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Papa Francesco: un pensiero agli ammalati e a quelli che garantiscono  un servizio in questo momento critico della società

15 Marzo 2020 - Città del Vaticano - “Questa domenica di Quaresima tutti insieme preghiamo per gli ammalati, per le persone che soffrono”: così papa Francesco ha introdotto, questa mattina, la celebrazione eucaristica nella cappella di Santa Marta. “Oggi vorrei fare – ha aggiunto - con tutti voi una preghiera speciale per le persone che con il loro lavoro garantiscono il funzionamento della società: i lavoratori delle farmacie, dei supermercati, del trasporto, i poliziotti. Preghiamo per tutti coloro che stanno lavorando perché in questo momento la vita sociale, la vita della città, possa andare avanti”. Il Papa commenta, poi, nell’omelia, l’incontro tra Gesù e la Samaritana raccontata nel Vangelo di oggi e ha sottolinewat che “non si può essere discepoli di Gesù senza la propria verità, quello che siamo. Non si può essere discepoli di Gesù soltanto con le argomentazioni”. La samaritana, per il Papa, “ha avuto il coraggio di dialogare con Gesù perché questi due popoli non dialogavano fra loro. Ha avuto il coraggio di interessarsi della proposta di Gesù, di quell’acqua, perché sapeva che aveva sete. Ha avuto il coraggio di confessare le sue debolezze, i suoi peccati; anzi, il coraggio di usare la propria storia come garanzia che quello era un profeta. ‘Mi ha detto tutto quello che ho fatto’”. Gesù va alla ricerca del dialogo “senza nascondere le cose, senza doppie intenzioni”, ha spiegato Francesco: “Sono così. E così parlo con il Signore, come sono, con la mia verità. E così, dalla mia verità, per la forza dello Spirito Santo, trovo la verità: che il Signore è il Salvatore, colui che è venuto per salvarmi e per salvarci”. (R.I.)      

Papa Francesco prega per i malati del Covid-19 per le famiglie specialmente quelle con persone con disabilità

14 Marzo 2020 - Città del Vaticano – Papa Francesco prega per i malati del Covid-19 e, questa mattina durante la messa a Casa Santa Marta, diffusa dai media vaticani, ha rivolto anche un pensiero particolare alle famiglie, specialmente quelle con persone con disabilità. “Continuiamo a pregare per le persone ammalate in questa pandemia. Oggi – ha detto - vorrei chiedere una speciale preghiera per le famiglie, famiglie che da un giorno all’altro si trovano con i bambini a casa perché le scuole sono chiuse per sicurezza e devono gestire una situazione difficile e gestirla bene, con pace e anche con gioia. In modo speciale penso alle famiglie con qualche persona con disabilità. I centri di accoglienza diurni per le persone con disabilità sono chiusi e la persona rimane in famiglia. Preghiamo per le famiglie perché non perdano la pace in questo momento e riescano a portare avanti tutta la famiglia con fortezza e gioia”. E commentando il vangelo del giorno sottolinea che “un padre sa soffrire in silenzio. Un padre guarda il tempo. Lascia passare dei momenti brutti”. Intanto, di fronte alla situazione che si è venuta a creare a causa del coronavirus, Papa Francesco ha deciso che la Santa Messa da lui celebrata a Santa Marta alle ore 7:00 ogni mattina continui ad essere trasmessa in diretta anche la prossima settimana, inclusa la celebrazione di domani, 15 marzo. Per rispettare le norme che impongono il divieto di assembramenti al fine di evitare il diffondersi del virus COVID-19, la preghiera dell’Angelus del Santo Padre di domenica 15 marzo e l’Udienza Generale di mercoledì 18 marzo – fa sapere una mota della Sala Stampa della Santa Sede - saranno trasmessi in diretta televisiva, anche sul sito Vatican News, e le immagini saranno distribuite da Vatican Media ai media che ne faranno richiesta, in modo da raggiungere comunque i fedeli di tutto il mondo. (R.Iaria)    

CEI: gli auguri a Papa Francesco nel settimo anniversario della sua elezione

13 Marzo 2020 - Roma - Oggi inizia l’ottavo anno di pontificato di Papa Francesco. Era, infatti, il 13 marzo del 2013 quando il conclave, dopo la rinuncia di Papa Benedetto XVI, eleggeva il Card. Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo Buenos Aires, sul soglio di Pietro. La fumata bianca arrivò alle 19:06, al quinto scrutinio. È il 266º successore di Pietro. “Conserviamo tra i ricordi più cari quella sera del 13 marzo di sette anni fa: il tempo era incerto, piovigginava a Roma, ma già dal mattino si percepiva nell’aria che sarebbe stata una giornata che sarebbe rimasta nel cuore per sempre”, scrive in un messaggio il card. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI: “molte persone da più parti raggiungevano Piazza San Pietro con la curiosità di scoprire in diretta il colore della ‘fumata’. Santità – scrive il porporato - vogliamo pensare che quegli occhi rivolti verso l’alto non fossero solo di curiosità ma anche di attesa: il popolo attendeva il Papa dall’alto e non da lontano. Guardavano in alto per scoprire la volontà di Dio, per mettere i propri occhi nel cuore di Dio e per incrociare gli occhi del Papa, anche se a distanza. In questo giorno in cui Lei ricorda il Suo anniversario ci permetta ancora di rendere grazie al Signore per i suoi innumerevoli doni”. “Santità, Le vogliamo dire grazie”, scrive il Presidente della CEI: “per le parole, per il tono delle Sue parole, per il continuo cercare di spingersi verso il cuore dell’umanità ferita e redenta. Grazie per l’attenzione che costantemente rivolge alle persone che fanno fatica: molti ci dicono che la Sua presenza e le Sue parole sono luoghi in cui riprendere le forze per affrontare ogni giornata. Grazie perché ci ricorda che siamo doni di Dio per la vita di tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo. Grazie per il Suo instancabile lavoro, per la freschezza delle Sue azioni, per il Suo spingersi sempre oltre quando c’è bisogno di annunciare una bellezza. Grazie per la Sua attenzione a questo tempo complicato, fatto di emergenze e di situazioni drammatiche. Ci permetta, Santità, di affidare al Suo cuore di Padre il cammino, l’impegno e la fatica del popolo italiano”. “Padre Santo, preghiamo per Lei, il Signore La conservi in buona salute. Le chiediamo – conclude il Card. Bassetti - umilmente di pregare per la Chiesa che è in Italia, per tutti coloro che in questo momento stanno soffrendo, perché il Signore conceda a tutti la forza necessaria per ripartire”.

