Tag: Mobilità umana e migrazioni

La doppia sfida degli imprenditori stranieri

5 Febbraio 2021 -

Milano - Tornare nel Paese di origine per mettere a frutto quello che si è imparato in Italia, o per realizzare un’idea rimasta troppo a lungo nel limbo delle buone intenzioni. Oppure mettere alla prova il proprio spirito imprenditoriale sul mercato italiano. Sono le aspirazioni di molti migranti di origine africana, che hanno trovato una sponda in un programma di formazione e mentoring finanziato dalla Commissione Europea all’interno del progetto Bite ( Building Integration Through Entrepreneurship) e realizzato in Italia da Etimos Foundation in collaborazione con Fondazione Ismu e E4Impact. Si va da chi vuole aprire in Italia un fast food di prodotti africani a chi punta ad avviare una residenza per anziani in Camerun, un allevamento di pollame in Burkina Faso, o infine importare dal Senegal anacardi biologici prodotti dall’azienda di famiglia. Ma per dare gambe a queste idee bisogna acquisire una capacità imprenditoriale, conoscere le normative, districarsi nei meandri della burocrazia. Ai candidati selezionati è stata offerta la possibilità di partecipare a corsi di formazione a Milano e Padova, grazie ai quali hanno imparato a formulare un business plan e ad acquisire le competenze necessarie sotto la guida di esperti che li hanno accompagnati passo dopo passo a costruire un trampolino da cui spiccare il salto nel mondo dell’ intrapresa. «Sono molti i migranti di origine africana residenti in Italia da lungo tempo che associano uno spirito imprenditoriale a una grande determinazione e possono diventare incubatori di lavoro, qui o nei Paesi di origine, dove molti vorrebbero tornare per contribuire allo sviluppo delle loro terre – spiega Marco Santori, presidente di Etimos Foundation –. I corsi che abbiamo organizzato, della durata di un anno e mezzo, hanno rappresentato per loro una sorta di 'scuola d’impresa' che ha offerto conoscenze ed expertise per dare solidità alle aspirazioni che li animano». (G. Paolucci - Avvenire)

L’amore umano

2 Febbraio 2021 - Due volte, durante il colloquio con i farisei, che gli ponevano il quesito sulla indissolubilità del matrimonio, Gesù Cristo si è riferito al “principio”. […] “Principio” significa quindi ciò di cui parla il Libro della Genesi. È dunque la Genesi 1,27 che Cristo cita, in forma riassuntiva: “Il Creatore da principio li creò maschio e femmina” […] Il significato normativo è plausibile in quanto Cristo non si limita soltanto alla citazione stessa, ma aggiunge: “Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. Quel “non lo separi” è determinante. (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, mercoledì, 5 settembre 1979) Giovanni Paolo II è unanimemente riconosciuto come il Papa della famiglia e della promozione della vita, non ovviamente che gli altri pontefici – come abbiamo visto e vedremo – non abbiano confermato o ribadito i principi di una dottrina che è sempre stata fondamentale per la Chiesa, ma l’impegno di Papa Wojtyla su questo campo è stato davvero costante e massiccio per tutto l’arco del suo lungo pontificato. A meno di un anno dopo la sua elezione, egli decise di dedicare le udienze del mercoledì a quelle che furono chiamate le “catechesi sull’amore umano”, vere e proprie lezioni di teologia del corpo che evidentemente egli aveva elaborato in parte già prima di essere al soglio di Pietro, ovvero durante il periodo del Concilio, ma anche negli anni da arcivescovo di Cracovia e forse prima ancora come sacerdote attento alla pastorale dell’amore coniugale con i giovani che gli erano affidati. Con l’udienza del 5 settembre 1979, inizia quello che potrebbe definirsi un corso che si è protratto senza quasi soluzione di continuità fino al 28 novembre 1984. Circa 133 allocuzioni divise in sei cicli, che costituiscono un patrimonio unico di approfondimento teologico e dottrinale da cui non si può prescindere quando si voglia affrontare i fondamenti teorici e le ricadute pastorali sull’amore umano. Il primo ciclo è dedicato a “Il principio”, ovvero al richiamo di Gesù al libro della Genesi per esplicitare il valore dell’indissolubilità del matrimonio ai farisei che lo interrogavano. Il Signore Gesù è risoluto nella sua citazione e con la sua perentorietà rende norma superiore, perché fontale, originaria volontà di Dio Creatore quella che i farisei del suo tempo sembrano non considerare con la stessa valenza con cui valutano la legge mosaica che a certe condizioni permetteva il ripudio. Da sempre questa è stata la dottrina della Chiesa e ad essa, ai fondamenti di questa interpretazione filosofica e teologica dei versetti genesiaci, papa Giovanni Paolo II dedica parecchi incontri. Si respira nelle sue parole la volontà di non accontentarsi della norma, ma di sviscerarla in tutti i suoi risvolti, cercando di portare alla conoscenza di tutti i perché dell’insegnamento della Chiesa. L’immagine di Dio che è l’uomo nella duplicità di maschio e femmina, la solitudine originaria dell’uomo che cerca qualcuno che gli sia simile e solo nella donna può rispecchiarsi (“carne della mia carne”), l’unione sponsale che colma in pienezza il bisogno di amare della creatura e permette la fecondità generativa, rendendo le creature compartecipi della creazione. Questi sono solo alcuni dei temi affrontati dalle catechesi: una serie amplissima di approfondimenti che vanno a costituire le basi dell’antropologia cristiana a cui ancora oggi facciamo riferimento. C’è come ricaduta immediata per la vita degli sposi cristiani un’incrollabile fiducia nella fedeltà di Dio che non può venir meno alla sua promessa fatta “in principio”. L’indissolubilità del matrimonio, dunque, lungi dall’essere un vincolo dal peso insopportabile, si disvela in tutta la sua ampiezza come compartecipazione all’eternità di Dio che vuole per i suoi figli un amore senza fine. Una promessa che non viene mai meno e a cui si abbevera la Grazia continuamente elargita nel sacramento delle nozze. (Giovanni M. Capetta – Sir)    

Gesù, guariscimi!

