto annuale sui centri di internamento per stranieri (Cie) nello Stato spagnolo. Il documento – si legge sulla pagina web dell’organizzazione – si intitola “Raíces tras los muros” (Radici dietro le mura) e presenta un’analisi dell’internamento, sottolineando il paradosso che in molti casi nei centri per stranieri vengano trattenuti migranti con forti radici in Spagna, con progetti familiari e lavorativi già avviati. Nello specifico, il 59,6% delle persone internate risiedeva in Spagna da 1 a 7 anni, il 15,82% da più di 15 anni e il 13,47% da 7 a 15 anni. Solo l’11,11% era presente nella penisola iberica da meno di un anno, secondo quanto precisato da Iván Lendrino, autore del rapporto. Nel 2024 sono state complessivamente internate 1.863 persone, di cui 85 donne. Le cause di internamento si dividono in due grandi blocchi: l’83,9% per ordini di espulsione e il 16,1% per procedimenti di rimpatrio. In particolare, la memoria attesta come l’internamento continui a mostrare una predominanza di cause amministrative, legate soprattutto a situazioni di irregolarità documentale. Il 70,8% delle persone è stato internato per semplice soggiorno irregolare nel territorio e il 10,14% per ingresso irregolare via mare. Uno dei dati più sorprendenti – evidenzia la memoria – è che circa la metà delle persone internate nel 2024 non è stata rimpatriata: “Escono dai centri dopo un’inutile privazione della libertà che ha comportato un enorme costo economico, sociale e soprattutto umano”. Alla luce di questi dati, il servizio dei gesuiti ricorda che “la legge sull’immigrazione stabilisce che la detenzione deve essere una misura eccezionale e non penitenziaria, concepita esclusivamente per facilitare il rimpatrio. Tuttavia, i casi seguiti dimostrano che questa eccezionalità non viene rispettata”. (fonte: Sir) Servizio dei gesuiti per i migranti

“Libere da, libere di?”. Alla Cattolica di Milano la presentazione di una ricerca sui corridoi umanitari. Con mons. Perego

27 Settembre 2025 - A dieci anni dall’attivazione dei corridoi umanitari e in prossimità della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato e del Giubileo dei migranti, lunedì 29 settembre verrà presentato in Università Cattolica (Milano, ore 16.00, Aula Maria Immacolata) il volume Libere da, libere di? Storie di giovani donne in Italia con i corridoi umanitari, edito da Vita e Pensiero. All’incontro, oltre ai curatori del libro Cristina Pasqualini e Fabio Introini, docenti di Sociologia in Università Cattolica, Mons. Gian Carlo Perego, presidente Fondazione Migrantes e CEMI; Alganesh Fessaha, presidente di Associazione Gandhi; Monica Attias (Comunità di Sant’Egidio); Monica Massari, docente di Sociologia generale all’Università degli Studi di Milano; Max Hirzel, fotografo. Modera Paolo Lambruschi di Avvenire. Porterà i saluti iniziali la Rettrice Elena Beccalli. Poiché gli studi sulle migrazioni hanno sottolineato che le donne migranti si trovano ad affrontare situazioni più complesse e delicate rispetto a quelle degli uomini, quali opportuni­tà possono offrire loro i corridoi umanitari? Su tale rilevante questione, l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo nel biennio 2022-2024 ha condotto una ricerca qualitativa insieme a venti giovani donne under 35, provenienti da diversi Paesi. Il volume ne presenta i risultati Scrive mons. Perego nelle conclusioni della sua postfazione al volume: "Il Patto europeo Migrazione e Asilo, approvato a fine legislatura nel 2024 e che entrerà in vigore nel 2026, segna un’ulteriore limitazione dei diritti dei richiedenti asilo e rifugiati. Infatti ha previsto, annualmente, l’accoglienza di 30.000 rifugiati, un numero che è di poco superiore ai rifugiati accolti da 17 Paesi nel 2023 con i reinsediamenti: questo a dimostrare che la politica europea ha di fatto utilizzato i corridoi umanitari come unico canale per stabilire il numero dei richiedenti asilo da accogliere in Europa a partire dal 2026. Sarà anche l’unico canale legale di ingresso in Europa?". Perego Cattolica Milano 29 settembre 2025

