27 Novembre 2019 - Rieti - Prosegue l’impegno dell’Ufficio diocesano Migrantes di Rieti, guidato da suor Luisella Maino. La settimana scorsa, la partecipazione della religiosa, assieme al vescovo mons. Domenico Pompili, al convegno organizzato dal Lions Club Antrodoco Velina Gens su “Le implicazioni socio–sanitarie dei fenomeni migratori”.
Domenica prossima, nel salone della parrocchia Madonna del Cuore, si terrà invece alle 18 un incontro organizzato da Migrantes, dedicato alla situazione dell’Africa occidentale e, in particolare, dello stato del Mali: terra di traffici illeciti, violenze, attacchi, conflitti inter–etnici, povertà, rifugiati
interni e migranti.
Porterà la propria testimonianza la giovane reatina Benedetta Tatti, ufficiale dell’Esercito Italiano, attualmente impiegata nella Missione integrata multidimensionale dell’Onu per la stabilizzazione in Mali. Sul piano personale, Benedetta aiuta sul posto una congregazione italiana di suore (che, nella martoriata regione di Mopti, sono a servizio della popolazione locale, specie femminile, con corsi di alfabetizzazione ed economia domestica), oltre ad assistere i rifugiati interni, costretti in estrema difficoltà dal crescere della violenza estremista e intercomunitaria
Tag: Immigrati e rifugiati
Parroco Lampedusa: “ancora morti annunciate e indifferenza. Aprire vie legali e sicure”
26 Novembre 2019 - Lampedusa - Ad accogliere i superstiti dell’ultimo naufragio sul molo Favarolo di Lampedusa c’era anche don Carmelo La Magra, il parroco della parrocchia San Gerlando dell’isola. “Siamo stati qualche ora, abbiamo portato acqua e coperte termiche”, racconta al Sir. “Avevano bevuto tantissima acqua salata, tremavano di freddo”. Il parroco è riuscito a parlare con una ragazza tunisina che non trovava più i genitori. E con un uomo libico con un bambino che cercava la moglie. “All’inizio erano pieni di speranza perché vedevano arrivare le motovedette dei soccorsi – ricorda -. Erano convinti che presto sarebbero sbarcati anche i propri cari. Invece non c’erano. E’ subentrata la disperazione”. Non è facile rivivere ogni volta scene del genere. “Per me vuol dire toccare con mano le ferite dei poveri, di persone che avevano un sogno”, confida. “Ma significa anche vedere con i propri occhi gli effetti concreti delle politiche di chiusura dell’Europa: non vuole riconoscere che il cammino dei popoli non si può fermare”. Don Carmelo si rende anche conto che “quando i naufragi sono molto ravvicinati nessuno ne parla, non interessa più nessuno”. Di solito i corpi non vengono sepolti nel piccolo cimitero di Lampedusa per motivi di spazio. Si chiede la disponibilità ad altri comuni dell’agrigentino, dove spesso vengono celebrati anche i funerali. La parrocchia, se possibile, propone un momento di preghiera, chiedendo ai familiari delle vittime se vogliono partecipare. “Anche se c’è meno clamore la gente continua ad arrivare e a morire – sottolinea il parroco di Lampedusa -. Finché non sarà permesso di viaggiare in sicurezza ed entrare in Europa attraverso vie legali. Le persone non dovrebbero essere su un barcone ma su aereo”. “Invece – prosegue – le partenze non si sono mai interrotte. Partono sempre, anche d’inverno. Magari prendono il largo con il tempo bello, poi quando arrivano qui peggiora”. “Sono morti annunciate”, conclude, lanciando l’ennesimo, instancabile appello: “Aprire vie legali e sicure”.
Istat: al Nord più di un nato su cinque ha genitori entrambi stranieri
26 Novembre 2019 - Roma - Al primo posto tra i nati stranieri iscritti in anagrafe si confermano i bambini rumeni (13.530 nati nel 2018), seguiti da marocchini (9.193), albanesi (6.944) e cinesi (3.362). Queste quattro comunità rappresentano la metà del totale dei nati stranieri. E’ quanto emerge dal Report su “Natalità e fecondità della popolazione residente-2018” presentato dall’Istat.
L’incidenza delle nascite da genitori entrambi stranieri sul totale dei nati è notoriamente molto più elevata nelle regioni del Nord (20,7% nel Nord-est e 21,0% nel Nord-ovest) dove la presenza straniera è più stabile e radicata e, in misura minore, in quelle del Centro (17,5%); nel Mezzogiorno l’incidenza è molto inferiore rispetto al resto d’Italia (6,0% al Sud e 5,6% nelle Isole). Nel 2018 è di cittadinanza straniera circa un nato su quattro in Emilia-Romagna (24,3%), quasi il 22% in Lombardia, circa un nato su cinque in Veneto, Liguria, Toscana e Piemonte. La percentuale di nati stranieri è decisamente più contenuta in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, con l’eccezione dell’Abruzzo (10,5%). “L’impatto dei comportamenti procreativi dei cittadini stranieri – scrive l’Istat - è più evidente se si estende l’analisi al complesso dei nati con almeno un genitore straniero, ottenuti sommando ai nati stranieri le nascite di bambini italiani nell’ambito di coppie miste”.
La geografia è analoga a quella delle nascite da genitori entrambi stranieri ma con intensità più elevate: in media nel 2018 ha almeno un genitore straniero oltre il 30% dei nati al Nord e il 25,4% al Centro; al Sud e nelle Isole le percentuali scendono a 9,5% e 8,9%. Le regioni del Centro-nord in cui la percentuale di nati da almeno un genitore straniero è più elevata sono Emilia-Romagna (35,0%), Lombardia (30,9%), Liguria (30,1%), Veneto (29,7%) e Toscana (29,1%).
Considerando la cittadinanza delle madri, al primo posto si confermano i nati da donne rumene (17.668 nati nel 2018), seguono quelli da donne marocchine (11.774) e albanesi (8.791); queste cittadinanze coprono il 43,1% delle nascite da madri straniere residenti in Italia. La propensione a formare una famiglia con figli tra concittadini (omogamia) è alta nelle comunità asiatiche e africane. All’opposto, le donne polacche, russe e brasiliane hanno più frequentemente figli con partner italiani che con connazionali.