1 Febbraio 2021 - Nel Vangelo di questa domenica, Marco ci fa conoscere il primo “gesto di potenza” attuato da Gesù, subito dopo la chiamata dei primi discepoli. Manifesta in questo modo cosa significa che il Regno di Dio è iniziato con la sua parola e la sua opera. Il passo del Deuteronomio, la prima lettura, parla della volontà di Dio di “suscitare” un profeta, al quale “gli porrò in bocca le mie parole”. L’ascolto del profeta diviene dunque l’ascolto di Dio. Siamo a Cafarnao, località sulle rive del lago di Galilea, luogo di frontiera del territorio di Erode Antipa, governatore della Galilea per conto dei romani. È sabato e Gesù, appena giunto nella città, là dove viveva Pietro, non va a cercare un luogo dove riposare, ma entra nella Sinagoga, e si mette a insegnare. “Insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi”, leggiamo in Marco. Chi lo ascolta è attirato dal suo parlare, provoca meraviglia e stupore negli abitanti; inoltre “si rivela potente anche nelle opere”, afferma papa Francesco all’Angelus, recitato nella biblioteca del Palazzo apostolico, presenti un piccolo gruppo di ragazzi dell’Azione cattolica a conclusione del mese della pace. Il Vangelo di Marco richiama l’espressione del Deuteronomio, e ci propone l’autorità con cui parla e opera l’inviato di Dio. Ecco i due elementi caratteristici dell’azione di Gesù, dice il Papa: “la predicazione e l’opera taumaturgica di guarigione”. Marco evidenzia di più la parola; l’esorcismo “viene presentato a conferma della sua singolare autorità e del suo insegnamento. Gesù predica con autorità propria e non come gli scribi “che ripetevano tradizioni precedenti e leggi tramandate. Ripetevano parole, parole, parole, soltanto parole – come cantava la grande Mina – erano così: soltanto parole”. E curioso il fatto che Marco, pur evidenziando la forza della parola di Gesù, non ci porta a conoscenza un suo discorso, ma un suo atto, l’episodio di un esorcismo. Un uomo, ascoltate le parole del Signore, reagisce dicendo: che c’entri con noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? La parola di Gesù “è autorevole”, ci dice Francesco, e questo “tocca il cuore. L’insegnamento di Gesù ha la stessa autorità di Dio che parla; infatti, con un solo comando libera facilmente l’ossesso dal maligno e lo guarisce. Perché la sua parola opera quello che dice. Perché egli è il profeta definitivo”. Nella Sinagoga di Cafarnao non era l’uomo a parlare, ma il maligno. “La predicazione di Cristo è rivolta a sconfiggere il male presente nell’uomo e nel mondo, e punta direttamente contro il regno di Satana, lo mette in crisi e lo fa indietreggiare, lo obbliga ad uscire dal mondo”. Quell’uomo posseduto, dice Francesco, “raggiunto dal comando del Signore, viene liberato e trasformato in una nuova persona”. La predicazione di Gesù “appartiene a una logica opposta a quella del mondo e del maligno: le sue parole si rivelano come lo sconvolgimento di un ordine sbagliato di cose”. Totale estraneità tra Gesù e Satana: “sono su piani completamente diversi”, tra loro “nulla in comune; sono l’uno l’opposto all’altro”. E Francesco invita a ascoltare le autorevoli parole di Gesù: “tutti abbiamo dei problemi, tutti abbiamo peccati, tutti abbiamo delle malattie spirituali”. Chiediamo a Gesù: “guariscimi!”. Nel dopo Angelus, l’ascolto del messaggio di pace dei ragazzi dell’Acr e l’annuncio di una giornata mondiale dedicata ai nonni e agli anziani, la quarta domenica di luglio, in prossimità della ricorrenza dei santi Gioacchino e Anna, i nonni di Gesù. “Lo Spirito Santo suscita ancora oggi negli anziani pensieri e parole di saggezza: la loro voce è preziosa perché canta le lodi di Dio e custodisce le radici dei popoli”. La vecchiaia è “un dono” e “i nonni sono l’anello di congiunzione tra le generazioni, per trasmettere ai giovani esperienza di vita e di fede”. Ma tante volte “sono dimenticati”. Importante che nonni e nipoti si incontrino: “è una ricchezza”. Cita Gioele, il Papa, per dire, “i nonni davanti ai nipoti sogneranno, avranno illusioni, grandi desideri, e i giovani, prendendo forza dai nonni, andranno avanti, profetizzeranno”. Dice questo alla vigilia della festa della presentazione di Gesù al tempio, 2 febbraio: “è la festa dell’incontro tra nonni e nipoti”. (Fabio Zavattaro – Sir)    

Migrantes ricorda la giornata della memoria

27 Gennaio 2021 -

Roma - Oggi, 27 gennaio, si celebra la Giornata della Memoria. È un’occasione - sottolinea la Fondazione Migrantes - per ricordare una pagina buia, se non la più buia e triste della storia recente. Non può certo essere un giorno qualunque perché oggi facciamo memoria dell’eccidio di almeno sei milioni di ebrei. Insieme al popolo ebraico, non dimentichiamo nemmeno i 500 mila, tra rom e sinti, morti nei campi di concentramento nazisti. Un genocidio noto come Porrajmos, che in lingua romanì ha un duro significato: divoramento. Questa tragedia non può essere lasciata nei meandri del passato perché ha coinvolto uomini, donne e bambini che ancora oggi sono discriminati e vivono la loro quotidianità fatta di emarginazione, di rifiuto e di sofferenza dentro le nostre città, dentro la nostra vita indifferente verso chi cerca attenzione. Rom e sinti provocano ancora paura e vergogna nella nostra società concentrata sul benessere e sull’apparire. La domanda di Dio a Caino: “Dov’è tuo fratello?” fu rivolta agli uomini e donne al termine del genocidio nei campi di sterminio. Questa stessa domanda oggi viene rivolta a noi. “Dov’è tuo fratello zingaro che io ti ho posto accanto?”.

 

Scout Vicenza: raccolta per i migranti del campo di Lipa

27 Gennaio 2021 - Vicenza - “Servire”, parola dalle mille sfaccettature e dai numerosi significati, per gli scout assume un valore ben preciso che troviamo perfettamente espresso nel vocabolario Treccani: «Compiacere, essere utile ad altri, soddisfarne i desideri con atto disinteressato di cortesia: diletto prendano dal servire (Boccaccio)». Un significato genuino e autenticamente altruista, che rende l’atto del servizio un elemento imprescindibile in una società illuminata. È con questa parola ben ancorata nella mente che ragazzi tra i diciassette e i vent’anni del gruppo scout Vicenza 9 di San Pio X, collaborando con l’associazione ARAI e Libri Contro Fucili, hanno organizzato domenica 24 gennaio una raccolta di materiale diretto in Bosnia per i migranti costretti a vivere nel gelo e nella neve. Il campo di Lipa in cui erano ammassati è bruciato in un rogo infernale ormai un mese fa. Tanta è stata la generosità della cittadinanza, vicentina e non solo, che si è ordinatamente e pazientemente messa in fila per contribuire a “rendere il mondo un po’ migliore”. A lasciare di stucco è stato il quantitativo di materiale raccolto: generi alimentari e sanitari, indumenti, scarpe, coperte, zaini, tende. I giovani volontari si sono ritrovati così il piazzale completamente sommerso, tanto che ad un certo punto hanno dovuto bloccare le consegne e chiamare rinforzi. Grazie al contributo di altri gruppi scout, delle associazioni del quartiere, dei genitori, della parrocchia, il gruppo di volontari, bardato di guanti e mascherina, ha raccolto, selezionato e smistato tutto, riempiendo completamente un salone di centinaia di sacchi di vestiti e un altro di altrettanti scatoloni di generi alimentari e sanitari. In queste settimane il tutto verrà condotto in Bosnia da NONAMEKITCHEN, organizzazione spagnola che sarà capofila in questa azione. I capi del gruppo scout Vicenza 9 Elia Pizzolato e Michele Pomi, insieme al presidente di ARAI Rino Pomi sono senza parole: “Si è creata una vera e propria rete di persone e associazioni che hanno collaborato spontaneamente per raggiungere un tale obiettivo e questo è stato davvero il risultato più grande. Vedere la partecipazione e l’impegno di tanti giovani per un fine benefico è un piccolo ma importante tassello per costruire una società più umana e solidale”. Il materiale non adatto ad essere inviato in Bosnia verrà donato ad altre organizzazioni, della città e non solo. I volenterosi giovani scout sono già di nuovo al lavoro per scovare i destinatari.    

