Tag: Papa Francesco

Oggi preghiera per il Libano, l’adesione della Chiesa italiana

4 Settembre 2020 -
Roma – Mercoledì Papa Francesco, al termine dell’Udienza generale, ha invitato tutti a vivere, oggi 4 settembre, “ una giornata universale di preghiera e digiuno per il Libano”. Il pontefice ha inviato nel Paese il Segretario di Stato, il card. Pietro Parolin” per esprimere la mia vicinanza e solidarietà”, ha detto. “Offriamo – ha aggiunto il papa - la nostra preghiera per tutto il Libano e per Beirut. Siamo vicini anche con l’impegno concreto della carità, come in altre occasioni simili. Invito anche i fratelli e le sorelle di altre confessioni e tradizioni religiose ad associarsi a questa iniziativa nelle modalità che riterranno più opportune, ma tutti insieme”. All’invito di papa Francesco aderisce anche la Chiesa italiana. I vescovi, “in comunione con la Chiesa universale, vogliono esprimere la vicinanza dell'Italia a una popolazione stremata e chiedono ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e a tutto il popolo dei credenti di raccogliersi domani in un momento di preghiera che abbia a cuore il Paese dei cedri", si legge sul sito della Cei: sottolineando come "in un tempo in cui ovunque si fanno sempre più forti venti di intolleranza e di chiusura, pregare per il Libano è un modo per ripensare a quanto ci sia bisogno di rispetto autentico e di costruzione di comunità in ogni luogo. Facciamoci dunque costruttori di pace, perché 'per il bene stesso del Paese, ma anche del mondo, non possiamo permettere che questo patrimonio vada disperso'”.

Papa Francesco: no alla “sindrome di Babele”

2 Settembre 2020 - Città del Vaticano - “Vogliamo essere padroni della Terra, ma roviniamo la biodiversità e l’equilibrio ecologico”. Così il Papa, nella prima udienza generale in presenza dopo l’insorgere della pandemia di Covid-19, svoltasi nel Cortile di San Damaso, ha sintetizzato la “sindrome di Babele”, che avviene “quando non c’è solidarietà”. Il racconto della Torre di Babele, infatti, per Francesco “descrive ciò che accade quando cerchiamo di arrivare al cielo – cioè la nostra meta – ignorando il legame con l’umano, con il creato e con il Creatore”. “E’ un modo di dire, questo accade ogni volta che l’uomo vuole salire, salire, salire senza tener conto degli altri”, ha spiegato a braccio: “Pensiamo alla torre: costruiamo torri e grattacieli, ma distruggiamo la comunità. Unifichiamo edifici e lingue, ma mortifichiamo la ricchezza culturale. Vogliamo essere padroni della Terra, ma roviniamo la biodiversità e l’equilibrio ecologico”. “Vi ho raccontato in qualche altra udienza di quei pescatori di San Benedetto del Tronto che sono venuti quest’anno”, ha proseguito il Papa ancora fuori testo: “Mi hanno detto: ‘Abbiamo tolto dal mare 24 tonnellate di rifiuti’, dei quali la metà erano plastica. Questi hanno la mistica di prendere pesci, ma anche rifiuti e portarli fuori per pulire il mare. Questo è rovinare la terra, non avere solidarietà con la terra, che è un dono, ed equilibrio ecologico”. Poi Francesco ha citato un racconto medievale che descrive questa “sindrome di Babele”, che avviene “quando non c’è solidarietà”: “Dice che, durante la costruzione della torre, quando un uomo cadeva e moriva nessuno diceva nulla. Al massimo: ‘Poveretto, ha sbagliato ed è caduto’. Invece, se cadeva un mattone, tutti si lamentavano e se qualcuno era colpevole era punito. Perché? Perché un mattone era costoso. C’era bisogno di tempo e di lavoro per fabbricare mattoni. Un mattone valeva di più della vita umana”. “Ognuno di noi pensi cosa succede oggi”, l’invito a braccio: “Purtroppo anche oggi può succedere una cosa del genere. Cade qualche quota del mercato finanziario – l’abbiamo visto sui giornali in questi giorni – e la notizia è in tutte le agenzie. Cadono migliaia di persone a causa della fame, della miseria e nessuno ne parla”.  

Lo scandalo della croce

31 Agosto 2020 - Città del Vaticano - Un profeta, un grande profeta come Elia, che era atteso, oppure il Battista, ucciso da Erode, o ancora Geremia, che profetizzava contro il tempio di Gerusalemme. Questa era l’opinione comune che accompagnava la presenza di Gesù. Matteo ci porta nei territori di Cesarea, la città fondata da Filippo, figlio di Erode, e dedicata a Cesare, venerato come divino. È qui che Gesù dialoga con Pietro e i discepoli; chiede, è il Vangelo di domenica scorsa: “ma voi, chi dite che io sia”. Pietro, che diventa Cefa, cioè pietra, risponde con quella frase che è segno di conversione: “tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. Questa domenica Pietro, la roccia, colui che è chiamato a edificare la chiesa, diventa scandalo, pietra d’inciampo nel cammino della fede; Gesù lo rimprovera chiamandolo satana. I Vangeli di queste due domeniche, come sottolinea papa Francesco all’Angelus, sono tra loro collegati, nell’obbedienza alla parola di Dio. E quando Gesù spiega ai suoi discepoli il suo andare a Gerusalemme, patire e soffrire a causa della cecità e dell’arroganza di anziani, capi dei sacerdoti e degli scribi; ancora, il venire ucciso e il risorgere il terzo giorno, ecco che Pietro si ribella, è una strada che non accetta, perché il suo Signore non può soffrire e patire fino alla morte: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”. I discepoli non comprendono le parole di Gesù, perché “hanno una fede ancora immatura e troppo legata alla mentalità di questo mondo. Loro pensano a una vittoria troppo terrena, e per questo non capiscono il linguaggio della croce”. Pietro ha fede, dice Francesco, “lo vuole seguire, ma non accetta che la sua gloria passi attraverso la passione. Per Pietro e gli altri discepoli – ma anche per noi – la croce è una cosa scomoda, la croce è uno ‘scandalo’, mentre Gesù considera ‘scandalo’ il fuggire dalla croce, che vorrebbe dire sottrarsi alla volontà del Padre, alla missione che Lui gli ha affidato per la nostra salvezza”. Netta la divergenza tra l’amore del Padre, che giunge fino al dono del figlio unigenito, e i desideri, le attese dei discepoli. Succede, afferma il vescovo di Roma nel commentare le parole di Pietro, che nei momenti di “devozione, di fervore, di buona volontà di vicinanza al prossimo, guardiamo Gesù e andiamo avanti; ma nei momenti in cui viene incontro la croce, fuggiamo. Il diavolo, Satana – come dice Gesù a Pietro – ci tenta”. Seguirlo è prendere la croce, ricorda il Papa all’Angelus, “sopportare con pazienza le tribolazioni quotidiane”, ma anche “portare con fede e responsabilità quella parte di fatica e di sofferenza che la lotta contro il male comporta”. Questo perché la vita del cristiano è sempre una lotta; “la Bibbia dice che la vita dei cristiani è una milizia. Lottare contro il cattivo spirito, lottare contro il Male”. E il male esiste anche ai nostri giorni. Che cosa sono gli orrori della guerra, le violenze sugli innocenti, la miseria e l’ingiustizia che colpiscono i più deboli? Francesco chiede che la croce “appesa alla parete di casa, o quella piccola che portiamo al collo, sia segno del nostro desiderio di unirci a Cristo nel servire con amore i fratelli, specialmente i più piccoli e fragili”, e “non va ridotta a oggetto scaramantico, oppure a monile ornamentale”: è segno dell’amore di Dio, e del sacrificio di Gesù. Nelle parole che pronuncia dopo la preghiera mariana dell’Angelus, il Papa ricorda la giornata di preghiera per la salvaguardia del creato, il primo settembre. Fino al 4 ottobre “celebreremo con i nostri fratelli cristiani di varie Chiese e tradizioni il ‘Giubileo della Terra’, per ricordare l’istituzione, 50 anni fa, della Giornata della Terra”. Si tratta di impegnarsi adottando stili di vita sobri e responsabili, soprattutto verso i poveri e le future generazioni. Non devono essere le popolazioni più povere a pagare il maggior prezzo dei mutamenti climatici. “La Chiesa ha una responsabilità per il creato”, diceva Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana il 22 dicembre 2009; “deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti [...] Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell’ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un’autodistruzione dell’uomo e quindi una distruzione dell’opera stessa di Dio”.