Diritto d’asilo e “Paesi sicuri”, mons. Felicolo: “Finalmente la Corte di giustizia europea ha fatto chiarezza”

1 agosto 2025 - Con un sentenza molto attesa, la Corte di giustizia dell'Unione europea, in merito alla richiesta di protezione internazionale di un cittadino o di una cittadina di Paesi terzi, conferma che può essere respinta "in esito a una procedura accelerata di frontiera, qualora il suo Paese di origine sia stato designato come «sicuro» ad opera di uno Stato membro". La Corte ha precisato però "che tale designazione può essere effettuata mediante un atto legislativo, a condizione che quest'ultimo possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo vertente sul rispetto dei criteri sostanziali stabilite dal diritto dell'Unione" e che nessuno Stato membro può "includere un Paese nell'elenco dei paesi di origine sicuri qualora esso non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione". "La Corte di giustizia dell'Unione europea - ha commentato il direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Pierpaolo Felicolo - ha finalmente fatto chiarezza su una questione molto importante, a tutela dei diritti dei richiedenti asilo e di tutti noi". Il pronunciamento chiarisce anche che si fa riferimento alla direttiva attualmente applicabile fino all'entrata in vigore del nuovo regolamento (12 giugno 2026), e che il legislatore dell'Unione può anticipare questa data. Secondo il Tavolo asilo e immigrazione "si tratta di una decisione dirompente, che smentisce in modo radicale la linea del governo italiano" sul cosiddetto "modello Albania" e chiede al governo "di prendere atto della pronuncia, cessare ogni iniziativa orientata alla riattivazione del Protocollo, e ricondurre la politica migratoria all’interno del diritto internazionale ed europeo, e delle garanzie costituzionali.". (foto: Corte di giustizia dell’Unione europea).

Soccorso in mare, le Ong chiedono cessazione dell’ostruzionismo sistematico contro le loro operazioni

25 Luglio 2025 - Ostacolare le imbarcazioni di ricerca e soccorso significa causare centinaia di morti in mare. 32 organizzazioni chiedono l'immediata cessazione dell'ostruzionismo sistematico contro le operazioni di ricerca e soccorso (Sar) delle Ong da parte dello Stato italiano. "Soltanto nell'ultimo mese, le imbarcazioni delle Ong sono state fermate tre volte a causa di accuse basate sul Decreto Piantedosi", si legge in una nota pubblicata diffusa il 25 luglio. Secondo le Ong, l'introduzione di questi ostacoli legali e amministrativi "persegue un obiettivo evidente: tenere le imbarcazioni Sar lontane dalle aree operative". Da febbraio 2023, le imbarcazioni delle ONG sono state oggetto di 29 fermi amministrativi, per un totale di 700 giorni trascorsi in porto invece di salvare vite umane in mare. Le stesse navi hanno trascorso altri 822 giorni in mare per raggiungere porti assegnati a distanze ingiustificabili, per un totale di 330.000 chilometri di navigazione. Tali misure - si precisa nella nota - "inizialmente riguardavano solo le navi SAR delle organizzazioni non governative" mentre ora estese anche alle imbarcazioni più piccole con un ruolo di monitoraggio. Le organizzazioni firmatarie della nota congiunta chiedono che:
  • I Decreti Piantedosi e Flussi siano immediatamente abrogati, per mettere fine alle disumane richieste che impongono alle imbarcazioni di soccorso di procedere a sbarchi selettivi e all’assegnazione di porti distanti. In conformità con il diritto marittimo internazionale, le persone soccorse devono essere sbarcate senza ritardo nel luogo sicuro più vicino; non possono essere costrette a sostenere lunghi viaggi a fini di strumentalizzazione politica.
  • L'imbarcazione di monitoraggio “Nadir” sia immediatamente rilasciata e che siano definitivamente rimossi gli ostacoli e le pratiche di criminalizzazione contro le attività delle ONG impegnate nella ricerca e soccorso in mare.
  • Gli Stati membri dell'UE adempiano al loro dovere di soccorso in mare e rispettino il diritto internazionale. Le autorità dovrebbero fornire a tutte le imbarcazioni SAR il supporto necessario nelle operazioni di soccorso e assumersi la responsabilità e il coordinamento delle attività di salvataggio di chi si trova in situazione di pericolo in mare.
  • Sia istituita una missione di ricerca e soccorso finanziata e coordinata dall'UE.
  • Siano garantite vie di accesso sicure e legali verso l'Europa, per impedire che chiunque debba salire a bordo di imbarcazioni precarie ed intraprendere viaggi pericolosi o perfino mortali.