Giorno della memoria: un progetto contro l’intolleranza promosso da alcuni istituti di Cultura

27 Gennaio 2021 - Roma  - In occasione del Giorno della Memoria domani, giovedì 28 gennaio alle ore 17.30 gli Istituti Italiani di Cultura di Belgrado, Bucarest e Varsavia propongono in collaborazione con la Fondazione CDEC - Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea un evento pubblico di dimensione europea. Verrà presentato per la prima volta il progetto Intolerance Has No Place in the 21st Century che ha ottenuto il finanziamento europeo nel programma Europe for Citizens. Il progetto si propone di contrastare l’intolleranza attraverso l’educazione. Insegnanti provenienti da Italia, Polonia, Romania e Serbia realizzeranno proposte educative offrendo agli studenti gli strumenti per opporsi all’intolleranza  

Condividere la vita

27 Gennaio 2021 - Ogni coppia cristiana e ogni famiglia cristiana proclamano con la loro stessa esistenza che Dio è amore e che vuole il bene dell’umanità. La croce non è certo assente da questa comunione, così come non è assente da nessuna manifestazione d’amore. Sarebbe quindi vano e pericoloso desiderare un matrimonio che non portasse il segno della croce, né per sofferenza fisica, né per dolore morale o spirituale. Siete lì però a testimoniare che la grazia, la forza e la fedeltà di Dio danno la forza per portare la croce. Il sacramento è una fonte permanente di grazia che accompagna gli sposi per tutta la vita. (Paolo VI, Intervento al pellegrinaggio dell’Équipes Notre-Dame, mercoledì 22 settembre 1976)   Rivolgendosi a oltre tremila partecipanti all’incontro internazionale dell’Équipes Notre-Dame, Paolo VI ha modo di dimostrare tutta la sua sollecitudine per la famiglia cristiana e conseguentemente il suo affetto per questo movimento di spiritualità cristiana che vede nel matrimonio il suo elemento cardine. Il Papa richiama ancora la centralità del titolo di “chiesa domestica” e quanto scritto nella sua esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. Si tratta di valorizzare “il potenziale di evangelizzazione che […] è presente all’interno di ogni famiglia cristiana nella corrente di affetto, di confidenza, di intimità che unisce i suoi membri”. Non vi sono dubbi, l’amore che alimenta la famiglia cristiana non può rimanere chiuso fra le mura domestiche ma è di per sé espansivo, da rivolgersi all’esterno, perché quella del matrimonio è una missione che non si esaurisce nell’amore della coppia. Nel contesto di questo invito, il Papa, però, fa una digressione: la testimonianza dell’amore che le famiglie vivono con la loro stessa esistenza non può fermarsi di fronte allo scandalo della croce. Non ha senso, sarebbe “vano e pericoloso” pensare che la dimensione della sofferenza sia assente dalla prospettiva del matrimonio. È una tentazione a cui si può andare incontro, soprattutto se si è vissuto un fidanzamento sereno e felice, quasi che vi siano dei meriti da accampare nei confronti del Signore. “Siamo una bella coppia, la salute ci arride, abbiamo grandi sogni e prospettive…”, eppure nessuna pretesa si può accampare di essere esentati dal male. Saggezza e prudenza vogliono che gli sposi vivano in pienezza la loro gioia, ma lascino spazio all’imprevisto, non si facciano trovare impreparati all’incombere della prova. Di fronte alla sofferenza, al dolore fisico e spirituale le famiglie sono tutte uguali, possono venire colpite in ogni momento. Diversa, però, è la reazione che si può mettere in campo. La tempesta della parabola evangelica non fa sconti a nessuno, piove sui giusti e sugli ingiusti, sugli sprovveduti e sui provvidi, ma questi ultimi hanno costruito la loro casa sulla roccia ed è per questo che essa non crolla. La roccia è l’affidamento a Dio, sono le fondamenta che si nutrono di fede e speranza, ma anche di fiducia reciproca e di mutuo sostegno. Quando una croce emerge dirompente nella vita di una famiglia cristiana è allora che la testimonianza può rendersi ancora più trasparente è feconda di bene. Prima di tutto nel non farsi prendere dalla vergogna, o dallo strenuo tentativo di cavarsela da soli. La sofferenza fa parte della vita e non ci sono colpe da nascondere o responsabilità da stigmatizzare. Per questo è bene riuscire ad aprirsi ai fratelli. Sia chi chiede aiuto, prima di tutto attraverso la preghiera, sia chi viene in soccorso, tutti beneficiano di un amore che si fa condivisione piena di vita. Vivere la gratuità dell’amicizia e della fratellanza è uno degli aspetti più essenziali della comunione ecclesiale che le famiglie cristiane possono incarnare nel loro cammino. Non ci si salva mai da soli, la Chiesa è una famiglia di famiglie che non teme il dolore perché sa che il Signore ha vinto la morte per sempre. (Giovanni M. Capetta – Sir)    

Il momento di Dio

25 Gennaio 2021 - Città del Vaticano - Al centro del Vangelo di questa domenica – siamo tornati a quello di Marco che, attorno all’anno 70, ha raccolto la testimonianza di Pietro – c’è il racconto della chiamata dei primi discepoli, l’inizio della vita pubblica di Gesù e la sua prima predicazione: “il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino”. Sullo sfondo, la prima lettura, la chiamata di Giona, o meglio la seconda chiamata visto che la prima volta il profeta fugge e va dalla parte opposta a Ninive, dove Dio vorrebbe inviarlo. Non per paura o per la difficoltà della prova, ma perché non può comprendere che la conversione è il frutto della misericordia di Dio. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni rispondono subito alla chiamata del Signore; ai primi due “Gesù disse loro: venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini. E subito lasciarono le reti e lo seguirono”. Così i due fratelli, incontrati poco dopo, che “lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui”. Giovanni Battista è stato arrestato e ucciso da Erode, e il Signore sente che è giunto il suo tempo, anzi “il tempo è compiuto”. La vita pubblica di Gesù inizia non a Gerusalemme, ma, possiamo dire con papa Francesco, nelle periferie dell’esistenza: la Galilea è terra lontana dalla capitale. È qui che incontra i suoi primi discepoli, gente semplice, poveri pescatori. È da questa periferia che sceglie di iniziare la sua missione: luogo marginale, escluso, abitato da poveri, da pagani e rivoluzionari. Ma è proprio da questo luogo, dove non ha difficoltà ad incontrare i samaritani giudicati eretici, scismatici, separati dai giudei, che dice: sono finiti i giorni dell’odio, della contrapposizione, della divisione. Papa Francesco, all’Angelus, ci invita a riflettere su due temi: il tempo e la conversione. Si tratta di “cambiare mentalità e cambiare vita: non seguire più i modelli del mondo, ma quello di Dio, che è Gesù”. La conversione, ricorda il Papa, “è un cambiamento decisivo di visione e di atteggiamento. Infatti, il peccato ha portato nel mondo una mentalità della mondanità, che tende all’affermazione di sé stessi, definendosi contro gli altri e anche contro Dio, e per questo scopo non esita a usare l’inganno e la violenza”. Queste portano alla “cupidigia”, alla “voglia di potere e non di servizio, guerre, sfruttamento della gente”. A ciò si oppone Gesù “che invita a riconoscersi bisognosi di Dio e della sua grazia; ad avere un atteggiamento equilibrato nei confronti dei beni terreni; a essere accoglienti e umili verso tutti; a conoscere e realizzare se stessi nell’incontro e nel servizio agli altri”. Poi il tempo, “quello in cui l’azione salvifica è giunta al suo culmine, alla sua piena attuazione: è il momento storico in cui Dio ha mandato il Figlio nel mondo”, ricorda Francesco. “Per ciascuno di noi – ha aggiunto – il tempo in cui poter accogliere la redenzione è breve: è la durata della nostra vita in questo mondo”. Ma la vita è breve, “vola via la vita”. È dono dell’infinito amore di Dio, “ma è anche tempo di verifica del nostro amore verso di lui. Perciò ogni momento, ogni istante della nostra esistenza è un tempo prezioso per amare Dio e il prossimo, e così entrare nella vita eterna”. Il tempo lo misuriamo in ore, giorni, anni; ma c’è anche un altro modo, dice il Papa, composto dalle stagioni del nostro sviluppo: nascita, infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia, morte. “Ogni tempo, ogni fase ha un valore proprio, e può essere momento privilegiato di incontro con il Signore. La fede ci aiuta a scoprire il significato spirituale di questi tempi: ognuno di essi contiene una particolare chiamata del Signore”. Il riacutizzarsi della sciatalgia non ha permesso al Papa di essere in San Pietro e nella basilica di San Paolo per la conclusione della 54ma Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Proprio la basilica dedicata all’apostolo delle genti venne scelta da Giovanni XXIII, 25 gennaio 1959, per indire il Concilio ecumenico Vaticano II. E sarà sempre questa basilica ad essere indicata come luogo per la celebrazione conclusiva della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, istituita nel 1910 in seguito alla necessità, manifestata dai missionari delle varie confessioni cristiane, di presentarsi uniti, e quindi credibili, nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo. (Fabio Zavattaro)  