Fabio Zavattaro

Papa Francesco: la croce non è un fatto scaramantico

30 Agosto 2020 - Città del Vaticano - "Dopodomani, primo settembre, ricorre la Giornata mondiale di preghiera per la Cura del creato". Lo ha ricordato questa mattina, papa Francesco, nei saluti finali dopo l’Angelus in Piazza San Pietro aggiungendo che fino al 4 ottobre “celebreremo con i nostri fratelli cristiani di varie Chiese tradizioni il Giubileo della Terra, per ricordare l’istituzione 50 anni fa della Giornata della Terra". Il papa ha poi ricordato le diverse iniziative che nel mondo vengono promosse e tra queste il concerto che si svolge oggi nella cattedrale di Port Louis, capitale di Mauritius, “dove purtroppo si è verificato recentemente un disastro ambientale". Il papa ha anche detto di seguire con “preoccupazione le tensioni nella zona del Mediterraneo orientale, insidiata da vari focolai di instabilità” e ha fatto appello “al dialogo costruttivo e al rispetto della legalità internazionale per risolvere i conflitti che minacciano la pace dei popoli di quella regione”. Nel commentare il brano evangelico di questa domenica il Papa parte dalla frase di Gesù: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. “Di fronte alla prospettiva che Gesù possa fallire e morire in croce”, spiega il papa, lo stesso Pietro “si ribella e gli dice: Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai!. Crede in Gesù, lo vuole seguire, ma non accetta che la sua gloria passi attraverso la passione”. La croce è “incomoda, uno scandalo” nell’idea di Pietro, dee discepoli e “anche per noi”, mentre Gesù “considera scandalo il fuggire dalla croce, che vorrebbe dire sottrarsi alla volontà del Padre, alla missione che Lui gli ha affidato per la nostra salvezza", dice papa Francesco prima della preghiera mariana: “nei momenti di devozione, di fervore, di buona volontà, di vicinanza al prossimo, guardiamo Gesù e andiamo avanti; ma nei momenti in cui viene incontro la croce, fuggiamo. Il diavolo, Satana – come dice Gesù a Pietro – ci tenta. È proprio del cattivo spirito, è proprio del diavolo allontanarci dalla croce, dalla croce di Gesù”. Il pontefice cita due atteggiamenti per i suoi discepoli: “rinunciare a sé stessi”, che “non significa un cambiamento superficiale, ma una conversione, un capovolgimento di mentalità e di valori” e “prendere la propria croce. Non si tratta solo di sopportare con pazienza le tribolazioni quotidiane, ma di portare – ha spiegato - con fede e responsabilità quella parte di fatica, quella parte di sofferenza che la lotta contro il male comporta. La vita dei cristiani è sempre una lotta. La Bibbia dice che la vita del credente è una milizia: lottare contro il cattivo spirito, lottare contro il Male”. Così l’impegno di “prendere la croce” diventa “partecipazione con Cristo alla salvezza del mondo”. Pensando a questo l’invito di papa Francesco è quello di fare in mondo “che la croce appesa alla parete di casa, o quella piccola che portiamo al collo, sia segno del nostro desiderio di unirci a Cristo nel servire con amore i fratelli, specialmente i più piccoli e fragili. La croce è segno santo dell’Amore di Dio, è segno del Sacrificio di Gesù, e non va ridotta a oggetto scaramantico oppure a monile ornamentale. Ogni volta che fissiamo lo sguardo sull’immagine di Cristo crocifisso, pensiamo che Lui, come vero Servo del Signore, ha realizzato la sua missione dando la vita, versando il suo sangue per la remissione dei peccati. E non lasciamoci portare dall’altra parte, nella tentazione del Maligno. Di conseguenza, se vogliamo essere suoi discepoli, siamo chiamati a imitarlo, spendendo senza riserve la nostra vita per amore di Dio e del prossimo. La Vergine Maria, unita al suo Figlio fino al calvario, ci aiuti a non indietreggiare di fronte alle prove e alle sofferenze che la testimonianza del Vangelo comporta per tutti noi2, ha pregato.

Raffaele Iaria

 

Papa Francesco: mercoledì prossimo riprendono le udienze generale con la presenza di fedeli

26 Agosto 2020 - Città del Vaticano - Mercoledì prossimo, 2 settembre, riprenderanno le Udienze generali del mercoledì di Papa Francesco con la presenza dei fedeli. Lo rende noto la Prefettura della Casa Pontificia attraverso Bollettino della Sala Stampa della  Santa Sede. Seguendo le indicazioni sanitarie delle Autorità, le udienze del mese di settembre  - spiega la nota -  si svolgeranno nel Cortile San Damaso del Palazzo Apostolico, con inizio alle ore 9,30. La partecipazione sarà aperta a tutti coloro che lo desiderano, "senza bisogno di biglietti".

R.I.

Papa Francesco: “non possiamo stare a guardare” di fronte alla disuguaglianza

26 Agosto 2020 -  Città del Vaticano - “Quando l’ossessione di possedere e dominare esclude milioni di persone dai beni primari; quando la disuguaglianza economica e tecnologica è tale da lacerare il tessuto sociale; e quando la dipendenza da un progresso materiale illimitato minaccia la casa comune, allora non possiamo stare a guardare. No, questo è desolante”. Lo ha detto questa mattina Papa Francesco all’udienza generale del mercoledì. “Dobbiamo – ha aggiunto - agire tutti insieme, nella speranza di generare qualcosa di diverso e di meglio. La speranza cristiana, radicata in Dio, è la nostra àncora. Essa sostiene la volontà di condividere, rafforzando la nostra missione come discepoli di Cristo, il quale ha condiviso tutto con noi”. “Se ci prendiamo cura dei beni che il Creatore ci dona, se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi – ha concluso il Papa -, allora davvero potremo ispirare speranza per rigenerare un mondo più sano e più equo”.  

