Torino - Un profugo del Gambia, Gaye Demba, 28 anni, che aveva vissuto negli scantinati ex Moi, le palazzine dell'ex villaggio olimpico in fase di sgombero, si è ucciso in una casa diocesana sulla collina torinese. Sulla tragedia l'arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha scritto una nota colma di dolore.
“Con profondo dolore ho appreso la tragica notizia del suicidio di Gaye Demba, ospitato in Villa Durio alla Città dei ragazzi. Questo ragazzo di 28 anni, originario del Gambia – si legge nel testo - è giunto nel nostro Paese dopo aver subìto violenze e soprusi molto pesanti che hanno minato profondamente la sua vita, provocando fragilità che purtroppo si sono manifestate nel suo gesto estremo. Era seguito da una équipe di persone e professionisti che lo hanno accompagnato in questo ultimo anno e mezzo di vita dopo la sua uscita dagli scantinati del MOI”.
I responsabili della struttura – ha detto mons. Nosiglia - hanno fatto “tutto quanto è stato umanamente possibile per offrire a questo giovane ragioni positive e opportunità utili a costruire una vita nuova e diversa, ma purtroppo tutto questo impegno non è stato sufficiente. Il suo gesto obbliga tutti quanti a riflettere sulle ferite interiori che hanno segnato profondamente Demba e molti altri immigrati. Sono le stesse ferite, le medesime fragilità a cui ciascuno di noi è esposto. Ferite e fragilità che non dipendono dal colore della pelle né dal passaporto o dal conto in banca”. Il presule chiede al “Signore misericordioso” di “accoglierlo nel suo Regno di pace e di vita per sempre”. Inoltre chiede anche “a tutti di contribuire a far crescere nella nostra città un clima che non sia né di odio né di rifiuto né di paura, ma sia invece di reciproca accoglienza, attenzione e rispetto”.
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Axel, in carrozzina dal Nicaragua, ce l’ha fatta: rifugiato negli Usa
Milano - «Ho mantenuto le promesse. Tutte e due», dice Axel Sebastián Palacios Molina con un misto di eccitazione e commozione. Domani, saranno trascorsi nove mesi dal giorno in cui si è preso il duplice impegno. Il 14enne era appena stato ferito dai paramilitari assoldati dal governo di Daniel Ortega per reprimere la protesta: un proiettile gli aveva tolto l’uso della gamba destra. Sanguinante, era tornato a casa. Ma sapeva che presto sarebbero venuti a cercare lui, i genitori, la sorella. L’unica via di scampo era fuggire negli Usa ma Axel non poteva camminare. Come poteva affrontare un viaggio di migliaia di chilometri? Il 14enne aveva detto: «Vi prometto che ce la farò e, una volta al sicuro, starò di nuovo in piedi». I genitori non gli avevano creduto ma sapevano di non poter restare. Così è iniziata la fuga in Messico. «Là, però, siamo stati minacciati dagli sgherri di Ortega». Quando, dunque, la prima Carovana di honduregni si è messa in marcia, la famiglia si è aggregata. Axel è andato avanti con le stampalle, finché gli stessi profughi non hanno fatto una colletta per comprargli una sedia a rotelle. A bordo di quest’ultima ha raggiunto Matamoros, sul confine. Là, era iniziata l’estenuante attesa per presentare domanda d’asilo negli Usa. «Dormivamo in un garage, al freddo. Mangiavamo solo ciò che ci dava la parrocchia ma, spesso, nemmeno loro ne avevano. Sono stato male. Disperati, ci siamo accampati di fronte alla dogana. Non avevamo altra scelta. Un agente, vedendomi in carrozzina, si è impietosito. E ha accettato di farci “accorciare” la fila».
Incredula, la famiglia ha potuto attraversare il ponte internazionale e raggiungere McAllen, dove è stata rinchiusa in un centro di detenzione. Alla fine, i quattro sono stati rilasciati, non prima di essere muniti del braccialetto elettronico. Certo, li attende un lungo iter legale: ci vorranno anni prima che i giudici decidano se concedere loro lo status di profughi. Nel frattempo, Axel e famiglia si sono trasferiti a Houston. «La chiesa ci sta aiutando. I miei genitori non hanno ancora il permesso di lavorare ma almeno ci hanno trovato una sistemazione e hanno fatto iscrivere a scuola mia sorella e me. Il pastore ha anche trovato un medico che mi curi. Ieri ho fatto i primi passi. Come avevo promesso». (Lucia Capuzzi – Avvenire)
Comunità anglofone in Italia: presentata la Tv cattolica nigeriana nella diocesi di Porto Santa Rufina
Porto Santa Rufina - Domenica scorsa le comunità cattoliche africane anglofone in Italia si sono riunite nella parrocchia di Cesano, accolte dalla comunità nigeriana di Porto-Santa Rufina e dal loro responsabile don Matteo Eze, che è il coordinatore nazionale degli africani cattolici di lingua inglese. L' evento è stato organizzato per la promozione della Televisione cattolica della Nigeria (Ctv) in Italia. Ctv ha sede ad Abuja ed è il più importante media cattolico in Nigeria. Attraverso l' informazione e l' educazione vuole arrivare con le nuove tecnologie nelle famiglie nigeriane e non solo, per annunciare il Vangelo e la solidarietà tra le persone. La manifestazione si è aperta con la Messa nella chiesa di San Sebastiano presieduta dal cardinale Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Nell' omelia il porporato ha sottolineato come l’amore di Dio venga sempre prima di tutto. La parabola del figlio prodigo ci insegna che la misericordia di Dio è più grande della nostra miseria. Il figlio maggiore, ha spiegato il presule, non si era reso conto che tutto ciò di buono che aveva fatto era solo per grazia di Dio. Quando ritorniamo a Dio consapevoli dei nostri peccati, egli ci accoglie a braccia aperte. La televisione cattolica della Nigeria è un veicolo importante attraverso cui diffondere questo messaggio: portare la buona notizia del Vangelo, ovvero raccontare la bontà di Dio Gesù al mondo. «La salvezza in Gesù Cristo è la buona notizia, non permettiamo a nessuno di ingannarci con cattive notizie», ha detto Arinze, che invita nigeriani e africani ha condividere buone notizie sia in Africa che nel resto del mondo.