Costruire insieme

22 Gennaio 2021 - Loreto - «Ma che cosa possiamo fare insieme?» è la domanda che ci dovrebbe sempre inseguire. Ecumenismo, infatti, è fare qualcosa con chi è dell'altra sponda. La settimana per l’unità dei cristiani, che stiamo vivendo, é proprio un appello missionario senza appello. Invito stringente. Deciso. Coinvolgente. Davanti agli occhi ci mette la nostra vera missione: l’unità, la comunione. E in un contesto attuale - da qualsiasi punto di vista lo si guardi – contesto di fibrillazione e di frammentazione la domanda più assillante dovrebbe essere questa, per davvero: «A che cosa devo rinunciare perchè vinca l’unità ?» La comunione sta al di sopra di tutto e di ognuno. Sì, una convinzione fondamentale del cristiano. Come missionario, per tantissimi anni all’estero spesso mi sono trovato a vivere in un Paese protestante. Ricordo ancora con gioia una celebrazione funebre per un emigrante italiano a Ginevra. Ci si era divisi i tempi con un pastore calvinista: a lui la spiegazione della Parola, a me i gesti di rito come la luce,  l’acqua e l’incenso – che i protestanti non contemplano – con il loro commento simbologico. Alla fine, non posso dimenticare come la moglie stessa del pastore ci venne incontro, raggiante, per ringraziare entrambi. La complementarietà dei nostri interventi aveva dato alla celebrazione un senso, un’interiorità, una fede convinta e condivisa. E anche allora il pastore aveva fatto brillare due belle qualità della tradizione protestante: l’essenzialità e l’efficacia. Un altro giorno, è proprio durante la celebrazione per un’anziana italiana defunta che noto la presenza di un pastore protestante nell’assemblea. Durante il corteo verso il camposanto, allora, discretamente mi avvicino per chiedergli di improvvisare la preghiera al cimitero. Mi risponde con un’occhiata indecifrabile... Ma, poi, in quel piccolo cimitero che sembrava un giardino, mentre scendeva lentamente la bara nella terra, incominciò forte: «Tu ci hai fatti di terra, Signore, e alla terra noi tutti ritorniamo!», improvvisando, poi, una bella e commossa preghiera finale. Con il suo linguaggio biblico ci inchiodò alla terra. Ci fece sentire tutti semplice argilla. E ci depose, allo stesso tempo, nelle palme accoglienti delle mani di Dio. Per i presenti fu un momento forte e indimenticabile di speranza. Per me, in fondo, occasioni incredibili di fraternità con pastori protestanti, da sempre appassionati della Parola di Dio. Ecumenismo è costruire dei ponti, lanciare delle passerelle con quelli dell’altra riva. Sapendo che, un giorno, Dio stesso asciugherà il mare che ci separa. (p. Renato Zilio - Direttore Migrantes Marche)

Fondazioni bancarie attive per l’inclusione a favore dei migranti

22 Gennaio 2021 - Modena - Quattro esperienze di inclusione lavorativa e sociale a favore dei migranti, sostenute da quattro fondazioni bancarie che hanno permesso di dare gambe a progetti costruiti nel segno dell’integrazione. Una collaborazione tra mondo finanziario e società civile nel segno della sussidiarietà. Se ne è parlato in un confronto che ha messo in evidenza il dinamismo costruttivo presente nel nostro Paese (all’interno di uno dei webinar proposti dal festival della Migrazione,ndr). A Modena c’è WelcHome, progetto di accoglienza di minori stranieri per favorire l’apprendimento della lingua, le competenze professionali e la sistemazione abitativa sostenuto da Fondazione di Modena e promosso dall’amministrazione comunale e dall’associazionismo locale. A Bologna School 4 Job, progetto a cura della Cooperativa sociale Arca di Noè e realizzato con il sostengo della Fondazione Carisbo, favorisce lo scambio di competenze utili alla ricerca del lavoro tra giovani richiedenti asilo e studenti italiani. A Parma l’azienda di logistica Number1 ha sviluppato Next, che si propone come soluzione per allineare la richiesta di personale da parte di un’impresa con la ricerca di lavoro da parte di migranti e rifugiati, il tutto in collaborazione con Caritas e Ciac Onlus e il sostegno della Fondazione Cariparma. Infine, a Palermo, il Centro Italiano Aiuti all’Infanzia con l’aiuto economico della Fondazione Cariplo ha realizzato Ragazzi Harraga, che propone esperienze di inclusione sociale per minori migranti non accompagnati. «Questa ricchezza di iniziative è resa possibile dalla capacità di ascolto delle esigenze del territorio da parte delle fondazioni bancarie - ha sottolineato il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, moderatore dell’incontro -. E testimonia quanto esse possano essere custodi di un umanesimo ancora vivo e vitale nel nostro Paese». Il presidente della Fondazione di Modena, Paolo Cavicchioli, ha messo in evidenza che «il sostegno alle best practices è l’attuazione della nostra missione solidaristica e dell’attenzione ai diritti fondamentali delle persone», mentre il pericolo di una frammentazione è stato evidenziato dal presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Fosti: «Le fragilità e la perdita di coesione sociale sono aspetti che preoccupano chiunque ha a cuore il bene comune, e le fondazioni possono contribuire ad azioni di ricomposizione delle comunità nel segno della solidarietà, promuovendo ciò che aiuta a costruire legami». E proprio la tessitura di legami è uno degli obiettivi del Festival delle migrazioni di Modena che, come ha ricordato il portavoce Edoardo Patriarca, da anni propone all’attenzione dell’opinione pubblica esperienze che contribuiscano a una narrazione realistica e non strumentale di un fenomeno che appartiene ormai alla normalità della nostra epoca. (Giorgio Paolucci – Avvenire)