Istat: si riduce il contributo alla natalità dei cittadini stranieri
26 Novembre 2019 - Roma - Nel 2018 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 439.747 bambini, oltre 18 mila in meno rispetto al 2017. Una tendenza negativa che non evidenzia segnali di inversione: secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-giugno 2019, le nascite sono già quasi 5 mila in meno rispetto allo stesso semestre del 2018. Lo si evince dal Report su “Natalità e fecondità della popolazione residente-2018” presentato dall’Istat. Sempre secondo l’Istat continuano a diminuire le nascite all’interno del matrimonio (297.768), quasi 19 mila in meno rispetto all’ultimo anno, 166 mila in meno rispetto al 2008. Ciò è dovuto anche al forte calo dei matrimoni che si è protratto fino al 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze, per poi proseguire con un andamento altalenante che vede nel 2018, anno in cui sono stati celebrati 195.778 matrimonii, un lieve aumento (+4.500) rispetto al 2017. In un contesto di nascite decrescenti, quelle che avvengono fuori del matrimonio aumentano di oltre 29 mila unità rispetto al 2008, raggiungendo i 141.979 nati da genitori non coniugati nel 2018. Il loro peso relativo continua a crescere (32,3% nel 2018). Considerando solo i nati da genitori entrambi italiani, il 34,7% ha genitori non coniugati. L’incidenza di nati fuori dal matrimonio è più elevata nel caso di coppie miste se è il padre ad essere straniero (36,6%); quando è invece la madre ad essere straniera, la proporzione è più bassa (27,2%). Per i nati da genitori entrambi stranieri si osserva la quota più bassa rispetto alle altre tipologie, circa la metà (16,8%) del totale nazionale.
Dal Report emerge anche che dal 2012 al 2018 diminuiscono i nati con almeno un genitore straniero (quasi 11 mila in meno) che, con 96.578 unità, costituiscono il 22% del totale dei nati e registrano una riduzione di oltre 2.600 unità solo nell’ultimo anno. Questo calo è imputabile – secondo l’istituto di statistica italiano - quasi esclusivamente ai nati da genitori entrambi stranieri: scesi per la prima volta sotto i 70 mila nel 2016 (69.379), sono 65.444 nel 2018 (14,9% sul totale dei nati), quasi 2.500 in meno rispetto al 2017.
Le cittadine straniere residenti, che finora hanno parzialmente riempito i “vuoti” di popolazione femminile ravvisabili nella struttura per età delle donne italiane, stanno a loro volta “invecchiando”: la quota di 35-49enni sul totale delle cittadine straniere in età feconda passa dal 42,7% del 1° gennaio 2008 al 52,7% del 1° gennaio 2019. “Questa trasformazione è conseguenza delle dinamiche migratorie nell’ultimo decennio. Le grandi regolarizzazioni del 2002 hanno dato origine, negli anni 2003-2004, alla concessione di circa 650 mila permessi di soggiorno, in gran parte tradotti in un ‘boom’ di iscrizioni in anagrafe dall’estero (oltre 1 milione 100 mila in tutto), che ha fatto raddoppiare il saldo migratorio rispetto al biennio precedente”. La dinamica migratoria si è attenuata con la crisi degli ultimi anni, pur restando positiva come avviene ormai da oltre venti anni. In Italia, inoltre, sono sempre più rappresentate le comunità straniere caratterizzate da un progetto migratorio in cui le donne lavorano e mostrano minori livelli di fecondità in Italia. È il caso delle donne ucraine, moldave, filippine, peruviane ed ecuadoriane, che hanno alti tassi di occupazione, prevalentemente nei servizi alle famiglie. Anche per queste ragioni “il contributo delle cittadine straniere alla natalità della popolazione residente si va lentamente riducendo”.
Si osservano due tendenze divergenti tra i nati in coppia mista e quelli con entrambi i genitori stranieri. I primi, passati da 23.970 del 2008 a 31.134 del 2018, presentano un andamento oscillante a partire dal 2010. I nati da genitori entrambi stranieri, dopo un incremento sostenuto fino al 2012, sono invece diminuiti di 14 mila 450 unità nell’arco dei 6 anni. Il crescente grado di “maturità” dell’immigrazione nel nostro Paese, testimoniato anche dal “notevole aumento delle acquisizioni di cittadinanza italiana, rende però sempre più complesso misurare i comportamenti familiari dei cittadini di origine straniera. Si riscontra, infatti, un numero rilevante di acquisizioni di cittadinanza proprio da parte di quelle collettività che contribuiscono in modo più cospicuo alla natalità della popolazione residente”, si legge nel report.
Al 1° gennaio 2018 risiedono in Italia circa 1 milione 345 mila stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Le donne sono quasi 757 mila (56,3% del totale) e oltre la metà (circa 389 mila) ha un’età compresa tra 15 e 49 anni. Le donne di origine marocchina sono 84 mila, quelle di origine albanese oltre 82 mila e quelle di origine rumena quasi 53 mila. Nel complesso queste collettività rappresentano il 29,0% del totale delle acquisizioni di cittadine straniere, con quote in età feconda rispettivamente pari a 54,7%, 63,0% e 65,3%.
Centro Astalli: basta morti nel Mediterraneo
25 Novembre 2019 - Roma – “Basta morti nel Mediterraneo. È il momento di risposte e soluzioni strutturali”. Davanti all’ennesima tragedia nel Mediterraneo la Commissione europea e i Governi nazionali “non rimangano inerti”. E’ quanto si legge in una nota del Centro Astalli dopo il naufragio di ieri vicino Lampedusa. “Neanche più un morto nel Mediterraneo” è stato il monito che Papa Francesco lanciò a Lampedusa: un monito che oggi “diventi priorità per le istituzioni europee e nazionali”.
“È inaccettabile e vergognoso che nel 2019 nel Mar Mediterraneo continuino a navigare carrette fatiscenti con a bordo decine di persone disperate nell’indifferenza generale. Soccorrere, salvare, accogliere i migranti per l’Unione europea e i Governi nazionali è obbligo giuridico, non opzione politica. Non possiamo continuare a contare i morti in mare, restando indifferenti. È uno status quo che viola ogni volta convenzioni e trattati internazionali, che dura da troppo tempo e che va immediatamente cambiato”, afferma Padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli.