(Fonte: Mediterranea)

[caption id="attachment_62159" align="aligncenter" width="1024"]Soccorso in mare (Sar) Mediterranea (foto: Mediterranea)[/caption]

ActionAid e UniBari, Cpr: rimpatri ai minimi storici e costi altissimi della detenzione

24 Luglio 2025 - Sulla piattaforma “Trattenuti”, promossa da ActionAid e UniBari, i nuovi dati inediti dei 14 centri detentivi attivi in Italia e in Albania. ActionAid e UniBari per la prima volta hanno ricostruito quanti milioni sono stati effettivamente impegnati per l’allestimento dell'operazione Albania fino a marzo 2025, nonostante i centri non siano stati completati: i dati sono ora pubblici sulla piattaforma “Trattenuti”. Ammontano a 570mila euro i pagamenti fatti dalla Prefettura di Roma all’ente gestore Medihospes per 5 giorni di reale operatività: 114mila euro al giorno per detenere 20 persone, tra metà ottobre e fine dicembre 2024, liberate poi tutte in poche ore.   L’allestimento di un posto effettivamente disponibile in Albania è costato oltre 153mila euro. Nel 2024 il Ctra di Porto Empedocle (AG) è costato 1 milione di euro per realizzare 50 posti effettivi (poco più di 21.000 euro a posto). Secondo la nota diffusa da ActionAid, i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) esistenti alla fine del 2024 erano 11, per una capienza ufficiale del sistema detentivo per stranieri pari a 1522 posti. A ciò si devono aggiungere i 1033 posti ufficialmente realizzati presso i 3 Centri di trattenimento per richiedenti asilo (Ctra) che portano il totale dei posti a 2555. Ma a causa dei ritardi negli allestimenti, delle ripetute proteste e dei continui danneggiamenti subiti dalle strutture, il sistema funziona al 46% della capienza ufficiale a fine 2024. La giustificazione principale per l’esistenza dei Cpr è che rendano più efficace la politica di rimpatrio. Ma il ricorso alla detenzione non appare incidere sul numero di rimpatri effettuati. Nel 2024 si registra il minimo storico dal 2014: solo il 41,8% (2.576) delle persone in ingresso in un centro di detenzione, su un totale di 6.164, è stato rimpatriato. Nella nota, infine, si fa anche presente che nel sistema detentivo sono cresciuti negli ultimi anni i richiedenti asilo, arrivando a essere oltre il 45% delle persone trattenute nel 2024. Il 21% di questi non aveva ancora ricevuto un provvedimento di allontanamento, ma erano trattenuti solo in quanto richiedenti asilo.