Tv2000: telegiornale anche la domenica

22 Gennaio 2021 - Roma - Novità a Tv2000: a partire dal 24 gennaio il telegiornale andrà in onda anche la domenica con due edizioni alle 18.30 e alle 20.30. L'edizione domenicale del Tg2000, diretto da Vincenzo Morgante, va a rafforzare gli spazi dedicati all'informazione dell' http://www.tv2000.it/tg2000/. Il Tg2000 ha anche una App dedicata. L’offerta informativa di Tv2000 copre l'intera settimana. Tutti i giorni dal lunedì alla domenica notiziari quotidiani e rubriche di approfondimento di politica, cultura, economia, sport con particolare attenzione alle realtà meno illuminate dai media. Una finestra sempre aperta sul Medio Oriente dopo l'apertura dell’ufficio di corrispondenza da Gerusalemme. Le notizie vengono approfondite con analisi e commenti, per aiutare i telespettatori a discernere e a capire oltre i titoli che scorrono veloci in rete. L'emittente cura molto l'affidabilità delle fonti e coltiva con attenzione uno stile non aggressivo, offrendo un racconto che si affida a uno sguardo diverso, più umano. L’attività del Papa e della Chiesa vengono raccontate non per dovere istituzionale ma perché nelle parole e nei gesti di Francesco passa tutti i giorni un contenuto esistenziale che intercetta le domande più importanti di ogni uomo sul senso della vita. «L’informazione di Tv2000 apre stabilmente le porte alla domenica - sottolinea il direttore di Rete e del Tg2000 Vincenzo Morgante - Per noi è un passo storico che abbiamo voluto con convinzione e che è stato possibile grazie al sostegno e alla vicinanza della Conferenza episcopale italiana. Un traguardo che raggiungiamo a compimento di un lungo lavoro avviato dai miei predecessori Paolo Ruffini e Lucio Brunelli. Insieme al nostro amministratore delegato Massimo Porfiri, decisivo e imprescindibile anche in questa fase, arriviamo con orgoglio a offrire ai nostri telespettatori un’informazione autorevole, credibile e senza limiti. Anche la scelta del 24 gennaio assume un valore speciale perché ricorre nel giorno della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti”. “La nostra offerta televisiva – prosegue il direttore Morgante - si rafforza e afferma come un vero servizio pubblico. Vogliamo essere sempre più l’emittente vicina alla gente che, anche grazie ad una straordinaria redazione, comunica attraverso immagini e parole non gridate, ruvide o grossolane. Preferiamo la parola argomentata a quella strepitata. Dal giorno del mio insediamento - aggiunge Morgante - ho voluto precisare che ogni mia richiesta di essere al passo con i tempi non poteva e non doveva essere interpretata estensivamente e che, comunque, non avrebbe mai incluso il chiacchiericcio, il dileggio, la sboccatura, lo scherno e i toni sovreccitati. La nostra identità è chiara e senza equivoci. Il nostro sguardo, carico di fiducia, è sempre proiettato in avanti verso un futuro che deve guardare al presente. E il futuro significa guardare anche al digitale».

Istat: mobilità e migrazioni in forte flessione nelle fasi di lockdown per Covid-19

21 Gennaio 2021 - Roma - I dati provvisori sull’andamento dei flussi migratori nei primi otto mesi del 2020 mettono in evidenza una forte flessione delle migrazioni (complessivamente -17,4%). Le misure di contenimento della diffusione dell’epidemia messe in atto dal Governo a marzo 2020 hanno ridotto al minimo la mobilità interna (flussi inter-comunali, tra province e tra regioni) con pesanti ripercussioni anche sui trasferimenti di residenza da o per l’estero. Lo rivela oggi il Report "Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente" dell'Istat​. Il confronto tra l’andamento dei flussi osservati nei primi otto mesi del 2020 e la media dei flussi rilevati nello stesso periodo del 2015-2019 mette in evidenza una flessione pari al 6% per i movimenti tra comuni, al 12% per le cancellazioni anagrafiche per l’estero e al 42% per i flussi provenienti dall’estero. Tuttavia, a partire da giugno 2020, tutti i flussi migratori sembrano riprendere il loro trend e tornare quasi ai livelli pre-lockdown (Figura 7). A livello territoriale, non tutte le regioni hanno risentito con la stessa intensità delle restrizioni imposte alla mobilità. La Calabria ha ridotto di quasi un terzo la mobilità complessiva, il Molise e il Lazio di un quinto, mentre per il Friuli-Venezia Giulia e il Veneto si osserva una riduzione del 7% rispetto alla media delle migrazioni nello stesso periodo degli anni 2015-2019. Con riferimento ai trasferimenti di residenza interni al Paese (in calo del 6%), le misure restrittive e il rallentamento dell’attività amministrativa, soprattutto nelle prime fasi del lockdown, hanno inciso maggiormente sui movimenti a breve raggio (trasferimenti entro i confini provinciali, -7%), un po’ meno per la mobilità a medio e lungo raggio (all’interno della regione e tra regioni diverse, rispettivamente -4% e -6%). Inoltre, si osserva una riduzione dell’11% dei flussi verso i capoluoghi di provincia. Non si rilevano, invece, significative variazioni strutturali sulla composizione dei flussi interni. In generale, la sospensione momentanea della mobilità residenziale ha avuto un impatto uniforme sulle caratteristiche socio-demografiche dei trasferiti. Differenti considerazioni valgono per i flussi da e per l’estero per i quali i blocchi alle frontiere hanno ridotto sensibilmente il volume in ingresso e in uscita di immigrati ed emigrati. La prima sostanziale differenza si evidenzia nella composizione dei paesi di origine per gli iscritti dall’estero. Il confronto tra il numero di ingressi nei primi otto mesi del 2020 e il numero medio degli ingressi nello stesso periodo degli ultimi cinque anni mostra un calo drastico dei flussi provenienti dall’Africa: si riducono a poche centinaia gli immigrati provenienti da Gambia (-85%) e Mali (-84%), sono fortemente in calo i flussi dalla Nigeria (-73%), quasi dimezzati quelli provenienti da Egitto (-47%) e Marocco (-40%). Forti diminuzioni anche per gli ingressi da Cina (-63%), Brasile (-49%), e Romania (-48%). I flussi che decrescono in misura meno significativa sono quelli provenienti dagli altri paesi dell’Unione europea: -12% da Svizzera e Francia, -10% dalla Spagna e -4% dalla Germania.  

La realtà delle migrazioni è un mondo capovolto

21 Gennaio 2021 -

Milano - Le migrazioni internazionali sono un tema così carico di risonanze e così politicizzato che spesso le posizioni ideologiche oscurano l’analisi dei fatti e distorcono i numeri effettivi del fenomeno. Serve quindi una tensione costante a riportare l’attenzione su dati il più possibile oggettivi, per comprendere anzitutto e poi per governare questa sfida globale del nostro tempo.

Giunge a proposito, in questi giorni, il rapporto dell’Onu sulle migrazioni internazionali nel 2020 appena terminato. Lo studio testimonia ancora una volta una crescita della componente dell’umanità che per varie ragioni risiede al di là dei confini del Paese di cui è cittadina: siamo arrivati a quota 281 milioni, oltre 100 milioni in più di vent’anni fa, quando la cifra si attestava sui 173 milioni. I migranti internazionali rappresentano tuttavia una quota esigua degli abitanti del pianeta: il 3,6%. Gli esseri umani rimangono una specie fondamentalmente sedentaria, o comunque non avvezza ad avventurarsi troppo lontano dai luoghi di origine. Per di più, la pandemia da Covid-19 nel 2020 ha drasticamente frenato tutte le forme di mobilità umana, dal turismo ai viaggi d’affari, coinvolgendo anche le migrazioni. La stima è di circa 2 milioni di migranti in meno di quelli previsti prima della crisi sanitaria. Ma non è questo il maggiore impatto della pandemia. La conseguenza più grave delle restrizioni e del blocco di molte attività economiche consiste in una severa riduzione delle rimesse, ossia dei risparmi che gli emigranti mandano alle proprie famiglie in patria: sono essi stessi ad aiutare casa loro, molto più dei soccorsi internazionali. I flussi di rimesse si sono mostrati storicamente resilienti nei confronti delle avversità, continuando ad arrivare in patria anche in tempi di crisi, ma questa volta secondo l’Onu la pandemia li ha colpiti duramente: la stima è di un calo da 548 miliardi di dollari nel 2019 a 470 nel 2021, il 14% in meno. Il raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile lanciati dalle Nazioni Unite rischia di essere drammaticamente rallentato, a meno che gli Stati sviluppati non decidano di compensare almeno in parte il diminuito apporto delle rimesse degli emigranti aumentando gli investimenti nella cooperazione internazionale.