Le istituzioni europee e gli stati nazionali “intervengano al più presto per attivare canali umanitari dai paesi in guerra, un piano di evacuazione dei migranti dalla Libia e visti di ingresso che permettano viaggi legali e sicuri per coloro che cercano legittimamente lavoro e dignità in Europa”, chiede il Centro dei Gesuiti.
“Family First”: un progetto per il ricongiungimento familiare dei rifugiati in Italia
20 Novembre 2019 - Roma - L'UNHCR, l'Agenzia Onu per i Rifugiati, insieme a Caritas Italiana e Consorzio Communitas presentano oggi il rapporto “Family First: In Italia insieme alla tua famiglia”, frutto di una ricerca sul ricongiungimento familiare dei rifugiati in Italia.
Il ricongiungimento - spiegano in una nota congiunta - è “spesso l'unico modo per garantire il rispetto del diritto all'unità familiare delle persone costrette a fuggire da persecuzioni e guerra, le quali troppo spesso sono costrette a fare la difficile scelta di lasciare la propria famiglia per cercare protezione in un altro paese, senza sapere se i propri cari sono al sicuro”.
La separazione forzata dei membri della famiglia può avere “conseguenze devastanti sul benessere delle persone e sulla loro capacità di ricostruire la propria vita”. Nella Dichiarazione di New York sui Rifugiati e i Migranti del 2016, gli Stati si sono impegnati ad ampliare le possibilità di protezione e tutela per i rifugiati, incluso il riconoscimento del ricongiungimento familiare come mezzo per facilitare una migrazione sicura e regolare.
È in quest’ottica che UNHCR, Caritas Italiana e Consorzio Communitas hanno lanciato il progetto Family First, volto a migliorare e facilitare le procedure e i meccanismi di ricongiungimento familiare in Italia per i beneficiari di protezione internazionale, e che nella sua fase iniziale ha prodotto la ricerca presentata oggi a Roma. In Italia la normativa prevede diverse misure favorevoli che dovrebbero accelerare il ricongiungimento familiare dei rifugiati; tuttavia nella prassi, mancanza di informazione, lunghi tempi di attesa e numerosi ostacoli burocratici, rischiano di “compromettere questo diritto”. Per questo motivo, il report contiene alcune raccomandazioni alle autorità italiane per poter rendere realmente efficiente la procedura e far sì che il ricongiungimento possa costituire un’alternativa sicura e credibile ai viaggi organizzati dai trafficanti.
Verrà inoltre lanciata la campagna informativa rivolta a rifugiati ed operatori che attraverso materiali multimediali mira a fornire informazioni corrette sulla procedura di ricongiungimento familiare.
Mons. Russo: “aprirsi alle differenze”
18 Novembre 2019 - Roma - “Migranti e religioni è un tema di grande attualità ma bisogna uscire fuori da una lettura demagogica della realtà. I fatti di questi ultimi tempi chiedono alle Chiese cristiane di rendere ragione del Vangelo e camminare fianco a fianco”. Lo ha detto oggi pomeriggio mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, aprendo a Roma il convegno “Migranti e religioni”, organizzato dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, in corso fino al 20 novembre.
“Come Chiesa italiana – ha ricordato – siamo felici di favorire, supportare, sostenere e incoraggiare processi di dialogo con tutti i fratelli e sorelle delle Chiese cristiane e favorendo passi concreti”. Mons. Russo ha citato come esempio di impegno ecumenico sul tema migranti la visita di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo nei campi profughi nell’isola di Lesbo e l’appello comune del 2018 per aprire vie sicure e regolari di ingresso e corridoi umanitari, un “ecumenismo della carità” riconosciuto di recente con il Premio Nansen. I corridoi umanitari, ha precisato mons. Russo, sono “un modo sicuro per tutti, un progetto di accoglienza e di integrazione per favorire l’incontro vero tra le persone”. “I migranti – ha detto – ci costringono a tornare alla chiamata di ogni uomo, alla vocazione” perché le “differenze non sono più significative davanti a Dio anzi diventano elemento di ricchezza. Possiamo essere noi stessi ed essere autenticamente ecumenici ed interreligiosi”. “Perpetuare la distinzione tra noi e loro non ha più senso – ha sottolineato -. I migranti sono soprattutto persone ma sono anche la parte più evidente del grande iceberg della cultura dello scarto”. A questo atteggiamento bisogna opporre una “cultura nuova fatta di incontro e lotta condivisa ad ogni emarginazione”. Perciò, bisogna “investire sull’impegno educativo per comprendere le migrazioni secondo umanità” ed evitare la “strumentalizzazione delle migrazioni” oggi evidente. “Qualsiasi migrante – ha concluso – va considerato persona migrante e quindi va accolto, protetto, promosso e integrato. Le comunità religiose siano aperte alle differenze”.
Vescovi Usa: “la Chiesa non fa distinzione di confini”
15 Novembre 2019 - Baltimora - L’emergenza migrazione al confine con il Messico e la sospensione legale dei 700mila dreamers irrompono nell’assemblea autunnale dei vescovi americani. In questi giorni la Corte Suprema ha cominciato a discutere tre casi che mettono in dubbio la legittimità delle decisioni di alcuni tribunali intervenuti sull’ordine esecutivo del presidente Trump che abrogava di fatto il Daca, una norma decisa da Barack Obama che autorizzava il differimento della deportazione per tutti quegli immigrati giunti bambini negli Usa al seguito di genitori senza documenti. Il Daca ha consentito agli immigrati di studiare, lavorare, pagare le tasse e servire il Paese nei modi più vari.
Molti di questi giovani, genitori a loro volta, sono leader nelle parrocchie e nelle comunità cattoliche ed evangeliche ed è anche questo che ha spinto il presidente della Commissione sulle migrazioni della Conferenza episcopale, mons. Joe S. Vásquez, e altre organizzazioni cattoliche ed evangeliche a presentare un documento di 38 pagine alla Corte suprema perché tenga conto che la totale revoca del Daca di fatto separerebbe intere famiglie ma soprattutto esporrebbe alla violenza e alla strada migliaia di giovani che conoscono come unica patria gli Stati Uniti. Una delle ultime statistiche sui nuovi nati certifica che 256mila bambini hanno almeno un genitore che rientra nel programma del Daca.
