31 Agosto 2020 – Città del Vaticano – Un profeta, un grande profeta come Elia, che era atteso, oppure il Battista, ucciso da Erode, o ancora Geremia, che profetizzava contro il tempio di Gerusalemme. Questa era l’opinione comune che accompagnava la presenza di Gesù. Matteo ci porta nei territori di Cesarea, la città fondata da Filippo, figlio di Erode, e dedicata a Cesare, venerato come divino. È qui che Gesù dialoga con Pietro e i discepoli; chiede, è il Vangelo di domenica scorsa: “ma voi, chi dite che io sia”. Pietro, che diventa Cefa, cioè pietra, risponde con quella frase che è segno di conversione: “tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. Questa domenica Pietro, la roccia, colui che è chiamato a edificare la chiesa, diventa scandalo, pietra d’inciampo nel cammino della fede; Gesù lo rimprovera chiamandolo satana.
I Vangeli di queste due domeniche, come sottolinea papa Francesco all’Angelus, sono tra loro collegati, nell’obbedienza alla parola di Dio. E quando Gesù spiega ai suoi discepoli il suo andare a Gerusalemme, patire e soffrire a causa della cecità e dell’arroganza di anziani, capi dei sacerdoti e degli scribi; ancora, il venire ucciso e il risorgere il terzo giorno, ecco che Pietro si ribella, è una strada che non accetta, perché il suo Signore non può soffrire e patire fino alla morte: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”. I discepoli non comprendono le parole di Gesù, perché “hanno una fede ancora immatura e troppo legata alla mentalità di questo mondo. Loro pensano a una vittoria troppo terrena, e per questo non capiscono il linguaggio della croce”. Pietro ha fede, dice Francesco, “lo vuole seguire, ma non accetta che la sua gloria passi attraverso la passione. Per Pietro e gli altri discepoli – ma anche per noi – la croce è una cosa scomoda, la croce è uno ‘scandalo’, mentre Gesù considera ‘scandalo’ il fuggire dalla croce, che vorrebbe dire sottrarsi alla volontà del Padre, alla missione che Lui gli ha affidato per la nostra salvezza”. Netta la divergenza tra l’amore del Padre, che giunge fino al dono del figlio unigenito, e i desideri, le attese dei discepoli.
Succede, afferma il vescovo di Roma nel commentare le parole di Pietro, che nei momenti di “devozione, di fervore, di buona volontà di vicinanza al prossimo, guardiamo Gesù e andiamo avanti; ma nei momenti in cui viene incontro la croce, fuggiamo. Il diavolo, Satana – come dice Gesù a Pietro – ci tenta”. Seguirlo è prendere la croce, ricorda il Papa all’Angelus, “sopportare con pazienza le tribolazioni quotidiane”, ma anche “portare con fede e responsabilità quella parte di fatica e di sofferenza che la lotta contro il male comporta”. Questo perché la vita del cristiano è sempre una lotta; “la Bibbia dice che la vita dei cristiani è una milizia. Lottare contro il cattivo spirito, lottare contro il Male”. E il male esiste anche ai nostri giorni. Che cosa sono gli orrori della guerra, le violenze sugli innocenti, la miseria e l’ingiustizia che colpiscono i più deboli?
Francesco chiede che la croce “appesa alla parete di casa, o quella piccola che portiamo al collo, sia segno del nostro desiderio di unirci a Cristo nel servire con amore i fratelli, specialmente i più piccoli e fragili”, e “non va ridotta a oggetto scaramantico, oppure a monile ornamentale”: è segno dell’amore di Dio, e del sacrificio di Gesù.
Nelle parole che pronuncia dopo la preghiera mariana dell’Angelus, il Papa ricorda la giornata di preghiera per la salvaguardia del creato, il primo settembre. Fino al 4 ottobre “celebreremo con i nostri fratelli cristiani di varie Chiese e tradizioni il ‘Giubileo della Terra’, per ricordare l’istituzione, 50 anni fa, della Giornata della Terra”. Si tratta di impegnarsi adottando stili di vita sobri e responsabili, soprattutto verso i poveri e le future generazioni. Non devono essere le popolazioni più povere a pagare il maggior prezzo dei mutamenti climatici. “La Chiesa ha una responsabilità per il creato”, diceva Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana il 22 dicembre 2009; “deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti […] Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell’ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un’autodistruzione dell’uomo e quindi una distruzione dell’opera stessa di Dio”.
Fabio Zavattaro