Papa Francesco: pregare per i pastori che devono accompagnare il popolo di Dio

13 Marzo 2020 -   Città del Vaticano – Una preghiera per i “pastori che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi. Il Signore gli dia la forza e la capacità di scegliere i mezzi per aiutare” è stata rivolta questa mattina da Papa Francesco all’inizio della messa mattutina a Casa Santa Marta. Il pontefice ha chiesto di pregare Dio affinché i pastori “non lascino solo il Santo popolo fedele di Dio", senza Parola, sacramenti e preghiera. In questi giorni- ha detto ancora – ci uniamo agli ammalati e alle famiglie che soffrono questa pandemia”. Il Papa, commentando le letture del giorno ha detto che non dobbiamo appropriarci del dono che ci è stato dato, dono che non va ideologizzato perché altrimenti perde la sua natura di dono. Occorre ricevere il dono come dono e trasmetterlo come dono “non come proprietà in modo settario rigido e clericalista”.​  

Papa Francesco: non dimentichiamo chi come i migranti forzati trovano muri. E poi la preghiera per le autorità

12 Marzo 2020 - Città del Vaticano - Papa Francesco invita a pregare “in questo momento di pandemia” per chi è chiamato a governare, per le “autorità che devono decidere su misure che non piacciono al popolo, ma è per il nostro bene. E spesso l'autorità si sente sola, non capita”. Il papa ha iniziato così la messa mattutina celebrata a Casa Santa Marta e diffusa dai media vaticani. Commentando il vangelo del ricco epulone e del povero Lazzaro che propone la liturgia odierna  papa Francesco ha parlato dell’ “abisso dell'indifferenza”: “a Lampedusa quando sono andato ho parlato della globalizzazione dell'indifferenza. Noi oggi siamo preoccupati perchè i negozi sono chiusi, o perché non posso passeggiare... preoccupati per le nostre cose dimenticando i poveri, che è nei confini cercando la libertà, i migranti forzati che trovano un muro fatto di ferro e filo spinato. Sappiamo che esiste questo ma viviamo nell'indifferenza”. Spesso conosciamo ciò che succede nel mondo, il dolore che si vive ma “questa informazione non scende al cuore”: “quanti bambini patiscono la fame, non hanno le medicine, non possono andare a scuola? Lo sappiamo e diciamo poveretti... Tanti di noi vivono in questo distacco tra quel che sanno e quello che sentono. Il cuore è staccato dalla mente: sono indifferenti”. Papa Francesco si è quindi soffermato sul povero e sul ricco: il povero aveva un nome, si chiamava Lazzaro e “anche il ricco lo sapeva. Ma non sappiamo il nome del ricco. Il Vangelo non lo dice. Non aveva nome, aveva perso il nome. Aveva gli aggettivi: ricco, potente... Questo è quello che causa l'egoismo, fa perdere la nostra identità. Ci porta a valutare gli aggettivi e la mondanità aiuta, siamo caduti nella cultura dell'aggettivo”. Da qui la richiesta “al Signore di ricevere la grazia di non cadere nell'indifferenza per fare invece qualcosa per gli altri”. (Raffaele Iaria)  

Papa Francesco: continuiamo a pregare per gli ammalati di questa epidemia

11 Marzo 2020 - Città del Vaticano – Continuano le celebrazione in streaming della messa mattutina di Papa Francesco a Casa Santa Marta senza la presenza dei fedeli. Una celebrazione che il pontefice ha voluto dedicare alle persone che, rinchiuse in carcere, soffrono per la paura dell’epidemia del coronavirus che sta coinvolgendo maggiormente l’Italia. Il papa ha pregato per gli ammalati di questa epidemia che ha causato ormai, anche nel nostro Paese, centinaia di morti. Commentando le letture della liturgia odierna papa Francesco è ritornato a parlare del diavolo che lavora a distruggere con uno stile particolare, quello dell’accanimento. “Quando c’è accanimento” contro un cristiano, una persona, “c’è l’odio e la vendetta del diavolo sconfitto. Pensiamo ai tanti cristiani crudelmente perseguitati. Pensiamo ad Asia Bibi: 9 anni in carcere, a soffrire: accanimento del diavolo”. Nel vangelo Gesù, mentre si avvicina a Gerusalemme, dice: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’Uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi. Lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani perché venga deriso, flagellato, crocifisso”. “Non è soltanto una sentenza di morte: c’è di più”, dice il papa: “C’è l’umiliazione, c’è l’accanimento. E quando c’è accanimento nella persecuzione di un cristiano, di una persona, c’è il demonio. Il demonio ha due stili: la seduzione, con le promesse del mondo, come ha voluto fare con Gesù nel deserto, sedurlo e con la seduzione fargli cambiare il piano della redenzione, e se questo non va, l’accanimento. Non ha mezzi termini, il demonio. La sua superbia è così grande che cerca di distruggere, e distruggere godendo della distruzione con l’accanimento”. Il riferimento del pontefice va quindi alle persecuzioni di tanti santi, di tanti cristiani che “non (solo) li uccidono, ma anche li fanno soffrire e cercano per tutte le vie di umiliarli, fino alla fine. Non confondere una semplice persecuzione sociale, politica, religiosa con l’accanimento del diavolo. Il diavolo si accanisce, per distruggere”, sottolinea citando poi i due ladri che erano crocifissi con Gesù e che sono stati condannati: “crocifissi e lasciati morire in pace. Nessuno li insultava: non interessava. L’insulto era soltanto per Gesù, contro Gesù. Gesù dice agli apostoli che sarà condannato a morte, ma sarà deriso, flagellato, crocifisso … Si fanno beffa di Lui. E la strada per uscire dall’accanimento del diavolo, da questa distruzione, è lo spirito mondano, quello che la mamma chiede per i figli, i figli di Zebedeo. Gesù parla di umiliazione, che è il proprio destino, e lì gli chiedono apparenza, potere. La vanità, lo spirito mondano è proprio la strada che il diavolo offre per allontanarsi dalla Croce di Cristo”, spiega papa Francesco sottolineando che “la propria realizzazione, il carrierismo, il successo mondano: sono tutte strade non cristiane, sono tutte strade per coprire la Croce di Gesù”. E quindio la preghiera affinchè il Signore “ci dia la grazia di saper discernere quando c’è lo spirito che vuole distruggerci con l’accanimento, e quando lo stesso spirito vuole consolarci con le apparenze del mondo, con la vanità. Ma non dimentichiamo: quando c’è accanimento, c’è l’odio, la vendetta del diavolo sconfitto. È così fino a oggi, nella Chiesa. Pensiamo a tanti cristiani, come sono crudelmente perseguitati. In questi giorni, i giornali parlavano di Asia Bibi: nove anni in carcere, soffrendo. È l’accanimento del diavolo”. (R.Iaria)

Papa Francesco: un pensiero e una preghiera per coloro che soffrono a causa del coronavirus e a causa della violenza in Siria

