Torino – Un profugo del Gambia, Gaye Demba, 28 anni, che aveva vissuto negli scantinati ex Moi, le palazzine dell’ex villaggio olimpico in fase di sgombero, si è ucciso in una casa diocesana sulla collina torinese. Sulla tragedia l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha scritto una nota colma di dolore.
“Con profondo dolore ho appreso la tragica notizia del suicidio di Gaye Demba, ospitato in Villa Durio alla Città dei ragazzi. Questo ragazzo di 28 anni, originario del Gambia – si legge nel testo – è giunto nel nostro Paese dopo aver subìto violenze e soprusi molto pesanti che hanno minato profondamente la sua vita, provocando fragilità che purtroppo si sono manifestate nel suo gesto estremo. Era seguito da una équipe di persone e professionisti che lo hanno accompagnato in questo ultimo anno e mezzo di vita dopo la sua uscita dagli scantinati del MOI”.
I responsabili della struttura – ha detto mons. Nosiglia – hanno fatto “tutto quanto è stato umanamente possibile per offrire a questo giovane ragioni positive e opportunità utili a costruire una vita nuova e diversa, ma purtroppo tutto questo impegno non è stato sufficiente. Il suo gesto obbliga tutti quanti a riflettere sulle ferite interiori che hanno segnato profondamente Demba e molti altri immigrati. Sono le stesse ferite, le medesime fragilità a cui ciascuno di noi è esposto. Ferite e fragilità che non dipendono dal colore della pelle né dal passaporto o dal conto in banca”. Il presule chiede al “Signore misericordioso” di “accoglierlo nel suo Regno di pace e di vita per sempre”. Inoltre chiede anche “a tutti di contribuire a far crescere nella nostra città un clima che non sia né di odio né di rifiuto né di paura, ma sia invece di reciproca accoglienza, attenzione e rispetto”.