Dopo la Messa la seconda parte dell' evento si è tenuta nell' auditorium della parrocchia di Cesano. Oltre al cardinale c'erano tra i sacerdoti don Joseph Akeshima, cappellano dei nigeriani cattolici di Roma e don Primus Ileme, responsabile di quelle dei Santi Simone e Giuda Taddeo a Casilina e don Oseni Ogunu. Presenti anche George Umo, ambasciatore della Nigeria presso la Santa Sede e i principi Eze e Lolo Godwin Ifeanyi Madu. I membri della Ctv, con suor Mary Nwiboko e Lolo Julieth Udunna, coordinatrici della Ctv, hanno presentato le attività del media nigeriano, mostrando quanto stia crescendo non solo nel paese africano. I giovani della comunità della Casilina hanno animato con balli e musica il pomeriggio, accompagnando il canto di suor Mary Anne.
Don Matthew ha portato il saluto del vescovo Reali al cardinale Arinze e alla comunità africana, ha poi espresso gratitudine per il vescovo di Porto-Santa Rufina: «un pastore attento e disponibile con i nigeriani e con tutti gli africani presenti in diocesi». Un pensiero di gratitudine anche al diacono Enzo Crialesi, direttore Migrantes diocesana, per il suo affetto e il suo impegno. Poi non poteva mancare il grazie a don Patrick Alumuku per il suo grande impegno come direttore di Ctv. (S.Cia.)
Donne migranti: un seminario per giornalisti a Torino
Torino - “E’ in corso un processo di disumanizzazione”: così il direttore Migrantes della diocesi di Torino nel suo intervento di apertura del Seminario per i giornalisti tenutosi a Torino nei giorni scorsi presso la sede dell’Ufficio Pastorale Migrantes. Durando ha voluto portare all’attenzione il tema della mobilità umana per offrire ai partecipanti il contesto in cui le donne immigrate, focus del seminario, si trovano.
Su 258 milioni di migranti nel mondo nel 2017, metà sono donne. Dal 2000 al 2017 il numero delle persone che hanno lasciato il proprio Paese di origine è aumentato del 49%. Nel 2017 i migranti rappresentano il 3,4% dell’intera popolazione mondiale, rispetto al 2,9% del 1990. Nello stesso anno si contano 38,6 milioni di cittadini stranieri residenti nell’Unione Europea (30,2% del totale dei migranti a livello globale). Il Paese europeo che nel 2017 ospita il maggior numero di migranti è la Germania (oltre 12 milioni), seguita da Regno Unito, Francia e Spagna.
“L’Europa si sente sotto assedio, invasa, reagisce con paura e ostilità, erge muri, srotola filo spinato, chiude i porti, respinge i migranti”, afferma Durando. “L’Europa rimane a guardare l’enorme problema degli immigrati – continua - e non è in grado di mettere in campo una politica comune di solidarietà”. Oggi l’Europa non abbatte più i muri, ma li costruisce. “Pioniera è stata la Spagna con le blindatissime barriere di Ceuta e Melilla in Marocco. Poi Austria e Ungheria (muro di filo spinato di 175km costato 21 milioni di euro) e la grande muraglia di Calais, costata alla Gran Bretagna 2,7 milioni di euro”, ricorda Durando.
“Oggi la gente è arrabbiata, impoverita dalla crisi economica, spaventata dai flussi migratori e, citando la frase di Papa Francesco “Questa economia uccide”, prosegue: “L’aver messo al centro la ricchezza, il benessere, il denaro ha portato alla difesa di questi privilegi ad ogni costo: anche a costo di disumanizzarci, non soccorrere chi sta affogando, respingere una donna malata e incinta alla frontiera, sparare sui poveri”.
Ecco dove si colloca la donna migrante. Prima che migrante, innanzitutto è donna. Il quinto obiettivo posto dall’Agenda 2030 la chiama in causa: per raggiungere uno sviluppo sostenibile, il benessere della donna è al centro. L’Agenda 2030 pone infatti l’attenzione sul grande lavoro che ancora vi è da fare a livello globale per raggiungere la parità di genere e promuovere l’empowerment femminile. “Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, richiamando l’obiettivo n. 5 dell’Agenda 2030, ha fotografato con precisione la situazione di rischio in cui si trovano le donne migranti nel mondo”, afferma Marcella Rodino, giornalista e collaboratrice della Migrantes. Le donne e le ragazze migrano sempre più da sole e come capofamiglia. Sono esposte a rischi, tra cui lo sfruttamento sessuale, la tratta e le violenze. Non smettono dunque di rimanere incinte anche se in movimento e hanno maggiori possibilità di avere problemi di salute. “Il punto che caratterizza maggiormente la donna migrante è di subire una doppia discriminazione – sottolinea Rodino – come migrante e come donna”. Se poi è costretta a fuggire dalla propria terra perché in pericolo, la violenza diventa una costante e una variabile. “In Italia negli ultimi anni si è rilevata una presenza maggiore di donne sbarcate sulle nostre coste – racconta Rodino – la maggioranza di cittadinanza nigeriana”. Secondo l’OIM, infatti, l’80% delle donne nigeriana in Italia nel 2016 sono state vittime di traffiking. “Queste donne scappano dalle violenze nel loro paese, continuano a subirne durante il viaggio verso la Libia, dove una volta arrivate hanno buone possibilità di essere torturate e violentate. Se riescono a raggiungere l’Italia o l’Europa, continuano a essere a forte rischio di tratta”. La violenza è costante, variabile ne è la forma.