8 Marzo 2020 - Città del Vaticano - Papa Francesco ha iniziato il momento di preghiera dell’Angelus salutando coloro che in piazza si sono ritrovati – in rappresentanza di associazioni e movimenti - con uno striscione: “per i dimenticati di Idlib”. E al termine un nuovo pensiero alle Associazioni e i gruppi che “si impegnano in solidarietà con il popolo siriano e specialmente con gli abitanti del nord-ovest della Siria, costretti a fuggire dai recenti sviluppi della guerra”. Il papa ha, quindi, rinnovato la sua “apprensione” e il  suo dolore per questa “situazione disumana di queste persone inermi, tra cui tanti bambini, che stanno rischiando la vita. Non si deve distogliere lo sguardo di fronte a questa crisi umanitaria, ma darle priorità rispetto ad ogni altro interesse”. Il papa ha chiesto, quindi, di pregare per questi “fratelli e sorelle” che stanno soffrendo. “Avvertiamo il bisogno civile e umano di ringraziare Papa Francesco, l’unica autorità mondiale che ha ricordato il dramma dei civili di Idlib, nel nord ovest della Siria”, avevano scritto alcune associazioni (prima firmataria l’Associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio e tra le firmatarie anche la Fondazione Migrantes, la Caritas Italiana, il Centro Astalli e la Comunità di Sant'Egidio): “siamo sconvolti dalle rare immagini di quei bambini assiderati, a volte da soli, a volte con i loro genitori o parenti. Da una parte sono costretti a fuggire dalla Siria verso la Turchia – si legge nella nota – da bombardamenti a tappeto che violano le regole più elementari del diritto umanitario internazionale e dall’altra sono impediti a trovare salvezza da un muro invalicabile e a oggi non valicato”. Per le associazioni firmatari della nota non si tratta di “un’emergenza improvvisa” ma di una situazione che dura da alcuni mesi: “si calcola che ormai siano almeno un milione gli esseri umani in fuga ammassati al confine turco, alcune stime parlano di un milione e cinquecentomila, in gran parte bambini. Se non si trovasse una soluzione, urgente, le operazioni militari raddoppieranno gli sfollati, per i quali non ci sono che piccole tendopoli. Per tutti costoro ci sono soltanto due sottili corridoi umanitari aperti all’ONU per portargli qualche genere di prima necessità: questo è inammissibile”. Il Papa si è detto “vicino con la preghiera alle persone che soffrono per l’attuale epidemia di coronavirus e a tutti coloro che se ne prendono cura” e si è unito “ai miei fratelli Vescovi - ha aggiunto - nell'incoraggiare i fedeli a vivere questo momento difficile con la forza della fede, la certezza della speranza e il fervore della carità . Il tempo di Quaresima ci aiuti a dare un senso evangelico anche a questo momento di prova e di dolore”. Papa Francesco ha recitato l’Angelus dalla biblioteca privata del Palazzo Apostolico: “ingabbiato in biblioteca – ha detto ma è per prevenzione”. E al termine ha voluto affacciarsi dalla finestra per benedire i fedeli che nonostante tutto, erano presenti in piazza mantenendo le distanze così come prevedono le normative vigenti oggi in Italia a causa dell’epidemia di coronavirus. “Adesso mi affaccerò per vedervi un po’ in tempo reale”, ha detto papa Francesco rivolgendosi ai fedeli al termine dell’Angelus. Poco dopo la finestra su Piazza San Pietro si è aperta e il Pontefice ha salutato i fedeli presenti e ha dato loro una benedizione. (Raffaele Iaria)

Papa Francesco: nel 2022 Sinodo dei vescovi su Chiesa e sinodalità

7 Marzo 2020 - Città del Vaticano – “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. È questo il tema scelto da Papa Francesco per la XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi. Lo ha annunciato questa mattina Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, il card. Lorenzo Baldisseri annunciando anche che il Sinodo si svolgerà nell’ottobre del 2022. (R.I.)  

Papa Francesco chiede di pregare per i migranti in fuga dalle guerre

2 Marzo 2020 - Città del Vaticano - Papa Francesco chiede di pregare per i migranti e rifugiati. “Sono un po’ rattristato per le notizie che arrivano di tanti sfollati, tanti uomini, donne, bambini cacciati via a causa della guerra, tanti migranti che chiedono rifugio nel mondo, e aiuto”, ha detto ieri al termine della preghiera mariana dell’Angelus: “in questi giorni, la cosa è diventata molto forte. Preghiamo per loro”, ha aggiunto. In due giorni la Grecia ha bloccato quasi 10mila migranti che cercavano di entrare in Europa dal confine turco. Quattro gommoni con oltre 200 migranti sono sbarcati a Lesbo. Prima dell’Angelus, commentando le letture della prima domenica di Quaresima, il pontefice ha sottolineato che anche oggi “Satana irrompe nella vita delle persone per tentarle con le sue proposte allettanti; mescola la sua alle tante voci che cercano di addomesticare la coscienza. Da più parti arrivano messaggi che invitano a ‘lasciarsi tentare’ per sperimentare l’ebbrezza della trasgressione”. L’esperienza di Gesù – ha aggiunto Papa Francesco – “ci insegna che la tentazione è il tentativo di percorrere vie alternative a quelle di Dio”. Vie alternative, “vie che ci danno la sensazione dell’autosufficienza, del godimento della vita fine a sé stesso. Ma tutto ciò è illusorio: ben presto ci si rende conto che più ci allontaniamo da Dio, più ci sentiamo indifesi e inermi di fronte ai grandi problemi dell’esistenza”. Ed ha pregato la Vergine Maria, “la Madre di Colui che ha schiacciato il capo al serpente” affinchè “ci aiuti in questo tempo di Quaresima ad essere vigilanti di fronte alle tentazioni, a non sottometterci ad alcun idolo di questo mondo, a seguire Gesù nella lotta contro il male; e riusciremo anche noi vincitori come Gesù”. Intanto da ieri sera la Curia Romana si trova ad Ariccia per gli Esercizi Spirituali della Quaresima. Il Papa ha dovuto invece rinunciare. A causa del raffreddore che lo ha colpito da alcuni giorni, Papa Francesco resterà in Vaticano, a Casa Santa Marta e seguirà  da qui le meditazioni, come ha annunciato egli stesso ieri. “Vi chiedo un ricordo nella preghiera per gli Esercizi spirituali della Curia Romana, che questa sera inizieranno ad Ariccia. Purtroppo, il raffreddore mi costringe – ha detto -  a non partecipare, quest’anno: seguirò da qui le meditazioni”. Gli Esercizi Spirituali saranno predicati dal gesuita, p. Pietro Bovati, segretario della Pontificia Commissione Biblica. Al centro delle meditazioni il tema ‘Il roveto ardeva per il fuoco”. L’incontro tra Dio e l’uomo alla luce dell’Esodo, del Vangelo di Matteo e della preghiera dei Salmi”. (Raffaele Iaria)