La Chiesa da tempo sollecita i legislatori a trovare una soluzione che implichi la cittadinanza e fornisce accompagnamento legale e sostegno psicologico a tutti quelli che da oltre un anno vivono nella sospensione della deportazione e su questo fronte non intende fermarsi.Il neoeletto presidente della Conferenza episcopale, mons. Josè Gomez ha voluto sottoporre al dibattito con i suoi confratelli altri tre punti sull’emergenza migratoria che le comunità si trovano a vivere sia ai confini che in gran parte del Paese.
Primo fra tutti l’accoglienza dei rifugiati: ciò che per decenni è stato il fiore all’occhiello degli Usa, e cioè l’apertura delle porte a chi fuggiva da guerre e persecuzioni, negli ultimi tre anni ha avuto un drastico calo, passando dai 110mila del 2017 agli appena 18mila programmati per il 2020. Questa decisione governativa ha avuto un impatto anche sui centri e sui programmi d’accoglienza della Chiesa che ne ha chiusi definitivamente 51 e quest’anno altri 41 uffici saranno chiusi in 23 Stati. 18 dei programmi sponsorizzati dalla Conferenza episcopale sono stati sospesi e chiusi i 6 uffici che se ne occupavano. I due provvedimenti del presidente, uno noto come “Remain in Mexico – Rimani in Messico” e l’altro sulla regolamentazione delle richieste d’asilo che prevede di richiedere in un Paese terzo la documentazione per l’asilo negli Usa – hanno drasticamente ridotto gli arrivi ma hanno creato una vera emergenza umanitaria in Messico dove al momento oltre 60mila migranti stazionano al confine. “Alcuni di loro non possono tornare indietro e altri non possono proseguire il viaggio, per cui vivono bloccati in territori dove non ci sono case a sufficienza e l’assistenza legale è limitata – precisa il vescovo Vasquez -. Siamo molto preoccupati per le famiglie con membri affetti da disabilità, per le donne incinte e per i minori, soggetti tutti estremamente vulnerabili. Sappiamo che sono vittime della tratta e di bande che scorazzano violentemente in quella zona del Paese. Questa è emergenza anche per noi, la Chiesa non fa distinzione di confini: sono tutti nostri fratelli e sorelle”.
L’ultimo riguarda i migranti che vivono sotto uno stato di protezione temporanea, noto come Tps, che provengono da zone di conflitto o soggette a disastri ambientali o da Paesi dove rientrare metterebbe a rischio la vita di queste persone. L’amministrazione aveva inizialmente cancellato questo protocollo ma dopo insistenze e proteste si è decisa ad estendere il permesso fino al 2021, soprattutto per i cittadini di Nepal, Honduras, Haiti, Sudan ed El Salvador.
Il neopresidente ha voluto poi concludere la sua presentazione illustrando le buone pratiche messe in atto dalle diverse chiese. Le diocesi di Browsville e Baltimora, ad esempio, hanno deciso di offrire una carta di identità parrocchiale ai migranti senza documenti per consentirgli di accedere a dei servizi base. Le arcidiocesi di Los Angeles e di Washington hanno istituito un sistema legale che consenta di richiedere la cittadinanza ai bambini nati negli Usa e figli di genitori senza documenti. A Indianapolis e San Francisco i migranti vengono accompagnati nel percorso legale con l’agenzia dell’immigrazione e diverse agenzie offrono supporto per l’iscrizione scolastica e il sostegno psicologico soprattutto dei bambini separati dai genitori. La diocesi di Jackson ha risposto all’emergenza scatenata dai raid dello scorso agosto, che hanno portato alla deportazione di diversi migranti che hanno dovuto abbandonare i loro figli perché nati negli Usa e quindi cittadini statunitensi.
E sempre dei bambini reclusi nei centri di accoglienza si occupano i volontari della diocesi di Miami, che hanno ricevuto un training special per assisterli e per garantire anche a tutti gli altri migranti dei centri di detenzione di poter professare almeno la loro fede.
Il card. Daniel DiNardo a conclusione degli interventi ha condiviso la sua esperienza personale con il mondo politico soprattutto sul tema della migrazione. “Avere a che fare con i politici sia a livello locale che federale è stata un’esperienza frustrante soprattutto perché alle 12 parlavi con loro e dicevano qualcosa che alle 16.15 smentivano con il loro agire e le loro scelte, eppure dovevo continuare a mantenere con loro una relazione pensando al ruolo della Chiesa e ai migranti”. Il suo augurio per il futuro è che qualcosa cambi sul serio. (Maddalena Maltese – Sir)
Parlamento Europeo: si parlerà della situazione dei migranti nelle isole greche e in Bosnia
13 Novembre 2019 -
Roma - Con l'avvicinarsi dell'inverno, i deputati europei, durante la sessione di oggi e domani, valuteranno, in un dibattito con Consiglio e Commissione, la situazione degli immigrati nelle isole greche e in Bosnia. Secondo l'Unhce , nelle isole dell'Egeo vi sono circa 30.000 persone tra migranti e rifugiati. Nonostante il numero notevolmente inferiore di arrivi e gli sforzi delle autorità greche per alleviare la pressione sugli hotspot, campi come quello di Moria (Lesbo) sono permanentemente sovraffollati, si legge in una nota. Molti deputati "temono che le già terribili condizioni dei campi profughi si deterioreranno ulteriormente con il peggioramento del tempo".
Prima di discutere della situazione in Grecia, i deputati chiederanno alla Commissione e al Consiglio cosa intendono fare per la situazione in Bosnia e in particolare nel campo profughi di Bihać, dove migliaia di richiedenti asilo sono "trattenuti in condizioni di sovraffollamento dopo essere stati espulsi o non autorizzati nel territorio UE dalle autorità croate".