In Italia nel 2017 il 52% dei migranti è femmina: oltre 2 milioni e 600 mila donne di origine straniera risiede in Italia, vale a dire l’8,6% della popolazione femminile totale. Il 58% di loro proviene da un paese europeo, un terzo ha la cittadinanza un paese UE. Tra le extra-europee cresce il numero delle nubili, che rappresenta il 65%. “C’è un dato preoccupante che vede protagoniste le giovani donne straniere della fascia di età 15-29 anni: il 44,3% è neet, vale a dire che non lavora e non studia, percentuale che sale a 52,3% se si guarda a Sud”, racconta Rodino che prosegue affermando: “L’esclusione dal mondo del lavoro e della formazione viaggia in accordo con il modello patriarcale dei ruoli di genere che spesso costre la donna alle sole mansioni di cura domestica”.
Ma il mondo del lavoro, sempre più in crisi, non lascia possibilità di scelta. Laddove in una famiglia l’uomo perde il lavoro, spesso è la donna a provvedere al sostentamento della famiglia, provocando dei cambiamenti significativi negli equilibri di coppia, dove i ruoli tradizionali vengono messi in discussione. “Se la donna è l’unico componente del nucleo familiare a lavorare, la cura dei figli e della casa dovrà essere condivisa tra i partner”. D’altra parte alcuni settori economici che più necessitavano di manodopera maschile stentano a riprendersi, come per esempio quello edile, e spingono gli uomini stranieri ad andare incontro al mercato. “Sono sempre di più gli uomini a formarsi in ambiti lavorativi tipici del mondo femminile, come quello della cura e assistenza alla persona”, conclude Rodino.
A essere a rischio è anche il processo di integrazione della donna migrante. Le donne lavoratrici hanno meno tempo e possibilità di tessere reti amicali sul territorio in cui vivono e forte diventa l’isolamento sociale e il malessere psico-fisico. “Questo è uno dei motivi per cui le donne migranti sono maggiormente soggette ad avere problemi di salute”.
Corridoi Umanitari: presentato il primo rapporto
Milano - L’esperienza dei Corridoi Umanitari, del Resettlement e delle altre vie legali e sicure di ingresso, “dimostrano come sia possibile accedere alla Protezione Internazionale senza essere costretti a rivolgersi ai trafficanti di esseri umani ed intraprendere così viaggi pericolosi, talvolta mortali”. Lo si legge nel primo Rapporto sui Corridoi umanitari in Italia “Oltre il mare” redatto da Caritas Italiana e presentato oggi a Milano. “Si tratta di programmi umanitari – si legge ancora nelle “Raccomandazioni Finali” - che garantiscono ulteriori opportunità di protezione ai beneficiari e al contempo incentivano le migrazioni legali. Si ravvisa però la necessità di incrementarne il numero, e di uniformare le numerose esperienze implementate in vari paesi al fine di evitare confusione tra status e diritti a livello europeo e nei confronti dei beneficiari stessi”. Da qui la raccomandazione all’UE di “dare maggiore impulso alle iniziative degli Stati membri in materia di reinsediamento di persone che necessitano protezione internazionale”; “incoraggiare gli Stati Membri nella creazione di programmi ad hoc di Community Sponsorship” “strutturare un processo di concertazione per la costruzione di programmi di Community Sponsorship fra le Istituzioni Europee, gli Stati Membri, le Autorità locali, le Agenzie Internazionali e le Organizzazioni della Società Civile chiamate a garantire il supporto operativo al programma”. Inoltre indirizzare parte dei fondi europei per il finanziamento dell’accoglienza ed integrazione di quote addizionali di rifugiati giunti attraverso i programmi di Community Sponsorship. All’Italia il rapporto Caritas raccomanda di: “ Incrementare il numero di quote destinate ai programmi di reinsediamento”; “sostenere l’implementazione di un programma di Community Sponsorship, avviando un percorso strutturato che definisca chiaramente ruoli e responsabilità tra lo Stato, le comunità locali, le Agenzie Internazionali e le Organizzazioni Sponsor”; “creare un meccanismo di valorizzazione, anche attraverso la creazione di un sistema di accreditamento delle organizzazioni che si propongono di avviare programmi di Community Sponsorship, le cui caratteristiche devono rispondere a criteri di competenza e capillarità territoriale”. “compartecipare al finanziamento dell’accoglienza nei programmi di Community Sponsorship, individuando il sistema SIPROIMI come standard di riferimento”. In due anni sono stati 500 i richiedenti asilo, tra i quali 200 bambini per le metà sotto i 10 anni, “salvati dai trafficanti e aiutati da comunità accoglienti ad integrarsi, attraverso formazione professionale e lavoro”, si legge nel rapporto che da i primi dati dei corridoi umanitari aperti dalla Conferenza episcopale italiana e il governo italiano. Il programma umanitario, avviato in virtù di un protocollo d’intesa, sottoscritto nel 2017, tra la CEI (che opera attraverso la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes) e i ministeri degli Affari Esteri e dell’Interno, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, ha consentito fino ad ora l’arrivo di questi 500 persone richiedenti protezione internazionale che vivevano nei campi profughi dell’Etiopia, Giordania e in Turchia. Individuati tra i più vulnerabili, i beneficiari sono stati complessivamente 107 famiglie, nelle quali sono inseriti 200 minori, il 58% dei quali bambini sotto i 10 anni. A due anni dai primi ingressi, (il programma terminerà ufficialmente a fine gennaio 2020) il 97% dei richiedenti asilo giunti attraverso il corridoio umanitario ha ottenuto lo status di rifugiato e il 3% la protezione sussidiaria; tutti i minori in età scolare sono stati inseriti a scuola; il 30% dei beneficiari è inserito in corsi di formazione professionale e 24 beneficiari hanno già trovato un impiego. Gli esiti ottenuti “incoraggiano a concludere che un’Europa che voglia affrontare il complesso fenomeno migratorio attuale non può fermarsi a consegnare la questione nelle mani dei paesi di origine o di transito: sono invece quanto mai necessarie alternative davvero credibili ai viaggi illegali e che garantiscano la sostenibilità dell’accoglienza attraverso il coinvolgimento delle comunità locali per puntare all’autonomia dei beneficiari e alla coesione sociale”.