Papa Francesco: un prete non si isola ma vive in comunione con la sua gente

27 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - Essere persone di speranza, riconciliate, che hanno riconosciuto le loro amarezze e sono state trasformate. È l’esortazione che il Papa rivolge al clero della diocesi di Roma, nel discorso letto stamani dal cardinale vicario Angelo De Donatis, durante la tradizionale liturgia penitenziale all'inizio Quaresima, cui Francesco non partecipa per "lieve indisposizione”, come la Sala Stampa vaticana annuncia. Tutta la riflessione sviscera le amarezze che nella vita di un sacerdote possono infiltrarsi come un “sottile nemico” che trova il modo di camuffarsi come un parassita. Si tratta, principalmente, di amarezza nel rapporto di fede, con il vescovo e fra confratelli. Il Papa tiene a sottolineare da una parte che il suo pensiero è frutto dell’ascolto di alcuni seminaristi e preti italiani, ma senza riferimento ad alcuna situazione specifica, mentre dall’altra rileva come la maggior parte dei preti sia comunque contento della propria vita e consideri queste amarezze come normali. Guardarle in faccia, quindi, consente di entrare in contatto con la nostra umanità e così, afferma Francesco, “ricordarci che come sacerdoti non siamo chiamati ad essere onnipotenti ma uomini peccatori perdonati”. Alla radice dell’amarezza nel rapporto di fede, si intravede una speranza delusa. Una speranza probabilmente scambiata con un’aspettativa. La speranza cristiana, infatti, non delude, sottolinea il Papa, perché “sperare non è convincersi che le cose andranno meglio, bensì che tutto ciò che accade ha un senso alla luce della Pasqua”. Per alimentarla è però necessaria un’intensa vita di preghiera, mettendosi “alla luce della Parola di Dio”: Ora, il rapporto con Dio – più che le delusioni pastorali – può essere causa profonda di amarezza. A volte sembra quasi che Egli non rispetti le aspettative di una vita piena e abbondante che avevamo il giorno dell’ordinazione. A volte una adolescenza mai terminata non aiuta a transitare dai sogni alla spes. Forse come preti siamo troppo ‘perbene’ nel nostro rapporto con Dio e non ci azzardiamo a protestare nella preghiera, come invece il salmista fa spessissimo – non solo per noi stessi, anche per la nostra gente; perché il pastore porta anche le amarezze della sua gente”. La vera protesta, chiarisce, non è “contro Dio ma davanti a Lui”, nasce dalla confidenza. Per entrare profondamente nel senso della speranza è di aiuto comprendere la differenza con l’aspettativa che nasce quando, osserva Francesco, “ci arrabattiamo”, cercando sicurezze, quando il punto di riferimento siamo noi stessi. La speranza sgorga invece quando si decide di non difendersi più e, come diceva il teatino Lorenzo Scupoli nel suo Combattimento spirituale, bisogna “diffidare di sé, confidare in Dio”. Si basa su un’alleanza: quella vita piena promessa da Dio nel giorno dell’ordinazione si realizza “se faccio Pasqua, non se le cose vanno come dico io”. L’amarezza va, quindi, accolta, perché c’è una tristezza che a volte può essere buona e può condurci a Dio e così l’amarezza può cambiarsi in dolcezza e le dolcezze mondane in amarezze. Anche san Francesco d’Assisi lo ha sperimentato, come ricorda nel suo Testamento. Senza cadere nel luogo comune che trova nei superiori la colpa di tutto, perché in realtà siamo tutti mancanti, rimane il fatto, scrive il Papa, che “molta amarezza nella vita del prete è data dalle omissioni dei Pastori”. Non si tratta di divergenze inevitabili circa problemi gestionali o stili pastorali, ma di due aspetti “destabilizzanti per i preti”. Prima di tutto, quella che Francesco chiama “una certa deriva autoritaria soft”, quando per un “distinguo” magari si viene iscritti tra coloro che remano contro e l’adesione alle iniziative rischia di diventare “il metro della comunione”, quanto appunto “il culto delle iniziative” si va sostituendo all’essenziale. Per tracciare la giusta direzione, Papa Francesco si richiama a San Benedetto. Questi nella Regola raccomanda che l’abate consulti la comunità intera quando deve affrontare una questione importante, ma anche che la decisione ultima spetti a lui, con prudenza e equità. “La grande tentazione del pastore è circondarsi dei ‘suoi’, dei ‘vicini’; e così, purtroppo, la reale competenza viene soppiantata da una certa lealtà presunta, senza più distinguere tra chi compiace e chi consiglia in maniera disinteressata. Questo fa molto soffrire il gregge, che sovente accetta senza esternare nulla”. I fedeli però hanno il diritto, e a volte il dovere, di manifestare ai Pastori il loro pensiero sul bene della Chiesa, come prevede il Codice di Diritto Canonico. Certamente in questo tempo di precarietà, la soluzione sembra l’autoritarismo – “nell’ambito politico questo è evidente” – ma la vera cura sta nell’equità, non nell’uniformità, ricorda il Papa. Una terza causa d’amarezza nei sacerdoti può derivare dai problemi “tra noi”. Il presbitero in questi ultimi tempi ha subito “i colpi degli scandali, finanziari e sessuali” e il sospetto ha reso i rapporti più freddi e formali: “Davanti agli scandali il maligno ci tenta spingendoci ad una visione “donatista” della Chiesa: dentro gli impeccabili, fuori chi sbaglia! Abbiamo false concezioni della Chiesa militante, in una sorta di puritanesimo ecclesiologico. La Sposa di Cristo è e rimane il campo in cui crescono fino alla parusia grano e zizzania. Chi non ha fatto sua questa visione evangelica della realtà si espone ad indicibili e inutili amarezze. Comunque i peccati pubblici e pubblicizzati del clero hanno reso tutti più guardinghi e meno disposti a stringere legami significativi, soprattutto in ordine alla condivisione della fede”. E mentre si moltiplicano gli appuntamenti comuni, sembra esserci “più comunità, ma meno comunione”. Il Papa chiarisce, però, che non si tratta di solitudine nel senso cristiano, quella in cui si prega. Anzi, il vero problema sta proprio nel poco tempo per stare da soli. Senza solitudine, non c’è amore gratuito e gli altri rischiano di diventare “un surrogato dei vuoti”. Il dramma è invece l’isolamento, quello dell’anima, in mezzo alla gente. Quando “il mondo della grazia” diventa estraneo poco a poco e i santi sembrano “amici immaginari” dei bambini. Così la lontananza dalla grazia produce razionalismi o sentimentalismi ma “mai una carne redenta”. C’è poi il rischio di un isolarsi rispetto alla storia, quando tutto pare consumarsi nel “qui e ora” senza speranza nei beni promessi. Più ci si sente potenti, più si chiude il cuore al senso continuo della storia del popolo di Dio: “Per questo facciamo tanta fatica a prenderci cura e custodire quello che il nostro predecessore ha iniziato di buono: sovente arriviamo in parrocchia e ci sentiamo in dovere di fare tabula rasa, pur di distinguerci e marcare la differenza. Non siamo capaci di continuare a far vivere il bene che non abbiamo partorito noi! Iniziamo da zero perché non sentiamo il gusto di appartenere ad un cammino comunitario di salvezza”. Ma anche l’isolamento dagli altri è un pericolo, quando i propri problemi sembrano unici e insormontabili, quando si pensa che nessuno ci possa capire, spiega il Papa facendo riferimento a quanto Bernanos scriveva sul più sostanzioso “fra gli elisir del demonio”, un pensiero che ci fa chiudere in noi stessi mettendoci, in realtà, in una posizione di superiorità: “il demonio non vuole che tu parli, che tu racconti, che tu condivida. E allora tu cerca un buon padre spirituale, un anziano ‘furbo’ che possa accompagnarti. Mai isolarsi, mai! Il sentimento profondo della comunione si ha solamente quando, personalmente, prendo coscienza del ‘noi’ che sono, sono stato e sarò. Altrimenti, gli altri problemi vengono a cascata: dall’isolamento, da una comunità senza comunione, nasce la competizione e non certo la cooperazione; spunta il desiderio di riconoscimenti e non la gioia di una santità condivisa; si entra in relazione o per paragonarsi o per spalleggiarsi”. E, in conclusione, Francesco rimarca che il popolo di Dio “ci conosce meglio di chiunque altro”: “Sono molto rispettosi e sanno accompagnare e avere cura dei loro pastori. Conoscono le nostre amarezze e pregano anche il Signore per noi. Aggiungiamo alle loro preghiere le nostre, e chiediamo al Signore di trasformare le nostre amarezze in acqua dolce per il suo popolo. Chiediamo al Signore che ci doni la capacità di riconoscere ciò che ci sta amareggiando e così lasciarci trasformare ed essere persone riconciliate che riconciliano, pacificate che pacificano, piene di speranza che infondono speranza. Il popolo di Dio attende da noi dei maestri di spirito capaci di indicare i pozzi di acqua dolce in mezzo al deserto. (Debora Donnini – Vatican News)    