Le condizioni socio-economiche dei rifugiati in Italia. Uno studio Unhcr

15 Luglio 2025 - Il titolo della ricerca voluta e finanziata dall’agenzia del­le Nazioni unite per i rifugia­ti (Unhcr), – “L’integrazione tra sfide e opportunità. Uno studio sulle condizioni socio-econo­miche dei rifugiati in Italia” – non gli rende abbastanza giu­stizia. Perché non si tratta di uno studio tra i tanti, ma del primo in assoluto così este­so realizzato in Italia, e uno dei primi in Europa, sulle con­dizioni socio-economiche suc­cessive all’accoglienza delle persone che hanno avuto sia una protezione internazionale (da qui in avanti Bip, ossia “be­neficiari di protezione interna­zionale”) che una protezione temporanea (da qui in avan­ti Btp, cioè “beneficiari di una protezione temporanea”). Lo studio è stato portato avan­ti con la società di consulenza Lattanzio Kibs e con l’associa­zione di ricercatori specializzati sulla mobilità umana, Fieri, che hanno contribuito con diversi ricercatori; e si è avvalso di un comitato scientifico composto da rappresentanti del ministero dell’Interno, del ministero del Lavoro, del ministero dell’E­conomia, della Banca mondia­le, dell’Associazione nazionale dei comunica italiani (Anci), di Confindustria, del Tavolo asi­lo e immigrazione, dell’ Unione nazionale italiana per i rifugiati ed esuli (Unire), nonché da rap­presentanti di Unhcr Italia ed Europa. Integration between challenges and opportunity (Unhcr su rifugiati in Italia)
Il percorso di ricerca e l’individuazione degli intervistati
La ricerca è durata più di anno. I primi mesi hanno impegnato i ricercatori in un lavoro prelimi­nare su più di 200 articoli cor­relati al tema. Successivamente si sono messi in campo stru­menti di indagine sia qualita­tivi che quantitativi. Le princi­pali nazionalità delle persone da intervistare sono state indi­viduate in base al Paese di pro­venienza, al genere, all’area di residenza e al tempo di perma­nenza, scegliendo sia persone da poco riconosciute, che per­sone presenti in Italia da 5 anni e altre da 10. I criteri di selezione adottati hanno portato a scegliere per­sone che provenivano da Ni­geria, Eritrea, Mali, Somalia, Sudan, Iraq, Siria, Pakistan, Af­ghanistan, Venezuela, El Salva­dor e Ucraina. Tra questi l’84% è un Bip e il 16% Btp; le don­ne erano il 37% dei Bip e l’80% dei Btp; il 34% di loro era resi­dente nel Nord-Ovest del Pae­se, il 16% nel Nord-Est, il 31% nelle regioni del Centro e il 19% nel Sud e nelle Isole. Ricordia­mo che secondo l’Istat le perso­ne con un permesso Bip in Italia sarebbero circa 100.000, mentre i Btp sarebbero circa 150.000, per una popolazione totale di 250.000 persone. Grazie anche alla collabora­zione con la rete Europasilo si sono individuate le 1.231 per­sone intervistate in 16 diverse città, grandi e piccole, in tutta Italia. Le interviste sono state effettuate tutte in presenza e la traccia è stata un questiona­rio semistrutturato di circa 60 domande. Ci sono stati anche colloqui più approfonditi con circa 20 tra “attori principali” e rifugiati e 10 focus group che hanno coin­volto 80 persone, oltre a una giornata finale che ha riunito i ricercatori con altri accademi­ci e con il comitato scientifico di ricerca. Insomma, si tratta di una ricerca caratterizzata da un altissimo rigore scientifico. Lo studio aveva come obietti­vo quello di fornire una com­prensione quanto più possibile completa sia delle sfide affron­tate dalle persone dopo il rico­noscimento della protezione internazionale e della prote­zione temporanea in Italia, che provare a entrare nel merito di quali sono i fattori sistemici e strutturali che influenza­no in positivo o in negativo la loro integrazione.
I risultati