Migrantes Cosenza-Bisignano: verso la convivialità delle differenze
Cosenza - Accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Quattro verbi, quelli di Papa Francesco, che domenica scorsa hanno orientato il percorso promosso dall’Ufficio Migrantes della diocesi di Cosenza-Bisignano che, attraverso i racconti di diversi protagonisti che si sono alternati sul palco dell’Auditorium della chiesa di Sant’Agostino a Morelli, hanno riempito di contenuti le indicazioni proposte dal pontefice. Così accogliere è divenuta un’esigenza, proteggere un dovere, promuovere una necessità e integrare un diritto. Racconti che, dalla viva voce di chi si è speso o si spende a favore del prossimo e da chi quell’accoglienza l’ha ricevuta, hanno avuto il merito di far emergere come nel territorio diocesano, nonostante le difficoltà e il tanto cammino ancora da fare, sia stato fatto e si stia facendo un bel lavoro di solidarietà e sensibilizzazione.
Ad aprire il meeting, denominato “Comunità accoglienti: Uscire dalla paura”, il racconto dei protagonisti che, durante la recente fiera di San Giuseppe, grazie al coordinamento del comitato FieraInMensa, hanno “accolto” in casa alcune mamme con bambini piccoli aprendo le loro porte e i loro cuori perché per “combattere la paura serve coraggio e fiducia”. A questi racconti si è aggiunto quello di Anna che, “con un atto di fede” da più di un anno dà ospitalità ad una famiglia proveniente da Aleppo arrivata grazie ai canali umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio. All’accoglienza ha fatto eco il verbo “proteggere” con i racconti di Manuela, Gianpaolo e Celeste, tutori legali di minorenni ospiti in alcuni centri Sprar del territorio. Del verbo “promuovere” sono stati protagonisti i racconti di Omar e Sora, entrambi ancora minorenni e con il desiderio di costruire qui in Italia il loro futuro umano e professionale. Futuro che ha però bisogno di seri progetti di integrazione (e siamo al quarto verbo) di cui sono stati protagonisti i racconti dei giovani Caterina e Sadu, oggi fidanzati, e di Alfonso che ha illustrato il tentativo portato avanti nella parrocchia di Sant’Aniello a Cosenza denominato “Allarga lo spazio della tua tenda”.
Al termine dell’incontro, intervallato da alcuni momenti musicali della Band musicale multietnica, la premiazione ai primi tre classificati del fotografico “Le migrazioni di ieri e di oggi”. (Roberto De Cicco – Pdv)
Corridoi umanitari: oggi la presentazione del primo rapporto
Milano - Questa mattina, presso l’Aula Magna dell'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano il convegno “Non per mare. Protezione internazionale e vie legali e sicure di ingresso”, durante il quale sarà presentato il primo rapporto sui corridoi umanitari in Italia. Al convegno l’arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini, il rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli, il sindaco Giuseppe Sala (con un video messaggio), il responsabile area nazionale di Caritas Italiana, Francesco Marsico, il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti. Nella seconda parte della mattinata discuteranno sul tema dei corridoi umanitari: Oliviero Forti (Caritas Italiana), Daniele Albanese (Caritas Italiana), Manuela De Marco (Caritas Italiana), Andrea Pecoraro (Unhcr), Daniela Pompei (Comunità di Sant’Egidio), Alganesc Fessaha (Gandhi Charity), Matteo Villa, ricercatore presso Ispi. Nel pomeriggio gli operatori e gli esperti del settore proseguiranno i lavori, affrontando il tema dell’integrazione nelle comunità che hanno accolto i profughi.
Mons. Felicolo: educare e formare ad una società multiculturale
Roma – “Educare e formare alla società nella quale siamo chiamati a vivere profondamente diversa e costantemente in trasformazione anche e soprattutto in conseguenza della mobilità umana”. Questo il compito oggi della scuola secondo mons. Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Roma concludendo i lavori del seminario “Costruttori di Ponti” svoltosi a Roma su iniziativa del Miur, Fondazione Migrantes, Istituto Alcide Cervi e rete Scuole Migranti. “Attenzione a tenere gli occhi sul mondo. Non si può non guardare fuori delle finestra di casa propria nella costruzione di percorsi di conoscenza di ciò che accade”, ha detto mons. Felicolo sottolineando che il “fuori di casa è ben altro che il giardino del vicino. Nell'epoca della globalizzazione e della digitalizzazione, il mondo è a portata di un click e quindi è doverosa la conoscenza di quanto accade in ogni luogo e che ha ripercussioni su di noi”. Oggi non si può prescindere oggi dall'insegnamento della storia attuale e della geografia: “nonostante la parola globalizzazione e globalizzato è usata e abusata, l’insegnamento della geografia nelle scuole è sempre più carente e ci ritroviamo a poter usufruire con più libertà e possibilità degli spazi ma senza realmente conoscerli. Si dice che il mondo è a portata di un click, ma pochi usano questa opportunità in modo consapevole e costruttivo”. Oggi è necessario “collocare la geografia con la dimensione umana di recupero di uno spazio in cui vivere una esistenza dignitosa e felice”.