Papa Francesco: in Siria si “consuma un’immane tragedia”

23 Febbraio 2020 -

Bari - “Mentre siamo riuniti qui a pregare e a riflettere sulla pace e sulle sorti dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, sull'altra sponda di questo mare, in particolare nel nord-ovest della Siria, si consuma un’immane tragedia”. Lo ha detto papa Francesco da Bari prima della recita della preghiera mariana dell’Angelus: “dai nostri cuori di pastori si eleva un forte appello agli attori coinvolti e alla comunità internazionale, perché taccia il frastuono delle armi e si ascolti il pianto dei piccoli e degli indifesi; perché si mettano da parte i calcoli e gli interessi per salvaguardare le vite dei civili e dei tanti bambini innocenti che ne pagano le conseguenze”. Da qui la preghiera al Signore “affinché muova i cuori e tutti possano superare la logica dello scontro, dell’odio e della vendetta per riscoprirsi fratelli, figli di un solo Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi” e “invochiamo lo Spirito Santo perché ognuno di noi, a partire dai gesti di amore quotidiani, contribuisca a costruire relazioni nuove, ispirate alla comprensione, all'accoglienza, alla pazienza, ponendo così le condizioni per sperimentare la gioia del Vangelo e diffonderla in ogni ambiente di vita”. Il Papa ha voluto anche ringraziare tutti i Vescovi e quanti hanno partecipato all'incontro promosso dalla Cei e al quale hanno preso parte i vescovi cattolici dell’intera area del Mediterraneo. Un ringraziamento a “coloro – e sono tanti! – che in diversi modi hanno lavorato per la sua buona riuscita. Grazie a tutti! Avete contribuito – ha concluso - a far crescere la cultura dell’incontro e del dialogo in questa regione così importante per la pace nel mondo”. (Raffaele Iaria)

Papa Francesco: “il culto a Dio è il contrario della cultura dell’odio”

23 Febbraio 2020 -

Bari - Papa Francesco sta celebrando, in corso Vittorio Emanuela a Bari, una solenne celebrazione eucaristica che conclude l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dall Cei. "Nell’area della messa ci sono circa 40 mila persone", ha detto ai giornalisti il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni. Alla celebrazione anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e il Governatore della Puglia, Michele Emiliano. Nell'omelia papa Francesco ha affermato che “l’'unico estremismo cristiano lecito” è “quello dell'amore”. “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. E’ la novità cristiana”, ha detto il Papa: “è la differenza cristiana. Pregare e amare: ecco quello che dobbiamo fare; e non solo verso chi ci vuol bene, non solo verso gli amici, non solo verso il nostro popolo. Perché’ l’amore di Gesù non conosce confini e barriere”. Per il papa “il culto a Dio è il contrario della cultura dell’odio”.“Quante volte ci lamentiamo per quello che non riceviamo, per quello che non va! Gesù – ha detto il Papa - sa che tante cose non vanno, che ci sarà sempre qualcuno che ci vorrà male, anche qualcuno che ci perseguiterà. Ma ci chiede solo di pregare e amare. Ecco la rivoluzione di Gesù, la più grande della storia: dal nemico da odiare al nemico da amare, dal culto del lamento alla cultura del dono. Se siamo di Gesù, questo è il cammino!”. Per Papa Francesco nei Getsemani di oggi, nel nostro mondo indifferente e ingiusto, dove sembra di assistere all’agonia della speranza, il cristiano non può fare come quei discepoli, che prima impugnarono la spada e poi fuggirono”: “No, la soluzione non è sfoderare la spada contro qualcuno e nemmeno fuggire dai tempi che viviamo. La soluzione è la via di Gesù: l’amore attivo, l’amore umile, l’amore fino alla fine”. (R.I.)

Papa Francesco prega davanti alla reliquie di san Nicola

23 Febbraio 2020 -

Bari – Dopo l’incontro con i vescovi nella basilica di San Nicola Papa Francesco è sceso nella cripta per un momento di preghiera davanti alla reliquia del patrono di Bari, San Nicola. Prima ha salutato personalmente i vescovi scambiando con ognuno di loro alcune parole. Ad accompagnare il papa nella cripta p. Giovanni Distante, priore della basilica. Tra poco la celebrazione eucaristica in Corso Vittorio Emanuele II da dove, al termine, reciterà la preghiera dell’Angelus e poi partirà per il Vaticano. (R.Iaria)

Papa Francesco: “non accettiamo mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso”

23 Febbraio 2020 -

Bari - “Non accettiamo mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso o che chi giunge da lontano diventi vittima di sfruttamento sessuale, sia sottopagato o assoldato dalle mafie”. E’ Papa Francesco a parlare nella basilica di San Nicola a Bari in occasione, questa mattina, della giornata conclusiva dell’Incontro “Mediterraneo frontiera di pace” promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana e al quale hanno partecipato 58 vescovi in rappresentanza di 20 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo”. “Certo – ha detto il papa - l’accoglienza e una dignitosa integrazione sono tappe di un processo non facile; tuttavia, è impensabile poterlo affrontare innalzando muri. In tale modo, piuttosto, ci si preclude l’accesso alla ricchezza di cui l’altro è portatore e che costituisce sempre un’occasione di crescita”. Per Papa Francesco “quando si rinnega il desiderio di comunione, inscritto nel cuore dell’uomo e nella storia dei popoli, si contrasta il processo di unificazione della famiglia umana, che già si fa strada tra mille avversità”. Il Mediterraneo – ha proseguito - ha una “vocazione peculiare in tal senso: è il mare del meticciato, ‘culturalmente sempre aperto all'incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione’. Essere affacciati sul Mediterraneo rappresenta dunque una straordinaria potenzialità: non lasciamo che a causa di uno spirito nazionalistico, si diffonda la persuasione contraria, che cioè siano privilegiati gli Stati meno raggiungibili e geograficamente più isolati. Solamente il dialogo permette di incontrarsi, di superare pregiudizi e stereotipi, di raccontare e conoscere meglio sé stessi”. E una “particolare opportunità, a questo riguardo, è rappresentata dalle nuove generazioni, quando è loro assicurato l’accesso alle risorse e sono poste nelle condizioni di diventare protagoniste del loro cammino: allora si rivelano linfa capace di generare futuro e speranza. Tale risultato è possibile solo dove vi sia un’accoglienza non superficiale, ma sincera e benevola, praticata da tutti e a tutti i livelli, sul piano quotidiano delle relazioni interpersonali come su quello politico e istituzionale, e promossa da chi fa cultura e ha una responsabilità più forte nei confronti dell’opinione pubblica”. Parlando a braccio il pontefice ha detto che è “una grande ipocrisia” quando “nelle convenzioni internazionali tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai paesi in guerra. Questa è la grande ipocrisia”. La guerra, che “orienta le risorse all'acquisto di armi e allo sforzo militare, distogliendole dalle funzioni vitali di una società, quali il sostegno alle famiglie, alla sanità e all'istruzione, è contraria alla ragione, secondo l’insegnamento di san Giovanni XXIII. In altre parole, essa è un’autentica follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti.