Un secondo problema riguarda, più che i numeri, la composizione dei flussi migratori e la loro destinazione. I rifugiati, ossia i migranti forzati, rappresentano oggi il 12% dei migranti internazionali, contro il 9,5% del 2000: crescono più rapidamente di chi sceglie volontariamente di partire. Soprattutto, nei Paesi ad alto reddito i rifugiati comprendono il 3% circa degli immigrati, ma salgono al 25% nei Paesi a medio reddito e arrivano al 50% nei Paesi più poveri. È un mondo capovolto, in cui sono le regioni con meno risorse a farsi carico di chi ha più bisogno di protezione, mentre chi avrebbe più mezzi accoglie in realtà numeri assai più ridotti di persone in cerca di asilo.

Al quadro si aggiungono un paio di elementi informativi che aiutano a dissipare alcuni dei più radicati luoghi comuni sulle migrazioni. Il primo riguarda i luoghi di origine. Pochi immigrati arrivano dall’Africa e in generale dai Paesi più poveri. Il maggiore Paese di partenza è in realtà l’India, con 18 milioni di emigrati. Seguono Messico e Russia con 11, poi la Cina con 10. I principali protagonisti delle migrazioni sono Paesi di livello intermedio, e anche in rapido sviluppo.

Un altro bagno di realtà riguarda il genere. Solitamente si pensa che gli immigrati siano giovani uomini, ma le donne rappresentano in realtà quasi la metà dei migranti internazionali, e la maggioranza in Europa. Le Nazioni Unite ne tessono l’elogio, definendole «catalizzatrici del cambiamento», in quanto promotrici di progressi sociali, culturali e politici nelle loro famiglie e comunità.

La conoscenza non può sostituire la politica, e da tempo abbiamo smesso di credere che cambierà il mondo. Possiamo però almeno sperare che aiuti a discutere con più razionalità un fenomeno complesso come le migrazioni internazionali, e a formulare proposte aderenti alle migrazioni reali, anziché a quelle immaginate e fatte 'percepire' dalla propaganda. (Maurizio Ambrosini – Avvenire)

 

 

America centrale: vescovi ai Governi, “non siamo violati diritti dei migranti, agire insieme in modo integrale e umano”

20 Gennaio 2021 - Roma - “Riconosciamo e rispettiamo il legittimo diritto alla sovranità dei Paesi coinvolti nel transito di questi migranti. Tuttavia, nel nome della carità politica auspicata da Papa Francesco, chiediamo che i loro diritti umani non siano violati e che ci sia un atteggiamento profondamente umanitario nei loro confronti, indipendentemente dalla loro situazione migratoria”. A sostenerlo è il Sedac, il Segretariato Episcopale dell’America Centrale (che riunisce i vescovi dell’area), in una nota firmata dal Presidente, mons. José Luis Escobar Alas, e dal Segretario generale, il card. Gregorio Rosa Chávez, rispettivamente arcivescovo e vescovo ausiliare di San Salvador (El Salvador), riferisce il Sir. Il riferimento è, in particolare, all’ultima carovana di migranti, formata da un numero stimato tra le 6mila e le 9mila persone, che si è mossa dall’Honduras lo scorso fine settimana e che è stata sostanzialmente bloccata con la forza dalle autorità del Guatemala e poi dispersa, con numerose detenzioni, mentre molti migranti sono stati fatti tornare in Honduras in pullman. Proseguono i vescovi: “Di fronte a eventuali situazioni e fatti di violenza, facciamo un appello urgente alle Istituzioni che svolgono il ruolo di garanti e supervisori del rispetto e della tutela dei diritti umani e delle garanzie costituzionali” affinché “si mantengano la totale allerta e il costante monitoraggio della difesa delle persone, in particolare donne e bambini”. La nota ribadisce che “la doverosa attenzione ai flussi migratori, in tutte le loro dimensioni, non è compito di un solo Paese. Per questo motivo ribadiamo l’appello ai Governi della regione e al Messico perché agiscano insieme, in modo integrale e umano, rispetto alla realtà migratoria regionale. Ancora una volta ricordiamo: dobbiamo affrontare le cause strutturali che originano la migrazione”. Da ciò derivano alcune ulteriori richieste: “Garantire la sicurezza dei migranti che transitano nei rispettivi Paesi, impedendo loro di essere vittime della criminalità organizzata e della criminalità comune” e “rispettare il diritto di accesso al territorio e di non ritorno di tutti coloro che hanno un’esigenza speciale di protezione internazionale”. Allo stesso modo, insistono i vescovi centroamericani, “sollecitiamo il rispetto del nucleo familiare”. Infine, la richiesta ai Governi della regione di “sviluppare politiche che offrano effettivamente opportunità di miglioramento a tutti, principalmente studio per i giovani e lavoro per gli adulti; in modo che non siano costretti a lasciare il proprio Paese, mettendo a rischio la propria vita”.

Maria conforto dei migranti

18 Gennaio 2021 - Loreto - “Maria conforto dei migranti”. Questa invocazione, recentemente inserita da Papa Francesco nelle litanie lauretane si rivela oggi particolarmente suggestiva e appropriata. Nel contesto attuale, straordinariamente evocativa. Evoca la radice stessa dell’appellativo. Il termine ‘conforto’ ci riporta al significato originario di «fortificare», di «far coraggio», di «dare forza» nel tollerare delle avversità. Maria si fa «conforto dei migranti» perché è lei per prima a subire la sofferenza, l’ingiustizia, l’incomprensione o la persecuzione. Per questo può comprendere e farsi compagna di viaggio di coloro che sono perseguitati, che subiscono ingiustizie e fuggono dal loro Paese per guerra, fame, persecuzione o povertà. Essendo madre, lei può comprendere tante madri, i cui figli vengono violentati, muoiono in mare, affrontano avventure impossibili. Lei, che ha subito davanti ai propri occhi la morte dell’unico figlio, può capire meglio di ognuno la madre che vede partire la propria creatura su una barca e non sa se potrà mai più tornare e, forse, arrivare. È conforto, perché solo lei può mettersi in ascolto di queste sofferenze. Donna capace di ascolto, intuitiva per natura, madre del «fiat», del sì all’ispirazione di Dio. È colei che apre il proprio grembo all’accoglienza, senza farsi troppe domande, porsi dei dubbi, ma, pur con esitazione, mostrare una fede sorprendente. Maria si fa grembo di vita: tutte le vite, ormai, sono per lei qualcosa da difendere e da proteggere. Sa farsi grembo e accogliere il mistero. Se ogni persona è mistero, ancor più lo è un essere umano che si metta sulle orme di Abramo… Condotto misteriosamente da Dio e da quella speranza e quel coraggio che solo Lui sa infondere in un essere umano. Fuggendo nottetempo in Egitto, lei stessa si fa migrante, prova le umiliazioni e le sorprese dell’avventura del migrare. Chi meglio di lei, allora, può «prendersi cura» del dolore e della sofferenza di queste popolazioni in cammino verso la dignità, una terra desiderata con tutte le forze dell’anima? Con un semplice appellativo orante, - conforto dei migranti - Maria ci introduce nel valore dell’empatia e delle sue molteplici valenze. Ci fa entrare in quell’asserzione cristallina, maturata nella riflessione teologica di D. Bonhoeffer: «Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono, che per quello che fanno o non fanno. L’unico rapporto fruttuoso con gli esseri umani – specie con i deboli – è l’amore». «Conforto» perché, come in ogni materna monizione, ella sa aiutare i propri figli a capire la fecondità segreta del sacrificio, delle avversità o delle prove da affrontare.  Come ogni madre sa ispirare il senso rigenerativo, trasformante, del male che si incontra. E sa indicare nelle ferite delle feritoie di una luce misteriosa, che rinnova. Per i migranti, in particolare, sa introdurli nel valore della vita e della sua ambivalenza: una lotta e una danza, al tempo stesso. Sì, qualcosa di amaro e di duro da affrontare, ma anche qualcosa di grande e prezioso da vivere. Perché il migrare apre il cuore e la mente all’altro, innesta in una nuova fratellanza, fa riscoprire una universalità più vasta. Ed è il mondo come una casa comune, l’umanità come un’unica famiglia. Così, lei insegna ad affrontare una lotta al passo di danza. Nel cuore delle difficoltà, in fondo, imprime quella forza d’animo e quella serenità, che sanno ancora di miracolo. Maria, «conforto dei migranti», ricordalo a noi. E ricordati di noi! (R.Z.)    