Un elemento fondamentale oggi, per il direttore Migrantes di Roma, è quello dell’uso del linguaggio: un linguaggio “corretto per descrivere i fenomeni e a misura di un pubblico vasto. Le parole – ha detto - possono essere pietre se non se ne fa l’uso corretto. Quando poi le parole sono rivolte per descrivere le persone la responsabilità aumenta”. “Sfatare le fake news, oggi, in questo particolare ambito tematico, è diventato un mestiere per alcuni e sconcerta vedere come una notizia possa orientare la percezione e la conseguente reazione delle persone. Pensare che i migranti in Italia rubino il lavoro agli italiani; avere la sensazione di un numero di presenze aumentato di tre volte rispetto alla realtà; ritenere i migranti artefici della povertà e della delinquenza in Italia; sono solo alcuni dei ‘falsi miti’ che esistono e con i quali facciamo quotidianamente i conti come operatori sociali e come studiosi”, ha evidenziato mons. Felicolo che ha ricordato come la Migrantes sia impegnata a fianco degli immigrati, richiedenti asilo, rifugiati, emigrati italiani ma anche della gente dello spettacolo viaggiante e dei Rom e i Sinti. “Un mondo – ha spiegato - quello della mobilità, che sfugge ai più nella sua complessità di sfaccettature anche a seguito della difficoltà con il quale avviene la sua narrazione. Alle giuste parole per dire le cose dobbiamo quindi aggiungere anche la capacità di utilizzare parole semplici e dirette in grado di essere comprese da parte del pubblico più vasto”.
P. Ripamonti: “fobia per i poveri e clima ostile, aumenta la precarietà”
Roma - In Italia ci sono oggi “voci stonate determinate da una fobia per i poveri, considerati non solo come persone indigenti ma anche come gente portatrice di insicurezza, instabilità, disorientamento dalle abitudini quotidiane e pertanto da respingere e tenere lontani”: è la situazione descritta oggi a Roma da padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, durante la presentazione, questa mattina, del rapporto annuale 2019. Il contesto culturale – denuncia padre Ripamonti – è divenuto “ostile” ai migranti e a chi li aiuta, “complice la confusione seguita all’entrata in vigore del decreto sicurezza e immigrazione”. Il decreto, sottolinea, “rallenta il processo di integrazione e rischia di creare più irregolarità e insicurezza”. I problemi sono: “Il non accesso all’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo e l’eliminazione della protezione umanitaria”. Tuttavia, precisa, “nonostante questo fortissimo cambiamento di rotta nel 2018 siamo convinti che le nostre scelte guidate dal porre al centro le persone siano lungimiranti e vadano ribadite con coraggio”. Padre Ripamonti puntualizza inoltre: “Di solito incolpiamo l’Europa di quanto sta succedendo sul fronte migranti in realtà la responsabilità di questa situazione è la poca lungimiranza di ogni singolo Stato, di quelli ai confini ma anche di tutti gli altri: non investiamo abbastanza come Europa per la crescita del continente africano; abbiamo smantellato le operazioni per il soccorso e il salvataggio in mare, ultima l’operazione Sophia; esiste poca solidarietà tra gli Stati membri, come ha mostrato il tema del ricollocamento dei migranti”. (Sir)
Centro Astalli: presentato il Rapporto Annuale
Roma – Il Centro Astalli ha presentato questa mattina l nuovo Rapporto Annuale che presenta una fotografia aggiornata sulle condizioni di richiedenti asilo e rifugiati che durante l’anno si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati e hanno usufruito dei servizi di prima e seconda accoglienza che l’Associazione offre. Il documento, attraverso il resoconto di un anno di attività, portato avanti nelle varie sedi territoriali, vuole essere uno strumento per aiutare a capire quali sono le principali nazionalità dei rifugiati che giungono in Italia per chiedere asilo, quali difficoltà incontrano nel percorso per il riconoscimento della protezione internazionale e per l’accesso a misure di accoglienza e inclusione sociale.
La rete del Centro Astalli ne ha accompagnati 25mila, di cui quasi 12mila nella sola sede di Roma. Dalla lettura del Rapporto si evince un aumento delle vulnerabilità cui corrispondono difficoltà maggiori nel vedersi garantiti diritti basilari. Segnali preoccupanti evidenziano le difficoltà di chi è già presente da tempo sul territorio ma soprattutto di chi è titolare di protezione umanitaria.
“Il La società civile è una forza indispensabile al fianco dei rifugiati e il Centro Astalli – spiegano i promotori - può contare sull’impegno costante di 594 volontari, impegnati nei vari servizi. C’è poi un Italia, ancora più bella che guarda al futuro, ed è quella dei 27.124 studenti coinvolti nel progetti didattici Finestre e Incontri. Numerose comunità religiose, inoltre, hanno continuato a ospitare i rifugiati nella volontà di assisterli nel delicato passaggio all’autonomia abitativa”.
All’interno del Rapporto, l’inserto fotografico racconta il lavoro quotidiano della Rete territoriale del Centro Astalli, fatto di incontri e condivisione. Foto arricchite dai commenti di Liliana Segre, Simonetta Agnello Hornby del presidente della cei, il card. Gualtiero Bassetti.