Il papa ha quindi sottolineato che il “Mare nostrum” è “il luogo fisico e spirituale nel quale ha preso forma la nostra civiltà, come risultato dell’incontro di popoli diversi. Proprio in virtù della sua conformazione, questo mare – ha sottolineato - obbliga i popoli e le culture che vi si affacciano a una costante prossimità, invitandoli a fare memoria di ciò che li accomuna e a rammentare che solo vivendo nella concordia possono godere delle opportunità che questa regione offre dal punto di vista delle risorse, della bellezza del territorio, delle varie tradizioni umane”. (Raffaele Iaria)

Mons. Pizzaballa: il dramma di tanti che “fuggono da situazioni di persecuzione e di povertà hanno cambiato il volto di molte delle nostre Chiese”

23 Febbraio 2020 -

Bari – I vescovi cattolici di 20 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo durante l’incontro che si è svolto a Bari nei giorni scorsi, hanno insistito nel “rafforzare iniziative di conoscenza reciproca, anche agevolando gemellaggi di diocesi e parrocchie, scambio di sacerdoti, esperienze di seminaristi, forme di volontariato”. A dirlo, riassumendo i lavori dell’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” davanti a papa Francesco nella Basilica di San Nicola a Bari, è stato l’amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa. “Venite e vedete” - ha etto “è stato il nostro motto. Finora, forse si è molto ‘parlato sulle Chiese e le loro realtà’. Ora bisogna passare al ‘parlare con le Chiese e le loro realtà. L’ospitalità, che è tipica della cultura mediterranea – ha detto mons. Pizzaballa - deve iniziare innanzitutto tra noi. In una realtà complessa e articolata come quella mediterranea, intendiamo farci carico delle sue contraddizioni, imparando e insegnando a viverla con speranza cristiana. Siamo solo all’inizio di un percorso che sarà lungo, ma certamente avvincente. Per questo abbiamo deciso di continuare a incontrarci, stabilmente, per poter poco alla volta, nei tempi che il Signore ci indicherà, costruire un percorso comune dove far crescere nei nostri contesti feriti e lacerati una cultura di pace e comunione”.

Questi giorni a Bari con i vescovi cattolici delle Chiese che affacciano sul Mediterraneo sono stati “una bella esperienza di Chiesa, che ci ha avvicinati l’uno all’altro più concretamente”, ha detto il presule: “ci siamo ascoltati e, soprattutto, ascoltato il grido che viene dai territori della sponda sud del Mare Nostrum; ci siamo scambiati esperienze e proposte e, infine, ci siamo dati alcune prospettive”. “Abbiamo voluto – ha quindi detto - ascoltare la realtà nella quale siamo calati. Il Mediterraneo da secoli è al centro di scambi culturali, commerciali e religiosi di ogni tipo, ma è anche stato teatro di guerre, conflitti e divisioni politiche e anche religiose”. Nel presente, “anziché diminuire, tutto ciò sembra aumentare. Guerre commerciali, fame di energia, disuguaglianze economiche e sociali hanno reso questo bacino centro di interessi enormi”. “Oggi – ha detto ancora mons. Pizzaballa - desideriamo chiedere perdono, in particolare, per aver consegnato ai giovani un mondo ferito” ed ha sottolineato che “le nostre Chiese del Nord Africa e del Medio Oriente sono quelle che pagano il prezzo più alto. Decimate nei numeri, rimaste piccola minoranza, non sono però Chiese rinunciatarie. Al contrario, hanno ritrovato l’essenziale della fede e della testimonianza cristiana. Sono comunità che anche a fronte di enormi difficoltà e addirittura di persecuzioni, sono rimaste fedeli a Cristo”. “La ’via della croce’ - ha aggiunto - è propria dell’esperienza delle Chiese del Mediterraneo”. Il vescovo ha quindi parlato del dramma di tanti che “fuggono da situazioni di persecuzione e di povertà e che hanno cambiato il volto di molte delle nostre Chiese”. Per mons. Pizzaballa il dialogo è “l’altra forma di espressione della nostra vita ecclesiale. Attraverso il dialogo ecumenico tra le Chiese ci impegniamo a organizzare stabilmente preghiere comuni per la pace; a istituire, laddove non esistano, comitati interreligiosi soprattutto con i credenti musulmani, per realizzare insieme opere di solidarietà e condivisione. Vogliamo fare crescere e trasformare in esperienza, la fratellanza e la solidarietà umana”. Prima di mons. Pizzaballa a salutare papa Francesco è stato il card. Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo che ha voluto sottolineare che per i vescovi, provenienti da Paesi dove i cattolici sono minoranza, “questo ‘con-venire’ è un segno visibile dell’attenzione e della fraternità fra le Chiese del Mediterraneo”. Come Pastori “ci siamo fatti voce del dolore e della sofferenza delle nostre Chiese e dei nostri popoli”. Il tema dell'emigrazione anche nelle parole del card. Puljic. “Santo Padre – ha detto - a tutti noi è spezzato il cuore per la partenza di molti giovani, causata da guerre, ingiustizie e miseria. Tuttavia, siamo confortati da quei ragazzi che restano, mostrando un coraggio straordinario e un amore grande per il Paese e le persone con cui sono cresciuti”. (Raffaele Iaria)

Card. Bassetti: l’Incontro di Bari avvia un processo che richiede “una nuova disponibilità a coinvolgersi con un cuore grande”

23 Febbraio 2020 -

Bari - “La Sua presenza corona di grazia queste giornate di incontro e riflessione, di fraternità e condivisione”. Così il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha salutato papa Francesco nella Basilica di San Nicola a Bari dove è in corso l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”. Una iniziativa – ha spiegato il porporato – che “attinge a radici antiche e profonde: incarna, infatti, la visione profetica di Giorgio La Pira, che sin dalla fine degli anni Cinquanta aveva ispirato i ‘dialoghi mediterranei’ e aveva anticipato lo spirito ecumenico che avrebbe soffiato, poi, con grande forza, nel Concilio”. Secondo La Pira – ha ricordato il card. Bassetti - i popoli dei Paesi rivieraschi, “con l’appartenenza alla comune radice di Abramo, condividono una visione della vita e dell’uomo che, nonostante le profonde differenze, è aperta ai valori della trascendenza. E da qui discende la visione comune non solo della sacralità di ogni vita umana, ma anche della sua intangibilità”.

Con questo Incontro – ha quindi aggiunto il presidente della Cei - “abbiamo iniziato a mettere in pratica questa visione, mettendoci in ascolto del Signore e cercando i segni dei tempi nelle parole e nella testimonianza offerta dalla presenza e dalla storia di ciascuno. Ne sono parte le ricchezze delle molteplici tradizioni liturgiche, spirituali, ecclesiologiche: ricchezze che, mentre ci distinguono, contribuiscono a rendere viva e preziosa l’esperienza della comunione”.