Ora proviamo a vedere alcuni dei risultati dello studio. Innan­zi tutto, spicca un elemento: i titolari di protezione tempora­nea o internazionale in Italia sono mediamente più giovani, ma anche più istruiti della po­polazione straniera in genera­le. La scarsa conoscenza del­la lingua italiana rappresenta un ostacolo all’integrazione socio-economica: circa il 53% dei rifugiati accolti ne ha una conoscenza medio-bassa. Più aumenta il livello di conoscen­za della lingua, più aumenta la possibilità di occupazione e an­che il riconoscimento salaria-le. Su questo aspetto, in parti­colare, è necessario dire che le norme che hanno tolto la pos­sibilità di frequentare dei corsi di italiano all’interno dei centri – sia nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) che in quel­li del Sistema accoglienza e in­tegrazione (Sai) – quando si è ancora nella condizione di ri­chiedenti asilo, in particolare il cosiddetto “decreto Cutro” (dl 20/2023), evidentemente non hanno favorito il successivo processo di integrazione. I dati più preoccupanti ri­guardano però la povertà. Nella ricerca si sono usati tre indicatori diversi: povertà as­soluta, povertà relativa, esclu­sione sociale e deprivazione materiale. Si trova in condizioni di povertà assoluta il 43,5% delle persone intervistate. Questo indicatore viene calcolato in base al reddi­to e in questa fascia ci sono più che altro donne e chi risiede in Italia da meno tempo. È in condizione di povertà re­lativa – che si calcola tenendo conto del reddito mediano na­zionale – il 67% delle persone intervistate. Bisogna conside­rare, per fare un raffronto, che si trova in condizione di pover­tà relativa il 17% degli italiani e il 39% degli stranieri residenti. In questa fascia ci sono soprat­tutto le persone meno istruite e chi è in Italia da meno tempo. Si trova, infine, in una situazio­ne di esclusione sociale e depri­vazione materiale il 26% degli intervistati. Questa particolare condizione si calcola osservan­do quanti intervistati non pos­sono godere di almeno 7 dei 13 servizi indicati come essenziali. Gli italiani nella medesima si­tuazione sono l’8% e i migranti in generale il 31%. Il reddito medio mensile dei nostri Bip e Btp è di poco più di 1.100 euro al mese, a con­fronto dei 1.680 degli italiani e dei 1.330 dei migranti in gene­rale. Si tenga conto che il 40% degli intervistati percepisce meno di 1.000 euro. L’84% dei rifugiati intervistati lavora da quando è in Italia, ma generalmente svolgendo man­sioni a bassa qualifica; anche se il tasso di istruzione, la cono­scenza della lingua e il tempo di permanenza nel Paese possono lentamente risultare dei fattori per migliorare la loro posizio­ne. Rispetto alle difficoltà eco­nomiche in cui molti di loro si sono ritrovati, la rete cui pos­sono fare riferimento è mol­to ridotta: il 49% del campione può contare su una o due perso­ne, mentre contrariamente alla vulgata pochissimi hanno usu­fruito di un qualche sussidio lo­cale o statale: il 73% non ha mai chiesto o ricevuto nulla. Il 62% degli intervistati vive con qualcuno, ma la casa è comun­que stata o è ancora un proble­ma. Il 16% di essi vive attual­mente in una situazione molto precaria e un altro 26% ha avu­to problemi rispetto a dove vi­vere nell’ultimo anno. L’allog­gio risulta essere un problema soprattutto per gli uomini, per chi ha meno di 45 anni e per chi viene da un Paese africano. Il 45% delle persone raggiun­te dalla ricerca – poco meno di uno su due – dichiara di aver subito qualche forma di discri­minazione o perché straniero o per il colore della pelle, ma la cosa ancora più triste è che l’83% delle vittime dichiara di non aver denunciato l’accaduto “per non avere problemi, per­ché succede spessissimo, per­ché non servirebbe, perché non può provarlo…”. La lenta e difficile situazione di inserimento socio-lavorativo delle persone rifugiate in Italia, anche quando sono nel nostro Paese da diversi anni, testimo­nia la durezza del loro percorso anche una volta che sono in sal­vo. Dall’altro lato, appare un’oc­casione persa proprio per il Paese che li ha accolti e ricono­sciuti come meritevoli di prote­zione, perché vuol dire che non siamo in grado di permette­re loro di usare e valorizza­re i talenti che hanno – ricor­diamoci che il 19% per cento di loro ha un titolo universitario – e che potrebbero essere una ri­sorsa preziosa per tutti. (Mariacristina Molfetta in Migranti Press 6 2025) [caption id="attachment_61322" align="aligncenter" width="1024"]Rifugiati (foto: Valeria Ferraro)[/caption]