Papa Francesco: “il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza

24 Agosto 2020 - Città del Vaticano – “Il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza. Sono stati vittime della cultura dello scarto”. Lo ha detto ieri mattina dopo la recita dell’Angelus papa Francesco ricordando “il decimo anniversario del massacro di settantadue migranti e San Fernando, a Tamaulipas, in Messico” che si ricorda oggi. “Erano – ha detto il pontefice - persone di diversi Paesi che cercavano una vita migliore”. Papa Francesco ha quindi espresso “la mia solidarietà alle famiglie delle vittime che ancora oggi invocano giustizia e verità su quanto accaduto. Il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza. Sono stati vittime della cultura dello scarto”.

R.Iaria

Papa Francesco: “curare il virus dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza e dell’emarginazione”

19 Agosto 2020 - Città del Vaticano - "La pandemia ha messo allo scoperto la difficile situazione dei poveri e la grande ineguaglianza che regna nel mondo. E il virus, mentre non fa eccezioni tra le persone, ha trovato, nel suo cammino devastante, grandi disuguaglianze e discriminazioni. E le ha aumentate!". Lo ha detto Papa Francesco, nell’udienza generale di oggi, trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca del palazzo apostolico, continuando il nuovo ciclo di catechesi sul tema: “Guarire il mondo” e incentrando la sua meditazione sull’argomento “L’opzione preferenziale per i poveri e la virtù della carità”. Dalla catechesi del Papa traspare la consapevolezza che "la risposta alla pandemia è duplice". "Da un lato, è indispensabile trovare la cura per un virus piccolo ma tremendo, che mette in ginocchio il mondo intero. Dall’altro, dobbiamo curare un grande virus, quello dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza di opportunità, della emarginazione e della mancanza di protezione dei più deboli", ha osservato papa Francesco, che ha ribadito, citando l' Evangelii gaudium, come "in questa doppia risposta di guarigione c’è una scelta che, secondo il Vangelo, non può mancare: è l’opzione preferenziale per i poveri". Il Pontefice ha, quindi, spiegato che "questa non è un'opzione politica, non un'opzione ideologica, di partiti", ma "è al centro del Vangelo". Papa Francesco ha poi indicato "un criterio-chiave di autenticità cristiana": "I seguaci di Gesù si riconoscono dalla loro vicinanza ai poveri, ai piccoli, ai malati e ai carcerati, agli esclusi e ai dimenticati, a chi è privo del cibo e dei vestiti". "Alcuni pensano, erroneamente, che questo amore preferenziale per i poveri sia un compito per pochi, ma in realtà è la missione di tutta la Chiesa", ha evidenziato il Papa, citando san Giovanni Paolo II.

GMMR: il quarto video di Papa Francesco in preparazione alla Giornata

14 Agosto 2020 - Città del Vaticano - Domenica 27 settembre 2020, si celebrerà la 106° Giornata Mondiale dei Migranti e dei Rifugiati (GMMR). Quest’anno, con il titolo “Come Gesù Cristo, costretti a fuggire”, Papa Francesco invita a scoprire la realtà degli sfollati interni in modo più profondo. Ogni mese, un video di Papa Francesco e altri materiali multimediali approfondiscono i sotto-temi presenti nel Messaggio. Il tema di questo mese, il quarto, il Papa esplora il sotto-tema “Condividere per crescere”. Il video offre la testimonianza di vita vera di una persona sfollata interna che spiega come come la condivisione ci rende più umani, ci fa credere di più in Dio e sente che siamo i Suoi figli. Nel video, Papa Francesco esorta a condividere per crescere insieme, senza escludere nessuno (Il video si può scaricare dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale).

Papa Francesco: “no a indifferenza e individualismo, guardare i bisogni e i problemi degli altri”

12 Agosto 2020 -
Città del Vaticano - “La pandemia ha messo in risalto quanto siamo tutti vulnerabili e interconnessi. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da coloro che sono maggiormente colpiti, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo”. Lo ha detto Papa Francesco, nell’udienza generale di oggi, trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca privata, continuando il nuovo ciclo di catechesi sul tema: “Guarire il mondo” e incentrando la sua meditazione sull’argomento “Fede e dignità umana”. Lodando “l’impegno di tante persone che in questi mesi stanno dando prova dell’amore umano e cristiano verso il prossimo, dedicandosi ai malati anche a rischio della propria salute”, il Pontefice ha ricordato che “tuttavia, il coronavirus non è l’unica malattia da combattere, ma la pandemia ha portato alla luce patologie sociali più ampie”. Una di queste citate dal Papa è “la visione distorta della persona, uno sguardo che ignora la sua dignità e il suo carattere relazionale”. “A volte guardiamo gli altri come oggetti, da usare e scartare – è il monito di Francesco -. In realtà, questo tipo di sguardo acceca e fomenta una cultura dello scarto individualistica e aggressiva, che trasforma l’essere umano in un bene di consumo”. La prospettiva suggerita dal Papa, invece, è quella di Dio che “guarda all’uomo e alla donna in un altro modo”. “Egli ci ha creati non come oggetti, ma come persone amate e capaci di amare, a sua immagine e somiglianza”. Papa Francesco ha poi evidenziato che “in questo modo ci ha donato una dignità unica, invitandoci a vivere in comunione con Lui, con le nostre sorelle e i nostri fratelli, nel rispetto di tutto il creato”. Quindi, da parte sua l’incoraggiamento all’armonia. “Cercare di arrampicarsi nella vita ed essere superiori agli altri distrugge l’armonia: è la logica di dominare gli altri – ha aggiunto, parlando a braccio -. L’armonia è un’altra cosa: è il servizio”. Di qui la richiesta al Signore di “darci occhi attenti ai fratelli e alle sorelle, specialmente a quelli che soffrono”. “Come discepoli di Gesù non vogliamo essere indifferenti né individualisti. L’armonia creata da Dio ci chiede di guardare i bisogni degli altri, i problemi degli altri. Vogliamo riconoscere in ogni persona, qualunque sia la sua razza, lingua o condizione, la dignità umana”.