Non disperdiamo memoria e speranza

14 Gennaio 2021 - Roma - Uno degli aspetti che maggiormente contraddistinguono la comunicazione attuale è l’istantaneità dei messaggi che si susseguono in maniera vorticosa. Questa fagocita la tessitura di quel senso che aiuta a capire i fatti, che emerge in ciò che avviene e che aiuta nella comprensione. Lo stiamo sperimentando, in maniera emblematica, in questo tempo di pandemia. Quanto è difficile alimentare e sostenere la memoria collettiva fuggendo da ogni forma di dispersione! Proprio per contrastare questo rischio è nato il progetto www.memoriadelcovid.it, realizzato da Fisc e Corallo con il coordinamento dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali. L’obiettivo? Non disperdere le tante storie di speranza nate ogni giorno nelle nostre Chiese locali dall’inizio dell’emergenza e contribuire a formare la memoria di come la Chiesa italiana sta vivendo il tempo del Covid-19. (Vincenzo Corrado)

Nuove regole per le ceneri nel tempo del virus

13 Gennaio 2021 - Città del Vaticano - Anche il rito dell’imposizione delle ceneri, all’inizio del tempo di Quaresima, dovrà rispettare alcune regole anti-Covid. La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha dato indicazione sulla modalità da seguire. «Pronunciata la preghiera di benedizione delle ceneri e dopo averle asperse con l’acqua benedetta, senza nulla dire, il sacerdote, rivolto ai presenti, dice una volta sola per tutti la formula: “Convertitevi e credete al Vangelo” o “Ricordati, uomo, che polvere tu sei e in polvere ritornerai”. Quindi il sacerdote asterge le mani e indossa la mascherina a protezione di naso e bocca, poi impone le ceneri a quanti si avvicinano a lui o egli stesso si avvicina a quanti stanno in piedi al loro posto, lasciando cadere le ceneri sul capo di ciascuno, senza dire nulla».

Annunciare il Vangelo

12 Gennaio 2021 - Nell’ambito dell’apostolato di evangelizzazione proprio dei laici, è impossibile non rilevare l’azione evangelizzatrice della famiglia. Essa ha ben meritato, nei diversi momenti della storia della Chiesa, la bella definizione di “Chiesa domestica”, sancita dal Concilio Vaticano II. Ciò significa che, in ogni famiglia cristiana, dovrebbero riscontrarsi i diversi aspetti della Chiesa intera. Inoltre la famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell’intimo di una famiglia cosciente di questa missione, tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell’ambiente nel quale è inserita.[…]. (Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, n. 71, 8 dicembre 1975) Papa Paolo VI, nel suo magistero, torna più volte sulla dimensione della famiglia come “chiesa domestica”, la definizione che, già presente nella storia della Chiesa, trova una forte conferma in occasione del Concilio Vaticano II. Un importante intervento in tal senso è nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi dove, nel contesto degli “operai dell’evangelizzazione”, il pontefice riserva un posto particolare alla famiglia. Quello che viene delineato all’interno della comunità famigliare è uno spazio circolare “in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia”. Dunque questa, che è una caratteristica propria anche della Chiesa come istituzione, trova una sua concretizzazione specifica nella dimensione famigliare. La chiesa domestica non ha delimitazione di spazi in virtù dei ruoli, in casa non c’è un presbiterio e uno spazio per l’assemblea, ma tutti, genitori e figli, sono coinvolti contemporaneamente in un’attività di annuncio e di ricezione del Vangelo. Tutti “evangelizzano e sono evangelizzati”. I genitori hanno il compito di trasmettere il Vangelo ai figli, ma sono chiamati anche ad esercitare un grande impegno nell’ascolto dei figli stessi che a loro volta sono portatori di Vangelo. Il Vangelo dei genitori in casa non dovrebbe essere proclamato da un qualche pulpito, in modo unilaterale, senza concedere spazio al dialogo e al confronto. Il Vangelo testimoniato dai genitori ha molto più l’aspetto di un esempio, spesso magari silenzioso, di fatto è trasmesso ai figli attraverso la vita concreta di ogni giorno. Da parte dei figli, allo stesso modo, il Vangelo si manifesta in gesti di prossimità spontanei, in testimonianze gratuite di generosità, ma anche sotto forma di domande e perfino di obiezioni. In tal senso è chiaro che bisogna saper riconoscere i germi di Vangelo in tante e diverse dimostrazioni. Ai genitori sono richieste un’attenzione e una pazienza particolari capaci di captare la dimensione di ricerca di verità e di senso sotto la forma dell’interrogativo e perfino dell’obiezione da parte dei figli, che non sempre seguono linearmente il cammino di fede degli adulti. C’è un periodo, di solito coincidente con l’adolescenza, in cui spesso i figli, per esempio, rifiutano un cammino ecclesiale. Anche in questa resistenza va cercata una verità. Attraverso la circolarità di cui parla il Papa abbiamo chiaro come lo spazio della famiglia sia fondamentale per preparare le nuove generazioni alla vita spirituale. Laddove l’incontro con la realtà ecclesiale possa aver registrato delle difficoltà o delle incomprensioni, è proprio fra le mura domestiche che si può recuperare un piano comune di condivisione e confronto anche su quegli elementi della vita di fede che sono risultati ostici. Parallelamente la parrocchia può essere il luogo in cui i ragazzi e i giovani ricevono quella notizia di Vangelo che possono portare nella propria casa dove magari la Parola non risuona più come un tempo o dove mai è stata aperta. Infine il Papa evidenzia come una famiglia che riconosca in se stessa la propria missione evangelizzatrice non può che diventare una cellula capace di illuminare con la parola del Vangelo tante altre famiglie nell’ambiente in cui è inserita. Questo significa che per la famiglia l’evangelizzazione non ha confini, ma si estende a tutti gli ambiti della vita associata. Liberi dalla veste istituzionale tipica delle persone consacrate, genitori e figli, oltre ad evangelizzarsi reciprocamente, propongono, con l’esempio e la parola, “fatti di Vangelo”, a scuola, sul lavoro, nello sport e nelle occasioni di svago. Senza aver bisogno di uno spazio dedicato, né un contesto preparatorio, le famiglie cristiane sono libere di esprimere la loro appartenenza a Cristo attraverso tutto il bagaglio tipico della loro esperienza vissuta. Un campo infinito in cui mettersi a servizio del Signore nella fraternità degli uomini. (Giovanni M. Capetta – Sir)  