Soliani: “Non si insegna e non si impara nelle divisioni”
Roma – “ Non si insegna e non si impara nelle divisioni”. E quanto ha detto Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Alcide Cervi che insieme alla Fondazione Migrantes, il Miur, l’Università Roma Tre e la rete Scuola Migranti ha promosso il V° incontro “Costruttori di Ponti”. Per Soliani “costruire ponti vuol dire pensarli, usare le parole che li raccontano, avere progetti e strumenti per tirarli su”. “Dopo secoli di storia e tragedie, l’unica realtà vera degli uomini è guardarsi negli occhi e riconoscersi fratelli. Sapere di essere una stessa famiglia”, evidenziando Soliani sottolineando che “il non si insegna e non si impara nelle divisioni”. E la scuola è “ancora l’istituzione che per prima apre le strade del mondo su cui accompagnare le giovani generazioni”.
Card. Bassetti: “ogni morto in mare é una offesa al genere umano”
Roma - Ogni morto in mare o nel deserto o perché subisce violenza nei centri di detenzione è “una offesa al genere umano”. E’ quanto ha detto questa mattina il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, intervenendo alla presentazione del Rapporto annuale del Centro Astalli.
Per il porporato i migranti “vanno soccorsi e salvati, non respinti o bloccati in Paesi terzi non sicuri. Sono diminuiti gli sbarchi ma chi si prende la responsabilità dei morti in mare? Può essere una condanna a morte rimandarli indietro nei centri di detenzione in Libia”. Il cardinale ha citato anche alcune cifre sull’aumento dei morti: “Erano 35 ogni 1000 persone che partivano nel 2018. Sono diventati 100 ogni 1000”. Il presidente della Cei ha quindi auspicato le istituzioni si impegnino a fare la loro parte. E a proposito della politica che crea nemici ha detto di “temere chi cerca di uccidere la nostra anima e l’anima dell’altro creando la mentalità del nemico”.
Don De Robertis: “costruire ponti e non muri”
4 Aprile 2019 - Roma - “La scuola, l’impegno educativo e la conoscenza sono un luogo privilegiato per costruire legami tra le diverse culture”. Lo ha detto al Sir don Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, parlando del seminario nazionale “Costruttori di ponti – La scuola racconta le migrazioni”, promosso oggi a Roma da Istituto Alcide Cervi, Università degli studi Roma Tre, Miur (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca), Fondazione Migrantes e Rete Scuole migranti. Richiamando le parole di Papa Francesco, don De Robertis ha sottolineato la necessità, soprattutto quando si parla di migrazioni, di “costruire ponti e non muri”: “Qualche giorno fa – ha raccontato il direttore di Migrantes -, rispondendo alle domande dei giornalisti durante il suo viaggio di ritorno dal Marocco, il Papa ha detto: ‘Ci vogliono dei ponti, e sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire dei muri, perché coloro che costruiscono i muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito, invece quelli che costruiscono ponti andranno tanto avanti’”. “Spesso ci troviamo di fronte a una informazione strumentalizzata o distorta oppure all’utilizzo di un linguaggio violento e irrispettoso – ha affermato don De Robertis -. Ci dobbiamo chiedere tutti che genere di narrazione si fa delle migrazioni, per eventualmente correggere il tiro, ed è giusto che questa domanda sia posta in primis nei luoghi dell’educazione e della formazione, proprio perché è in queste sedi che si formano le coscienze e le persone che animeranno il futuro della nostra società”. “Società occidentali – ha concluso – ricche di beni ma povere di speranza. Affidiamoci ai ragazzi per ritrovare la speranza, ma, perché possano custodirla, occorre che incontrino degli adulti che sappiano sognarla”.
Don De Robertis: “occorrono urgentemente ‘costruttori di ponti’”
4 Aprile 2019 - Roma - “Anche oggi c’è chi lavora per dividere, alimentando paure e rancori, e occorrono urgentemente costruttori di ponti”. Lo ha detto questa mattina il direttore generale della Fondazione Migrantes, don Giovanni De Robertis, nel suo saluto iniziale al seminario nazionale “Costruttori di Ponti 5 - La scuola racconta le migrazioni” promosso dall'Istituto Alcide Cervi, il Dipartimento di Scienze della Formazione dell'Università di Roma Tre, il Miur, la Fondazione Migrantes e la Rete Scuole Migranti. “Credo che a tutti voi sia noto quanto questa parola ‘ponti’ – ha detto ancora di De Robertis - sia cara a Papa Francesco e ritorni frequentemente nei suoi discorsi”.