Papa Francesco: all’Angelus, “preghiamo per il popolo in Libano che soffre tanto”

10 Agosto 2020 - Città del Vaticano - “La catastrofe di martedì scorso chiama tutti, a partire dai libanesi, a collaborare per il bene di questo amato Paese. Il Libano ha un’identità peculiare, frutto dell’incontro di varie culture, emersa nel corso del tempo come un modello del vivere insieme. Certo, questa convivenza ora è molto fragile, ma prego perché, con l’aiuto di Dio e la leale partecipazione di tutti, essa possa rinascere libera e forte". È la preghiera pronunciata ieri  da Papa Francesco al termine dell’Angelus. Nelle sue parole, un accorato appello alla comunità internazionale, affinché si adoperi per "un generoso aiuto", ma anche alla Chiesa libanese perché resti "vicina al popolo nel suo Calvario come sta facendo in questi giorni, con solidarietà e compassione, con il cuore e le mani aperte alla condivisione". Un’esortazione cui ha unito un’ulteriore raccomandazione. “Per favore - ha aggiunto parlando a braccio - chiedo ai vescovi, ai sacerdoti e ai religiosi del Libano che stiano vicini al popolo e che vivano con uno stile di vita improntato alla povertà evangelica, senza lusso, perché il vostro popolo soffre, e soffre tanto". Prima della preghiera, che il Papa ha concluso invocando la benedizione della "Vergine di Harissa, Regina del Libano”, Francesco ha rinnovato il suo appello al disarmo. Dopo aver ricordato i tragici bombardamenti del 6 e del 9 agosto di Hiroshima e Nagasaki, ha rievocato con gratitudine la visita dello scorso anno in Giappone rinnovando "l’invito a pregare e a impegnarsi per un mondo totalmente libero da armi nucleari”. Tutto incentrato sull’abbandonarsi “con fiducia a Dio in ogni momento della nostra vita, specialmente nell’ora della prova e del turbamento”, l’invito che Papa Francesco ha rivolto ai fedeli presenti in piazza San Pietro. Commentando il brano evangelico in cui Gesù cammina sulle acque, il Papa ha indicato nella barca in balia della tempesta l’immagine della Chiesa, che "incontra venti contrari, a volte prove molto", come "certe lunghe e accanite persecuzioni del secolo scorso, e anche oggi, in alcune parti”. Situazioni che possono generare la tentazione di pensare che “Dio l’abbia abbandonata anche se in realtà – ha aggiunto – è proprio in quei momenti che risplende maggiormente la testimonianza della fede, la testimonianza dell’amore, la testimonianza della speranza”. Per questo, ha ribadito il Pontefice, “quando nei momenti difficili della vita, dove tutto diventa buio e come Pietro sentiamo forte il dubbio e la paura e ci sembra di affondare, non dobbiamo vergognarci di gridare e come Pietro: ‘Signore, salvami!’. Bussare al cuore di Dio, al cuore di Gesù: ‘Signore, salvami!’. È una bella preghiera e possiamo ripeterla tante volte”. E “il gesto di Gesù, che subito tende la sua mano e afferra quella del suo amico – ha concluso – va contemplato a lungo: Gesù è questo, Gesù fa questo, Gesù è la mano del Padre che mai ci abbandona; la mano forte e fedele del Padre, che vuole sempre e solo il nostro bene”.

Amerigo Vecchiarelli

Papa Francesco: “senza lavoro le famiglie e le società non possono andare avanti”

3 Agosto 2020 - Città del Vaticano - Un appello per rilanciare il lavoro nel post-pandemia, perché "senza lavoro le famiglie e la società non possono andare avanti". A rivolgerlo è stato Papa Francesco  al termine dell'Angelus di ieri. "Auspico che, con l’impegno convergente di tutti i responsabili politici ed economici, si rilanci il lavoro", le parole di Francesco: "Preghiamo per questo che è e sarà un problema del post-pandemia: la povertà, la mancanza di lavoro. E ci vuole tanta solidarietà e tanta creatività per risolvere questo problema". Il Papa si è inoltre rivolto "al popolo del Nicaragua che soffre per l’attentato alla cattedrale di Managua, dove è stata molto danneggiata – quasi distrutta – l’immagine tanto venerata di Cristo, che ha accompagnato e sostenuto durante i secoli la vita del popolo fedele. Cari fratelli nicaraguensi, vi sono vicino e prego per voi". Infine, il riferimento al "Perdono di Assisi", il dono spirituale che San Francesco ottenne da Dio per intercessione della Vergine Maria: "Com’è importante rimettere al centro sempre il perdono di Dio, che 'genera paradiso' in noi e intorno a noi, questo perdono che viene dal cuore di Dio che è misericordioso!".

Compassione e tenerezza

3 Agosto 2020 - Città del Vaticano - È su una barca, in disparte, in un luogo deserto: ha appreso la notizia della morte di Giovanni Battista e vorrebbe fermarsi da solo a piangere l’amico scomparso. Cerca la solitudine, Gesù, per capire meglio cosa l’aspetta, quale responsabilità dopo l’esecuzione di colui che lo ha battezzato. Ma in quel luogo solitario è raggiunto dalla gente che ha bisogno, ha necessità di lui. Un cambio di programma, dunque, per Gesù che si appresta a vivere l’incontro con quella moltitudine di persone. che Matteo conta in cinquemila uomini “senza contare le donne e i bambini”. Non è certo un pic nic: un po’ di cibo, qualcosa da bere e tanta allegria. Per lui il momento della solitudine cercata, della sofferenza personale, si trasforma nell’incontro con una umanità sofferente che ha bisogno di vicinanza, di consolazione. Che ha bisogno anche di nutrirsi. Malati, infermi, una umanità che ha già capito che dal Signore riceverà tutto: così cercando l’essenziale si è “dimenticata” di tutto il resto, cibo compreso. Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci è nella gratuità del gesto che in Isaia ha queste parole: “comprate e mangiate senza denaro e senza spesa vino e latte”. La gratuità del cibo, nel racconto evangelico, per Papa Francesco diventa occasione per guardare alla situazione sociale e economica del paese, e si traduce in un auspicio: “con l’impegno convergente di tutti i responsabili politici ed economici, si rilanci il lavoro: senza lavoro le famiglie e la società non possono andare avanti. Preghiamo per questo, perché è e sarà un problema del post-pandemia”. È interessante cogliere nelle parole di Gesù – “date loro voi stessi da mangiare” – da una parte, una assunzione di responsabilità nei confronti della folla, dall’altra, un invito rivolto ai suoi di cambiare atteggiamento: “non dire ‘congedali, che si arrangino, che trovino loro da mangiare’, no, ma ‘che cosa ci offre la Provvidenza da condividere?’” Gesù, dice Papa Francesco all’Angelus, “vuole educare i suoi amici di ieri e di oggi alla logica di Dio”, cioè “la logica del farsi carico dell’altro. La logica di non lavarsene le mani, la logica di non guardare da un’altra parte”. Il “che si arrangino”, dice il Papa, “non entra nel vocabolario cristiano”. Da un lato abbiamo il realismo, se così lo possiamo chiamare, dei dodici – non abbiamo cibo, ormai è troppo tardi – e dall’altra la condivisione del Signore per il quale non è mai troppo tardi: ci sono solo cinque pani e cinque pesci, ma diventano non solo sufficienti a sfamare tutti, ma resta tanto cibo da riempire dodici ceste. Gesù manifesta così la sua potenza, dice papa Francesco, non “in modo spettacolare, ma come segno della carità, della generosità di Dio Padre verso i suoi figli stanchi e bisognosi. Egli è immerso nella vita del suo popolo, ne comprende le stanchezze, ne comprende i limiti, ma non lascia che nessuno si perda o venga meno: nutre con la sua Parola e dona cibo abbondante per il sostentamento”. In questo donare chiede la collaborazione di tutti così come Gesù chiede ai discepoli di “distribuire il pane per la moltitudine”. Chiaro anche, nel gesto del benedire e spezzare il cibo, gli occhi rivolti al cielo, il riferimento all’eucaristia, il legame stretto, per il Papa, “tra il pane eucaristico, nutrimento per la vita eterna, e il pane quotidiano, necessario per la vita terrena”. Compassione, e tenerezza. Quella di Gesù verso le folle “non è sentimentalismo, ma la manifestazione concreta dell’amore che si fa carico delle necessità delle persone”. Quando Gesù vede un problema, ricorda papa Francesco, ha compassione. “Non è un sentimento puramente materiale; la vera compassione è patire con, prendere su di noi i dolori altrui. Forse ci farà bene oggi domandarci: io ho compassione? Quando leggo le notizie delle guerre, della fame, delle pandemie, tante cose, ho compassione di quella gente? Io ho compassione della gente che è vicina a me? Sono capace di patire con loro, o guardo da un’altra parte o dico “che si arrangino”? Non dimenticare questa parola “compassione”, che è fiducia nell’amore provvidente del Padre e significa coraggiosa condivisione”.