“Migranti di ieri e di oggi: tra presente passato e futuro”: un convegno a Reggio Calabria
13 Novembre 2019 - Reggio Calabria - “Artefici del nostro futuro, sulle orme del Beato Giovanni Battista Scalabrini”. E’ questo il titolo di un progetto promosso dalla cooperativa sociale Demetra che sarà presentato oggi pomeriggio al Seminario di Reggio Calabria, in occasione del convegno dal titolo “Migranti di ieri e di oggi: tra presente passato e futuro”.
Il progetto, finanziato dalla CEI, vede il coinvolgimento di 20 giovani migranti in percorsi di orientamento, formazione, inserimento lavorativo. Già da diversi anni la cooperativa sociale Demetra, socia del Consorzio Macramè, si occupa della cura e della manutenzione del terreno confiscato sito a Placanica, nel comune di Melito Porto Salvo (RC).
Una sfida impegnativa per la cooperativa che non ha mai arrestato il proprio impegno, nonostante le difficoltà, sposando il modello dell'agricoltura sociale. Oggi, grazie anche al progetto “Artefici del nostro futuro”, sul terreno confiscato di Placanica è sorta una fattoria sociale. Il gruppo di migranti, affiancato dall'equipe della cooperativa ha quotidianamente la possibilità di misurarsi sul campo, formarsi, orientarsi materialmente al lavoro, sperimentando tutta una serie di attività del settore agricolo e zootecnico, scrive il settimanale “L’Avvenire di Calabria”. I ragazzi sono supportati sotto qualsiasi aspetto: dal soddisfacimento dei bisogni primari, come la casa e l'assistenza sanitaria, a percorsi di alfabetizzazione, attività di volontariato, di inclusione e di conoscenza. Un modello, quello portato avanti dalla Demetra, che prevede la presa in carico della persona a trecentosessanta gradi e punta sulla forza delle relazioni e sull'instaurarsi di rapporti di fiducia reciproca.
La cooperativa presenterà il progetto anche con la proiezione di un video racconto. Sarà occasione per discutere di buone pratiche di accoglienza, per raccontare i risultati ottenuti sino ad ora e per rinnovare l’impegno nella direzione dell’inclusione sociale e della solidarietà.
Unhcr: in Italia 732 apolidi e 15mila invisibili senza scuola né medico
13 Novembre 2019 - Roma - In Italia sono 732 gli apolidi riconosciuti ma la stima delle presenze reali, proprio per la difficoltà di individuarli, oscilla tra le 3.000 e le 15 mila persone, provenienti per lo più dalla ex Jugoslavia e arrivate nel nostro Paese quando erano molto giovani oppure nate qui. Ma soprattutto ci vuole tantissimo tempo per ottenere questo status in Italia: è il caso di Dari, 28 anni, che l’ha avuto dopo ben 13 anni di attesa. È quanto emerge dal nuovo report dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur). Si tratta di una condizione, denuncia l’Acnur, che viola i diritti umani e riguarda almeno 3,9 milioni di apolidi noti nel mondo, ma si stima che il numero reale sia molto più elevato, attorno ai 10 milioni, anche perché le statistiche sull’apolidia sono disponibili solo per un terzo degli Stati a livello globale. Sono persone che non hanno accesso ai diritti fondamentali: non possono andare a scuola, essere visitati da un medico, avere un lavoro, aprire un conto in banca, comprare una casa e nemmeno sposarsi. Questo perché l’apolide non viene considerato cittadino da nessuno Stato e, di conseguenza, non viene riconosciuto il diritto fondamentale alla nazionalità, né assicurato il godimento dei diritti ad essa correlati contribuendo così a rendere invisibili individui e intere comunità e a emarginarli dal resto della società. “Le persone apolidi non chiedono altro che gli stessi diritti di cui godono tutti i cittadini” commenta Roland Schilling, Rappresentante Regionale Unhcr per il Sud Europa che raccomanda all’Italia che le procedure di riconoscimento dello status di apolidia “siano più accessibili, efficaci e rapide” e che le persone apolidi possano essere riconosciute cittadini italiani alla nascita visto che “di fatto la legge italiana già prevede questo diritto” ma nella prassi ciò non accade.
Migrantes Taranto: il 15 novembre il convegno su “Non si tratta solo di migranti”
12 Novembre 2019 - Taranto - Si svolgerà venerdì 15 novembre presso l’Università degli Studi di Bari – Dipartimento Jonico un convegno sul tema “Non si tratta solo di migranti: si tratta di liberarci dagli esclusivismi, dall’indifferenza e dalla cultura dello scarto” che tratterà il tema dei migranti che continua ad essere di grande attualità.
All’incontro, promosso dall’Ufficio Migrantes diocesano, inerverranno, fra gli altri - l’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, il sindaco di Taranto, Rinaldo Meucci, il vicario episcopale per il laicato, mons. Paolo Oliva, i docenti Pamela Martino, Anna Maria Conte e Paolo Stefani, la responsabile dell’Ufficio legale della Migrantes diocesana, Cosima Ilaria Buonocore e Flavia Leopardo dell’Associazione “Noi e Voi”.
A concludere i lavori, moderati dalla direttrice dell’Ufficio Migrantes Marisa Metrangolo, la preside dell’Istituto “Archimede”, Patrizia Capobianco.
Mons. Russo: “razzismo e istigazione all’odio non devono trovare spazio”
31 Ottobre 2019 - Roma - “Ogni forma di razzismo e istigazione all’odio razziale non deve trovare spazio”. Lo dichiara mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, in merito all’istituzione di una Commissione monocamerale di cui è prima formatrice la senatrice a vita Liliana Segre: “Nessuna società libera e democratica può accettare di restare indifferente di fronte a episodi di antisemitismo e odio. Non solo nella Rete, dove registriamo manifestazioni sempre più diffuse di hate speech, ma anche nella vita sociale”. “È lo stesso Papa Francesco ad aver chiesto a più riprese di bandire l’antisemitismo dalla comunità umana, come ha fatto giusto un anno fa incontrando una delegazione di rabbini del Caucaso. ‘Senza una memoria viva non ci sarà futuro’, disse in quell’occasione. E di memoria viva – conclude mons. Russo – è interprete la senatrice Segre, che è stata testimone del baratro in cui l’uomo può condurre i suoi fratelli”. “Ben vengano, dunque, iniziative volte alla giustizia e alla pace sociale”, conclude il segretario generale.