Il card. Bassetti ha detto che i lavori sono stati caratterizzati dal metodo sinodale e che “segna – ha detto - l’avvio di un processo, che richiede da parte di ciascuno una nuova disponibilità a coinvolgersi con un cuore grande”. (Raffaele Iaria)

Papa Francesco a Bari: il programma della giornata di domani

22 Febbraio 2020 - Bari - Papa Francesco sarà a Bari domani, domenica 23 febbraio, in occasione dell’incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace”, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana, al quale parteciperanno i vescovi cattolici di 19 Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Il Papa partirà in elicottero dall'eliporto del Vaticano alle 7 per atterrare alle 8.15 a piazzale Cristoforo Colombo, a Bari, dove sarà accolto dall'arcivescovo di Bari-Bitonto, Mons. Francesco Cacucci, da Michele Emiliano, Presidente della Regione Puglia, da Antonella Bello- mo, Prefetto di Bari e da Antonio Decaro, Sindaco di Bari. Alle 8.30, nella Basilica di San Nicola, incontrerà i Vescovi del Mediterraneo e pronuncerà il suo discorso. L’incontro sarà aperto dall'introduzione del Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, e vedrà gli interventi del Card. Vinko Puljić, arcivescovo di Vrhbosna e Presidente della Conferenza Episcopale di Bosnia ed Erzegovina, di Mons. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico “sede vacante” del Patriarcato Latino di Gerusalemme, e il ringraziamento di Mons. Paul Desfarges, arcivescovo di Alger (Algeria) e Presidente della Conferenza Episcopale Regionale del Nord Africa. Al termine, Papa Francesco scenderà nella Cripta per venerare le reliquie di San Nicola e saluterà la comunità dei Padri Domenicani. Uscendo dalla Basilica, sul sagrato, rivolgerà un saluto ai fedeli presenti. Alle 10.45 presiederà la concelebrazione eucaristica in Corso Vittorio Emanuele II e reciterà la preghiera dell’Angelus. Alla celebrazione anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Alle 12.30 ripartirà in elicottero alla volta del Vaticano, dove atterrerà alle 13.45. (R.I.)

Mediterraneo frontiera di pace”: in attesa del papa si lavora al documento finale

22 Febbraio 2020 -

Bari – Fervono i preparativi nella città di Bari per l’arrivo, domani, di Papa Francesco. Fervono anche i lavori dell’Incontro “Mediterraneo frontiera di Pace” voluto dalla Cei e che sarà concluso dal pontefice. Al Papa i 58 vescovi in rappresentanza di 20 Paesi dell’area mediterranea consegneranno un documento mentre i lavori di questi giorni hanno toccato diversi temi per il futuro di quest’area.

Ieri, durante breefing con i giornalisti l’invito, tra le altre cose, ai politici europei a promuovere corridoi umanitari per i profughi. “Abbiamo davanti ai nostri occhi il dramma dei rifugiati. Lo vediamo nelle isole della Grecia e in Libia. Sono una vergogna per l’Europa. Noi parliamo tanto dei valori europei ma li dimentichiamo completamente quando dobbiamo aiutare. L’appello che rivolgiamo è di aprire corridoi umanitari”, ha detto il card. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece). L’arcivescovo nei giorni scorsi aveva scritto una lettera alle Conferenze episcopali dell’Unione europea insieme ai cardinali Konrad Krajewski, elemosiniere di Papa Francesco, e Michael F. Czerny, sotto-segretario del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale per chiedere a parrocchie, comunità religiose, monasteri e santuari di tutta l’Europa di accogliere “almeno una famiglia di rifugiati” aderendo al progetto dei corridoi umanitari. “Non so come la lettera sarà accolta dalle nostre diocesi e dalle parrocchie ma ho visto che c’è un grande interesse e ho ricevuto mail da parte di molti politici che chiedono di prendere contatto. Vediamo”; ha detto il porporato: “dobbiamo rimanere realisti ma se c’è una sola vita salvata, vale la pena farlo”. Il cardinale di Lussemburgo ha anche lanciato un appello all'Unione europea affinché si doti di una “politica comune” e utilizzi “tutti i mezzi” previsti anche dal Trattato di Dublino “per aiutare la gente, per essere fedeli al Vangelo”. “Vogliamo anche fare un appello alla politica perché combatta le cause delle migrazioni e si impegni per la pace, la dignità umana, la libertà religiosa”, ha quindi aggiunto.

Mons. Charles Jude Scicluna, arcivescovo di Malta e presidente della Conferenza episcopale di Malta ha invitato a “trasformare la xenofobia in xenofilia, anche con una presenza pacificatrice sui media”, ma distinguendo tra i compiti della comunità ecclesiale e quelli della politica. Il presule ha quindi ricordato il prossimo viaggio, il 31 maggio, di papa Francesco a Malta: “Il Papa viene per chiederci di continuare nel nostro impegno di accoglienza dei migranti”, ha detto spiegando che visiterà una comunità cattolica antichissima, “caratterizzata da una tradizione secolare di accoglienza che trova le sue radici nella bellezza dell’accoglienza narrata nel capitolo 28 degli Atti degli Apostoli”. “Ma viene anche per chiedere di continuare con l’accoglienza, in nome di quella filantropia mostrata allora per 276 persone, tra cui gli apostoli Paolo e Luca”. Si registra, ha quindi detto il vicepresidente della Cei e coordinatore del Comitato organizzatore dell’evento di Bari, mons. Antonino Rastanti - “un’unanime volontà e richiesta che non finisca tutto qui, perché non vogliamo fare un evento chiuso in se stesso. Quelli di cui abbiamo parlato in questi giorni non sono problemi semplici e noi non abbiamo la pretesa di risolverli. C’è piuttosto – ha spiegato - l’esigenza di approfondire e studiare ulteriormente la complessa e diversificata situazione del nostro mare Mediterraneo, a partire dal contributo che le nostre comunità possono offrire”. (Raffaele Iaria)​

Papa Francesco: essere cristiani significa accettare la via di Gesù, fino alla croce