Fabio Zavattaro

Il magistero di Papa Francesco contro la tratta di esseri umani

30 Luglio 2020 - Città del Vaticano - «Un’attività ignobile, una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate». Sin dall’inizio del pontificato Francesco ha denunciato con forza la piaga della tratta di esseri umani, definendola «la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo» e facendone uno dei temi ricorrenti del suo magistero. Un’attenzione costante, che vale la pena rimarcare in occasione della Giornata mondiale di oggi, 30 luglio, indetta dall’Onu proprio nel 2013 — l’anno dell’elezione di Bergoglio al soglio di Pietro — con l’obiettivo di sensibilizzare la comunità internazionale sulla situazione e sui diritti delle vittime di questo vero e proprio «delitto contro l’umanità», che — sono ancora parole sue — «riguarda ogni Paese, anche i più sviluppati, e tocca le persone più vulnerabili: donne e ragazze, bambini e bambine, disabili, poveri, chi proviene da situazioni di disgregazione familiare e sociale». Il Papa venuto «dall’altra parte del mondo» ha sempre avuto a cuore il destino di quanti cadono nelle maglie di questo turpe commercio che, insieme a quello delle armi e della droga, costituisce una delle attività più redditizie per la criminalità organizzata. Lo testimonia in modo inequivocabile la sua biografia argentina di prete e poi di vescovo nella capitale Buenos Aires. A raccontarlo a «L’Osservatore Romano» pochi giorni dopo il conclave furono il cartonero Sergio Sánchez — in prima fila, accanto ai potenti della terra, tra gli invitati d’onore alla messa per l’inizio del suo ministero petrino — e don Gonzalo Aemilius, il prete uruguayano (oggi suo segretario particolare) salutato dal nuovo vescovo di Roma al termine della sua prima celebrazione domenicale nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano: Sánchez rimarcò che Bergoglio si era sempre schierato al fianco dei lavoratori «contro la tratta degli esseri umani usati come macchine da produzione», il secondo rievocò le grandi battaglie sostenute da cardinale contro la «schiavitù in tutte le subdole forme nelle quali si mostra». A suggellare questa originaria «vocazione» di servizio verso gli esclusi, il primo Papa latinoamericano della storia non ha mai più smesso di richiamare la Chiesa — continuando a incalzare anche gli altri leader religiosi, i governanti e la comunità internazionale — a iscrivere il tema tra le priorità della propria agenda pastorale. In un appunto autografo in spagnolo, inviato nell’agosto 2013 al cancelliere delle Pontificie accademie delle Scienze e delle Scienze sociali, il vescovo suo connazionale Marcelo Sánchez Sorondo, chiedeva esplicitamente: «Credo che sarebbe bene occuparsi di tratta delle persone e schiavitù moderna». Da allora non c’è stata occasione in cui Francesco non sia ritornato su quello che ebbe a definire un crimine di «lesa umanità», attraverso ripetuti appelli contenuti in discorsi, omelie e documenti, e con iniziative concrete: per esempio con la creazione nel 2014 del Gruppo Santa Marta — un’alleanza globale di capi delle polizie, vescovi e comunità religiose — e l’istituzione della Giornata mondiale di preghiera e riflessione che si celebra ogni anno l’8 febbraio, nel ricordo di santa Giuseppina Bakhita, la suora originaria del Sudan che da bambina fece la drammatica esperienza di essere venduta come schiava. Del resto, non va dimenticato che, sebbene tale fenomeno venga solitamente identificato in maniera riduttiva con gli interessi che ruotano intorno al mercato dello prostituzione, esso include anche le adozioni illegali, la vendita di organi e tutti quei lavori umilianti o illegali nelle fabbriche, nelle aziende agricole, nelle strutture turistiche, a bordo di imbarcazioni, o nelle case private, finendo col coinvolgere almeno 40 milioni di nuovi «vulnerabili». E l’emergenza sanitaria provocata dal covid-19 ne sta esasperando ulteriormente in tempo di pandemia gli aspetti più dolorosi, come denunciato proprio in queste ore da Caritas internationalis. Allo sterminato “esercito” di invisibili, inghiottito nelle maglie di una rete di sfruttamento che trova complicità nel cinismo e nell’indifferenza, si rivolge la sollecitudine di Papa Francesco, soprattutto attraverso il linguaggio dei gesti che nel suo magistero ha un valore del tutto peculiare. E così in tanti non hanno dimenticato il 12 agosto 2016, quando Bergoglio si è recato in una struttura romana della «Comunità Papa Giovanni XXIII» fondata da don Oreste Benzi, per incontrare 20 donne liberate dal racket della prostituzione; o, per fare un esempio più vicino nel tempo, la sua scelta di visitare la Thailandia (a oggi l’ultimo suo viaggio internazionale, che nel novembre 2019 fece tappa anche in Giappone) per farsi vicino — come disse durante la messa celebrata a Bangkok — a tutti i bambini, le bambine e le donne «esposti alla prostituzione e alla tratta, sfigurati nella loro dignità più autentica». Nella consapevolezza che occorre un grande lavoro per innalzare il livello di attenzione dell’opinione pubblica su questa realtà, per squarciare il velo dei silenzi complici, dando voce a ogni singola vittima, affinché nessuno si lasci rubare la speranza di liberazione e di riscatto (Gianluca Biccini - Osservatore Romano)