Savona: una festa per i 15 anni della Comunità ucraina
31 Ottobre 2019 - Savona - Domenica prossima, 3 novembre, la comunità ucraina di Savona celebra i quindici anni di presenza in diocesi. Come racconta in anteprima il mensile diocesano Il Letimbro di novembre, alla festa di ringraziamento, nella chiesa del Sacro Cuore in corso Colombo, interverranno non solo i fedeli della comunità savonese, ma anche di quelle sorelle di Chiavari e Genova.
La giornata inizierà alle 10 con la colazione ucraina con tè, caffè e dolci tipici. Seguiranno giochi e laboratori per tutti poi un momento a cura de “Le Madri unite nella preghiera”. Alle 12 la divina liturgia con rito bizantino a cui prenderà parte il vescovo Mons. Calogero Marino, unitamente al vescovo ucraino Mons. Dionisio Lyakovich. La Messa sarà celebrata in lingua ucraina con alcune parti in italiano. Durante la celebrazione si pregherà per la salute e, secondo l’usanza, verrà donato ai fedeli l’olio benedetto. Al termine pranzo comune nei locali della chiesa, seguito da altri momenti di festa con balli tipici. “Con questa cerimonia la nostra comunità ucraina desidera ringraziare Dio e festeggiare questi quindici anni a Savona” spiega a Il Letimbro padre Vitaliy Tarasenko, guida spirituale della comunità.
In classe il racconto dei profughi
30 Ottobre 2019 - Genova - Una lezione particolare - di quelle che si ricordano tutta la vita - tenuta da un sopravvissuto ai viaggi della speranza.
Che si siede in cattedra e racconta senza che voli una mosca in un'ora la propria odissea ai suoi coetanei o giù di lì in una scuola superiore o in un corso universitario di Genova. Perché se le odissee migratorie sono state irrise, ridotte dalla propaganda xenofoba e invasionista attiva soprattutto su tv e social con la tecnica della disumanizzazione a viaggi di piacere compiuti da benestanti, allora una via da percorrere è portare in classe un richiedente asilo, magari un minore non accompagnato arrivato da un Paese africano, dall'Afghanistan e dalla Siria.
Lo ha proposto in un articolo Avvenire domenica 20 ottobre: partiamo dai giovani e come antidoto a razzismo e xenofobia, alla disumanizzazione e all'assuefazione alla morte in mare o nel deserto anche di mamme e bambini, occorre far raccontare dalla viva voce di chi è scampato alle rotte dei trafficanti da cosa fuggono e cosa hanno vissuto durante il viaggio.
Sono arrivate molte lettere. Fra tutte quella del lettore Carlo Zanini, tutore volontario che da febbraio ha avuto in 'consegna' dal Tribunale 4 minori stranieri non accompagnati, che crede molto in questa iniziativa e auspica il coinvolgimento di insegnanti ed educatori.
Da Genova è arrivata la conferma che tale coinvolgimento c'è e si può replicare. Con l'iniziativa 'Storie di una diversa giovinezza', organizzata dall'ottobre 2015 al giugno 2018 dalla Comunità di Sant' Egidio di Genova, guidata da Andrea Chiappori, in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale per la Liguria e l’Ufficio Migrantes diocesano, 23 richiedenti asilo da Afghanistan, Eritrea, Etiopia, Gambia, Senegal, Sierra Leone, Siria e Somalia, accompagnati da 20 universitari volontari della Comunità di Sant' Egidio, hanno incontrato 2600 studenti in 130 classi di istituti professionali, tecnici e licei e quattro corsi accademici.
«La formula è semplice - spiega Elena Arcolao, responsabile del progetto -: i minori non accompagnati o i neo-maggiorenni, dopo una brevissima introduzione da parte del giovane volontario accompagnatore, raccontano in 15 minuti la propria storia. Poi inizia il dialogo con gli studenti con domande 'senza filtro', in un confronto reciproco di idee. In questo modo sono stati abbattuti molti muri e pregiudizi. A loro ho chiesto di fare racconti umanamente 'sostenibili', tenuto conto che devono rievocare momenti molto dolorosi».
Le domande riguardavano la loro storia, il motivo della fuga, la durata del viaggio, la somma pagata ai trafficanti e il trattamento ricevuto anche dalla polizia italiana. Ancora, se qualcuno li ha aiutati o se hanno trovato amici durante il viaggio, come sono le comunità dove sono stati accolti, se vogliono o possono tornare nel loro Paese, quali rapporti hanno mantenuto con la famiglia. Ma anche sulla loro vita nella terra d'origine, quali sogni hanno, come vedono il futuro e cosa significa integrarsi.
Tutte domande a cui non si è sottratto Fadil, oggi 22enne, che dall'esperienza dell'incontro in classe ha tratto molti giovamenti. Ha raccontato in un clima di attenzione di essere figlio dell'imam di un villaggio a nord del Camerun, di essere arrivato a Genova nel maggio 2016 appena diciottenne dopo l'omicidio dei genitori da parte dei terroristi islamisti di Boko Haram nel febbraio 2015. Fadil è dovuto fuggire per sopravvivere intraprendendo un lungo viaggio attraverso il Ciad e poi in Libia, dove ha visto la morte da vicino.
«Ci sono rimasto un anno subendo due arresti e torture nelle prigioni e venendo costretto a lavorare come schiavo. Poi mi sono imbarcato e sono arrivato a Palermo; dopo tre giorni ero a Genova. Oggi vivo in una comunità, vado a scuola di italiano, ho preso la licenza media. Durante il giorno lavoro e alla sera frequento le scuole serali per prendere un diploma. Quando ho un po' di tempo libero vado a fare volontariato con Sant' Egidio ».