“Certamente la scuola è chiamata ad esserlo, attraverso la conoscenza, la cultura, l’educazione. Alla luce dell’attuale situazione che stiamo vivendo, la sfida culturale ed educativa si fa urgente”, ha aggiunto il direttore di Migrantes sottolineando che “se occorre auspicare un cambiamento di mentalità e di azione è alle nuove generazioni che bisogna fare riferimento, dando loro strumenti di lettura della realtà a partire dalla consapevolezza che, al contrario di quello che spesso viene veicolato, l’Italia è un paese ponte e la scuola italiana veicola una cultura aperta al mondo perché è la stessa Italia, attraverso i flussi migratori in uscita e in entrata, che storicamente la contraddistinguono, ad essere un paese fortemente e inevitabilmente legato al cosmopolitismo”. Don De Robertis ha poi evidenziato che il tema scelto per il seminario di quest’anno “non poteva essere più in linea con il pensiero e l’operato della Fondazione Migrantes: la scuola racconta le migrazioni. Da sempre la Migrantes – ha detto - ha tra le sue priorità la conoscenza reale del fenomeno migratorio, necessaria per dare una giusta e corretta informazione utilizzando un linguaggio rispettoso delle persone. Spesso ci troviamo di fronte a una informazione strumentalizzata o distorta oppure all’utilizzo di un linguaggio violento e irrispettoso. Ci dobbiamo chiedere tutti che genere di narrazione si fa delle migrazioni, per eventualmente correggere il tiro, ed è giusto che questa domanda sia posta in primis nei luoghi dell’educazione e della formazione, proprio perché è in queste sedi che si formano le coscienze e le persone che animeranno il futuro della nostra società”. Le nostre società occidentali sono società ricche di beni ma povere di speranza: “affidiamoci ai ragazzi per ritrovare la speranza, ma perché possano custodirla, occorre che incontrino degli adulti che sappiano sognarli, come scriveva Danilo Dolci in un verso di una sua poesia, che ho sentito da un giovane di Polistena, un paese confinante con Rosarno e San Ferdinando di Calabria: ‘Nessuno cresce se non è sognato’. E che sappiano sognare un mondo dove le diversità non sono guardate come un pericolo ma una ricchezza”. (Raffaele Iaria)
CEI: la dignità della persona migrante
4 Aprile 2019 - Roma - Il restringimento dei filtri d’accoglienza dei richiedenti asilo, la riduzione delle risorse destinate a qualificare i servizi alla persona, lo smarrimento di tanti operatori: sono questi i principali effetti indotti dalle disposizioni del Decreto Sicurezza (Legge 132/2018), sui cui si sono confrontati i Vescovi del Consiglio Episcopale Permanente nel loro ultimo incontro conclusosi ieri. Attraverso di loro – si legge oggi nel comunicato finale dei lavori presentato durante una conferenza stampa dal segretario generale della CEI, Mons. Stefano Russo - la Chiesa italiana ribadisce “la dignità della persona del migrante; il dovere dell’accoglienza, a cui lo stesso Santo Padre non cessa di richiamare; il servizio generoso sostenuto da tante Diocesi, parrocchie, comunità e famiglie”.
“Anche a prezzo di un certo tasso di popolarità, la Chiesa – si legge nel comunicato finale - avverte la necessità di contribuire attivamente a una cultura dell’integrazione, oltre che al superamento dell’indifferenza davanti al dramma di quanti scompaiono nel Mediterraneo o sono torturati nei campi profughi della Libia. Nello specifico, molte Diocesi – a fronte della prospettiva delle dimissioni dai Centri di persone titolari di un permesso di soggiorno umanitario, ma nelle condizioni di perderlo – hanno riaffermato la volontà di continuare a ospitarle, facendosene carico e promuovendo iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di raccolta fondi”.
L’orientamento condiviso dal Consiglio Permanente della CEI è quello di “rimanere nel sistema istituzionale di accoglienza – a stretto contatto con le Prefetture – integrando i servizi con attività completamente autofinanziate, che permettano un corretto processo di inclusione sociale. Fra le ipotesi in campo c’è quella di riprendere in maniera strutturale il percorso già sperimentato positivamente con il modello ‘Protetto. Rifugiato a casa mia’”. (Raffaele Iaria)
Comunità Francofone in Italia: a Sant’Antimo una giornata di Ritiro Spirituale
Napoli - Per il periodo quaresimale, la Fondazione Migrantes organizza delle giornate di ritiro per le comunità cattoliche francofone in Italia. Domenica 7 aprile 2019, presso la Rettoria dello Spirito Santo in Sant'Antimo, anche le comunità francofone del territorio vivranno una giornata di ritiro spirituale organizzata in collaborazione con le diocesi di Aversa e di Napoli. L’evento – spiega una nota - risponde all’esigenza di “evangelizzare e prendersi cura dei migranti per promuovere atteggiamenti e opere di fraterna accoglienza, stimolando la società civile e religiosa a valorizzare le varie culture. Così facendo la vita religiosa dei migranti , in particolar modo dei migranti cattolici, diventa una priorità in ogni diocesi tramite percorsi di catechesi, messa in lingua, liturgia, ritiro spirituale e pellegrinaggio, testimonianza della carità”.
La Giornata prenderà avvio alle 9 con l’accoglienza; alle ore 10, seguirà la meditazione sul tema “Sfide per le Comunità Cristiane - Sfide dell'incontro e della testimonianza autentica”; dalle 10.45, il momento della Preghiera personale e della confessione; alle 12.30 la celebrazione della Santa Messa. La Rettoria dello Spirito Santo organizza diversi eventi. Fautori di queste giornate di spiritualità e convivialità, rivolte ai fratelli migranti presenti sul territorio diocesano di Aversa, sono il cappellano, Padre Laurianus Banyuzukwabo; il direttore dell’Ufficio Migrantes, don Evaristo Rutino; il direttore della Caritas diocesana, don Carmine Schiavone.
“Costruttori di Ponti”; domani un seminario a Roma
3 Aprile 2019 - Roma - Si svolgerà domani, 4 aprile, a partire dalle ore 8.30 presso il Polo didattico di Viale Principe Amedeo 182/184 a Roma il seminario nazionale “Costruttori di Ponti 5 - La scuola racconta le migrazioni” promosso dall'Istituto Alcide Cervi, il Dipartimento di Scienze della Formazione dell'Università di Roma Tre, il Miur, la Fondazione Migrantes e la Rete Scuole Migranti.
Protagoniste le scuole e le associazioni impegnate a costruire e ricostruire, con alunni e studenti, il racconto delle migrazioni, troppo spesso schiacciato dalla narrazione pervasiva dei media.
In apertura i saluti istituzionali del rettore dell'Università di Roma Tre, Luca Pietromarchi, del vice ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti, della presidente dell'Istituto Cervi, Albertina Soliani e del direttore generale della Fondazione Migrantes, don Giovanni De Robertis.
Le diverse sessioni di lavoro saranno incentrate su: la scuola racconta le migrazioni attraverso le arti, attraverso la letteratura e la scrittura, attraverso l'emigrazione italiana. attraverso i minori stranieri non accompagnati e i rifugiati, attraverso i media.