Discernere e scegliere

27 Luglio 2020 - Città del Vaticano - Distinguere il bene dal male, saper scegliere. La parola chiave che unisce il Vangelo di Matteo, con le tre parabole sul Regno dei cieli, e la prima lettura tratta dal Libro dei Re è: discernimento. Nella nostra vita siamo sempre chiamati a fare delle scelte, più o meno grandi. Salomone, giovanissimo all’inizio del suo regno, deve raccogliere l’eredità del padre Davide e governare sul suo popolo: una grande responsabilità. Così Salomone non solo offre a Dio un sacrificio, mille olocausti come si legge nel libro dei Re, ma gli chiede di aiutarlo in questo gravoso compito. Non chiede una lunga vita, né ricchezze, né la forza per eliminare i nemici, ma, come leggiamo sempre nel libro dei Re, dice al Signore: "concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male". Ovvero la capacità di discernere, la sapienza nel saper governare. Ecco che allora il “cuore docile”, ricordava Benedetto XVI, significa “una coscienza che sa ascoltare, che è sensibile alla voce della verità, e per questo è capace di discernere il bene dal male”. Matteo, nel suo Vangelo (Letto ieri nella liturgia domenicale, ndr), ci propone tre parabole; Francesco ne commenta solo due, che ci richiamano anch’esse alla capacità di saper discernere: il regno dei cieli simile a un tesoro nascosto nel campo, a una perla preziosa, a una rete gettata in mare. Chi trova il tesoro nel campo e il mercante che vede la perla, per assicurarsi l’acquisto, vendono i loro averi, “abbandonando le loro sicurezze materiali”. La costruzione del Regno “esige non solo la grazia di Dio, ma anche la disponibilità attiva dell’uomo”. Spiega Francesco: “la grazia fa tutto ma ci vuole la ‘mia’ responsabilità, la ‘mia’ disponibilità”. Certo la prospettiva con cui leggiamo il Vangelo è quella del “già e non ancora”, cioè viviamo già della salvezza, che tuttavia aspetta ancora di essere compiuta. Come non leggere in questa capacità di cambiare il mondo, nella presenza di Gesù nella nostra vita, una chiamata a trasformare la nostra esistenza e renderla aperta all’altro, capace di accogliere ogni altra presenza, anche quella dello straniero e dell’immigrato. Con le due parabole, il tesoro nascosto e la perla preziosa, Gesù ci coinvolge “nella costruzione del Regno dei cieli, presentandone una caratteristica essenziale: aderiscono pienamente al Regno coloro che sono disposti a giocarsi tutto”, dice il Papa nell’incontro dell’Angelus con le persone presenti in piazza san Pietro, alle quali ricorda la memoria liturgica di Gioacchino ed Anna, i nonni di Gesù. Così ai giovani chiede “gesti creativi” di amore verso gli anziani, visitandoli, vincendo la loro solitudine. Loro sono le radici. L’uomo e il mercante “vendono tutto quello che hanno, abbandonando così le loro sicurezze materiali”. Anche noi, dice il vescovo di Roma, “siamo chiamati ad assumere l’atteggiamento di questi due personaggi evangelici, diventando anche noi cercatori sanamente inquieti del Regno dei cieli. Si tratta di abbandonare il fardello pesante delle nostre sicurezze mondane che ci impediscono la ricerca e la costruzione del Regno: la bramosia di possedere, la sete di guadagno e di potere, il pensare solo a noi stessi”. Risulta spenta la vita di chi non è andato alla ricerca di un vero tesoro, ma si sono accontentati di “cose attraenti ma effimere, bagliori luccicanti ma illusori perché lasciano poi al buio”. Il Regno dei cieli, dice Francesco, è il “contrario delle cose superflue che offre il mondo, è il contrario di una vita banale. La luce del Regno non è un fuoco di artificio, è luce: il fuoco di artificio dura soltanto un istante, la luce del Regno ci accompagna per tutta la vita”. È un tesoro “che rinnova la vita tutti giorni e la dilata verso orizzonti più vasti”. Torna qui il concetto del saper distinguere, discernere, il bene dal male; essere “creativo e cercatore, che non ripete ma inventa, tracciando e percorrendo strade nuove, che ci portano ad amare Dio, ad amare gli altri, ad amare veramente noi stessi”. È Gesù, spiega il Papa, “il tesoro nascosto e la perla di grande valore”, e questo non può che suscitare gioia: “la gioia di scoprire un senso per la propria vita, la gioia di sentirla impegnata nell’avventura della santità”.

Fabio Zavattaro

Il buon grano

20 Luglio 2020 - Città del Vaticano - Bene e male convivono nella storia dell’umanità, ma ieri  la pagina di Matteo ci ha proposto un volto del Signore dove la mitezza è la misura del suo agire: il Dio misericordioso lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, come abbiano letto nel Salmo. Quotidianamente, anche se non ce ne rendiamo sempre conto, siamo testimoni di questo scontro tra bene e male: la violenza, l’ipocrisia, la prepotenza. Nel dopo Angelus, Francesco ha un pensiero, “in questo tempo in cui la pandemia non accenna a arrestarsi”, per quanti stanno affrontando la malattia e le sue conseguenze, soprattutto coloro che vivono in zone di conflitto. Così, ricordando la risoluzione dell’Onu, rinnova “l’appello ad un cessate-il-fuoco globale e immediato, che permetta la pace e la sicurezza indispensabili per fornire l’assistenza umanitaria necessaria”. Chiede anche una “soluzione pacifica e duratura” delle tensioni “tra Armenia e Azerbaijan”. Bene e male, dunque, convivono e non sempre siamo capaci di scegliere con giustizia e in carità. Matteo, nel suo Vangelo, ci propone tre parabole – il granello di senape, piccolissimo, ma grande nella sua crescita; la forza nascosta del lievito; l’attesa paziente del bene anche se assediato dalla zizzania – che evidenziano la mitezza e la misericordia dell’agire del Signore con gli uomini; la pazienza, anzi dello scandalo della pazienza di Dio che lascia che il male cresca accanto al bene: la zizzania in mezzo al grano. Le parabole evangeliche, ricordava Benedetto XVI, sono un modo per il Signore di indicare “il vero fondamento di tutte le cose”; Dio “che agisce e entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano”, come scrive nel primo libro dedicato a Gesù di Nazaret. Francesco si sofferma, all’Angelus, sulla parabola della zizzania: Dio che giudica per mezzo della sua parola, ma che non separa gli uomini, pur conoscendo la storia di ognuno. Una lezione anche per noi: possiamo parlare di bene e male ma non possiamo giudicare, dividere il buono dal cattivo. La zizzania, afferma il Papa, “riassume tutte le erbe nocive, che infestano il terreno”. Anche oggi, aggiunge, il terreno “è devastato da tanti diserbanti e pesticidi, che alla fine fanno pure male sia all’erba, che alla terra e alla salute”. I servi vorrebbero strappare subito la zizzania, il Padrone chiede invece di aspettare la mietitura: allora separeranno il grano dalla zizzania, bruciando la seconda. La presenza della divisione, dell’odio nel campo, il mondo, accanto all’uomo giusto: Gesù non strappa la zizzania, non caccia Giuda dai dodici ma anzi si china e gli lava i piedi; non interviene per impedirgli di compiere fino in fondo il suo tradimento, ma lo lascia nella sua libertà e lo chiama amico. Ecco l’infinita pazienza del Signore che può cambiare il cuore dell’uomo. Il padrone, il Signore, agisce “apertamente, alla luce del sole”; l’avversario, il diavolo, “approfitta dell’oscurità della notte, e opera per invidia, per ostilità, per rovinare tutto”. Il suo intento, dice il vescovo di Roma, è intralciare l’opera della salvezza: “il buon seme e la zizzania rappresentano non il bene e il male in astratto, ma noi esseri umani, che possiamo seguire Dio oppure il diavolo”. Ricorda Francesco: “è sempre seminare il male che distrugge. E questo lo fa sempre il diavolo, o la nostra tentazione: quando cadiamo nella tentazione di chiacchierare per distruggere gli altri”. Certo il male va rigettato dice il Papa, “ma i malvagi sono persone con cui bisogna usare pazienza. Non si tratta di quella tolleranza ipocrita che nasconde ambiguità, ma della giustizia mitigata dalla misericordia. Se Gesù è venuto a cercare i peccatori più che i giusti, a curare i malati prima ancora che i sani, anche l’azione di noi suoi discepoli dev’essere rivolta non a sopprimere i malvagi, ma a salvarli. E lì, la pazienza”. Il campo senza erbacce, il buon grano. Due modi di “agire e di abitare la storia”. Il Signore, dice il Papa, “ci invita ad assumere il suo stesso sguardo, quello che si fissa sul buon grano, che sa custodirlo anche tra le erbacce. Non collabora bene con Dio chi si mette a caccia dei limiti e dei difetti degli altri, ma piuttosto chi sa riconoscere il bene che cresce silenziosamente nel campo della Chiesa e della storia, coltivandolo fino alla maturazione”.