Due verbi nel tunnel

12 Gennaio 2021 - I media raccontano che nel tempo della pandemia l’incertezza e l’inquietudine stanno cercando e trovando nella scienza un interlocutore rassicurante. Dicono anche che si ricorre sempre più alla parola “miracolo” per commentare progressi e successi scientifici e tecnologici. Ritorna, con linguaggio giornalistico, il tema del dialogo tra fede e scienza, tra fede e ragione. Lo svilupparsi di un reciproco interrogarsi richiama anche sulle pagine di giornale un’insopprimibile ricerca di senso. Ci si chiede se la scienza, dono e responsabilità dell’intelligenza umana, non sia il segno di una grandezza che va oltre le misure dell’uomo. Sono temi, questi, che hanno una storia ben nota e per stare a quella più recente sono nell’eredità di scienziati come Antonino Zichichi ed Enrico Medi. Sono temi che rimandano all’inscindibile binomio “sapere e pensare”. “Sapere – scriveva Pierangelo Sequeri commentando un discorso alla città dell’arcivescovo di Milano – è condizione necessaria ma non sufficiente per vivere da uomini. Pensare è indispensabile per essere umani. Si può anche diventare portatori ottusi del sapere, come le macchine degli algoritmi, se nessuno ti ha insegnato a pensare. Pensare è lo stile umano – inconfondibile – nell’interiorità che annuncia un essere umano. Il sapere da solo non è capace di tutto questo”. In ben diverso contesto, quello dei vaccini anti Covid19, l’intrecciarsi del sapere con il pensare è un percorso che conduce al significato di una conquista scientifica e nello stesso tempo mette al riparo da un delirio di onnipotenza. Nei centri della ricerca scientifica, nei luoghi della sua applicazione questo intreccio è percettibile e rimanda ad altro, rimanda a una Presenza che non chiede riflettori per esistere e per manifestarsi. Ha però bisogno dell’uomo, del suo pensiero, della sua voce, delle sue mani, del suo volto. Ha bisogno dell’uomo che ama pensare perché sente di essere il frutto di un pensiero. Anche l’esperienza dolorosa e non conclusa della pandemia può portare su questi sentieri intrecciati che arrivano ai bordi del limite e si spingono a quelli dell’infinito. In realtà ciò sta avvenendo negli ospedali e in altri luoghi dove un “magistero laicale” prende la parola con la competenza professionale e con la tenerezza degli sguardi e dei gesti. La “luce in fondo al tunnel” di cui parla questo “magistero” è il vaccino ma non è solo il vaccino. Nella sofferenza e nella paura l’intrecciarsi del sapere con il pensare indica una luce che non è solo quella annunciata in fondo a uno dei molti tunnel che l’umanità sta attraversando. (Paolo Bustaffa)

La carezza di Dio

11 Gennaio 2021 - Città del Vaticano - Abbiamo da poco celebrato il Natale e l’Epifania, il mistero di un Dio che si china sull’uomo fino al punto di nascere in povertà, per essere uomo in mezzo a tutti gli uomini. Un bambino è l’essere più indifeso, più bisognoso di affetto e di attenzioni. Il Creatore ha voluto assumere in Gesù, le dimensioni di un bambino per farsi vedere e toccare. Ma è proprio in questo farsi piccolo la sua grandezza. Nel giorno in cui la chiesa fa memoria del battesimo di Gesù – domenica che conclude il tempo natalizio e apre a quello ordinario – ci troviamo a ammirare un adulto alla sua prima manifestazione pubblica. La liturgia ci fa fare un salto di quasi trenta anni; gli anni di “vita nascosta” dice il Papa, “vivendo la vita di tutti i giorni, senza apparire”. È un “bel messaggio per noi: ci svela la grandezza del quotidiano, l’importanza agli occhi di Dio di ogni gesto e momento della vita, anche il più semplice, anche il più nascosto”. Il Vangelo questa domenica ci porta nuovamente sulle rive del Giordano. Marco ci narra di Giovanni Battista che battezza con l’acqua, annunciando che arriverà chi battezzerà in Spirito Santo, colui al quale lui non è degno di slegare i lacci dei sandali. È una immagine che deve farci riflettere, in questo tempo di confusione, di manipolazione, di abuso e offesa del nome di Dio. Anche i manifestanti che hanno preso d’assalto il Congresso, a Washington, avevano cartelli con la scritta “Jesus save”. Si dice scosso dall’assedio a Capitol Hill Papa Francesco, e prega per le vittime di “quei drammatici momenti”. La violenza è “sempre autodistruttiva” afferma all’Angelus, non si “guadagna nulla con la violenza, e tanto si perde”. Chiede responsabilità alle autorità e alla popolazione “al fine di rasserenare gli animi, promuovere la riconciliazione nazionale e tutelare i valori democratici radicati nella società americana”. Con padre David Maria Turoldo potremmo dire che la violenza è come un terribile vulcano in eruzione, “esplosi da oscurità insondabili nel cuore della follia”. Ma torniamo al Vangelo. Gesù è lì in fila con gli altri peccatori, pur non avendo peccato. Non sgomita per passare avanti, non dice ‘lei non sa chi sono io’; non vuole privilegi, corsie preferenziali. È lì, si mescola alla folla, si confonde con i più poveri, gli emarginati, i peccatori; è dalla loro parte, solidarizza con questa umanità e attende il suo turno. Il battesimo, rito penitenziale, era segno della volontà di convertirsi, di essere migliori, chiedendo perdono dei propri peccati. Gesù non ne aveva certo bisogno. Giovanni Battista cerca di opporsi, ma Gesù insiste, “perché vuole stare con i peccatori: per questo si mette in coda con loro e compie il loro stesso gesto. Lo fa con l’atteggiamento del popolo”. Si avvicina, dice Francesco con le parole di un inno liturgico, “‘nuda l’anima e nudi i piedi’. L’anima nuda, cioè senza coprire niente, così, peccatore. Questo è il gesto che fa Gesù, e scende nel fiume per immergersi nella nostra stessa condizione” È il suo “manifesto programmatico”, afferma il Papa; ci dice che lui “non ci salva dall’alto, con una decisione sovrana o un atto di forza, un decreto, no: lui ci salva venendoci incontro e prendendo su di sé i nostri peccati”. Così vince il male: “abbassandosi, facendosene carico. È anche il modo in cui noi possiamo risollevare gli altri: non giudicando, non intimando che cosa fare, ma facendoci vicini, con-patendo, condividendo l’amore di Dio. La vicinanza è lo stile di Dio nei nostri confronti”. Dopo il battesimo “i cieli si aprono e si svela finalmente la Trinità. Lo Spirito Santo scende in forma di colomba, e il Padre dice a Gesù: tu sei il figlio mio, l’amato”. Dio si manifesta, ricorda Francesco, “quando appare la misericordia: quello è il suo volto. Gesù si fa servo dei peccatori e viene proclamato figlio”. Vale anche per noi: “in ogni gesto di servizio, in ogni opera di misericordia che compiamo Dio si manifesta”. Il battesimo è un affidare ogni nuova vita a colui che è più potente dei poteri oscuri del male. Anche coloro che non sono battezzati “ricevono la misericordia di Dio” perché la nostra vita è “segnata dalla misericordia” e Dio “ci carezza con la sua misericordia”. (Fabio Zavattaro)