In particolare, la sessione dedicata all'emigrazione italiana, coordinata dallo storico Michele Colucci, ricercatore del Cnr, sarà introdotta da Flavia Cristaldi, docente di geografia delle migrazioni dell'Università Sapienza di Roma e prevede interventi di Bruno Aletta, dirigente scolastico dell'Istituto Gramsci di Roma, (Macaroni. Quando i migranti eravamo noi); Delfina Licata della Fondazione Migrantes (Rapporto Italiani nel mondo. Una migrazione stabilmente in movimento); Daniela Maniscalco, insegnante del Comitato Dante Alighieri in Lussemburgo (In viaggio per Paesi e città: avventure e disavventure degli italiani all'estero raccontate ai bambini); Marco Crepaz dell'Associazione Bellunesi nel mondo (Italiani con la radio e lo smartphone).
Messina: domani la presentazione del “Rapporto Immigrazione”
Messina – Domani pomeriggio, giovedì 4 aprile, alle ore 18.00, a Messina, presso il “Salone delle Bandiere” di Palazzo Zanca, verrà presentato il XXVII “Rapporto Immigrazione” redatto da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes.
L’edizione di quest’anno, dal titolo "Un linguaggio nuovo per le migrazioni", è incentrata sul valore e l’importanza di comunicare l’immigrazione con un linguaggio nuovo e aderente alla realtà.
Dopo i saluti iniziali, introdurrà i lavori Santino Tornesi, direttore dell’Ufficio
Migrantes della diocesi di Messina-Santa Lucia del Mela. Presenterà il Rapporto Simone Varisco della Fondazione Migrantes. Seguirà una relazione affidata a Antonella Cava, docente di Sociologia della Comunicazione dell’Ateneo messinese, dal titolo: “Informazione, media e percezione dell’immigrazione”. Le conclusioni saranno affidate al gesuita p. Felice Scalia.
L’appuntamento di domani è il primo di tre eventi di un percorso in cui, attraverso i volumi prodotti dalla Chiesa italiana, verrà affrontato il fenomeno della mobilità umana. Il progetto nasce dalla
Piccola comunità Nuovi Orizzonti in collaborazione tra l’Università di Messina (Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali - COSPECS; Dipartimento di Scienze politiche e giuridiche - SCIPOG), gli organismi pastorali diocesani della Migrantes e della Caritas, l’Associazione di volontariato “Piccola Comunità Nuovi Orizzonti”. L’appuntamento aperto alla Città sarà preceduto, alle ore 15 (Aulario di via Pietro Castelli - Gravitelli), dalla presentazione del Rapporto ai docenti e agli studenti universitari, agli iscritti all’Ordine degli assistenti sociali e a quanti, a motivo del loro lavoro, sono interessati al fenomeno migratorio.
Padova: incontri per conoscere e capire cosa cambia con il “Decreto Sicurezza”
Padova - Terzo e ultimo incontro domani, 4 aprile, alle ore 20.30, nella sala polivalente Diego Valeri (in via Diego Valeri 17 a Padova) con “Decreto Sicurezza”: appuntamenti nel territorio organizzati da Caritas diocesana di Padova, Sportello Avvocati di Strada Padova e Migrantes di Padova per conoscere le novità e i cambiamenti introdotti dal “Decreto Sicurezza” convertito in Legge 132/2018 lo scorso novembre. L’incontro, a cui sono particolarmente invitati proprio i migranti ed è aperto alla cittadinanza, si propone – spiega la diocesi - di capire quali sono le novità introdotte dalla legge e le sue conseguenze, dal momento che la normativa cambia in “maniera sostanziale le procedure legate all’accoglienza dei migranti, incidendo profondamente sui singoli percorsi di integrazione”. In questa occasione interviene l’avv. Lucia Carraro.
Centro Astalli: “50 dispersi in mare e nessuno li cerca”
Roma - Il Centro Astalli “apprende con allarme che da lunedì sera non si hanno più notizie di un’imbarcazione con circa 50 migranti a bordo, tra cui donne e bambini, da cui era partita una richiesta di soccorso. L’ultimo contatto risale alle 22 di lunedì 1° aprile”. È quanto si legge in una nota del Centro Astalli rispetto a quanto segnalato da Alarm phone, il sito che i naufraghi hanno contattato e che dichiara di aver provato a chiamare i numeri della guardia costiera libica per dare le coordinate dell’imbarcazione ma nessuno ha mai risposto. “Ha poi segnalato la barca in difficoltà alla sala operativa di Roma – prosegue la nota – che si è limitata a fornire un altro numero in Libia cui nessuno ha mai risposto”.
Per il Centro Astalli si tratta di “una notizia gravissima che si aggiunge a quella dei 41 dispersi in mare dalla scorsa settimana e che nessuno cerca più”. “Diventa sistematica la violazioni di leggi, convenzioni e norme cogenti per cui non si possono lasciar morire in mare uomini e donne”, denuncia il Centro Astalli, sottolineando che “chi rischia la vita deve essere salvato sempre indipendentemente dalla storia personale, dall’etnia o dai motivi per cui si trova in pericolo. Si logora altrimenti lo stato di diritto, la civiltà democratica e si mina seriamente un futuro di pace nel nostro continente”.
“Chi ricopre ruoli istituzionali – ammonisce il Centro Astalli – non può derogare alla sua precisa responsabilità di tutelare la vita, la dignità e i diritti di ogni essere umano”. Il Centro Astalli “chiede canali umanitari, programmi di reinsediamento, quote e visti di ingresso in Europa strutturali e a lungo termine. Nell’immediato chiede il ripristino di azioni di ricerca e soccorso di quanti rischiano la vita in mare, in mancanza di alternative legali”. (sir)