Fabio Zavattaro

Far fruttificare il seme dipende da noi

13 Luglio 2020 - Città del Vaticano - “Penso a Santa Sofìa e sono molto addolorato”. Otto parole in tutto, ma sono un messaggio forte che Francesco ha voluto consegnare al mondo, affacciandosi per la recita della preghiera mariana dell’Angelus. Aghia Sofìa, dal 537 cattedrale cattolica, dedicata alla Sapienza di Dio, poi ortodossa, e sede del Patriarcato Ortodosso; dal 29 maggio 1423 moschea fino al 1931; poi dal 1 febbraio 1935 museo per volere del padre della Patria della Turchia, Kemal Ataturk. L’attuale presidente della Repubblica ha deciso di farla tornare moschea, per accontentare una parte del mondo musulmano turco che da tempo chiedeva una simile destinazione per questo tempio visitato anche dai Papi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. La decisione di Tayyip Erdogan ha provocato le proteste del Patriarca Ortodosso Bartolomeo, del Patriarcato di Mosca, del Consiglio ecumenico delle Chiese, l’organismo che riunisce 350 Chiese e rappresenta 500 milioni di cristiani, per il quale il gesto voluto dal presidente Erdogan è un segnale di “divisione e di esclusione”. Le parole di papa Francesco sono un ulteriore segnale di quanto sia errata la scelta, e foriera di ulteriori proteste e divisioni. Parole che Francesco pronuncia nella seconda parte del suo discorso, dopo la recita della preghiera, quasi scandendo ogni sillaba per far capire la gravità di questa decisione turca. Angelus dedicato a una parabola molto nota, nella quale, a una lettura approssimativa, troviamo un contadino distratto che lascia cadere il seme su diversi terreni. Qui dobbiamo invece riflettere e bene, perché è vero, come leggiamo in Matteo, che il seminatore lascia cadere il seme dove capita, sulla strada, tra i rovi, nel terreno secco e in quello buono. Ma si tratta di distrazione, oppure, visto che stiamo parlando di Gesù, è un gesto di grande generosità: il Signore non sceglie il terreno, ma, caparbiamente, spera che tutti i luoghi dove il seme arriva sino quelli giusti. Fuor di parabola, la parola di Dio è destinata a tutti, e arriva a tutti, un po’ come la pioggia e la neve che, come leggiamo in Isaia, non bada a dove cade. Poi è il terreno, cioè l’uomo, che deve saperla accogliere e farla sua, per essere davvero testimone di quella speranza che è in lui. Sono modi diversi di accogliere la parola di Dio, ci dice papa Francesco. “Possiamo farlo come una strada, dove subito vengono gli uccelli e mangiano i semi. Questa sarebbe la distrazione, un grande pericolo del nostro tempo. Assillati da tante chiacchiere, da tante ideologie, dalle continue possibilità di distrarsi dentro e fuori di casa, si può perdere il gusto del silenzio, del raccoglimento, del dialogo con il Signore, tanto da rischiare di perdere la fede, di non accogliere la Parola di Dio”. È la distrazione dovuta alle cose mondane. Poi il seminatore lascia cadere il seme in un terreno sassoso, con poca terra. Dice papa Francesco: “lì il seme germoglia presto, ma presto pure si secca, perché non riesce a mettere radici in profondità”. Fuor di parabola, siamo di fronte a coloro che accolgono la parola di Dio “con l’entusiasmo momentaneo che però rimane superficiale, non assimila la Parola di Dio. E così, davanti alla prima difficoltà, pensiamo a una sofferenza, a un turbamento della vita, quella fede ancora debole si dissolve, come si secca il seme che cade in mezzo alle pietre”. Nella parabole leggiamo poi che il seme cade tra i cespugli spinosi: “le spine – dice papa Francesco - sono l’inganno della ricchezza, del successo, delle preoccupazioni mondane... Lì la Parola cresce un po’, ma rimane soffocata, non è forte, muore o non porta frutto”. Ecco infine il terreno buono, “qui, e soltanto qui il seme attecchisce e porta frutto. La semente caduta su questo terreno fertile rappresenta coloro che ascoltano la Parola, la accolgono, la custodiscono nel cuore e la mettono in pratica nella vita di ogni giorno”. Con le parole del Papa e la lettura del Vangelo di Matteo, comprendiamo bene il senso di questa parabola che Francesco definisce la “madre di tutte le parabole”, perché da un lato ci parla del Signore che non lascia indietro nessuno, che vuole che tutti possano gioire della sua Parola; dall’altro ci parla dell’ascolto della Parola, e ci ricorda “che essa è un seme fecondo ed efficace”, e Dio “lo sparge dappertutto con generosità, senza badare a sprechi. Così è il cuore di Dio! Ognuno di noi è un terreno su cui cade il seme della Parola, nessuno è escluso”. Far fruttificare quel seme dipende da noi, ci dice papa Francesco, “dipende dall’accoglienza che riserviamo a questo seme. Spesso si è distratti da troppi interessi, da troppi richiami, ed è difficile distinguere, fra tante voci e tante parole, quella del Signore, l’unica che rende liberi”.