Lorenzo Mantero, 23 anni, volontario di Sant' Egidio, ha accompagnato Fadil e altri richiedenti asilo nelle scuole: «La chiave di volta è stata la conoscenza della persona. Spiazza chi ha pregiudizi perché quasi nessuno ha mai ascoltato la storia del viaggio e della prigionia di un ragazzo quasi coetaneo».(Paolo Lambruschi – Avvenire)
Venezuela: a Bruxelles la “conferenza internazionale di solidarietà sulla crisi dei migranti”
29 Ottobre 2019 - Bruxelles - È in corso a Bruxelles la “conferenza internazionale di solidarietà sulla crisi dei migranti e rifugiati venezuelani”. Sono 4,5 milioni le persone che hanno lasciato il Paese in questi ultimi anni, un numero tale da renderla, secondo lo Iom, l’agenzia Onu per le migrazioni, “una delle più vaste crisi” nel mondo oggi legate a migrazioni forzate, certamente la più grave nella storia dell’America Latina. Ad avere bisogno di assistenza sono le persone fuggite da un Paese economicamente distrutto e da un regime contestato, ma anche le comunità che le hanno accolte. L’80% delle persone che hanno lasciato il Venezuela sono rimasti nei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, “non confinati in campi, ma nelle città e nei villaggi dove vivono insieme alla popolazione locale”, riferiscono in un contributo apparso ieri sul quotidiano spagnolo El Paìs, António Vitorino, direttore generale Iom, l’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini e l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, che insieme hanno promosso la conferenza. “Si prospetta che, entro la fine del prossimo anno il numero salirà a 6,5 milioni”, ha detto Vitorino, aprendo i lavori a Bruxelles. “Le società dei Paesi ospitanti sono sottoposte a carichi enormi”, e “tuttavia, i Paesi della regione hanno aperto loro le loro case, scuole, ospedali”. “L’America Latina non può essere lasciata sola per affrontare questa crisi”. Si sollecita la creazione di “un partenariato globale”.
Corridoi umanitari: nuovo arrivo di 51 persone dal Corno D’Africa
29 Ottobre 2019 - Roma - Giovedì 31 ottobre arriveranno, con un volo di linea dell’Ethiopian Airlines proveniente da Addis Abeba, 51 profughi del Corno d’Africa che erano rifugiati da tempo in Etiopia. Il loro ingresso in Italia è reso possibile grazie al nuovo Protocollo d’intesa con lo Stato italiano, firmato lo scorso 3 maggio dalla CEI (attraverso Caritas Italiana e Fondazione Migrantes) e dalla Comunità di Sant’Egidio, che prevede l’arrivo di 600 persone nei prossimi due anni, dopo il primo accordo che ha già portato nel nostro Paese 500 rifugiati nel 2017-2018.
I 51 profughi troveranno ad attenderli alcuni loro familiari, da tempo residenti e integrati in Italia. Saranno accolti in diverse città (Roma, Bologna, Firenze, Genova, Gubbio, Martina Franca, Milano, Padova) presso associazioni, parrocchie, appartamenti di privati e istituti religiosi, con il supporto di famiglie italiane che si occuperanno di accompagnare il percorso d’integrazione sociale e lavorativa sul territorio, garantendo servizi, corsi di lingua italiana, inserimento scolastico per i minori, cure mediche adeguate. Tutto ciò grazie a un progetto totalmente autofinanziato con l’8x1000 della CEI, fondi raccolti dalla Comunità di Sant’Egidio e la generosità non solo di associazioni e parrocchie ma anche di cittadini che hanno offerto le loro case e il loro impegno gratuito e volontario.
“Rifugiati nella rete: un incontro oggi pomeriggio a Roma
22 Ottobre 2019 -
Roma - “Rifugiati nella rete. Servizi, sfide e opportunità per un sostegno integrato e per una narrazione da protagonisti”. Questo il tema di un incontro che si svolgerà oggi pomeriggio a Roma nella sede dell'Agenzia di stampa “Dire”, su iniziativa di Arci, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e Intersos. Sarà l’occasione per presentare due progetti, JumaMap e PartecipAzione, realizzati, rispettivamente, da Arci e Intersos, con il supporto dell’UNHCR.
Il primo, JumaMap – Refugees Map Services, è una piattaforma dove trovare associazioni, enti pubblici e privati e spazi informali che offrono servizi rivolti ai richiedenti asilo e rifugiati: dall’assistenza legale, sanitaria, passando dalle scuole d’italiano. La piattaforma è disponibile in 10 lingue e al momento registra oltre 1000 servizi su tutto il territorio nazionale.
Il secondo, PartecipAzione, è un programma di capacity building ed empowerment realizzato da INTERSOS in partenariato con UNHCR, che ha l’obiettivo di sostenere la crescita, le attività e le reciproche collaborazioni di quelle organizzazioni che a livello locale favoriscono la coesione sociale, l’integrazione, la protezione e l’empowerment di rifugiati e richiedenti asilo in 11 regioni target. Entrambe i progetti sono sostenuti finanziariamente da UNHCR.
Alla presentazione interverranno Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa; Filippo Miraglia, responsabile nazionale Immigrazione di Arci; Cesare Fermi, responsabile unità Migrazioni di Intersos; Fatima Abdurkazova, operatrice sociale e mediatrice linguistica del Numero Verde Rifugiati di Arci e beneficiaria del programma PartecipAzione; Lyas Cicciù, Unione Nazionale Italiana, per i Rifugiati ed Esuli (UNIRE). Modererà la giornalista dell’Agenzia di stampa Dire, Alessandra Fabbretti.
Papa Francesco saluta la comunità peruviana e i partecipanti alla marcia “Restiamo umani”
21 Ottobre 2019 - Città del Vaticano - “Saluto e benedico con affetto la comunità peruviana di Roma, qui radunata con la venerata Immagine del Señor de los Milagros – ¡conserven siempre la fe y las tradiciones de su pueblo!”. Così Papa Francesco ha salutato, ieri, al termine dell’Angelus, i partecipanti alla processione dell’immagine del Senor de lo Milagros presenti in Piazza San Pietro. Durante i saluti anche un pensiero ed un ringraziamento ai partecipanti alla marcia “Restiamo umani” a favore dell’accoglienza, promossa dall’attivista italo congolese John Mpaliza, partita il 20 giugno da Trento e che si è conclusa ieri a Roma , in San Pietro. “Ringrazio i partecipanti alla marcia ‘Restiamo umani’, che negli ultimi mesi ha percorso città e territori dell’Italia per promuovere un confronto costruttivo sui temi dell’inclusione e dell’accoglienza”, ha detto il Papa: “Grazie per questa bella iniziativa!”.