20 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - “La gente chi dice che io sia?”, “Voi che cosa dite?”. Sono le domande contenute nel brano del Vangelo della liturgia di oggi ed è da queste domande che Papa Francesco prende spunto per la sua riflessione questa mattina nella messa a casa Santa Marta, come riferisce Vatican News.  Il Vangelo, afferma, ci insegna le tappe, già percorse dagli apostoli, per sapere chi è Gesù. Sono tre: conoscere, confessare, accettare la strada che Dio ha scelto per Lui. Conoscere Gesù è ciò che “facciamo tutti noi quando - osserva il Papa - prendiamo il Vangelo, cerchiamo di conoscere Gesù, quando portiamo i bambini al catechismo (…) quando li portiamo a Messa”, ma è solo il primo passo, il secondo è confessare Gesù: “E questo noi, da soli, non possiamo farlo. Nella versione di Matteo Gesù dice a Pietro: ‘Questo non viene da te. Te lo ha rivelato il Padre’. Possiamo confessare Gesù soltanto con la forza di Dio, con la forza dello Spirito Santo. Nessuno può dire Gesù è il Signore e confessarlo senza lo Spirito Santo, dice Paolo. Noi non possiamo confessare Gesù senza lo Spirito. Perciò la comunità cristiana deve cercare sempre la forza dello Spirito Santo per confessare Gesù, per dire che Lui è Dio, che Lui è il Figlio di Dio”. Ma qual è lo scopo della vita di Gesù, perché è venuto? Rispondere a questa domanda significa compiere la terza tappa sulla via della conoscenza di Lui. E il Papa ricorda che Gesù cominciò ad insegnare ai suoi apostoli che doveva soffrire, venire ucciso e poi risorgere: “ confessare Gesù è confessare la sua morte, la sua resurrezione; non è confessare: ‘Tu sei Dio’ e fermarci lì, no: ‘Tu sei venuto per noi e sei morto per me. Tu sei risorto. Tu ci dai la vita, Tu ci hai promesso lo Spirito Santo per guidarci’. Confessare Gesù significa accettare la strada che il Padre ha scelto per Lui: l’umiliazione. Paolo, scrivendo ai Filippesi, dice: ‘Dio inviò suo Figlio, il quale annientò se stesso, si fece servo, umiliò se stesso, fino alla morte, morte di croce’. Se non accettiamo la strada di Gesù, la strada dell’umiliazione che Lui ha scelto per la redenzione, non solo non siamo cristiani: meriteremo quello che Gesù ha detto a Pietro: ‘Va’ dietro a me, Satana!’”. Papa Francesco fa notare che Satana sa bene che Gesù è il Figlio di Dio, ma che Gesù rifiuta la sua “confessione” come allontana da sé Pietro quando respinge la via scelta da Gesù. “Confessare Gesù - afferma infatti Papa Francesco - è accettare la strada dell’umiltà e dell’umiliazione. E quando la Chiesa non va per questa strada, sbaglia, diventa mondana”: “E quando noi vediamo tanti cristiani buoni, con buona volontà, ma che confondono la religione con un concetto sociale di bontà, di amicizia, quando noi vediamo tanti chierici che dicono di seguire Gesù, ma cercano gli onori, le vie fastose, le vie della mondanità, non cercano Gesù: cercano se stessi. Non sono cristiani; dicono di essere cristiani, ma di nome, perché non accettano la via di Gesù, dell’umiliazione. E quando leggiamo nella storia della Chiesa di tanti vescovi che hanno vissuto così e anche di tanti papi mondani che non hanno conosciuto la strada dell’umiliazione, non l’hanno accettata, dobbiamo imparare che quella non è la strada”. Il Papa conclude con l’invito a chiedere “la grazia della coerenza cristiana” per “non usare il cristianesimo per arrampicarsi”, la grazia di seguire Gesù nella sua stessa via, fino all'umiliazione.  

Papa Francesco: scivolare nella mondanità è deviare il cuore da Dio

13 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - Lasciarsi scivolare lentamente nel peccato, relativizzando le cose ed entrando “in negoziato” con gli dei del denaro, della vanità e dell’orgoglio. Da quella che definisce come una “caduta con anestesia”, il Papa mette in guardia stamani, come riferisce Vatican News,  nell’omelia della Messa a Casa Santa Marta, riflettendo sulla storia del re Salomone. La Prima Lettura della Liturgia odierna (1Re 11,4-13) “ci racconta - dice - l’apostasia, diciamo così, di Salomone”, che non è stato fedele al Signore. Quando era vecchio, le sue donne gli fecero infatti “deviare il cuore” per seguire altri dei. Fu dapprima un  “ragazzo bravo”, che al Signore chiese solo la saggezza e Dio lo rese saggio, al punto che da lui vennero i giudici e anche la Regina di Saba, dall’Africa, con regali perché aveva sentito parlare della sua saggezza. “Si vede che questa donna era un po’ filosofa e gli fece domande difficili”, dice il Papa notando che “Salomone uscì da queste domande vittorioso” perché sapeva rispondere. A quel tempo, prosegue il Papa, si poteva avere più di una sposa, che non vuol dire - spiega - che fosse lecito fare “il donnaiolo”. Il cuore di Salomone, però, si indebolì non per aver sposato queste donne - poteva farlo - ma perché le aveva scelte di un altro popolo, con altri dei. E Salomone quindi cadde nel “tranello” e lasciò fare quando una delle mogli gli diceva di andare ad adorare Camos o Moloc. E così fece per tutte le sue donne straniere che offrivano sacrifici ai loro dei. In una parola, “permise tutto, smise di adorare l’unico Dio”.  Dal cuore indebolito per la troppa affezione alle donne, “entrò il paganesimo nella sua vita”. Quindi, evidenzia Papa Francesco, quel ragazzo saggio che aveva pregato bene chiedendo la saggezza, è caduto al punto da essere rigettato dal Signore. “Non è stata un’apostasia da un giorno all’altro, è stata un’apostasia lenta”, spiega il Papa. Anche il re Davide, suo padre, infatti, aveva peccato - in modo forte almeno due volte - ma subito si era pentito e aveva chiesto perdono: era rimasto fedele al Signore che lo custodì fino alla fine. Davide pianse per quel peccato e per la morte del figlio Assalonne e quando, prima, fuggiva da lui, si umiliò pensando al suo peccato, quando la gente lo insultava. “Era santo. Salomone non è santo”, afferma. Il Signore gli aveva dato tanti doni ma lui aveva sprecato tutto perché si era lasciato indebolire il cuore. Non si tratta, nota il Papa, del “peccato di una volta”, ma dello “scivolare”: “Le donne gli fecero deviare il cuore e il Signore lo rimprovera: ‘Tu hai deviato il cuore’. E questo succede nella nostra vita. Nessuno di noi è un criminale, nessuno di noi fa dei grossi peccati come aveva fatto Davide con la moglie di Uria, nessuno. Ma dove è il pericolo? Lasciarsi scivolare lentamente perché è una caduta con anestesia, tu non te ne accorgi, ma lentamente si scivola, si relativizzano le cose e si perde la fedeltà a Dio. Queste donne erano di altri popoli, avevano altri dèi, e quante volte noi dimentichiamo il Signore ed entriamo in negoziato con altri dèi: il denaro, la vanità, l’orgoglio. Ma questo si fa lentamente e se non c’è la grazia di Dio, si perde tutto”. Di nuovo il Papa si richiama al Salmo 105 (106) per sottolineare che questo mescolarsi con le genti e imparare ad agire come loro significa farsi mondani, pagani: “E per noi questa scivolata lenta nella vita è verso la mondanità, questo è il grave peccato: ‘Lo fanno tutti, ma sì, non c’è problema, sì, davvero non è l’ideale, ma...’. Queste parole che ci giustificano al prezzo di perdere la fedeltà all’unico Dio. Sono degli idoli moderni. Pensiamo a questo peccato della mondanità. Di perdere il genuino del Vangelo. Il genuino della Parola di Dio, di perdere l’amore di questo Dio che ha dato la vita per noi. Non si può stare bene con Dio e con il diavolo. Questo lo diciamo tutti noi quando parliamo di una persona che è un po’ così: ‘Questo sta bene con Dio e con il diavolo’. Ha perso la fedeltà”. E, in pratica, prosegue, significa non essere fedele “né a Dio né al diavolo”. In conclusione, il Papa esorta a chiedere al Signore la grazia di fermarci quando capiamo che il cuore inizia a scivolare: “Pensiamo a questo peccato di Salomone, pensiamo a come è caduto quel Salomone saggio, benedetto dal Signore, con tutte le eredità del padre Davide, come è caduto lentamente, anestetizzato verso questa idolatria, verso questa mondanità e gli è stato tolto il regno. Chiediamo al Signore la grazia di capire quando il nostro cuore incomincia a indebolirsi e a scivolare, per fermarci. Sarà la sua grazia e il suo amore a fermarci se noi lo preghiamo”.