Milano – L’esperienza dei Corridoi Umanitari, del Resettlement e delle altre vie legali e sicure di ingresso, “dimostrano come sia possibile accedere alla Protezione Internazionale senza essere costretti a rivolgersi ai trafficanti di esseri umani ed intraprendere così viaggi pericolosi, talvolta mortali”. Lo si legge nel primo Rapporto sui Corridoi umanitari in Italia “Oltre il mare” redatto da Caritas Italiana e presentato oggi a Milano. “Si tratta di programmi umanitari – si legge ancora nelle “Raccomandazioni Finali” – che garantiscono ulteriori opportunità di protezione ai beneficiari e al contempo incentivano le migrazioni legali. Si ravvisa però la necessità di incrementarne il numero, e di uniformare le numerose esperienze implementate in vari paesi al fine di evitare confusione tra status e diritti a livello europeo e nei confronti dei beneficiari stessi”. Da qui la raccomandazione all’UE di “dare maggiore impulso alle iniziative degli Stati membri in materia di reinsediamento di persone che necessitano protezione internazionale”; “incoraggiare gli Stati Membri nella creazione di programmi ad hoc di Community Sponsorship” “strutturare un processo di concertazione per la costruzione di programmi di Community Sponsorship fra le Istituzioni Europee, gli Stati Membri, le Autorità locali, le Agenzie Internazionali e le Organizzazioni della Società Civile chiamate a garantire il supporto operativo al programma”. Inoltre indirizzare parte dei fondi europei per il finanziamento dell’accoglienza ed integrazione di quote addizionali di rifugiati giunti attraverso i programmi di Community Sponsorship. All’Italia il rapporto Caritas raccomanda di: “ Incrementare il numero di quote destinate ai programmi di reinsediamento”; “sostenere l’implementazione di un programma di Community Sponsorship, avviando un percorso strutturato che definisca chiaramente ruoli e responsabilità tra lo Stato, le comunità locali, le Agenzie Internazionali e le Organizzazioni Sponsor”; “creare un meccanismo di valorizzazione, anche attraverso la creazione di un sistema di accreditamento delle organizzazioni che si propongono di avviare programmi di Community Sponsorship, le cui caratteristiche devono rispondere a criteri di competenza e capillarità territoriale”. “compartecipare al finanziamento dell’accoglienza nei programmi di Community Sponsorship, individuando il sistema SIPROIMI come standard di riferimento”. In due anni sono stati 500 i richiedenti asilo, tra i quali 200 bambini per le metà sotto i 10 anni, “salvati dai trafficanti e aiutati da comunità accoglienti ad integrarsi, attraverso formazione professionale e lavoro”, si legge nel rapporto che da i primi dati dei corridoi umanitari aperti dalla Conferenza episcopale italiana e il governo italiano. Il programma umanitario, avviato in virtù di un protocollo d’intesa, sottoscritto nel 2017, tra la CEI (che opera attraverso la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes) e i ministeri degli Affari Esteri e dell’Interno, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, ha consentito fino ad ora l’arrivo di questi 500 persone richiedenti protezione internazionale che vivevano nei campi profughi dell’Etiopia, Giordania e in Turchia. Individuati tra i più vulnerabili, i beneficiari sono stati complessivamente 107 famiglie, nelle quali sono inseriti 200 minori, il 58% dei quali bambini sotto i 10 anni. A due anni dai primi ingressi, (il programma terminerà ufficialmente a fine gennaio 2020) il 97% dei richiedenti asilo giunti attraverso il corridoio umanitario ha ottenuto lo status di rifugiato e il 3% la protezione sussidiaria; tutti i minori in età scolare sono stati inseriti a scuola; il 30% dei beneficiari è inserito in corsi di formazione professionale e 24 beneficiari hanno già trovato un impiego. Gli esiti ottenuti “incoraggiano a concludere che un’Europa che voglia affrontare il complesso fenomeno migratorio attuale non può fermarsi a consegnare la questione nelle mani dei paesi di origine o di transito: sono invece quanto mai necessarie alternative davvero credibili ai viaggi illegali e che garantiscano la sostenibilità dell’accoglienza attraverso il coinvolgimento delle comunità locali per puntare all’autonomia dei beneficiari e alla coesione sociale”.