Istat: flessione per le acquisizioni di cittadinanza
18 Ottobre 2019 - Roma - I cittadini stranieri che nel 2018 hanno acquisito la cittadinanza italiana sono 112.523, di cui 103.478 originari di un Paese non comunitario. Rispetto al 2017, si è registrata una flessione del 23,8%, in controtendenza rispetto alla continua crescita degli ultimi anni, che ha riportato il valore su un livello vicino a quello del 2013. E’ quanto emerge dal Report “Cittadini non comunitari in Italia” realizzato dall’Istat. A subire il calo più consistente rispetto all’anno precedente sono state le acquisizioni per residenza e quelle per trasmissione dai genitori; per queste due modalità la diminuzione è evidente sia in termini assoluti (-21 mila e -14 mila circa) che percentuali (-37,2% e -31,9%). Il primato delle acquisizioni per residenza e trasmissione resta alle regioni del Nord.
Crescono, anche se di poco, i procedimenti per matrimonio (+2 mila, +8,8%). Grazie all’integrazione di nuove fonti disponibili, dal 2016 – sottolinea l’Istat - è possibile individuare anche coloro divenuti italiani per ius sanguinis (per discendenza), ovvero nati all’estero da padre o madre di origine italiana. Si tratta di un collettivo in crescita: nel 2016 erano circa 7 mila individui - pari al 3,8% di tutte le acquisizioni di cittadini non comunitari - saliti a 8.211 nel 2017 (6,1% del totale) che nel 2018 sfiorano le 9 mila unità (8,6% del totale).
L’acquisizione per ius sanguinis è particolarmente rilevante nelle regioni del Mezzogiorno che in passato hanno dato luogo a consistenti flussi di emigrazione verso l’estero. I procedimenti per discendenza rappresentano la maggior parte delle acquisizioni in Calabria, Molise, Basilicata e Campania. Complessivamente per il Sud si registra una lieve variazione positiva rispetto al 2017.
Queste dinamiche – scrive l’Istat - si riflettono sulla struttura per età di coloro che acquisiscono la cittadinanza italiana. Il calo delle acquisizioni per trasmissione dai genitori ed elezione al 18° anno di età ha comportato un calo nella classe d’età più giovane, che dal 2013 ha sempre avuto un peso relativo superiore al 40% mentre nel 2018 è inferiore al 36%.
Sono prevalentemente le donne ad aver acquisito la cittadinanza nel 2018 (53,6% del totale). In particolare, nel caso del matrimonio, su 100 acquisizioni 85 riguardano donne, le quali nel 38,4% dei casi divengono italiane con questa modalità. Gli uomini ottengono invece la cittadinanza italiana principalmente per residenza (58%).
Anche nel 2018, in linea con gli anni precedenti sebbene con valori assoluti decisamente ridotti, il numero maggiore di acquisizioni riguarda albanesi (21.841) e marocchini (15.496), collettività storicamente presenti sul nostro territorio e che coprono più del 36% delle acquisizioni di cittadinanza nell’anno. Tuttavia, tra il 2017 e il 2018 per la comunità marocchina il calo delle acquisizioni di cittadinanza è ben superiore alla media ((-31,6% contro -23,8%). Al terzo posto si collocano ormai stabilmente i cittadini di origini brasiliane (+7,3% tra 2017 e 2018). Nel 67,6% dei casi si è trattato di acquisizioni avvenute per ius sanguinis.
Al 1° gennaio 2018 risiedono nel nostro Paese oltre un milione 340 mila persone che hanno acquisito la cittadinanza italiana; di questi circa un milione e 97 mila (81,6%) erano precedentemente stranieri non comunitari, donne nel 52,6% dei casi. L’acquisizione della cittadinanza riguarda in particolare alcune collettività come quella albanese e quella marocchina mentre per altre il numero è molto contenuto: è il caso – ad esempio - dei cinesi.
Le motivazioni alla base del diverso comportamento sono molteplici; un peso rilevante lo ha la durata della presenza, specie nel caso di acquisizione per residenza che, per i cittadini non comunitari, prevede almeno dieci anni di permanenza nel nostro Paese. Inoltre, il mancato riconoscimento della doppia cittadinanza da parte dei paesi di origine può scoraggiare gli immigrati dall’acquisire la cittadinanza italiana. I residenti che hanno ottenuto la cittadinanza sono nel 16,8% dei casi marocchini e nel 15,5% albanesi. In particolare, per ogni 100 stranieri marocchini ci sono 44 italiani di origine marocchina; per ogni 100 albanesi 38 italiani di origine albanese.
Marocchini e albanesi rappresentano rispettivamente il 12,3% e l’11,6% degli stranieri residenti, ma considerando la popolazione di origine straniera (stranieri residenti + italiani per acquisizione) rappresentano circa il 13%. A seguire ci sono gli originari dell’India e del Pakistan. Per i cinesi, all’opposto, risulta molto bassa la propensione ad acquisire la cittadinanza italiana.
I minorenni sono circa 257 mila, il 23,5% di tutti i residenti che hanno acquisito la cittadinanza. Il 78,8% è nato nel nostro Paese. Il 20,4% dei nuovi cittadini lo è diventato a seguito di matrimonio con un italiano. La quota più elevata di nuovi cittadini per matrimonio riguarda gli originari della Federazione Russa (44%), la più bassa gli individui provenienti da Pakistan e India.
I nuovi cittadini italiani si concentrano soprattutto nelle regioni del Centro-nord, come Lombardia (24,5%), Veneto (12,1%) Piemonte (11,6%) ed Emilia Romagna (11,4%). Rapportando i nuovi cittadini agli stranieri emerge che nel Nord-ovest ci sono quasi 34 cittadini per acquisizione ogni 100 stranieri residenti, nel Nord-est 36, nel Centro 26, nel Mezzogiorno 22. Tra le regioni che ospitano almeno 10 mila residenti stranieri il massimo si tocca in Piemonte - oltre 50 nuovi cittadini ogni 100 residenti - il minimo in Campania (14 ogni 100).