Fabio Zavattaro

Auxilium: “parole del Papa su ‘inimmaginabile inferno’ in Libia sollecitano Europa a non essere complice”

9 Luglio 2020 - Roma - “Bisogna essere grati a Papa Francesco per aver voluto, ancora una volta, richiamare l’Italia, l’Europa e il mondo su quell’’inimmaginabile inferno’ che vivono centinaia di migliaia di migranti nei ‘lager di detenzione’ in Libia. Una tragedia epocale che molti vogliono ignorare, come se non riguardasse la nostra umanità e la nostra responsabilità verso il futuro dell’Italia e dell’Europa”. Lo afferma Angelo Chiorazzo, fondatore della Cooperativa Auxilium, intervenendo sulle parole che Papa Francesco ha pronunciato ieri nell’omelia della Messa dedicata ai migranti, nel settimo anniversario della sua visita a Lampedusa. “Quando sette anni fa Papa Francesco andò a Lampedusa e denunciò la ‘globalizzazione dell’indifferenza’, anche per noi che lavoravamo da alcuni anni nell’accoglienza dei migranti fu un cambio completo di orizzonte, l’inizio di un nuovo modo di affrontare la situazione per ‘accogliere, proteggere, promuovere, integrare’ tanti nostri fratelli, che sembrano avere il solo torto di essere nati dalla parte sbagliata del Mediterraneo”, evidenzia Chiorazzo. Aggiunge il fondatore di Auxilium: “Oggi, mentre in Libia e nel Mediterraneo uomini, donne e bambini in fuga da guerre e miseria continuano a morire, la globalizzazione dell’indifferenza si sta radicalizzando. Papa Francesco ci chiede di far sbarcare chi è in mare, ma soprattutto ci chiede di cambiare. Questo è il tempo di cambiare politica, di affrontare con coraggio il fenomeno migratorio, senza calcoli elettorali e guardando alle persone. I corridoi umanitari devono riprendere al più presto per mettere in salvo le persone più fragili, ma deve cambiare la politica migratoria e quella dell’accoglienza. L’Europa unita può governare con umanità e giustizia il fenomeno migratorio, non può, invece, continuare ad essere complice di questi crimini contro l’umanità”. La Cooperativa Auxilium gestisce e sviluppa servizi sanitari, socio assistenziali, sociali ed educativi in tutta Italia, perseguendo la promozione umana e l’integrazione sociale. La Cooperativa opera in molti settori del welfare al servizio di anziani, malati, disabili e minori. Dal 2007 Auxilium opera anche nel sistema nazionale di accoglienza dei migranti.

Lampedusa: incontro di preghiera al santuario nel VII anniversario visita del Papa

8 Luglio 2020 -   Lampedusa – Un incontro di preghiera per ricordare l’anniversario del viaggio del Papa a Lampedusa di un anno fa. Lo promuove questa sera la parrocchia di Lampedusa all’aperto al santuario della Madonna di Porto Salvo. “La maggior parte dei lampedusani ricorda questo momento con orgoglio e ne tiene viva la memoria – dice al Sir don Carmelo La Magra, parroco di San Gerlando a Lampedusa – perché è stato un momento significativo per la vita dell’isola. Ma nemmeno qui mancano gli attacchi al Papa: c’è chi gli attribuisce la colpa di aver dato il via ad una migrazione più libera, come se avesse detto ‘venite tutti, vi aspettiamo’”. Per il sacerdote “sembra essere passato tanto tempo dal viaggio del Papa ma i nostri comportamenti non sono cambiati anzi sono peggiorati. Sono ancora in vigore i decreti sicurezza, c’è ancora tante gente che muore in mare e persone lasciate giorni e giorni in attesa sulle navi senza capire perché, visto che prima o poi dovranno sbarcare”. “Il Papa quel giorno chiese se qualcuno avesse pianto per le sofferenze dei migranti – ricorda don La Magra -. Invece siamo ancora concentrati sui nostri problemi. Nemmeno la pandemia ci è servita per imparare a sentirci tutti sulla stessa barca”.

Papa Francesco: cercare Dio “nel volto dei poveri, degli ammalati, degli abbandonati e degli stranieri”

8 Luglio 2020 - Città del Vaticano – “La Vergine Maria, Solacium migrantium, ci aiuti a scoprire il volto del suo Figlio in tutti i fratelli e le sorelle costretti a fuggire dalla loro terra per tante ingiustizie da cui è ancora afflitto il nostro mondo”. Così ha pregato papa Francesco questa mattina al termine della liturgia, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta nel settimo anniversario del suo viaggio apostolico a Lampedusa, l’8 luglio 2013, il primo del pontificato di papa Bergoglio. Alla celebrazione  il personale della sezione rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. “Oggi – ha detto - ricorre il settimo anniversario della mia visita a Lampedusa. Alla luce della Parola di Dio, vorrei ribadire quanto dicevo ai partecipanti al meeting ‘Liberi dalla paura’ (promosso dalla Fondazione Migrantes, dalla Caritas Italiana e dal Centro Astalli, ndr) nel febbraio dello scorso anno: ‘L’incontro con l’altro è anche incontro con Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito’”. Per il papa l’incontro personale con Gesù Cristo è “possibile anche per noi, discepoli del terzo millennio. Protesi alla ricerca del volto del Signore, lo possiamo riconoscere nel volto dei poveri, degli ammalati, degli abbandonati e degli stranieri che Dio pone sul nostro cammino. E questo incontro diventa anche per noi tempo di grazia e di salvezza, investendoci della stessa missione affidata agli Apostoli”. Nella sua omelia il pontefice ha sottolineato come la “cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”, ripetendo le stesse parole pronunciate nell’isola siciliana in quel primo viaggio del suo ministero petrino. “La ricerca del volto di Dio è garanzia del buon esito del nostro viaggio in questo mondo, che è un esodo verso la vera Terra Promessa, la Patria celeste”, ha detto il papa aggiungendo che “il volto di Dio è la nostra meta ed è anche la nostra stella polare, che ci permette di non perdere la via”. Il papa ha anche ricordato i campi di detenzione in Libia e gli abusi e violenze di cui sono “vittime i migranti, ai viaggi della speranza, ai salvataggi e ai respingimenti. Tutto quello che avete fatto... l’avete fatto a me”. E a braccio ha detto che quel giorno alcuni migranti gli hanno raccontato quello che vivevano, “quanto avevano sofferto per arrivare lì. C'erano degli interpreti e uno raccontava cose terribili e l'interprete sembrava tradurre bene, ma questo prima parlava lungo e invece la traduzione era troppo breve. Quando sono tornato a casa, nella reception c'era una signora, figlia di etiopi. Mi ha detto che quello che ha detto il traduttore non era che la quarta parte delle sofferenze che hanno vissuto loro. Mi hanno dato la versione distillata. Questo succede con la Libia, voi non immaginate l'inferno che si vive là, in quei lager di detenzione. Questa gente soltanto vive con la speranza di incrociare il mare”.

Raffaele Iaria